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Report Traver Smart: Italia maglia nera emissioni voli aziendali

Report Traver Smart: Italia maglia nera emissioni voli aziendali

Milano, 12 mar. (askanews) – I viaggi aerei sono la forma di mobilità a maggiore intensità climatica. I voli effettuati dalle aziende ogni anno rappresentano, su scala globale, circa il 15-20% delle emissioni complessive dell’aviazione; una percentuale che in Europa rappresenta addirittura il 25-30%. Nonostante questo, le più grandi aziende italiane non hanno un piano per ridurre l’impatto ambientale dei loro voli aziendali. Ecco cosa emerge dal report Travel Smart Ranking 2024, realizzato per il terzo anno consecutivo dall’associazione ambientalista indipendente europea Transport & Environment. Secondo la classifica, che prende in considerazione le 328 aziende di tutto il mondo che compiono il maggior numero di viaggi aerei aziendali, ben 15 sono italiane (5% delle 328 totali) e nessuna di loro ha impostato chiari obiettivi volti a ridurre le emissioni della mobilità aerea. Ciò segnala che le aziende italiane non stanno intervenendo abbastanza rapidamente nè stanno dimostrando un impegno proattivo rispetto alla riduzione delle proprie emissioni.

In generale, tutte le aziende italiane analizzate nel rapporto – cioè le più grandi multinazionali del Paese – mancano di target per ridurre le emissioni dei viaggi aziendali: 13 di queste hanno ottenuto un punteggio pari a C, mentre le altre due – Iveco ed Enel – hanno ottenuto una D, il punteggio più basso, dettato principalmente dal fatto che non hanno reso note (o solo parzialmente) le proprie emissioni di viaggio, rendendo di fatto impossibile misurare il loro score climatico in materia di mobilità. Risulta dunque evidente il ritardo delle aziende italiane in confronto alle multinazionali di altri Paesi come Spagna, Paesi Bassi, Francia, Regno Unito e Germania, dove almeno un’azienda ha ottenuto punteggi come A o B.

Aziende lungimiranti vs procrastinatrici. Dall’analisi emerge una discrepanza tra aziende dello stesso settore: aziende “lungimiranti”, che fissano chiari obiettivi climatici, e aziende “procrastinatrici” che, anno dopo anno, mancano di farlo. Dall’analisi di T&E tutte le aziende italiane appartengono alla seconda categoria, avendo ottenuto score C o D e non avendo fissato target di riduzione delle emissioni per la loro mobilità interna (o non riportando in maniera completa e trasparente le emissioni dei viaggi aziendali).

Pirelli confermata tra leader globali per lotta a climate change

Pirelli confermata tra leader globali per lotta a climate changeMilano, 6 feb. (askanews) – Per il sesto anno consecutivo Pirelli & C. SpA è stata confermata tra i leader globali nella lotta ai cambiamenti climatici ottenendo un posto nella Climate A list 2023 stilata da CDP, l’organizzazione internazionale no-profit che si occupa di raccogliere, divulgare e promuovere informazioni su questioni ambientali.


Il rating “A” è il massimo punteggio ottenibile nella sezione Climate ed è stato attribuito a solo 346 aziende tra le oltre 21.000 partecipanti, valutate in base alla strategia di decarbonizzazione, all’efficacia degli sforzi messi in atto per ridurre le emissioni e i rischi climatici e per sviluppare un’economia a basse emissioni di carbonio, nonché in base alla completezza e alla trasparenza delle informazioni fornite e all’adozione di best practice associate all’impatto ambientale. Il riconoscimento da parte di CDP conferma il costante impegno di Pirelli nell’ambito della sostenibilità ambientale, come testimoniano i risultati superiori alle attese rispetto ai target di decarbonizzazione del piano industriale. Pirelli sta pertanto definendo nuovi Science Based Target di breve e lungo periodo in linea con il proprio Commitment al Net Zero.


“Ottenere il riconoscimento più importante da parte di CDP nel contrasto ai cambiamenti climatici – ha commentato Marco Tronchetti Provera, vice presidente esecutivo di Pirelli – conferma i risultati concreti a supporto di una transizione sostenibile ottenuti da Pirelli e da tutta la catena del valore anche grazie alle nuove tecnologie e un costante impegno nell’innovazione”. CDP, il cui obiettivo è quello di guidare le aziende e i governi a ridurre le proprie emissioni di gas serra, salvaguardare le risorse d’acqua e proteggere le foreste, raccoglie i dati relativi agli impatti ambientali, ai rischi e alle opportunità, per una valutazione indipendente rispetto alla metodologia con cui viene calcolato il punteggio. Su richiesta di oltre 740 investitori con oltre 136 trilioni di dollari in asset, tali dati, nel 2023, sono stati comunicati tramite la piattaforma di CDP dalle aziende coinvolte.

Giornata degli Alberi, MetLife crea due boschi nettarifiri con 3Bee

Giornata degli Alberi, MetLife crea due boschi nettarifiri con 3BeeRoma, 20 nov. (askanews) – MetLife, leader mondiale nell’offerta di prodotti assicurativi, partecipa con i suoi dipendenti delle sedi di Milano e di Roma all’evento di piantumazione di due boschi nettariferi organizzato in collaborazione con 3Bee, climate tech company che realizza progetti rigenerativi per la protezione della natura e delle api.

L’iniziativa, svolta in occasione della Giornata Nazionale degli Alberi che si celebra domani in tutta Italia, ha l’obiettivo di dare vita a due boschi a Rocca Susella in provincia di Pavia e a Campagnano di Roma. I dipendenti, coinvolti su base volontaria, sono stati impegnati in una serie di attività didattiche, formative e interattive sotto la guida di un agronomo 3Bee. Al termine della giornata hanno messo a dimora cinquanta nuove piante di cinque tipologie differenti (ciliegio, pero selvatico, nocciolo, melo selvatico, biancospino) in ognuna di queste Oasi della Biodiversità. I nuovi alberi contribuiranno alla produzione di oltre 20kg di nettare, quantità sufficiente a nutrire ogni anno circa 75.000 insetti impollinatori, e assorbiranno 961 kg di CO2. Questo progetto rientra nella campagna Small acts lead to a big impact – che coinvolge i Paesi appartenenti all’area EMEA di MetLife – e pone l’accento su un concetto ben preciso: sebbene ogni azione – presa singolarmente – non riesca a spostare l’ago della bilancia, la combinazione dei contributi di più persone, invece, crea una massa critica capace di contribuire a plasmare un futuro più sostenibile.

Banche, Elderson (Bce): alcune non rispettano target interim clima

Banche, Elderson (Bce): alcune non rispettano target interim climaRoma, 14 nov. (askanews) – “Un certo numero di banche” nell’Unione europea non hanno centrato gli obiettivi di interim fissati dalla vigilanza bancaria della Bce per marzo del 2023 sulla gestione dei rischi climatici e ambientali, in vista della piena entrata a regime di questi requisiti per fine 2024. “Questo significa, ad esempio, che tre anni dopo che abbiamo pubblicato le nostre linee guida, queste banche non hanno mostrato un livello adeguato di valutazione dell’impatto dei rischi ambientali e climatici sui loro portafogli, che è il punto di partenza per la gestione di qualunque tipo di rischio”. Lo ha rilevato Frank Elderson, esponente del comitato esecutivo della Bce e vicepresidente del ramo di vigilanza bancaria dell’istituzione, a una conferenza a Bruxelles sulla finanza sostenibile.

La lentezza che alcune banche mostrano ad allinearsi alle pressioni della Vigilanza Bce su questo versante potrebbe riflettere l’aspettativa che il nuovo Parlamento europeo, il prossimo anno, possa rimettere in discussione le politiche su queste materie, oggetto di persistenti controversie. Fuori dall’Ue, possibili segnali in tal senso sono giunti nelle ultime settimane anche dal governo Gb e, più di recente, dal Canada. Elderson, assieme alla presidente Christine Lagarde, è uno degli esponenti della Bce più militanti su queste tematiche e ha riferito che alla vigilnza “abbiamo iniziato ad adottare misure esecutive. Abbiamo emesso decisioni vincolanti, tra cui la potenziale imposizione di multe periodiche se le banche non dovessero ottemperare ai requisiti previsti”.

“In altri termini abbiamo detto a queste banche di porre rimedio alle carenze entro una certa data e se non lo fanno dovranno pagare una multa per ogni giorno di ritardo”, ha detto. Elderson ha dovuto riconoscere che come Bce “non possono dire alle banche a chi erogare prestiti e a chi no. Piuttosto, noi, come altre autorità di vigilanza nel mondo, abbiamo posto enfasi sul fatto che non gestire adeguatamente i rischi climatici e ambientali non è più compatibile con un adeguato profilo di gestione del rischio. Questa è una situazione che non possiamo accettare e non accetteremo. Le banche – ha detto – devono rafforzare i loro sforzi”.

”Risparmio idrico è efficientamento energetico?!”, convegno a Roma

”Risparmio idrico è efficientamento energetico?!”, convegno a RomaRoma, 13 nov. (askanews) – Caldo estremo e siccità record alternate ad alluvioni che mettono in ginocchio l’intero Paese e tutti i settori produttivi. L’uso efficiente della risorsa idrica è un tema sempre più all’ordine del giorno e interessa l’intero tessuto sociale.

Le desolanti immagini dei letti aridi dei fiumi, come anche le devastanti inondazioni ormai sempre più frequenti, sono una drammatica attualità i cui effetti creano enormi danni e ingenti perdite. Le inadeguate azioni di prevenzione dei decenni passati rendono fondamentali politiche serie di adattamento e mitigazione del cambiamento climatico prevedendo norme, misure ed eventuali incentivi che possano favorire l’efficientamento idrico, magari sul modello di successo dei certificati bianchi, per una gestione sana del bene comune più prezioso, minimizzandone gli sprechi. L’efficientamento idrico per gli usi agricoli e industriali, in tale contesto, è strategico e permetterebbe la nascita di nuovi attori come le ESCo dell’acqua.

Di questi temi si parlerà al convegno “Risparmio idrico è efficientamento energetico?! Dai certificati bianchi ai certificati blu per imprese agricole e industria sostenibili”, promosso da Fondazione UniVerde e ANBI con la main partnership di Acquedotto Pugliese, che si terrà martedì 21 novembre, ore 9:30, presso Palazzo Santa Chiara (Piazza di Santa Chiara, 14) a Roma. L’evento è organizzato in collaborazione con gli event partners: AVR federata Anima Confindustria, GMT, Almaviva; e con Italpress, Askanews, La Notizia, TeleAmbiente e TVA in qualità di media partners. Dopo l’introduzione di Alfonso Pecoraro Scanio (Presidente della Fondazione UniVerde), Francesco Vincenzi (Presidente di ANBI) e Francesca Portincasa (Direttrice Generale di Acquedotto Pugliese), sarà presentato il position paper di Ref Ricerche su “Risparmio e tutela della risorsa idrica: verso i certificati blu per gli usi industriali” a cura di Samir Traini (Partner di REF Ricerche).

Al primo panel “Pitch di ESCo, mondo agricolo, industria e terzo settore” interverranno: Vittorio Cossarini (Presidente di AssoESCo), Ettore Prandini (Presidente di Coldiretti), Alessandro Durante (Segretario Generale di AVR – Anima Confindustria), Enrico Giovannini (Direttore scientifico ASviS), Massimiliano Evangelista (Account Manager e Sales Strategic Lead Ambiente e Territorio di Almaviva), Adriano Maroni (Consigliere d’Amministrazione su ESG, Banca di Credito Cooperativo di Ripatransone e Fermano), Gianfranco Nicolè (Presidente di GMT). Sarà la volta dell’intervento sul tema “Global water scarcity” di Cristina Franchini (Relazioni esterne di UNHCR, Rappresentanza per l’Italia, la Santa Sede e San Marino) e, a seguire, il secondo panel “Agenda 2030 e governance delle risorse idriche” con: Gian Marco Centinaio (Vicepresidente del Senato della Repubblica), Valentino Valentini (Vice Ministro delle Imprese e del Made in Italy), Vannia Gava (Vice Ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica), Tullio Ferrante (Sottosegretario al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti), Patty L’Abbate (Vicepresidente della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici, Camera dei Deputati), Nicola Dell’Acqua (Commissario straordinario per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica), Andrea Guerrini (Componente del Collegio di ARERA e Presidente di WAREG European Water Regulators), Paolo Arrigoni (Presidente del GSE), con la moderazione di Alessio Falconio (Direttore di Radio Radicale).

L’evento sarà trasmesso in diretta streaming su Radio Radicale.

Caldo estremo e inondazioni: rischi per la filiera globale dell’abbigliamento

Caldo estremo e inondazioni: rischi per la filiera globale dell’abbigliamentoMilano, 13 set. (askanews) – Il caldo estremo e le inondazioni stanno minacciando i principali centri di produzione di abbigliamento a livello globale e metteranno a rischio oltre 65 miliardi di dollari di esportazioni in quattro centri di produzione strategici entro il 2030. È quanto emerge da una recente ricerca condotta dal Global Labor Institute (GLI) della Cornell University e dalla società globale di gestione degli investimenti Schroders sull’impatto economico dei cambiamenti climatici – in particolare caldo estremo e inondazioni – sui produttori di abbigliamento e sui lavoratori del settore. I ricercatori hanno analizzato le produzioni di abbigliamento vulnerabili al clima in Bangladesh, Cambogia, Pakistan e Vietnam, che complessivamente rappresentano il 18% delle esportazioni globali di abbigliamento, ospitano circa 10.000 fabbriche di abbigliamento e calzature e impiegano 10,6 milioni di lavoratori.

Sulla base di proiezioni, i ricercatori hanno analizzato i livelli futuri di caldo e inondazioni per questi Paesi. Questi dati sono stati poi utilizzati per stimare i risultati a livello di settore per il 2030 e il 2050, confrontando uno scenario di “adattamento al clima” con uno scenario di “caldo elevato e inondazioni”. I risultati mostrano che il caldo estremo e le inondazioni comporteranno una perdita significativa di profitti e di posti di lavoro in tutti e quattro i Paesi, a causa di una crescita più lenta del settore, dovuta a una minore produttività. Rispetto a uno “scenario di adattamento al clima”, lo scenario “caldo estremo e inondazioni” mostra un calo di 65 miliardi di dollari nei profitti previsti tra il 2025 e il 2030, pari a una diminuzione del 22% dei profitti da esportazione. Allo stesso modo, lo scenario “caldo elevato e inondazioni” analizzato mostra che verrebbero creati oltre 950.000 nuovi posti di lavoro in meno, pari a un calo del 7%. Queste proiezioni aumentano significativamente per il 2050, con un calo del 68,6% dei profitti da esportazione e 8,64 milioni di posti di lavoro in meno nello scenario “caldo elevato e inondazioni”.

Inondazioni violente e ondate di calore stanno già segnando queste regioni. Nel 2022, un terzo del Pakistan è stato sommerso a causa di inondazioni senza precedenti mentre, all’inizio di quest’anno, a Dhaka, c’è stata un’ondata di calore durata undici giorni commentato:con temperature che hanno raggiunto i 40,2 gradi centigradi. “Le inondazioni e il caldo estremo rappresentano un rischio significativo per tutti gli attori della produzione globale di abbigliamento: lavoratori, produttori, autorità di regolamentazione, investitori e marchi stessi – è il commento di Jason Judd, direttore esecutivo di Cornell GLI ha – Ma nessuno, nella propria pianificazione, tiene conto dei costi effettivi dei danni causati dal clima. L’industria dell’abbigliamento e le autorità di regolamentazione hanno per lo più strutturato le loro risposte al clima sulla base di temi di mitigazione – emissioni, uso dell’acqua e tessuti riciclati. Ignorano i problemi climatici che colpiscono direttamente e drammaticamente i fornitori e i loro lavoratori. Gli incubi climatici del Nord globale sono già evidenti in Bangladesh, Pakistan, Cambogia e altrove. La vita, per non parlare del lavoro, diventerà molto difficile in questi e in molti altri centri strategici da cui i marchi di abbigliamento e i rivenditori dipendono per la produzione”.

“L’aumento dello stress termico e le inondazioni intense rappresentano 65 miliardi di dollari di mancati profitti da esportazione e quasi un milione di posti di lavoro per le principali regioni produttrici di abbigliamento nel 2030, con un aumento significativo nel 2050 – sottolinea Angus Bauer, responsabile della ricerca sugli investimenti sostenibili di Schroders – Questi problemi comportano rischi concreti per i marchi, i rivenditori e gli investitori, in quanto si manifestano attraverso perdite di produttività, attività immobilizzate o entrambi. Questa ricerca evidenzia l’urgente necessità di agire. Gli investitori devono iniziare a fare engagement con le aziende di abbigliamento e gli stakeholder per garantire che inizino a misurare e ad affrontare le sfide significative dell’impatto fisico del clima sui lavoratori e sui modelli di business. Inoltre, le aziende di abbigliamento devono cercare di collaborare con i fornitori e lavorare con i concorrenti, le organizzazioni di lavoratori e i responsabili politici per progettare strategie di adattamento adeguate che tengano conto dell’impatto sui lavoratori. La pianificazione dell’adattamento potrebbe avere ritorni positivi sugli investimenti per il settore e rappresenta una cruciale integrazione agli sforzi di mitigazione”. L’analisi rileva inoltre che i rischi di inondazioni e caldo sono un problema diffuso per la produzione di abbigliamento e non si limitano a queste quattro regioni. I ricercatori hanno analizzato la vulnerabilità al clima di 32 centri di produzione di abbigliamento, in termini di esposizione a calore e umidità estremi e a inondazioni fluviali e costiere. Molti altri centri di produzione si sono evidenziati per la loro vulnerabilità a entrambi, in particolare Colombo (Sri Lanka), Managua (Nicaragua), Chittagong (Bangladesh), Port Louis (Mauritius), Yangon (Myanmar), Delhi, Bangkok e le regioni di Dongguan-Guangdong-Shenzhen in Cina.

Inoltre, lo studio analizza anche il modo in cui questi problemi si manifestano per i marchi e i rivenditori. I ricercatori hanno mappato l’impatto della catena di fornitura di sei marchi globali di abbigliamento che rappresentano un’ampia varietà di modelli di business, nei quattro centri di produzione. Per vedere nello specifico come le problematiche si riflettono sulla produzione, i ricercatori hanno esaminato i costi in termini di produttività dovuti agli impatti del caldo e delle inondazioni per un marchio campione come esempio. L’analisi suggerisce che il danno stimato alla produttività derivante dall’impatto dello stress termico e delle inondazioni nelle sole città di Ho Chi Minh e Phnom Penh potrebbe equivalere al cinque percento dei profitti operativi consolidati per anno. I risultati ribadiscono la necessità che i marchi promuovano misure di adattamento. L’analisi rileva che le strategie di investimento e di finanziamento della transizione per l’industria dell’abbigliamento devono includere nuovi costi nei loro piani. “Le perdite e i danni dovuti al clima per i produttori e i lavoratori sono trattati dai marchi come delle esternalità, un problema di qualcun altro. – dice ancora Judd – Le nuove regole di due diligence in Europa spostano una parte della responsabilità sui marchi e i rivenditori e questo può portare a maggiori investimenti nell’adattamento – luoghi di lavoro più freschi, prevenzione delle inondazioni e sistemi di protezione sociale di base. Tuttavia, le misure per caldo e inondazioni non compaiono nelle bozze iniziali, perché l’industria è concentrata sulla mitigazione. Fondamentale sarà l’introduzione di standard e protocolli per le ore di lavoro, i livelli di sforzo, il riposo e l’idratazione da comunicare quotidianamente, nonché l’applicazione di sanzioni significative in caso di violazione degli standard. I lavoratori hanno bisogno di questi investimenti ora, perché gli standard per il caldo estremo e le protezioni contro le inondazioni sono inesistenti o i sistemi sono facilmente aggirabili. Inoltre, per far fronte ai costi quotidiani prodotti dai danni climatici, i lavoratori hanno bisogno di sistemi di protezione sociale e di salari adeguati. E infine, i regolatori e i marchi devono trattare gli eventi di caldo estremo e inondazioni come rischi per la salute”.

Bce-Eiopa: solo un quarto di danni da clima coperto da assicurazione

Bce-Eiopa: solo un quarto di danni da clima coperto da assicurazioneRoma, 24 apr. (askanews) – Bce e Eiopa, l’autorità di Vigilanza su assicurazioni e fondi pensionistici, raccomandano di aumentare la copertura assicurativa di famiglie e imprese sui danni dovuti a “catastrofi climatiche”. Con un rapporto congiunto, le due autorità rilevano che attualmente la copertura è limitata a un quarto delle perdite causate da questi eventi e che lo scoperto è destinato a crescere con l’aumentare del cambiamento climatico.

Secondo Bce e Eiopa questa carenza di copertura assicurativa implica rischi anche per la stabilità finanziaria e l’economia. In alcuni paesi la copertura delle perdite legate alle catastrofi climatiche è inferiore al 5%. Questo, prosegue lo studio, è in parte dovuto al fatto che molte persone sottovalutano i costi dei danni legati a eventi meteorologici avversi. In altri casi perché imprese e famiglie preferiscono affidarsi alle misure di aiuto pubbliche.

Secondo Bce e Eiopa alcuni assicuratori potrebbero anche decidere di ridurre la copertura e smettere di fornire rimborsi su alcuni tipi di catastrofi, fattore che allargherebbe il gap. Lo studio viene pubblicato mentre diverse autorità europee e non solo, da anni, stanno spingendo in vari i campi per aumentare gli interventi legati al concetto di “cambiamento climatico”, che pure resta un tema controverso e dibattuto tra gli scienziati.

Bce e Eiopa spiegano perché secondo loro la mancanza di assicurazioni dai rischi climatici può intaccare economia e stabilità finanziaria. “Se le perdite non sono coperte la velocità con cui imprese e famiglie possono riavviare le loro attività viene diminuita, rallentando la ripresa economica. Il persistere di problemi nelle catene di approvvigionamento – prosegue lo studio congiunto – può anche portare a ricadute tra una impresa e l’altra, ripercuotersi sulla capacità delle imprese di ripagare i prestiti, in questo modo aumentando l’esposizione delle banche al rischio di credito”. “Inoltre la posizione di bilancio degli Stati può essere indebolita se devono fornire aiuti per coprire perdite non assicurate”, aggiungono.

Argomentazione, quest’ultima, in cui, indirettamente, si potrebbero leggere dubbi sull’opportunità di stanziare aiuti a imprese e famiglie colpite da catastrofi climatiche. Le due autorità affermano che le compagnie assicurative dovrebbero disegnare polizze per incoraggiare imprese famiglie a ridurre rischi, ad esempio offrendo sconti per migliorare la copertura o misure di adattamento. E che per supportare la copertura assicurativa potrebbe aumentare l’uso di “bond legati a catastrofi” per trasferire il rischio agli investitori.

Secondo le due istituzioni i governi dovrebbero approntare partnership pubblico-privato e meccanismi di riassicurazione per coprire parte dei costi in cui gli assicuratori potrebbero incappare in eventuali disastri maggiori.

Anche il tema delle partnership pubblico-privato è un argomento di possibili e crescenti controversie, dato che alcuni osservatori vi vedono un modo indiretto di privatizzare crescenti settori di attività pubblica, affidandone di fatto il controllo a privati.

Secondo Bce e Eiopa, per assicurare l’uso efficiente di fondi pubblici gli Stati dovrebbero anche prevedere forti incentivi per assicurazioni che coprano questi rischi. E agli schemi assicurativi a livello nazionale potrebbero essere affiancati da uno schema su scala europea che metta un quantitativo di fondi disponibili sufficiente.

Il documento congiunto presentato oggi si inserisce nella “agenda della Bce sul clima”, riporta un comunicato, e nelle sue attività su questo versante. Le due istituzioni raccoglieranno anche i pareri di altre parti in un workshop con policy maker e regolatori, assicuratori e accademici il 22 maggio.