Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Ue, procedimento Dsa su X rallentato da pioggia documenti da avvocati

Ue, procedimento Dsa su X rallentato da pioggia documenti da avvocatiRoma, 1 mar. (askanews) – Nel dicembre 2023, la Commissione europea ha avviato un procedimento formale per valutare se X possa aver violato il regolamento Ue sui servizi digitali (regolamento Dsa) riguardo alle disposizioni sulla gestione dei rischi, la moderazione dei contenuti, i “dark pattern” (modelli di progettazione ingannevoli, che possono influenzare il comportamento degli utenti, indurli ad agire contro i propri interessi e ostacolare la protezione dei loro dati personali), la trasparenza della pubblicità e l’accesso ai dati per i ricercatori.


Nel luglio scorso, l’Esecutivo comunitario ha informato X del suo parere preliminare secondo cui la violazione del regolamento Dsa sarebbe confermata almeno riguardo agli ultimi tre punti. E i legali di X hanno risposto inviando le loro osservazioni. Nelle accuse di Bruxelles, particolarmente rilevante è la presunta violazione sui “dark pattern”. Secondo la Commissione, X progetta e gestisce il proprio interfaccia per gli “account verificati” con il “marchio di controllo blu” in un modo che non corrisponde alla “prassi” del settore; e vi sarebbero prove di attori malevoli (come gruppi neonazisti, ndr) che abusano degli “account verificati” per ingannare gli utenti. Siccome – è l’ipotesi – chiunque può abbonarsi per ottenere lo status “verificato”, questo inciderebbe negativamente sulla capacità degli utenti di prendere decisioni libere e informate in merito all’autenticità degli account e ai contenuti con cui interagiscono.


Da quando Trump ha vinto le elezioni presidenziali Usa con il sostegno di Elon Musk, la Commissione è sotto pressione da parte della stampa che vuol conoscere il verdetto di questa inchiesta, e che sospetta Bruxelles di voler evitare lo scontro con l’uomo più ricco e con il presidente più potente del mondo. I portavoce della Commissione finora hanno sempre risposto che è ancora troppo presto, che ci vuole tempo per esaminare le risposte, e che la decisione finale dovrà essere “giuridicamente solida”, per poter reggere a un più che probabile ricorso dei responsabili di X in Corte europea di Giustizia. In effetti, quella a carico di X è la prima e più importante indagine aperta dall’Ue ai sensi del regolamento Dsa, relativamente recente (2022). Quello che è successo, e che i portavoce di Bruxelles non possono dire ufficialmente, è che al fianco dei legali di Musk sono stati reclutati anche gli avvocati di Google, con un lunga esperienza di controversie giuridiche con la Commissione. E costoro hanno messo in campo una tattica per così dire “ostruzionistica”, inviando a Bruxelles – viene spiegato da una fonte – “migliaia e migliaia di pagine” di informazioni complementari, controdeduzioni e confutazioni in risposta alle accuse formulate dalla Commissione. Sommersi da questi documenti, i pochi funzionari del team dell’Esecutivo comunitario che si occupano dell’indagine stanno facendo quello che possono per esaminarli tutti, ma ci vorrà ancora tempo.


Intanto in Italia iniziano a vedersi le prime frizioni nel rapporto tra le forze di governo e Elon Musk. A creare tensione è il Ddl spazio, in questi giorni all’esame del Parlamento. Nel disegno di legge, promosso dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, l’articolo 25 prevede che il Mimit realizzi una riserva di capacità trasmissiva nazionale tramite “sia satelliti sia costellazioni in orbita geostazionaria media e bassa” che “possono essere gestiti esclusivamente da soggetti appartenenti all’Unione Europea e all’Alleanza Atlantica”. Il deputato Dem Andrea Casu, in commissione attività produttive, ha presentato alcuni emendamenti in cui, tra le altre cose, si prevedeva di dare precedenza alle aziende europee. Molti sono stati respinti ma due sono passati con accordo bipartisan: uno che prevede un “adeguato ritorno industriale per il sistema Paese” e un altro che introduce il tema della garanzia della “sicurezza nazionale”. Due modifiche che hanno fatto infuriare Andrea Stroppa, braccio destro di Musk in Italia. Che su X non l’ha mandata a dire. “Intesa Pd-FdI. Bene, si vuole far passare Starlink e SpaceX (che, tra l’altro, ha lanciato missioni per l’Italia accelerando le tempistiche per dare una mano) per i cattivi. Agli amici di FdI: evitate di chiamarci per conferenze o altro”, ha scritto. Creando un notevole malumore nella maggioranza, in particolare nel partito di Giorgia Meloni, che già da qualche giorno vede con crescente irritazione e preoccupazione le mosse di Stroppa. Infatti, pochi giorni prima del ‘caso’ del Ddl Spazio, aveva lanciato su X due “sondaggi” che mettevano in cattiva luce il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi. Nel primo Stroppa chiedeva: “Da quando è ministro Piantedosi mi sento per me e i miei cari più o meno sicuro?”, annunciando poi il “preoccupante” risultato che il “67% si sente meno sicuro”. Il secondo chiedeva: “Quale ministro dell’Interno ha gestito meglio la sicurezza negli ultimi anni?”. La scelta era tra Marco Minniti, Luciana Lamorgese, Matteo Salvini e Matteo Piantedosi. Il risultato dava come preferito Salvini (che dopo la sentenza Open Arms non ha fatto mistero di desiderare un ritorno al Viminale). “Perchè questi sondaggi, cosa c’è dietro?”, la domanda che in tanti, in Fdi ma anche a Palazzo Chigi, si sono fatti. Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Ue, la tanto discussa marcia indietro sul Green Deal è stata solo parziale

Ue, la tanto discussa marcia indietro sul Green Deal è stata solo parzialeRoma, 1 mar. (askanews) – La Commissione europea ha presentato il 26 febbraio il suo primo pacchetto (“Omnibus”) con una serie di proposte di modifica legislativa che mirano a ridurre e semplificare gli oneri burocratici delle imprese sottoposte agli obblighi di rendicontazione previsti da quattro normative del Green Deal: la direttiva sulla sostenibilità ambientale (Csrd), il regolamento sulla Tassonomia (ovvero i criteri di classificazione) degli investimenti “verdi”, la direttiva sulla “diligenza dovuta” (Csddd) nel controllo del rispetto delle norme socio-ambientali lungo tutta la catena del valore, e infine il regolamento Cbam sui dazi climatici (“Carbon Border Adjustment Mechanism”), che riguarda in particolare le importazioni di acciaio, ferro e alluminio, cemento e fertilizzanti. Il Cbam impone il pagamento di un dazio compensativo alle imprese che importano prodotti da paesi terzi in cui non ci sono normative equivalenti alla “borsa” europea (Ets) dei permessi di emissioni di CO2. L’obiettivo è evitare di sottoporre a una concorrenza sleale le imprese europee nei settori implicati, e prevenire il “carbon leakage”, ovvero la delocalizzazione delle industrie fuori dall’Ue per non pagare le quote di emissione.


Lo stesso giorno, la Commissione ha presentato anche la sua attesa comunicazione sul “Clean Industrial Deal” (“Patto sull’industria pulita”), che delinea un piano strategico con una roadmap per accompagnare la decarbonizzazione dell’industria, in particolare nei settori ad alta intensità energetica e in quelli che utilizzano tecnologie pulite (“clean tech”), con l’obiettivo di mantenere e rafforzare allo stesso tempo la competitività dei produttori europei, accompagnata da un “Piano d’azione sull’energia accessibile” per ridurre le bollette energetiche per l’industria, le aziende e le famiglie. Il piano d’azione prevede una accelerazione dell’introduzione di energie pulite (rinnovabili e nucleare), e dell’elettrificazione, il completamento del mercato interno dell’energia interconnesso, un ulteriore miglioramento dell’efficienza energetica e la riduzione della dipendenza dai combustibili fossili importati La domanda è: c’è stata la marcia indietro sul Green Deal, tanto temuta o auspicata, secondo i punti di vista? Si può rispondere che finora c’è stata solo in parte, e meno del previsto. Non a caso i due pacchetti sono stati approvati e presentati insieme: l’impressione che dietro gli obiettivi di semplificazione si nasconda un proposito di deregolamentazione del Green Deal è mitigata dal fatto che il Clean Industrial Act mantiene comunque gli obiettivi di decarbonizzazione e li porta anche avanti con nuove proposte significative, come quella di introdurre il requisiti di sostenibilità ambientale e la preferenza europea (“made in Europe”) negli appalti pubblici e privati.


In estrema sintesi, si può dire che le misure più importanti prese riguardo alle quattro normative europee modificate dall’Omnibus sono state soprattutto concentrate sulla riduzione, a volte drastica, del loro campo di applicazione, con l’esenzione delle piccole e medie imprese. Nonostante questo, gli effetti sulla riduzione delle emissioni e sugli obiettivi ambientali appaiono molto circoscritti, in qualche caso (soprattutto nel regolamento Cbam) addirittura trascurabili. A questo punto c’è da chiedersi come mai la Commissione si sia resa conto solo ora di questa possibilità di semplificazione degli oneri burocratici delle imprese con poco impatto previsto sui risultati finali attesi da queste normative. Avrebbe potuto prevedere già nell’elaborazione iniziale delle proposte legislative un’attuazione per fasi, cominciando dalle imprese più grandi, per poi magari allargare il campo di applicazione a quelle medie e, se necessario, anche alle piccole imprese, magari in modo più attentamente e calibrato e differenziato. Un’altra questione è quella dell’opportunità, dal punto di vista della legittimità democratica, di rimettere in discussione con proposte di modifica atti legislativi che sono stati approvati da pochi mesi (come nel caso della direttiva sulla “due diligence”), spesso dopo lunghi e durissimi negoziati tra i co-legislatori, conclusi con compromessi attentamente calibrati e poi approvati dal Parlamento europeo e dai governi. Riaprire il testo e chiedere di modificarlo nel momento in cui la legislazione dovrebbe essere applicata mette in questione la certezza del diritto e il rispetto del processo decisionale democratico.


Sull’energia, resta insoddisfacente la risposta del Piano d’azione alla sfida dei prezzi troppo alti, che sono il principale freno alla competitività dell’Industria Europea, ben più della regole regolamentazione eccessiva e degli oneri burocratici del Green Deal. D’altra parte, la Commissione continua a ignorare le richieste di disaccoppiare, sul mercato europeo dell’elettricità, il prezzo dell’energia prodotta dalle rinnovabili da quello del gas. Perché? C’è dietro una rigidità ideologica da parte dei paesi del nord Europa. I prezzi dell’energia elettrica, ben più alti dei costi di produzione delle rinnovabili, serve a rendere molto remunerativi gli investimenti sulle energie verdi anche se questo significa premiare il settore del gas fossile e gli speculatori, e imporre bollette salatissime alle famiglie e alle imprese europee. Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Meloni irritata da Macron, “salta” visita Kiev e G7. E Bannon la imbarazza

Meloni irritata da Macron, “salta” visita Kiev e G7. E Bannon la imbarazzaRoma, 22 feb. (askanews) – Giorgia Meloni ed Emmanuel Macron non si sono mai amati, per usare un eufemismo. Ma il protagonismo del presidente francese sull’Ucraina ha fatto toccare il punto probabilmente più basso nei rapporti tra i due.


La premier ha considerato quantomeno una “fuga in avanti” la convocazione del summit di lunedì 17 febbraio all’Eliseo e con ancora più irritazione guarda le mosse successive, con il viaggio a Washington la prossima settimana. Meloni ha seriamente pensato di disertare il summit di Parigi, poi è andata, ma per far mettere a verbale la contrarietà a un formato che – ha detto la premier – “esclude molte nazioni” quando invece occorrerebbe “includere”. Per lei la strada sarebbe quella di un Consiglio europeo straordinario che però rischierebbe – viste le posizioni di Viktor Orban e Robert Fico – di chiudersi senza un accordo, certificando nero su bianco che l’Ue è bloccata.


Per di più Macron l’ha “scavalcata” ottenendo di essere ricevuto la prossima settimana – primo leader europeo – alla Casa Bianca insieme al premier britannico Keir Starmer. I due, va ricordato, guidano gli unici due Paesi europei dotati di arsenale nucleare, e quindi in grado di esercitare una reale deterrenza. Non è certo un segreto che l’obiettivo di Meloni, accarezzato anche in occasione della missione lampo a Washington per l’Inauguration Day, fosse quello di essere lei la prima europea ammessa allo Studio Ovale, in virtù di quel “rapporto privilegiato” che nei suoi piani le avrebbe permesso di essere un “ponte” tra Europa e Usa. Invece ci andrà il francese, peraltro a proporre una soluzione – una forza di 30mila soldati europei di peacekeeping – su cui lei, già lunedì, ha detto “no”. Meloni si è trovata dunque messa in un angolo, nella condizione di mantenere la linea della necessità di un dialogo con il tycoon, resa sempre più difficile dall’escalation di dichiarazioni (Zelensky? Un “dittatore” bravo solo a “manipolare Biden”, tra le altre cose) dell’inquilino della Casa Bianca. Anche per questo ha deciso di marcare la distanza dagli altri leader. Dunque lunedì, a differenza degli scorsi due anni, non sarà a Kiev per il terzo anniversario dell’invasione. Da Zelensky andranno il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa e la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, accompagnati dal premier spagnolo Pedro Sanchez. Lei non ci sarà (né sono previste missioni a breve in Ucraina) perché lunedì sarà impegnata a Roma, ha spiegato, per il Business Forum italo-emiratino, presente lo sceicco Mohammed bin Zayed. Per lo stesso motivo salterà anche la riunione in videoconferenza del G7 (l’Italia sarà rappresentata da Antonio Tajani).


Adesso – è il dilemma di Meloni e del suo staff – come si può recuperare un ruolo da protagonista nel rapporto tra le due sponde dell’Atlantico? Per qualche ora la premier ha pensato di volare a Washington per partecipare di persona alla Cpac, la Conferenza dei conservatori in corso a Washington e incontrare Trump. Poi ci ha ripensato, fissando il suo intervento in video-collegamento per la giornata conclusiva, sabato 22, prima del discorso del tycoon. Un’intervento di fronte a quella platea, nelle sue intenzioni, sarebbe stato l’occasione per tornare al centro della scena. Ma il saluto in stile nazista (che lui smentisce) di Steve Bannon ha creato forte imbarazzo e una “riflessione”, visto che anche il leader del Rassemblement National francese Jordan Bardella ha annullato il suo intervento. La decisione, al momento, non è stata ancora comunicata ufficialmente ma Meloni, alla fine, dovrebbe fare il suo discorso, in cui terrà un basso profilo, cercando di evitare tutti i temi (dunque a partire dall’Ucraina) più spinosi. Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consol

Il paradosso dell’Ue: per difesa europea serve un’azione non comunitaria

Il paradosso dell’Ue: per difesa europea serve un’azione non comunitariaRoma, 22 feb. (askanews) – Nella politica estera l’Ue è debole e divisa, anzi: è debole perché è divisa. Agisce su mandato degli Stati membri, ma questo mandato deve essere unanime, e basta che un solo paese non sia d’accordo con la stragrande maggioranza degli altri, per paralizzare qualunque decisione.


Basta vedere il ritardo, l’inconcludenza, o addirittura l’assenza delle reazioni dell’Europa alle minacce, le provocazioni e gli attacchi di Donald Trump. La Commissione europea è ben attrezzata per le risposte alle ‘aggressioni’ americane nel settore del Commercio internazionale, perché ha competenza esclusiva in quest’area; ma non è così per la politica estera e per la difesa, dove il potere è tutto nelle mani degli Stati membri, e l’Ue in quanto tale appare solo timidamente, pateticamente, cercando sempre faticosamente di avere una posizione senza inciampare nel veto di questo o quel paese. Perché possa esistere, con un peso politico significativo sulla scena mondiale, con una sua politica estera e di sicurezza e con una vera e propria politica industriale comune per la difesa, l’Europa dovrà agire al di fuori dell’Ue e delle politiche comunitarie, con accordi intergovernativi tra gli Stati membri dell’Unione disposti ad avanzare su questa strada e con altri paesi europei extracomunitari, come il Regno Unito e la Norvegia.


E’ questo, tra l’altro, il senso più probabile dei due mini summit successivi che il presidente francese, Emmanuel Macron, ha organizzato con diversi capi di governo europei, ma comunque senza invitare i paesi più filo russi. La cosa più importante ora è capire se ci sia la volontà da parte dei paesi presenti all’Eliseo di far partire una nuova Europa della difesa, con il Regno Unito e magari la Norvegia e senza le palle al piede di Ungheria e Repubblica ceca o di altri paesi dell’Est che non sono pronti. Si potrebbe addirittura pensare a un nuovo trattato che decida l’esercito europeo, uno stato maggiore europeo, decisioni a maggioranza qualificata con la possibilità per chi non è d’accordo di tirarsi fuori senza bloccare gli altri, e soprattutto una vera politica industriale europea centralizzata e armonizzata, almeno per il settore della difesa. C’è anche la strada, prevista dai Trattati Ue, delle ‘cooperazioni rafforzate’: un certo numero di Stati membri che si mette d’accordo per andare avanti verso un obiettivo condiviso senza aspettare gli altri, ma pronto ad accoglierli se decidono di raggiungerli; un gruppo, quindi, da cui sono esclusi fin dall’inizio i paesi reticenti, che non possono quindi usare il diritto di veto contro il progetto comune. Come ricorda un veterano delle istituzioni Ue, Emilio De Capitani, ex funzionario del Parlamento europeo, ‘è già avvenuto con l’accordo di Schengen per la soppressione dei controlli alle frontiere interne, con gli accordi di Prum per la cooperazione di polizia contro il crimine organizzato, e con l’accordo sul Mes’ per i prestiti agli Stati membri con problemi di bilancio. ‘Queste forme di cooperazione ‘parallela’ all’Ue, ma che ne anticipano gli obiettivi – ci ha detto ancora De Capitani – sono state considerate legittime persino dalla Corte europea di Giustizia (giurisprudenza ‘Pringle’)’.


Con questo in mente, vale la pena di rileggere ciò che ha detto Mario Draghi nel suo ultimo intervento al Parlamento europeo, il 18 febbraio a Bruxelles, parlando della necessità di cambiare il modello decisionale dell’Ue: ‘Una cosa che dobbiamo prima considerare è: l’unanimità continuerà a essere il principio guida chiave per prendere decisioni nella nostra Unione?’ Il rapporto sulla competitività da lui presentato, ha ricordato l’ex premier italiano, ‘suggerisce che, in effetti, non dovrebbe esserlo, che dovremmo passare a una maggioranza qualificata su molte, molte aree. E la mia sensazione è che, nei prossimi mesi, i paesi si raggrupperanno esattamente su questo punto, paesi che continueranno a difendere l’unanimità e paesi che sono pronti a scendere a compromessi e ad andare verso un meccanismo di voto a maggioranza qualificata’. ‘Ma poi – ha continuato Draghi – il rapporto dice che ci sono anche altri modi. Uno è il modello di cooperazione rafforzata, che è presente nei nostri Trattati, ma non siamo creativi su questo. E il terzo è, francamente, il modello intergovernativo: vale a dire due, tre, quattro governi che concordano su certi obiettivi e decidono che si muoveranno insieme, rimanendo aperti all’ingresso di altri paesi’. ‘Io penso, spero, che sia ovviamente meglio andare tutti insieme; ma per andare insieme, specialmente in settori come la difesa, la politica estera, c’è bisogno di una valutazione comune di quali sono i rischi, e quali sono i compromessi, o soprattutto di chi è il nemico. Bisogna essere tutti uniti su questo’, ha concluso l’ex presidente della Bce. Finora, il problema che ha diviso gli europei è quello del finanziamento della spesa per gli investimenti nelle capacità di difesa, come e dove trovare le ingenti risorse necessarie (nuovo debito nazionale o europeo, o tagli ad altre voci della spesa pubblica), e come considerarle nel quadro delle regole Ue sui bilanci del Patto di stabilità riformato (su questo punto la Commissione europea ha già annunciato la sua sospensione per la spesa militare). Un rapporto appena pubblicato dal think-tank Bruegel (‘Defending Europe without the US: first estimates of what is needed’, di Alexandr Burilkov e Guntram B. Wolff, 21 febbraio 2025) conclude che, per prendere interamente a suo carico la propria difesa, l’Europa avrebbe bisogno di un numero ingente di nuove truppe da mobilitare (300.000 soldati) e di un aumento di almeno 250 miliardi di euro all’anno della sua attuale spesa militare, che è oggi al 2% del Pil, in media, ma che dovrebbe raggiungere il 3,5%, come sta già cominciando a chiedere la Nato.


Ma ora, oltre al problema dei finanziamenti, dopo le clamorose posizioni assunte dalla nuova Amministrazione Trump, che non lasciano dubbi sulle intenzioni di ritirare gran parte delle forze Usa dal dispositivo Nato di difesa dell’Europa, la discussione si sta spostando su un altro piano: come spendere e come utilizzare queste nuove risorse, in base a quali piani, coordinati, centralizzati e decisi da chi, in base a quale politica industriale. Che cosa significa una politica industriale europea per la difesa? Sostanzialmente significa che gli Stati partecipanti devono conferire a una struttura centralizzata una serie di poteri che vanno ben al di là del coordinamento, dello ‘stimolo’, della fissazione di obiettivi indicativi, dei contributi finanziari. Una politica industriale unica della difesa significa che questo potere centralizzato potrebbe imporre all’apparato industriale di ciascun paese partecipante, degli appalti congiunti di fornitura, che cosa produrre, con quali caratteristiche, in quali quantità, a quali prezzi, a chi vendere e da chi comprare, e secondo quali quote, ed eventualmente le capacità aggiuntive da installare oppure, al contrario, le sovracapacità o le capacità superflue da eliminare. Tutto questo oggi, con l’attuale quadro giuridico Ue, non è possibile. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione non comprende la politica industriale tra le ‘competenze condivise’ (art.4), per le quali gli Stati membri possono agire solo se l’Unione ha scelto di non esercitare la sua competenza (ad esempio nelle politiche dei trasporti, della coesione, dell’energia e dell’ambiente e del mercato interno). L’industria, invece, è tra le competenze nazionali (art.6), come la cultura e il turismo, per le quali l’Ue può sostenere, coordinare o completare le azioni degli Stati membri, ma non può adottare atti giuridici vincolanti che richiedano loro un’armonizzazione europea delle proprie leggi e dei propri regolamenti. Un vero e proprio piano di politica industriale europeo, in realtà, è stato realizzato una sola volta, nel periodo 1977-1982, nel settore siderurgico, su iniziativa della Commissione e in particolare di Etienne Davignon, allora responsabile per gli Affari industriali e il Mercato interno. Il commissario Davignon ottenne una dichiarazione ufficiale di ‘crisi manifesta’ nel settore siderurgico, votata dai governi dell’allora Comunità europea, in base a cui la Commissione fu autorizzata ad adottare ampie misure contro la sovracapacità, come la regolamentazione dei prezzi (prezzi minimi), quote di produzione obbligatorie, soppressione di capacità, come condizione per il sostegno comunitario ai piani di ristrutturazione nazionali, e poi regolamenti contro i sussidi statali, quote per le importazioni da paesi terzi. Ma tutto ciò sarebbe impossibile oggi, perché la base giuridica del piano Davignon era il Trattato di Parigi del 1951 sulla Comunità europea del carbone e dell’acciaio, che è scaduto nel 2002. E’ vero che esiste una Agenzia europea per la difesa (Eda), istituita come una ‘azione comune’ dal Consiglio Ue nel 2004, poi integrata nel sistema istituzionale col Trattato Ue di Lisbona (art. 42) e ulteriormente sviluppata con ulteriori decisioni del Consiglio Ue nel 2011 e nel 2015 che ne hanno definito lo statuto, la sede (a Bruxelles) e le norme operative. Ma se si guarda ai compiti dell’Agenzia, si capisce subito che non sarebbero sufficienti a realizzare una vera propria politica industriale europea nel settore. Le sue tre missioni principali sono ‘sostenere lo sviluppo delle capacità di difesa e la cooperazione militare tra gli Stati membri dell’Unione europea; stimolare la ricerca e tecnologia e rafforzare l’industria europea del settore; agire come interfaccia militare per le politiche dell’Ue’. Sul sito dell’Eda, si legge inoltre che l’Agenzia ‘funge da catalizzatore, promuove collaborazioni, lancia nuove iniziative e introduce soluzioni per migliorare le capacità di difesa. È il luogo in cui gli Stati membri che desiderano sviluppare capacità in cooperazione lo fanno. È anche un facilitatore chiave nello sviluppo delle capacità necessarie a sostenere la politica di sicurezza e difesa comune dell’Unione’. Tutto qui. E si sa che non sono stati un grande successo finora i tentativi di acquisti con appalti in comune, come quelli sperimentati per i vaccini e per l’energia, mentre si continua a deprecare lo spreco dei ‘doppioni’ e della mancanza di complementarietà tra le diverse capacità produttive delle industrie nazionali della difesa (ad esempio con decine di modelli di carri armati, mentre gli Usa ne hanno uno solo) e dagli alti costi di produzione dovuti alla mancanza della dimensione di scala europea. Per non parlare delle lacune enormi che il disimpegno Usa lascerebbe, in particolare, nella copertura satellitare e nella difesa aerea. Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Pesticidi, tre contraddizioni Commissione Ue nella Visione per l’agricoltura

Pesticidi, tre contraddizioni Commissione Ue nella Visione per l’agricolturaRoma, 22 feb. (askanews) – Quando la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, annunciò, un anno fa a Strasburgo, il ritiro del regolamento sulla riduzione obbligatoria dei pesticidi (prevedeva il 50% in meno entro il 2030 e il divieto totale nelle zone sensibili), mesi dopo che il Parlamento europeo lo aveva bocciato con 299 voti contro 207 e 121 astensioni, motivò la sua decisione con il fatto che questa normativa era “diventata un simbolo di polarizzazione”, ma fu molto chiara sul fatto che il successivo Esecutivo Ue, da chiunque fosse stato guidato, avrebbe avuto il compito di presentare “una nuova proposta molto più matura”. “Naturalmente, questo tema rimane, e per andare avanti c’è bisogno di più dialogo e di un approccio diverso”, disse von der Leyen.


Alla guida della Commissione successiva c’è sempre lei, Ursula von der Leyen; ma quella promessa, l’impegno che aveva preso per il nuovo mandato di ritornare comunque a proporre norme con lo stesso obiettivo di “ridurre il rischio dei prodotti chimici di protezione delle piante” non l’ha mantenuta, o l’ha dimenticata. Nella nuova “Visione per l’agricoltura e l’alimentazione” presentata il 19 febbraio in conferenza stampa dal vicepresidente esecutivo della Commissione Raffaele Fitto e dal commissario all’Agricoltura, Christophe Hansen, non c’è traccia di una proposta simile. E fonti della Commissione hanno precisato lo stesso giorno che “non ci sarà durante questo mandato”.


Al contrario, nel comunicato stampa che presenta la “Visione”, c’è una frase sibillina secondo cui “la Commissione considererà attentamente qualunque ulteriore messa al bando dell’uso di pesticidi, se non ci saranno alternative disponibili in un intervallo ragionevole di tempo”. Come dire che verrà data priorità alla prevenzione dell’impatto economico negativo sull’attività degli agricoltori, rispetto alla necessità di evitare danni alla salute e all’ambiente, quando emergono rischi gravi a carico di una sostanza chimica usata nei pesticidi. La terza contraddizione della Commissione riguarda il cosiddetto “allineamento degli standard” tra i prodotti agroalimentari dell’Ue e quelli importati dai paesi terzi, riguardo alle sostanze vietate (come pesticidi e Ogm per le piante e trattamenti agli ormoni e antibiotici per gli animali d’allevamento), e riguardo anche alle normative sul benessere animale.


Subito dopo l’approvazione dell’accordo commerciale con i paesi latino-americani del Mercosur, la Commissione ha sempre risposto con determinazione a una delle critiche più ricorrenti da parte degli oppositori dell’Accordo, quella secondo cui esso consentirà l’importazione nell’Ue di prodotti agroalimentari per i quali si è fatto uso di sostanze vietate nei paesi europei. Le posizioni della Commissione erano state riportate fedelmente anche da questa newsletter, il 21 dicembre scorso “le nostre regole per l’importazione – ci aveva assicurato un funzionario Ue – non cambiano. Riguardo a ormoni e pesticidi, ad esempio, abbiamo una legislazione molto robusta: noi fissiamo i nostri livelli nell’Ue, e questi si applicano anche alle importazioni”.


Ma ora la Commissione ammette che, effettivamente, qualche problema potrebbe esserci, perché i controlli sulle importazioni, per verificare che nel nostro mercato unico non entrino prodotti contenenti sostanze vietate nell’Ue, si limitano a certificare se la presenza residuale di queste sostanza resti al di sotto delle soglie massime (“maximum residue level”) fissate dalla legislazione europea. Al di sotto di queste soglie, i prodotti importati sono considerati sicuri per la salute e per l’ambiente. Ma possono comunque essere presenti delle sostanze vietate nell’Ue. E questo potrebbe comportare uno svantaggio per le imprese agroalimentari europee, configurare delle situazioni di concorrenza sleale. E dunque, forse va rivista la legislazione comunitaria per prevedere, almeno per certe sostanze, un divieto totale, senza soglie di tolleranza all’importazione. “I nostri agricoltori e il settore agroalimentare hanno bisogno di condizioni di parità. Ciò significa – ha spiegato Hansen durante la conferenza stampa – un allineamento più forte sugli standard di produzione per le importazioni. Prendiamo i pesticidi, ad esempio. Il principio che presentiamo oggi è chiaro: i pesticidi più pericolosi vietati nell’Ue per motivi di salute o ambientali non dovrebbero essere ammessi di nuovo nell’Unione tramite prodotti importati. Questo risponde anche alle richieste dei cittadini, della società civile, delle organizzazioni degli agricoltori e delle istituzioni politiche, che chiedono un cambiamento. E noi lo realizzeremo”.”Il lavoro – ha annunciato il commissario – inizia immediatamente, quest’anno. Come sempre, la nostra azione sarà guidata dal pragmatismo, dal rispetto degli obblighi internazionali e dal dialogo. Ecco perché, parallelamente, continueremo a promuovere i nostri standard a livello internazionale, presso la Fao, l’Organizzazione mondiale del commercio e gli organismi internazionali di definizione degli standard, come il Codex”. Fonti qualificate della Commissione ci hanno spiegato poi che “è importante ricordare che quando importiamo derrate alimentari in Europa, ci assicuriamo che non abbiano un impatto negativo, che i nostri consumatori siano protetti, stabilendo le soglie massime tollerate di residui delle sostanze pericolose. La novità della ‘Visione’ è che riconosciamo come effettivamente”, nella situazione attuale, possa capitare che importiamo dei prodotti che contengono pesticidi che sono stati vietati nell’Ue, sia per motivi di salute che per motivi ambientali, anche se al di sotto di soglie massime considerate sicure”. E quindi, hanno continuato le fonti, “per i pesticidi più pericolosi vorremmo stabilire un nuovo principio: che potremo vietarne la presenza, anche a livelli sicuri per i consumatori, nei prodotti importati. Ma per fare questo, per farlo seriamente, dobbiamo fare una valutazione d’impatto in cui esamineremo gli aspetti legati alla concorrenza, così come l’impatto sul nostro commercio. Quindi, considerando tutti gli elementi, se sarà appropriato, potremo avere una revisione della legislazione Ue”, hanno concluso le fonti. Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Ue travolta da “ciclone” Trump su Ucraina e dazi, Meloni a un bivio

Ue travolta da “ciclone” Trump su Ucraina e dazi, Meloni a un bivioRoma, 15 feb. (askanews) – L’Europa sarà “pronta” ad affrontare le sfide determinate da Donald Trump, aveva assicurato lo scorso 21 gennaio a Davos la presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen. E invece l’Ue è stata “travolta” dagli Stati Uniti: tagliata fuori sull’Ucraina, minacciata da dazi pesanti, sembra un pugile scosso. Compresa Giorgia Meloni, che aveva probabilmente sopravvalutato il rapporto “privilegiato” instaurato con il tycoon. Il risveglio è stato traumatico: Trump non guarda in faccia a nessuno. E tantomeno all’Europa e all’Italia. Adesso la premier dovrà decidere come schierarsi, in primo luogo sull’Ucraina. Per questo venerdì mattina ha riunito i vice Matteo Salvini e Antonio Tajani e il ministro della Difesa Guido Crosetto (collegato da Monaco) per stabilire una linea e ha poi sentito il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.


Con la telefonata a Putin – di cui né von der Leyen, né il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa, né alcun leader dei Paesi Ue era stato avvertito – l’Europa è stata messa fuori dai giochi. Trump ha sostanzialmente dato a Putin l’assicurazione che gli saranno riconosciuti i territori occupati e che Kiev non entrerà nella Nato, senza avere in cambio nient’altro che la promessa di cessate il fuoco. I negoziati saranno condotti da Usa e Russia direttamente, ma l’Ucraina sarà coinvolta “in un modo o in un altro”, secondo il Cremlino. Un “piano” che assomiglia molto a un riconoscimento di vittoria per Putin e in cui non è previsto che l’Europa tocchi palla. Un primo incontro a tre Usa-Russia-Ucraina si è tenuto venerdì 14 febbraio alla Conferenza di Monaco (e tanti hanno ricordato quella del 1938, in cui Francia e Regno Unito persero l’occasione di bloccare sul nascere l’espansionismo di Adolf Hitler). Proprio a Monaco Meloni, che inizialmente aveva confermato la sua presenza, ha deciso di non andare, così come alla conferenza di Parigi sull’Intelligenza artificiale, un tema da sempre a lei caro. Assenze – non incontra i giornalisti dal punto stampa del 27 gennaio ad Al-Ula – che sottolineano un momento di difficoltà interna (per i casi Al-Masri, lo spyware Paragon, l’affaire Caputi) ma anche in Europa. Meloni, unica leader europea all’Inauguration day, si era proposta come “ponte” tra Washington e Bruxelles, aveva assicurato di essere in grado di gestire e arginare Trump. Così non è stato e adesso è nell’imbarazzante situazione di dover decidere con nettezza da che parte stare. E la parte non può essere che l’Ue. Peraltro l’effetto Trump ha dato nuovo vigore a Matteo Salvini, che non perde occasione per metterla in difficoltà. Capitolo dazi. Il presidente Usa ha ribadito, ancora il 13 febbraio, che saranno “reciproci” imposti “Paese per Paese”, a partire da quelli con cui gli Stati Uniti hanno il maggiore deficit commerciale. “Se loro ci tassano, noi tassiamo loro, allo stesso modo”, ha attaccato, aggiungendo che gli alleati degli Usa sono “spesso peggio dei nostri nemici” sul fronte commerciale. Anche l’imposta sul valore aggiunto sarà considerata un dazio. L’Ue, ha assicurato a Monaco von der Leyen, risponderà “in maniera chiara e proporzionata” a misure “ingiustificate”. Ma la partita è più grande di quella – pur importante – di una guerra commerciale. L’obiettivo di Trump è disarticolare l’Ue, rendendola un attore al più di livello regionale nella grande competizione tra Usa e Cina. L’unità europea è oggi quantomai importante e allo stesso tempo fragile.


Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli

Ue, Starlink e Iris 2: perché al governo italiano non bastano gli attuali servizi satellitari Ue

Ue, Starlink e Iris 2: perché al governo italiano non bastano gli attuali servizi satellitari UeRoma, 15 feb. (askanews) – Ci sono due elementi nuovi riguardo alle polemiche del mese scorso sui colloqui tra il governo italiano e la società SpaceX di Elon Musk per un potenziale contratto per comunicazioni militari sicure basato sulla costellazione satellitare Starlink.


Il primo è una lettera, molto preoccupata e circostanziata, che il 10 febbraio scorso l’eurodeputato francese Christophe Grudler, del gruppo liberale Renew, co-presidente dell’intergruppo “Cielo e Spazio” del Parlamento europeo e relatore per nuovo programma satellitare “Iris 2” dell’Ue, ha inviato alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e al commissario per la Difesa e lo Spazio, Andrius Kubilius. Da notare che Iris 2 è da intendersi come Iris “al quadrato”, e non come un secondo Iris. Si tratta di un programma dell’Ue per una nuova generazione di satelliti per telecomunicazioni europei, che incorpora tecnologie all’avanguardia, tra cui tecnologie quantistiche. I lanci di questi satelliti sono previsti entro il 2030.


Le preoccupazioni espresse da Grudler riguardano in particolare: 1) il costo molto alto (definito “stravagante”) di un eventuale contratto dell’Italia con SpaceX, ipotizzato a circa 1,5 miliardi di euro in cinque anni, ovvero 300 milioni di euro all’anno; è la stessa cifra che oggi tutti i governi Ue insieme pagano per i servizi di comunicazione forniti dall’attuale sistema satellitare europeo GovSatCom, con in più il rischio che l’Italia sia distolta dai finanziamenti per Iris 2 e per lo stesso GovSatCom; 2) i posti di lavoro che sarebbero creati e sostenuti da un contratto Italia-SpaceX negli Usa e non in Italia o in Europa, dove l’industria satellitare occupa oggi 70.000 addetti; 3) un problema di sovranità, italiana ed europea, che è stato già denunciato da più parti durante le polemiche del mese scorso, “l’Italia, una delle più grandi forze militari d’Europa, affiderebbe le sue comunicazioni protette a una società privata straniera. Starlink non soddisfa gli standard di sicurezza militare europei, contrariamente alle capacità nazionali esistenti” sottolinea Grudler. Inoltre, ricorda, “è stato riferito che Elon Musk ha ordinato di disattivare la sua rete di comunicazioni satellitari Starlink vicino alla costa della Crimea per impedire un attacco di droni ucraini alle navi da guerra russe. Nessun esercito dell’Ue dovrebbe essere alla mercé delle decisioni di un miliardario”. L’europarlamentare francese nota poi che “l’argomento principale del governo italiano per raggiungere un accordo con SpaceX è stato che il sistema militare italiano non ha ‘alcuna alternativa pubblica’ a Starlink di Musk. Questo non è vero. In una recente riunione della commissione per l’Industria, l’Energia e la Ricerca del Parlamento europeo, il rappresentante della Commissione europea ha confermato che i servizi del sistema GovSatCom saranno operativi nel 2025”.


Questo sistema europeo mette in comune i satelliti europei sicuri esistenti di alcuni Stati membri (Italia, Francia, Germania, Spagna e Lussemburgo), rendendoli accessibili a tutti i paesi alle istituzioni dell’Ue. Secondo Grudler, GovSatCom, “in quanto infrastruttura europea di comunicazioni sicure, sarà pienamente in grado di soddisfare le esigenze immediate dell’Italia, garantendo al contempo sicurezza e autonomia strategica”. Il secondo elemento nuovo riguarda proprio quest’ultima affermazione dell’europarlamentare francese. Abbiamo chiesto a una fonte comunitaria se sia vero che l’attuale sistema europeo possa soddisfare pienamente le esigenze dell’Italia, e la risposta è stata che in realtà il governo Meloni non ha torto a cercare di negoziare la fornitura di una copertura satellitare da Starlink di Musk. Questo perché i satelliti del sistema europeo attuale GovSatCom sono in un’orbita a quota troppo elevata. Sono utilissimi per le comunicazioni e altre funzioni civili e militari, compresa la protezione civile e la sorveglianza marittima e delle frontiere. Ma a causa dell’altezza elevatissima dell’orbita hanno dei forti limiti, soprattutto negli usi per la sicurezza e per la sorveglianza dei flussi dei migranti irregolari nel Mediterraneo. Il nuovo progetto Iris 2 avrà orbite satellitari più basse, e dovrebbe quindi rispondere alle esigenze dell’Italia, ma i suoi satelliti, come abbiamo visto, saranno operativi solo nel 2030.


Alla luce di queste precisazioni si capisce meglio anche la spiegazione tecnica che, a questo proposito, aveva dato il ministro della Difesa Guido Crosetto durante il “Question time” alla Camera l’8 gennaio scorso: “Le nostre forze armate sono chiamate spesso a operare a tutela degli interessi nazionali, oggi più che mai, anche a grande distanza dall’Italia e non sempre in presenza di adeguati servizi e infrastrutture. Nell’anno appena concluso, a titolo di esempio – aveva ricordato il ministro -, siamo stati presenti nel quadrante Indo-Pacifico, in Africa, Medio Oriente, Nord Europa, Est Europa, ponendo in essere attività che richiedono comunicazione affidabile, sicura e continua, nonché connettività e servizi di posizionamento e navigazione”. “In ambito nazionale a livello militare, questi servizi vengono erogati grazie a sistemi in orbita geostazionaria Sicral, che sono affidabili ma – aveva puntualizzato Crosetto – offrono una copertura geografica e banda limitata. Ne consegue che la difesa è interessata, anzi obbligata forse, a integrare tale capacità con quelle fornite da satelliti in orbita bassa, che offrono maggiore continuità, copertura e miglior tempo di latenza”. “A livello europeo, rammento che il programma più noto di connettività sicura, appena avviato e noto come Iris 2, prevederà a regime circa 290 satelliti”, aveva concluso il ministro. Tra l’altro, uno dei centri di controllo della nuova costellazione satellitare è stata assegnata proprio all’Italia, nel marzo 2024, nel centro spaziale di Fucino, in Abruzzo. Altri due centri saranno in Francia e Lussemburgo. Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Pressing Ue sull’Italia per il Mes ma per governo “non ci sono condizioni”

Pressing Ue sull’Italia per il Mes ma per governo “non ci sono condizioni”Roma, 15 feb. (askanews) – Per il governo italiano “non ci sono ancora le condizioni” per approvare il Mes. La ratifica del Meccanismo europeo di stabilità era stata bocciata dalla Camera dei deputati il 21 dicembre 2023, con 72 voti a favore, 184 contrari e 44 astenuti. Tra questi ultimi c’erano i deputati di Forza Italia e Noi moderati, in disaccordo con i colleghi di maggioranza di Fratelli d’Italia e Lega. L’Italia è dunque rimasta l’unico Paese a non aver sottoscritto l’accordo, di fatto bloccandone l’operatività.


Il direttore generale dell’organismo internazionale Pierre Gramegna, all’Eurogruppo dello scorso 20 gennaio, ha di nuovo sottolineato che “l’ambiente geoeconomico si sta deteriorando” e “i rischi derivanti da una perturbazione economica stanno aumentando”, ribadendo che “la ratifica del trattato modificato del Mes sarebbe estremamente utile”. Del resto Giorgia Meloni aveva legato l’ok al nuovo Mes all’approvazione del Patto di stabilità e crescita, in quella che ha sempre definito una “logica a pacchetto”. Dunque anche se la sua idea è sempre quella che consegnò ai microfoni di Bruno Vespa (“Finché io conto qualcosa l’Italia non accederà al Mes lo posso firmare con il sangue”), non ci dovrebbero essere più ostacoli al via libera. E invece no. “Non ci sono ancora quelle condizioni” per l’approvazione, dice il ministro per gli Affari europei Tommaso Foti rispondendo a una domanda di Europa Building-Askanews. Più che di merito, però, le “condizioni” che mancano sembrano quelle politiche: la Lega (da sempre contraria allo strumento) con i Patriots in Europa è sempre più schierata a destra e Matteo Salvini non perde occasione per creare motivi di frizione con Meloni.


Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli

IA, per compiacere J.D. Vance l’Ue contraddice se stessa

IA, per compiacere J.D. Vance l’Ue contraddice se stessaRoma, 15 feb. (askanews) – La Commissione europea ha deciso a sorpresa, nella sua riunione di martedì 11 febbraio a Strasburgo, di ritirare la proposta di direttiva sulla responsabilità civile in caso di danni provocati dall’Intelligenza artificiale (indicata dall’acronimo Aild). La decisione è stata presa nel quadro del nuovo programma di lavoro per il 2025 della Commissione, che è stato presentato il giorno dopo, mercoledì 12 febbraio a Strasburgo, in conferenza stampa, sempre a Strasburgo, insieme a una comunicazione sul nuovo piano di ‘semplificazione’ delle normative comunitarie, per ridurre gli oneri burocratici delle imprese. Alla conferenza stampa hanno partecipato i due commissari forse più vicini alla presidente Ursula von der Leyen, Valdis Dombrovskis, responsabile per l’Economia, la Produttività, l’Attuazione e Semplificazione della normativa Ue, e Maros Sefcovic, responsabile per il Commercio, la Sicurezza economica e le Relazioni interistituzionali. Entrambi sono stati vicepresidenti esecutivi nella precedente Commissione.


La riunione del Collegio dei commissari, nel pomeriggio dell’11 febbraio a Strasburgo, è stata presieduta da von der Leyen, appena ritornata dall’incontro di poche ore prima con il vicepresidente americano James David Vance, a margine del summit internazionale di Parigi sull’Intelligenza artificiale (AI Action Summit), a cui avevano partecipato anche i vicepresidenti esecutivi Henna Virkkunen, responsabile per la Sovranità tecnologica, Sicurezza e Democrazia, e Stéphane Séjourné, responsabile per la Prosperità e la Strategia industriale. Significativamente, durante il summit di Parigi, Vance si era scagliato contro ‘l’eccesso di regolamentazione’ dell’Ue nei confronti del settore digitale e in particolare dell’Intelligenza artificiale. ‘Un’eccessiva regolamentazione potrebbe uccidere un settore trasformativo proprio mentre sta decollando’, aveva sottolineato il vicepresidente americano. Si può ragionevolmente ipotizzare che il ritiro della direttiva Aild sia stato un segnale di attenzione che von der Leyen e Virkkunen, in particolare, hanno voluto dare a Vance, in risposta al suo avvertimento. La proposta di direttiva sarebbe stata individuata, insomma, come una innocente vittima sacrificale per placare l’ira dell’Olimpo, tutto americano, del grande business dell’Intelligenza artificiale.


Una contraddizione salta subito agli occhi, ed è stata immediatamente messa in luce dal relatore per il Parlamento europeo della direttiva ‘sacrificata’, l’eurodeputato tedesco del Ppe Axel Voss: in questo caso, la normativa non era affatto un onere amministrativo supplementare, e magari inutile, destinato a complicare la vita delle imprese, ma, al contrario, mirava a unificare certe condizioni del mercato europeo nel settore. Siamo davanti a una pretesa ‘semplificazione’, insomma, operata con una flagrante ‘deregolamentazione’, che invece di rendere più agevole la vita delle imprese, le lascia sottoposte a 27 diverse regolamentazioni nazionali sulla responsabilità civile, rinunciando a un’armonizzazione minima europea, in contraddizione con la logica e le esigenze del mercato unico e della facilitazione dell’espansione transnazionale, soprattutto per le Pmi e le start-up.


La direttiva era stata proposta dalla Commissione il 28 settembre 2022, dopo una regolare valutazione d’impatto, dopo che il Parlamento europeo l’aveva sollecitata con una ‘risoluzione legislativa’ nel 2020, e dopo che la stessa Commissione aveva individuato in un proprio rapporto del 2020 le sfide per la sicurezza e la responsabilità civile dell’intelligenza artificiale e della robotica. Sebbene già dalla primavera scorsa fossero state espresse delle perplessità sull’adeguatezza della proposta di direttiva Aild, sia nel Parlamento europeo che da diversi Stati membri in Consiglio Ue, e nonostante il fatto che il lavoro legislativo fosse rimasto fermo in attesa dell’approvazione definitiva del regolamento generale dell’Ue sull’Intelligenza artificiale (AI Act), avvenuta il 21 maggio 2024, il dossier non sembrava affatto su un binario morto, ma era chiaro, semmai, che avrebbe richiesto degli adattamenti per tenere conto degli ultimi sviluppi, sia tecnologici che regolamentari. La stessa Commissione aveva modificato nel luglio scorso la proposta con una versione ‘aggiornata’ per tenere conto delle ultime modifiche del regolamento AI Act, e il Parlamento europeo aveva pubblicato a settembre delle raccomandazioni per allargare il campo di applicazione della direttiva.


Non si trattava affatto, insomma, di una proposta legislativa arenatasi e rimasta bloccata per anni nel processo decisionale per mancanza di consenso tra gli Stati membri, o perché non riconosciuta davvero necessaria, come accade in genere per i casi in cui la Commissione decide di ritirare le proprie proposte. Né la direttiva era stata bocciata in un voto del Parlamento europeo (come ad esempio è accaduto l’anno scorso per la normativa che intendeva dimezzare l’uso dei pesticidi nell’agricoltura dell’Ue). Le motivazioni del ritiro della direttiva che ha dato, in particolare, il commissario Sefcovic mercoledì scorso a Strasburgo, sono tutt’altro che convincenti. ‘Abbiamo esaminato come questo dossier sta procedendo nel processo co-legislativo. A volte vediamo che delle particolari proposte sono bloccate nel processo co-legislativo per lunghi anni’, ha detto il commissario. Su questa direttiva, ha continuato, ‘abbiamo seri dubbi che faranno progressi quest’anno. Quindi abbiamo valutato se dovremmo inventarci qualcosa di nuovo, se dovremmo affrontare la questione da un’angolazione diversa’. Ma alla fine, ha riferito il commissario, ‘abbiamo deciso di inserirlo nella lista delle proposte da ritirare, perché questa lista viene poi messa sul tavolo dei co-legislatori, e loro hanno la possibilità di dirci di no, di insistere sul fatto che una proposte debba essere mantenuta’. In questo caso, ha assicurato, ‘siamo pronti a lavorarci, e concludere in tempo. Quindi questo è un nostro invito ai co-legislatori a dirci se vogliono o no che continuiamo a lavorare su queste proposte per la responsabilità civile dell’IA’. Certo, appare quanto meno inappropriato fare riferimento a un processo co-legislativo ‘bloccato per lunghi anni’ quando la direttiva è stata proposta poco più di due anni fa, e aggiornata nel luglio scorso: si tratta di tempi del tutto normali per l’Ue. Inoltre, non sembra appropriato scaricare sul Parlamento europeo e sul Consiglio Ue la responsabilità di dire l’ultima parola su una decisione che comunque spetta alla Commissione, ‘guardiana dei Trattati Ue’ e detentrice del monopolio dell’iniziativa legislativa, in base a considerazioni di opportunità e all’esigenza di mantenere l’integrità delle proposte, quando vengono modificate dai co-legislatori in un senso che ne modifica gravemente l’efficacia e gli obiettivi. Un’altra strana motivazione è stata data venerdì 14 febbraio dal portavoce della Commissione Markus Lammert, responsabile per Affari interni, Democrazia, Giustizia e Stato di diritto. Rispondendo a una nostra domanda, Lammert ha detto: ‘Abbiamo osservato una certa riluttanza nei confronti di questa proposta di direttiva, per la quale le discussioni sono state sospese per un bel po’ di tempo. Inoltre, da quando la proposta originale è stata presentata nel 2022, sono state adottate altre normative che coprono determinati aspetti, come il regolamento sulla responsabilità civile dei prodotti e il regolamento AI Act. La Commissione valuterà se presentare un’altra proposta o se scegliere un altro tipo di approccio’. ‘L’inclusione di questo dossier nella lista delle proposte da ritirare – ha aggiunto il portavoce – esprime l’intenzione della Commissione in questo senso. Ma in linea con gli accordi istituzionali, sia il Parlamento europeo che il Consiglio Ue possono ora esprimere la loro opinione su tutte le proposte che intendiamo ritirare, e le terremo attentamente in considerazione prima di prendere la decisione finale’. Anche queste affermazioni contraddicono in modo evidente quanto la Commissione aveva sempre sostenuto finora che la direttiva sulla responsabilità civile dell’IA era necessaria proprio per coprire quegli aspetti che non rientrano nel campo di applicazione dell’AI Act e del regolamento sulla responsabilità civile dei prodotti. Ma la contraddizione più paradossale tra le motivazioni addotte per il ritiro della proposta di direttiva e le motivazioni indicate dalla stessa Commissione per sostenerne la necessità sta in una dichiarazione ufficiale di un altro commissario europeo, l’irlandese Michael McGrath, responsabile per la Democrazia e lo Stato di diritto, la Giustizia e la Tutela dei consumatori. Per una strana coincidenza, McGrath ha inviato una risposta scritta all’interrogazione parlamentare di due eurodeputati sulla direttiva Aild che è arrivata ed è stata pubblicata proprio martedì 11 febbraio, lo stesso giorno in cui la Commissione ha deciso il ritiro della direttiva, con le motivazioni che abbiamo visto. L’interrogazione, presentata il 26 novembre da due eurodeputati dello stesso gruppo Ppe di Axel Voss (contrarissimo al ritiro della direttiva, come abbiamo visto), il tedesco Andreas Schwab e la svedese Arba Kokalari, chiedeva innanzitutto se la Commissione ‘riconsidererà l’idea alla base della direttiva sulla responsabilità civile per quanto riguarda la necessità di promuovere la competitività e l’innovazione’; in secondo luogo, quali misure specifiche siano previste ‘per garantire che questa legislazione non abbia un impatto sproporzionato sulle Pmi e sulle start-up europee’; e infine come valuti la Commissione ‘il rischio di una regolamentazione eccessiva di un settore in espansione e di ulteriori ostacoli normativi per le aziende confrontate a una forte concorrenza internazionale’. Se la Commissione avesse avuto l’intenzione di ritirare la proposta di direttiva già da prima del summit di Parigi sull’IA e dell’incontro con Vance, non ci sarebbe stato nulla di più facile che rispondere ai due eurodeputati rassicurandoli sul fatto che sì, in effetti potrebbero esserci dei problemi, c’è il rischio di un impatto negativo su Pmi e start-up europee e di una regolamentazione eccessiva. Vediamo invece come ha risposto McGrath, l’11 febbraio: Innanzitutto, ‘la proposta di direttiva sulla responsabilità per intelligenza artificiale (IA) è stata concepita con un approccio lungimirante per modernizzare alcune norme sulla responsabilità civile basata sulla colpa, tenendo conto delle caratteristiche uniche dell’IA (opacità, complessità e autonomia) che la differenziano dal software tradizionale. La certezza del diritto in materia di responsabilità civile è importante per ridurre i rischi e incoraggiare le imprese, in particolare le Pmi e le start-up, a investire in AI. Le norme armonizzate sulla responsabilità civile basata sulla colpa – rileva McGrath – riducono al minimo la frammentazione, creando un ambiente prevedibile per l’innovazione e garantendo al contempo la responsabilità’. Da notare che quest’ultima argomentazione è esattamente quella sostenuta dal relatore della direttiva, Axel Voss In secondo luogo, il commissario sottolinea che ‘la direttiva proposta non crea alcun onere amministrativo per le imprese (nessun obbligo di segnalazione, registrazione, documentazione) e rafforza la certezza del diritto’. Niente a che vedere, dunque, con ‘l’eccesso di regolamentazione’ denunciato da Vance, e neanche con la logica della semplificazione burocratica invocata dalla Commissione. In terzo luogo, continua McGrath, ‘la direttiva proposta non crea ulteriori ostacoli per le aziende, poiché si basa su obblighi che le aziende devono già rispettare ai sensi della legislazione europea o nazionale’. Quanto alla complementarietà della proposta di direttiva che si vuole ritirare rispetto al campo d’applicazione dell’AI Act e della direttiva sulla responsabilità civile dei prodotti, il commissario spiega che il primo ‘riduce i rischi per la sicurezza e i diritti fondamentali’, mentre la seconda ‘stabilisce la responsabilità senza colpa dei produttori per i prodotti difettosi, a vantaggio dei consumatori’. La proposta di direttiva Aild, invece, ‘copre la responsabilità civile per i danni causati dall’IA, collegati alla colpa di qualsiasi persona’ giuridica. E’ evidente, qui, la contraddizione già sottolineata in precedenza con quanto affermato dal portavoce Markus Lammert. ‘L’adattamento della responsabilità per colpa alle specificità dell’intelligenza artificiale consente a qualsiasi tipo di vittima di incidenti causati da sistemi di intelligenza artificiale di presentare una richiesta di risarcimento danni con successo e di ottenere un risarcimento’, conclude McGrath. Questa soluzione, se la direttiva verrà ritirata – come vuole la Commissione per piegarsi alle richieste americane -, non sarà più possibile secondo una normativa armonizzata europea, ma solo secondo quanto prevedono, se lo prevedono, 27 normative nazionali, diverse per ogni paese. Un regalo avvelenato per le Pmi e le start-up che vogliano espandersi nel mercato unico europeo. Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Corte penale internazionale sotto attacco, arriva lo “scudo” Ue

Corte penale internazionale sotto attacco, arriva lo “scudo” UeRoma, 7 feb. (askanews) – Le sanzioni Usa alla Corte penale internazionale sono state al centro del colloquio avvenuto a Bruxelles il 6 febbraio tra la giudice Tomoko Akane, presidente della Cpi, e il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa.


Era lecito attendersi che nel corso dell’incontro venisse toccato anche il tema del contrasto tra il governo italiano e il Tribunale dell’Aia sul caso Al-Masri, ma fonti europee ufficialmente smentiscono, affermando che “l’incontro si è concentrato sulle potenziali sanzioni statunitensi e sul modo in cui potrebbero influenzare l’istituzione. Il presidente Costa e il giudice Akane hanno discusso delle possibili modalità con cui l’Ue potrebbe rafforzare il proprio sostegno a un’istituzione chiave del diritto internazionale” e Costa “ha riaffermato il sostegno dell’Unione europea alla Corte”. Il contrasto tra Italia e Cpi comunque non accenna a smorzarsi. Le spiegazioni date al Parlamento italiano mercoledì dai ministri dell’Interno Matteo Piantedosi e della Giustizia Carlo Nordio, infatti, non hanno diradato i dubbi sulla scarcerazione del generale della polizia giudiziaria libica, conosciuto anche come il “torturatore di Mitiga”, e anzi hanno creato ulteriori richieste di spiegazioni da parte delle opposizioni che vogliono che in Aula si presenti a riferire la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che al momento tace. In particolare Nordio, nel suo intervento, ha puntato il dito contro la Corte dell’Aia che avrebbe inviato un atto “radicalmente nullo” compiendo quindi un “pasticcio frettoloso”. La Corte “invece di indagare dovrebbe essere indagata”, ha rincarato la dose oggi il vice premier Matteo Salvini, riprendendo un pensiero già espresso ieri dal collega ministro degli Esteri Antonio Tajani.


A fronte di questo clima, le istituzioni europee hanno fatto muro a difesa della Cpi. Costa, in un post su X dopo l’incontro, aveva tenuto a sottolineare che la Corte “svolge un ruolo essenziale nel rendere giustizia alle vittime di alcuni dei crimini più orribili del mondo” e che “indipendenza e imparzialità sono caratteristiche cruciali” del lavoro dei giudici dell’Aia. Sul tema è intervenuta oggi anche la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, sottolineando che la Cpi “garantisce la responsabilità per i crimini internazionali e dà voce alle vittime in tutto il mondo” e “deve poter contrastare senza limiti l’impunità globale”. E “l’Europa sosterrà sempre la giustizia e il rispetto del diritto internazionale”. Il caso Al-Masri arriva intanto al Parlamento europeo. Su richiesta del Movimento 5 stelle (gruppo The Left) martedì 11 febbraio è infatti in programma un dibattito in plenaria, con dichiarazioni del Consiglio Ue e della Commissione, sul tema “Protezione del sistema di giustizia internazionale e delle sue istituzioni, in particolare la Corte penale internazionale e la Corte internazionale di giustizia”. Durante il dibattito, ha annunciato l’europarlamentare del gruppo S&D Annalisa Corrado, membro della segreteria del Pd, “chiederemo ancora una volta chiarimenti sul caso Almasri: il Governo deve una spiegazione non solo al Paese, ma all’Europa intera”. I pentastellati Danilo Della Valle e Gaetano Pedullà porteranno in aula anche “il caso Netanyahu, il cui mandato di cattura internazionale va eseguito senza tentennamenti”.


Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli