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Siria, media: pronta roadmap, prevede censimento, nuova costituzione ed elezioni

Siria, media: pronta roadmap, prevede censimento, nuova costituzione ed elezioniRoma, 10 dic. (askanews) – La nuova amministrazione siriana annuncerà una “roadmap” dopo il processo di transizione, che include lo svolgimento di un censimento, la creazione di una nuova costituzione e lo svolgimento di elezioni libere, ha riferito il quotidiano turco Hurriyet, citando proprie fonti.


La “roadmap” sarà annunciata dopo l’istituzione dell’amministrazione provvisoria, ha specificato il quotidiano. I gruppi armati di opposizione siriana hanno conquistato Damasco domenica. Il primo ministro siriano Mohammad Ghazi al Jalali ha affermato che lui e altri 18 ministri avevano deciso di rimanere nella capitale. Jalali ha anche affermato di essere in contatto con i leader dei gruppi militanti che erano entrati nella città.


Intanto il leader dei ribelli islamisti siriani Abu Mohammed al Jolani ha affermato che le nuove autorità in Siria annunceranno presto un elenco di ex alti funzionari “coinvolti nella tortura del popolo siriano”. “Offriremo ricompense a chiunque fornisca informazioni su alti ufficiali dell’esercito e della sicurezza coinvolti in crimini di guerra”, ha detto il leader dei ribelli, che ora usa il suo vero nome Ahmed al-Sharaa, in una dichiarazione su Telegram. Jolani ha iniziato ieri dei colloqui il governo estromesso sul trasferimento del potere. “Non esiteremo a ritenere responsabili i criminali, gli assassini, gli ufficiali della sicurezza e dell’esercito coinvolti nella tortura del popolo siriano”, ha affermato Sharaa, aggiungendo: “perseguiremo i criminali di guerra e chiederemo la loro consegna ai paesi in cui sono fuggiti”.


“Abbiamo affermato il nostro impegno alla tolleranza per coloro le cui mani non sono sporche del sangue del popolo siriano e abbiamo concesso l’amnistia a coloro che erano in servizio obbligatorio”, ha affermato.

Esplosioni a Damasco, Ong: Israele attacca siti militari

Esplosioni a Damasco, Ong: Israele attacca siti militariRoma, 10 dic. (askanews) – Alcune esplosioni sono state udite questa mattina a Damasco, in Siria, che l’Osservatorio siriano sui diritti umani ha attribuito a Israele. Secondo quanto riferito dall’ong, citata dalla stampa israeliana, Israele avrebbe “distrutto i siti militari più importanti in Siria” con circa 250 attacchi aerei dalla caduta del regime del presidente Bashar al-Assad.


Gli attacchi hanno preso di mira aeroporti e magazzini, squadroni di aerei, radar, stazioni di segnalazione militare e numerosi depositi di armi e munizioni nelle ultime 48 ore, ha affermato in una dichiarazione l’Osservatorio, che ha sede in Gran Bretagna.

La Germania congela le richieste d’asilo dei rifugiati siriani

La Germania congela le richieste d’asilo dei rifugiati sirianiRoma, 9 dic. (askanews) – La Germania, il Paese dell’Unione Europea che ospita la più grande “diaspora” siriana, ha sospeso le decisioni sulle richieste di asilo in corso da parte dei rifugiati siriani. Lo ha annunciato il ministro degli Interni tedesco. In considerazione dell’”attuale incertezza”, l’Ufficio federale per la migrazione e i rifugiati ha “decretato oggi il congelamento delle decisioni sulle procedure di asilo ancora in corso” per gli esuli siriani, ha dichiarato Nancy Faeser in un comunicato stampa.


Anche le autorità austriache hanno annunciato oggi che sospenderanno le richieste di asilo dei rifugiati siriani e che stanno preparando “un programma di espulsione”. “D’ora in poi tutte le procedure in corso verranno interrotte”, ha affermato in una nota il ministero dell’Interno. Attualmente quasi 100.000 siriani vivono in Austria e in migliaia hanno presentato domanda d’asilo. Verranno riesaminati anche i casi di coloro a cui è già stato concesso l’asilo. Sospesi anche i ricongiungimenti familiari. “In questo contesto, ho incaricato il ministero di preparare un programma di rimpatrio ed espulsione in Siria”, ha aggiunto il ministro dell’Interno Gerhard Karner.

Siria, Rutte: Russia e Iran condividono responsabilità crimini Assad

Siria, Rutte: Russia e Iran condividono responsabilità crimini AssadMilano, 9 dic. (askanews) – “Questo è un momento di gioia ma anche di incertezza per il popolo siriano e la regione”. Lo ha detto il segretario generale della NATO, Mark Rutte. “Speriamo in una transizione pacifica del potere e in un processo politico inclusivo guidato dalla Siria. Osserveremo attentamente come si comporteranno i leader ribelli durante questa transizione. Devono sostenere lo stato di diritto, proteggere i civili e rispettare le minoranze”.


Il segretario generale ha poi aggiunto: “Russia e Iran sono stati i principali sostenitori del regime di Assad e condividono la responsabilità dei crimini commessi contro il popolo siriano. Hanno anche dimostrato di essere partner inaffidabili, abbandonando Assad quando ha cessato di essere utile per loro”.

Il futuro della Siria, il modello Libano e il ruolo della Turchia

Il futuro della Siria, il modello Libano e il ruolo della TurchiaRoma, 9 dic. (askanews) – All’indomani della caduta di Damasco e della rocambolesca fuga di Bashar al Assad a Mosca, la Siria “liberata” dalle forze antigovernative si interroga già sul suo futuro. Ed è in buona compagnia. Tutte le principali cancellerie europee e internazionali sono al lavoro perché la transizione dei poteri sia quanto più rapida, lineare e pacifica possibile. La parola d’ordine è “evitare il caos” in un Paese dilaniato da anni di guerra civile e facilmente penetrabile da chi intenda trasformarlo in un teatro di guerra per procura o, peggio, in un nuovo luogo di rinascita per i jihadisti dell’Isis. Diversi sono i Paesi che possono giocare un ruolo per una vera rinascita della Siria e molti guardano con interesse a quanto, ad esempio, potrà o saprà fare la Turchia di Recep Tayyip Erdogan.


Il ministro degli Esteri di Ankara, Hakan Fidan, ha chiesto la “formazione di un governo inclusivo” ed ha auspicato che i principali attori internazionali, in particolare le Nazioni Unite, “tendano la mano al popolo siriano”. Il capo della diplomazia turca ha assicurato che il suo Paese è “pronto a fornire il sostegno necessario” per garantire unità e sicurezza. “Vogliamo vedere una Siria in cui i diversi gruppi etnici e religiosi vivano in pace”, ha commentato. “Continueremo a lavorare per garantire il ritorno sicuro e volontario dei siriani e la ricostruzione del Paese”. Quali siano le reali intenzioni del grande gruppo di insorti siriani di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), nato da una costola di al Qaida, e del suo leader Abu Mohammed al Jolani, non è ancora chiaro. Secondo indiscrezioni del New York Times, negli ultimi giorni, i ribelli avrebbero comunicato segretamente con gli Stati Uniti, e sarebbero stati messi in guardia contro l’eventualità di allearsi con i militanti dell’Isis. Insomma, le prime mosse di al Jolani avrebbero in qualche modo deluso le previsioni di molti analisti. Il capo dei ribelli infatti ha deciso di non imporre la legge islamica né si è pronunciato in favore della persecuzione delle minoranze, in particolare quella cristiana. Appena arrivato a Damasco, rovesciato il regime più che ventennale di Assad, al Jolani ha invece chiesto a tutti i combattenti di deporre le armi, favorendo l’avvio di una nuova fase, apparentemente pacifica. “Non accetteremo e non permetteremo affatto che il caos delle armi appaia o spari per le strade”, ha detto.


Il modello Afghanistan, ipotizzato da qualcuno, sembra insomma piuttosto lontano. Almeno al momento. Mentre una delle ipotesi possibili è che i ribelli di Hayat Tahrir al-Sham guardino più verso il Libano e possano trasformarsi in un futuro più o meno prossimo in un partito che ricordi vagamente il movimento sciita libanese Hezbollah, ovvero una formazione fondamentalmente religiosa inserita in un quadro statale i cui poteri politici siano equamente suddivisi su base confessionale. Nell’attesa di capire quale strada intraprendere, al Jolani ha intanto deciso di attribuire il ruolo di custode della prima transizione al premier di Assad, Mohammed Ghazi al Jalali. Il primo ministro del regime continua a mantenere contatti con i ribelli di Hts ed ha assicurato di avere ricevuto garanzie del fatto che nessun siriano subirà danni o sarà discriminato dalle forze antigovernative per il proprio credo, la cultura o l’etnia. La disgregazione della Siria resta comunque un pericolo concreto, in particolare nelle aree a Nord-Est del Paese, controllate dai curdi. I segnali inviati dalla comunità curda in queste regioni lasciano pensare a una certa disponibilità al dialogo, ma per loro la sfida resta duplice: oltre al necessario confronto con la nuova leadership di Damasco, devono guardarsi dagli attacchi dell’Esercito nazionale siriano, formazione alleata di Hayat Tahrir al-Sham, composta soprattutto da turcomanni finanziati e armati da Ankara, proprio in funzione anticurda.


Con i responsabili dei ribelli hanno iniziato a parlare anche i vertici di Teheran. La Repubblica islamica, alleata di Assad e indebolita dalla sua uscita di scena, ha aperto una linea di comunicazione diretta con le forze antigovernative per “impedire una traiettoria ostile” tra i due Paesi. Da parte sua la Russia, che ha dato asilo politico ad Assad e ai suoi familiari, ha definito “prematuro” parlare della propria presenza militare in Siria, aggiungendo però che si tratta di “un argomento da discutere con coloro che saranno al potere”. Quindi il Cremlino ha espresso la volontà di mantenere il dialogo sulla Siria con tutti i Paesi della regione, compresa la Turchia. “Stiamo dialogando con altri stati della regione, anche sulle questioni siriane. La Siria attraverserà un periodo molto difficile associato all’instabilità. Naturalmente, è molto importante mantenere il dialogo con tutti i Paesi della regione. Siamo impegnati in questo, ci consulteremo e analizzeremo”, ha detto il portavoce Dmytri Peskov, senza commentare nulla “sull’andirivieni” di Assad. “Il mondo intero è rimasto sorpreso da quello che è successo. Non facciamo eccezione”, ha aggiunto. Anche dall’Italia è arrivato un appello alla “stabilità” nel Paese. Il rischio è che possa “diventare una nuova Libia, ma senza il petrolio”, ha avvertito il ministro degli Esteri Antonio Tajani in un’intervista a Repubblica. Il titolare della Farnesina ha ammesso che “non sarà facile mettere d’accordo” tutte le forze attive in Siria dopo la caduta del governo di Assad, anche se per ora hanno deciso di lasciare al Jalali al suo posto per garantire la transizione. Secondo il ministro, comunque, “pensare ad una forza di interposizione non è una soluzione praticabile”. In Siria, invece, si trovano già i carri armati e le truppe israeliane. Dopo la caduta di Assad, Israele ha preso il controllo del versante siriano del Monte Hermon e questa mattina l’esercito dello Stato ebraico ha annunciato di avere schierato truppe nella “zona cuscinetto” sulle alture del Golan. Le forze di difesa israeliane hanno precisato tuttavia che non interverranno negli “eventi interni in Siria” e che la presenza dei militari rappresenta una misura “limitata”, e “temporanea”, volta a garantire la sicurezza dello Stato ebraico.

Il futuro della Siria: il modello Libano e il ruolo della Turchia

Il futuro della Siria: il modello Libano e il ruolo della TurchiaRoma, 9 dic. (askanews) – All’indomani della caduta di Damasco e della rocambolesca fuga di Bashar al Assad a Mosca, la Siria “liberata” dalle forze antigovernative si interroga già sul suo futuro. Ed è in buona compagnia. Tutte le principali cancellerie europee e internazionali sono al lavoro perché la transizione dei poteri sia quanto più rapida, lineare e pacifica possibile. La parola d’ordine è “evitare il caos” in un Paese dilaniato da anni di guerra civile e facilmente penetrabile da chi intenda trasformarlo in un teatro di guerra per procura o, peggio, in un nuovo luogo di rinascita per i jihadisti dell’Isis. Diversi sono i Paesi che possono giocare un ruolo per una vera rinascita della Siria e molti guardano con interesse a quanto, ad esempio, potrà o saprà fare la Turchia di Recep Tayyip Erdogan.


Il ministro degli Esteri di Ankara, Hakan Fidan, ha chiesto la “formazione di un governo inclusivo” ed ha auspicato che i principali attori internazionali, in particolare le Nazioni Unite, “tendano la mano al popolo siriano”. Il capo della diplomazia turca ha assicurato che il suo Paese è “pronto a fornire il sostegno necessario” per garantire unità e sicurezza. “Vogliamo vedere una Siria in cui i diversi gruppi etnici e religiosi vivano in pace”, ha commentato. “Continueremo a lavorare per garantire il ritorno sicuro e volontario dei siriani e la ricostruzione del Paese”. Quali siano le reali intenzioni del grande gruppo di insorti siriani di Hayat Tahrir al-Sham (Hts), nato da una costola di al Qaida, e del suo leader Abu Mohammed al Jolani, non è ancora chiaro. Secondo indiscrezioni del New York Times, negli ultimi giorni, i ribelli avrebbero comunicato segretamente con gli Stati Uniti, e sarebbero stati messi in guardia contro l’eventualità di allearsi con i militanti dell’Isis. Insomma, le prime mosse di al Jolani avrebbero in qualche modo deluso le previsioni di molti analisti. Il capo dei ribelli infatti ha deciso di non imporre la legge islamica né si è pronunciato in favore della persecuzione delle minoranze, in particolare quella cristiana. Appena arrivato a Damasco, rovesciato il regime più che ventennale di Assad, al Jolani ha invece chiesto a tutti i combattenti di deporre le armi, favorendo l’avvio di una nuova fase, apparentemente pacifica. “Non accetteremo e non permetteremo affatto che il caos delle armi appaia o spari per le strade”, ha detto.


Il modello Afghanistan, ipotizzato da qualcuno, sembra insomma piuttosto lontano. Almeno al momento. Mentre una delle ipotesi possibili è che i ribelli di Hayat Tahrir al-Sham guardino più verso il Libano e possano trasformarsi in un futuro più o meno prossimo in un partito che ricordi vagamente il movimento sciita libanese Hezbollah, ovvero una formazione fondamentalmente religiosa inserita in un quadro statale i cui poteri politici siano equamente suddivisi su base confessionale. Nell’attesa di capire quale strada intraprendere, al Jolani ha intanto deciso di attribuire il ruolo di custode della prima transizione al premier di Assad, Mohammed Ghazi al Jalali. Il primo ministro del regime continua a mantenere contatti con i ribelli di Hts ed ha assicurato di avere ricevuto garanzie del fatto che nessun siriano subirà danni o sarà discriminato dalle forze antigovernative per il proprio credo, la cultura o l’etnia. La disgregazione della Siria resta comunque un pericolo concreto, in particolare nelle aree a Nord-Est del Paese, controllate dai curdi. I segnali inviati dalla comunità curda in queste regioni lasciano pensare a una certa disponibilità al dialogo, ma per loro la sfida resta duplice: oltre al necessario confronto con la nuova leadership di Damasco, devono guardarsi dagli attacchi dell’Esercito nazionale siriano, formazione alleata di Hayat Tahrir al-Sham, composta soprattutto da turcomanni finanziati e armati da Ankara, proprio in funzione anticurda.


Con i responsabili dei ribelli hanno iniziato a parlare anche i vertici di Teheran. La Repubblica islamica, alleata di Assad e indebolita dalla sua uscita di scena, ha aperto una linea di comunicazione diretta con le forze antigovernative per “impedire una traiettoria ostile” tra i due Paesi. Da parte sua la Russia, che ha dato asilo politico ad Assad e ai suoi familiari, ha definito “prematuro” parlare della propria presenza militare in Siria, aggiungendo però che si tratta di “un argomento da discutere con coloro che saranno al potere”. Quindi il Cremlino ha espresso la volontà di mantenere il dialogo sulla Siria con tutti i Paesi della regione, compresa la Turchia. “Stiamo dialogando con altri stati della regione, anche sulle questioni siriane. La Siria attraverserà un periodo molto difficile associato all’instabilità. Naturalmente, è molto importante mantenere il dialogo con tutti i Paesi della regione. Siamo impegnati in questo, ci consulteremo e analizzeremo”, ha detto il portavoce Dmytri Peskov, senza commentare nulla “sull’andirivieni” di Assad. “Il mondo intero è rimasto sorpreso da quello che è successo. Non facciamo eccezione”, ha aggiunto. Anche dall’Italia è arrivato un appello alla “stabilità” nel Paese. Il rischio è che possa “diventare una nuova Libia, ma senza il petrolio”, ha avvertito il ministro degli Esteri Antonio Tajani in un’intervista a Repubblica. Il titolare della Farnesina ha ammesso che “non sarà facile mettere d’accordo” tutte le forze attive in Siria dopo la caduta del governo di Assad, anche se per ora hanno deciso di lasciare al Jalali al suo posto per garantire la transizione. Secondo il ministro, comunque, “pensare ad una forza di interposizione non è una soluzione praticabile”. In Siria, invece, si trovano già i carri armati e le truppe israeliane. Dopo la caduta di Assad, Israele ha preso il controllo del versante siriano del Monte Hermon e questa mattina l’esercito dello Stato ebraico ha annunciato di avere schierato truppe nella “zona cuscinetto” sulle alture del Golan. Le forze di difesa israeliane hanno precisato tuttavia che non interverranno negli “eventi interni in Siria” e che la presenza dei militari rappresenta una misura “limitata”, e “temporanea”, volta a garantire la sicurezza dello Stato ebraico.

L’Onu dopo la caduta di Assad: i responsabili dei crimini ne rispondano

L’Onu dopo la caduta di Assad: i responsabili dei crimini ne rispondanoRoma, 9 dic. (askanews) – Qualsiasi transizione politica in Siria, dopo la caduta del presidente Bashar al Assad, deve includere l’obbligo dei responsabili dei crimini commessi sotto il suo governo di risponderne. Lo ha sottolineato Volker Turk, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani.


“Qualsiasi transizione politica deve assicurare la responsabilità degli autori di gravi violazioni e garantire che i responsabili siano chiamati a risponderne”, ha dichiarato Turk ai giornalisti, aggiungendo: “Devono essere prese tutte le misure per garantire la protezione di tutte le minoranze e per evitare rappresaglie e atti di vendetta”.

Siria, Crosetto: l’Ue è debole, Erdogan si rafforza

Siria, Crosetto: l’Ue è debole, Erdogan si rafforzaRoma, 9 dic. (askanews) – Secondo il ministro della Difesa, Guido Crosetto, intervistato dalla “Stampa”, la repentina caduta di Assad “è l’effetto di quanto accaduto non negli ultimi giorni, ma anni: l’indebolimento dell’Iran, dei suoi proxy, in primis Hezbollah, e della Russia, alle prese con il fronte ucraino”. Ora “Si apre una transizione difficile e piena di incognite”, prosegue Crosetto: “da un lato, ribelli vittoriosi già spaccati in fazioni, dall’altro la volontà di ripristinare un sistema democratico. Ma anche divisioni nel mondo arabo, estremisti che si odiano tra loro,tensioni sui confini: Libano, Iraq, Israele, Arabia Saudita, che non è confinante ma vicina e Turchia”.


Il presidente turco “Erdogan ha in mano un risultato che persegue da anni”, osserva ancora il ministro, “ma non pensava così vicino. E ora aumenta il suo potere di aprire e chiudere i rubinetti verso la Ue”. Quanto al rischio di ondate di profughi, come nel 2015, aggiunge: “È un’ipotesi, con una Ue ben più debole di allora. La Merkel fu costretta a riempire di soldi la Turchia per chiudere i rubinetti. Oggi la Germania è un Paese che va al voto nell’incertezza politica, ha cambiato in toto le scelte sull’immigrazione illegale ed è in balia alla crisi industriale più devastante dal dopoguerra”.

Damasco è caduta, Assad è fuggito a Mosca: “Ora la Siria è libera”

Damasco è caduta, Assad è fuggito a Mosca: “Ora la Siria è libera”Roma, 9 dic. (askanews) – Scene di giubilo, cortei e bandiere al vento a Damasco e in molte città della Siria per celebrare la caduta del regime di Bashar al Assad. Dopo l’arrivo dei ribelli a Damasco e la fuga del capo dello Stato, il popolo siriano osa sognare un futuro migliore: cinque decenni di governo dinastico sono giunti al termine, con una fine improvvisa e per molti versi inattesa, a seguito di una lunga guerra civile che ha dilaniato il Paese. Folle di persone hanno sventolato la bandiera rivoluzionaria siriana e hanno abbattuto statue e ritratti del presidente e del padre, Hafez, mentre spari in aria e clacson hanno prima accompagnato e poi celebrato l’arrivo dei ribelli nella capitale. Sui principali social network si sono moltiplicati, in poche ore, foto e video di famiglie riunite con i propri cari, da tempo perduti, nell’oscurità del famigerato sistema carcerario del regime, tra pianti di gioia e abbracci per la ritrovata libertà. Ma online sono apparse anche immagini di saccheggi del palazzo presidenziale, ricco di beni e auto di lusso in un paese in cui il 90% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà.


La Siria è da ieri in mano ai ribelli. Il regime di Bashar al Assad è crollato, lasciando dietro di sé le macerie di una lunga e sanguinosa guerra civile. I quasi 25 anni della sua presidenza, sopravvissuta nel 2011 alle ‘Primavere arabe’, si sono chiusi nel modo peggiore per il capo dello Stato, con una fuga da Damasco tanto frettolosa quanto misteriosa. Almeno nelle sue prime, convulse, fasi, quando sulla sua sorte vigeva la massima incertezza e si rincorrevano persino voci – non confermate – sulla sua morte. Nella serata di ieri però tutto è diventato più chiaro. Assad e i membri della sua famiglia, partiti dalla capitale subito dopo che questa era caduta in mano ai ribelli, sono atterrati a Mosca. La Russia ha concesso loro asilo politico, dopo l’ingresso in città dei gruppi guidati dal movimento jihadista Hayat Tahrir al-Sham (Hts). ‘Questa è una vittoria per la nazione islamica’, ha commentato il leader di Hts, Abu Muhammad al Jolani. A certificare la fine dell’era Assad è stato un video registrato dai ribelli e diffuso nella mattinata di ieri. La città di Damasco è stata ‘liberata’: ‘il tiranno Bashar al Assad è stato rovesciato’, hanno annunciato le forze antigovernative, con alcune immagini girate dalla base aerea strategica di Mezzeh, nella capitale siriana, per testimoniare la caduta del regime. Solo poche ore dopo è arrivata una dichiarazione del ministero degli Esteri di Mosca, stretta alleata del capo dello Stato: ‘A seguito dei negoziati tra Assad e alcuni partecipanti al conflitto armato sul territorio della Siria, Assad ha deciso di lasciare la carica presidenziale e ha lasciato il paese, dando istruzioni per effettuare pacificamente il trasferimento del potere. La Russia non ha partecipato a questi negoziati’. In quel momento, Mosca non aveva ancora deciso di concedere un salvacondotto al presidente siriano e alla sua famiglia. O almeno non aveva ancora reso pubblica la sua decisione. Lo avrebbe fatto nel pomeriggio, come ultimo gesto di amicizia nei confronti del capo dello Stato caduto in disgrazia. Subito dopo, la Russia ha poi reso noto di avere chiesto per oggi una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per discutere della situazione.


Abu Muhammad al Jolani è arrivato a Damasco accolto come un grande liberatore, ripreso al suo arrivo mentre bacia la terra ai suoi piedi. ‘Continuiamo a lavorare con determinazione per raggiungere gli obiettivi della nostra rivoluzione… Siamo determinati a completare il percorso iniziato nel 2011’, ha detto. Intanto, nella capitale è stato imposto un coprifuoco di 13 ore e tutti i prigionieri sono stati rilasciati dalle carceri. I combattenti e cittadini siriani inoltre sono stati invitati dai ribelli a preservare e mantenere le proprietà dello stato siriano. Ma un gruppo armato ribelle è entrato ieri mattina nel giardino della sede della residenza dell’ambasciatore italiano, Stefano Ravagnan. ‘Hanno portato via solo tre automobili e tutto è finito lì. Non sono stati toccati né l’ambasciatore né i carabinieri’, ha precisato il ministro Antonio Tajani, che mantiene uno stretto coordinamento con la presidenza del Consiglio e il ministro della Difesa. L’ingresso dei miliziani a Damasco e la dissoluzione del regime di Bashar Assad, secondo il ministro, comportano la necessità di una reazione immediata innanzitutto per la protezione degli italiani ancora presenti nel paese. Una quindicina di connazionali ha potuto attraversare la frontiera con il Libano. Il gruppo si trova ora a Beirut, in un luogo sicuro. Tajani intanto ha avuto contatti con leader politici di governi amici dell’Italia e ha verificato i piani di azione già programmati con altre amministrazioni dello Stato italiano.


Un’irruzione ha avuto luogo anche all’ambasciata iraniana a Damasco. Al Arabiya ha mostrato immagini di un gruppo di persone che strappava un grande poster all’ingresso della rappresentanza, con l’effigie del generale Qassem Soleimani, ucciso nel 2020 in Iraq in un attacco americano, e di Hassan Nasrallah, il leader Hezbollah morto a settembre in un raid israeliano a Beirut. E tra grida di giubilo e spari in aria, decine di centri di detenzione, ufficiali e informali, hanno aperto le loro porte ai detenuti, per intervento diretto delle forze antigovernative ma anche a seguito delle defezioni tra i ranghi di polizia ed esercito regolare. Nelle stesse ore sono cadute anche Tartus e Latakia, due città sul Mediterraneo che ospitano le basi russe in Siria, basi sulla cui sicurezza i ribelli hanno offerto ‘garanzie’, secondo fonti del Cremlino. E carri armati israleiani sono entrati in territorio siriano per la prima volta dalla guerra dello Yom Kippur nel 1973. Le truppe dello Stato ebraico hanno preso il controllo del versante siriano del Monte Hermon, nella ‘zona cuscinetto’ situata in Siria, sulle alture del Golan, ‘per evitare che forze ostili si avvicinino al confine israeliano’. Il primo ministro siriano Mohammed Ghazi al Jalali, da parte sua, è stato prelevato dalla sua residenza e in un video postato dai ribelli e citato dalla Cnn è apparso assieme a un gruppo di uomini armati, apparentemente scortato da loro verso un albergo per ufficializzare il passaggio dell’autorità e la transizione del potere. Le forze antigovernative hanno smentito le indiscrezioni sul suo arresto, facendo sapere che il capo del governo di Damasco resterebbe, almeno al momento, al suo posto. Sin dalle prime ore, d’altra parte, aveva precisato di voler tendere la mano a ‘tutti i siriani che hanno a cuore questo Paese per preservarne le istituzioni’, lanciando un appello per ‘elezioni libere’ con il fine di designare la prossima leadership della Siria.


Il capo delle forze curde in Siria ha salutato il momento ‘storico’ e la caduta del regime ‘dittatoriale’. Mazlum Abdi, il leader delle Forze Democratiche Siriane (Sdf), un’alleanza armata guidata dai curdi, ha detto che ‘questo cambiamento rappresenta un’opportunità per costruire una nuova Siria basata sulla democrazia e sulla giustizia, che garantisca i diritti di tutti i siriani’. Il ministro degli Esteri iraniano, Abbas Araghchi, ha invece precisato che Assad ‘non ha mai chiesto’ l’aiuto di Teheran a livello militare per soffocare le forze antigovernative, aggiungendo di essere stato ‘sorpreso’ dalla ‘velocità’ dell’offensiva ribelle e dalla ‘incapacità’ dell’esercito siriano di respingerla. Mentre il presidente Masoud Pezeshkian ha condannato la presenza dell’esercito israeliano in Siria e ha invitato i paesi del Medio Oriente a essere vigili riguardo alle misure di Israele nei confronti dei popoli di questa regione. ‘Finalmente il regime di Assad è caduto. Questa è un’opportunità storica per il popolo siriano’, ha commentato da parte sua il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in un discorso alla nazione in cui si è impegnato a difendere i Paesi vicini della Siria e ha definito la caduta del governo di Assad un ‘atto fondamentale di giustizia’, ma anche un ‘momento di rischio e incertezza’. Sottolineando le radici terroristiche di molti dei ribelli, Biden ha tuttavia precisato che i gruppi antigovernativi ‘ora stanno dicendo le cose giuste’, prima di concludere: ‘Assad deve essere portato davanti alla giustizia e punito’. Gli Stati Uniti che, secondo indiscrezioni del New York Times, avrebbero avuto negli ultimi giorni dei colloqui segreti con i ribelli per mettere in guardia contro pericolose alleanze con l’Isis, hanno comunque effettuato ‘decine di attacchi aerei’ nella Siria centrale, prendendo di mira ‘più di 75 obiettivi’ dello Stato islamico, ha annunciato il Centcom. ‘Non dovrebbero esserci dubbi: non permetteremo all’Isis di ricostituirsi e di approfittare dell’attuale situazione in Siria’, ha detto il generale Michael Erik Kurilla, aggiungendo: ‘Tutte le organizzazioni in Siria dovrebbero sapere che le riterremo responsabili se collaboreranno o supporteranno l’Isis in qualsiasi modo’. Da parte sua il Segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha spiegato che ‘dopo 14 anni di guerra brutale e la caduta del regime dittatoriale, oggi il popolo siriano può cogliere un’opportunità storica per costruire un futuro stabile e pacifico’. La caduta della ‘crudele dittatura’ di Assad è un ‘cambiamento storico’ nella regione che ‘offre opportunità, ma non è privo di rischi’, ha invece affermato su X la presidente della Commissione europea, Ursula Von der Leyen. ‘L’Europa è pronta a sostenere la salvaguardia dell’unità nazionale e la ricostruzione di uno Stato siriano che protegga tutte le minoranze’, ha commentato. ‘Ci stiamo impegnando con i leader europei e regionali e stiamo monitorando gli sviluppi’.

Truppe di Israele in Siria per la prima volta dal 1973

Truppe di Israele in Siria per la prima volta dal 1973Roma, 9 dic. (askanews) – Per la prima volta dalla guerra dello Yom Kippur nel 1973, i carri armati israeliani sono entrati nel territorio siriano. Ieri pomeriggio le truppe israeliane hanno preso il controllo del versante siriano del Monte Hermon e questa mattina l’esercito israeliano ha annunciato di avere schierato truppe nella “zona cuscinetto” situata in Siria, sulle alture del Golan. Le forze di difesa israeliane hanno precisato tuttavia che non interverranno negli “eventi interni in Siria”.


Da parte sua il ministro della Difesa, Israel Katz, ha fatto sapere di aver ordinato all’esercito di creare una “zona di sicurezza libera da armi strategiche pesanti e da infrastrutture terroristiche” nel sud della Siria, anche oltre la zona cuscinetto, e di stabilire contatti con la comunità drusa e altre popolazioni nell’area. La decisione delle forze armate dello Stato ebraico fa seguito all’annuncio che la vicina città siriana di Quneitra era caduta in mano ai ribelli. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato di avere chiesto all’esercito di prendere il controllo della zona cuscinetto “per evitare che forze ostili si avvicinino al confine israeliano”.