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Il mistero (che non lo era) della chat di Palazzo Chigi

Il mistero (che non lo era) della chat di Palazzo ChigiRoma, 21 dic. (askanews) – Il chigista che arriva a Bruxelles per il Consiglio europeo è sempre contento di rivedere i colleghi e gli amici. I quali ne approfittano, da buoni “expat”, per aggiornarsi sulle comuni conoscenze e avere informazioni sull’Italia. Tra le curiosità di questo summit, una ci ha colpito. “Ma perché nella chat di Palazzo Chigi ora possono scrivere solo gli amministratori?”, chiede uno, strappando un sorriso amaro.


Partiamo da una spiegazione preliminare. Ormai le comunicazioni ai media si svolgono per lo più tramite chat. La comunicazione del Consiglio europeo usa Signal, ha una chat con oltre 800 iscritti, aperta, in cui tutti possono scrivere per chiedere informazioni, segnalare problemi (a volte anche banali, tipo la temperatura della sala stampa) e pure lamentarsi. Del resto se un giornalista fa una domanda, spesso la risposta è utile anche a tutti gli altri. In generale le risposte sono puntuali e abbastanza rapide. Palazzo Chigi si affida invece a WhatsApp con una chat istituzionale in cui sono presenti circa 520 utenti, “chiusa”, cioè in cui possono scrivere solo gli amministratori. Ed è sempre stato così. A questa chat istituzionale si affianca sempre, quando la presidente è in missione all’estero, un’altra chat creata ad hoc, in cui sono inseriti solo i giornalisti – inviati o corrispondenti – che seguono quel particolare appuntamento. Fino a qualche tempo fa tali canali erano aperti a tutti, si potevano chiedere informazioni di contenuto ma anche, semplicemente, di tipo organizzativo. “Adesso bisogna scrivere in privato, a volte non si sa a chi”, si lamenta l’amico bruxellese.


Quando e perché le chat delle missioni da aperte sono diventate chiuse è presto detto. Il punto di svolta è stato il viaggio a Pechino del luglio scorso. In quell’occasione ai giornalisti che erano arrivati dall’Italia per seguire gli incontri – particolarmente rilevanti anche alla luce della decisione di Meloni di uscire dal MOU sulla Via della Seta – fu detto che la presidenza cinese non aveva previsto posti per la stampa per seguire il bilaterale della premier con Xi Jinping. Poi sui canali internazionali furono trasmesse (da Reuters e Afp) le dichiarazioni dello “spray” iniziale, di cui gli italiani (pare anche lo staff della premier) non erano stati avvertiti. E soprattutto venne fuori che i cinesi avevano previsto sette posti per un “pool” stampa, ma Chigi aveva pensato di sfruttarne quattro per propri comunicatori vari (foto, video, social, ufficio stampa), senza assegnare i rimanenti. Ne era nata una rivolta, che si era scatenata sulla chat, con molti messaggi – seccati ma tutti civili, va detto – di rimostranze. Dalla trasferta successiva le chat sono state chiuse: scrivono solo gli amministratori. di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli

Ucraina, Ue si prepara ad arrivo Trump (e pensa a contingente di “pace”)

Ucraina, Ue si prepara ad arrivo Trump (e pensa a contingente di “pace”)Roma, 14 dic. (askanews) – L’Europa si prepara all’arrivo di Donald Trump alla Casa Bianca e a un eventuale disimpegno della nuova amministrazione Usa nel sostegno all’Ucraina.


Mercoledì 18 dicembre, a Bruxelles, su iniziativa del segretario generale della Nato Mark Rutte, si riuniranno il presidente Volodymyr Zelensky, il presidente francese Emmanuel Macron, il cancelliere tedesco Olaf Scholz, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il premier polacco Donald Tusk, il premier britannico Keir Starmer, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, il presidente del Consiglio europeo Antonio Costa. Sul tavolo, all’ora di cena, un confronto su un rafforzamento del sostegno a Kiev, in un momento in cui – sottolinea la Reuters che cita fonti vicine al dossier – i Paesi europei stanno intensificando i loro sforzi diplomatici di fronte alla prospettiva del ritorno di Trump, che chiede una rapida soluzione negoziale del conflitto innescato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia nel febbraio 2022. Zelensky e alcuni alleati europei dell’Ucraina hanno chiesto il dispiegamento di truppe europee nel Paese come garanzia di sicurezza in caso di accordo di pace con la Russia. E anche di questo discuteranno i leader. “Non si tratterà di una riunione in cui saranno prese decisioni concrete, ma piuttosto di un incontro politico per discutere delle settimane e dei mesi a venire”, ha dichiarato una fonte.


L’incontro, organizzato come detto da Rutte, si svolgerà lo stesso giorno del vertice Ue-Balcani occidentali a Bruxelles. Il giorno successivo, invece, si terrà il Consiglio europeo, il primo dall’entrata in funzione della nuova Commissione. Il neo presidente del Consiglio europeo, Antonio Costa, in funzione dal primo dicembre, ha già dato una nuova impronta al suo ruolo. Innanzitutto, ha intenzione di ridurre a una sola giornata i lavori delle riunioni dei vertici dei capi di Stato e di governo, che soprattutto negli appuntamenti di fine semestre, a dicembre e a giugno, erano generalmente previsti per due giorni. In secondo luogo, per il Consiglio europeo che inaugurerà il suo mandato, il prossimo 19 dicembre a Bruxelles, ha mandato la sua lettera di invito ai capi di Stato e di governo con largo anticipo rispetto a quanto hanno sempre fatto i suoi predecessori: la lettera è stata inviata 12 giorni prima del vertice invece che i due o tre giorni usuali finora.


“Il 19 dicembre – scrive Costa nel suo invito ai leader -, ho intenzione di iniziare puntualmente alle 10.30 con il nostro tradizionale scambio di opinioni con la presidente del Parlamento europeo”, Roberta Metsola, “seguito dalla discussione con il presidente ucraino Zelensky”, che è stato invitato a parlare al vertice “per condividere gli ultimi sviluppi sul campo e le sue opinioni su come l’Europa possa supportare al meglio l’Ucraina”. Seguirà “un dibattito tra di noi sull’Ucraina, dove faremo il punto della situazione e discuteremo il modo migliore per rispettare i nostri impegni nei confronti del popolo ucraino”. “Durante il pranzo – continua Costa -, discuteremo dell’impegno dell’Ue nel mondo”. Secondo presidente del Consiglio europeo “abbiamo bisogno di una discussione completa e strategica, senza conclusioni scritte, sulla strada da seguire per quanto riguarda il nostro impegno globale e le nostre priorità in uno scenario multipolare segnato da tensioni geopolitiche”. Innanzitutto, osserva Costa, “credo che l’allargamento dell’Ue sia il principale investimento geopolitico che possiamo fare nel nostro vicinato”. Guardando oltre il continente europeo, inoltre, l’Ue “può consolidare al meglio il suo ruolo sulla scena internazionale tessendo una rete più ampia e profonda di partner in tutto il mondo, essendo più consapevole dei loro interessi specifici ed esplorando il potenziale per interessi comuni”. Costa pone ai leader alcune domande che saranno discusse durante il pranzo di lavoro del summit: “Come possiamo utilizzare politiche e strumenti europei in modo più coerente, strategico ed efficace, per difendere i nostri interessi e promuovere le nostre posizioni? Come possiamo massimizzare l’impatto del nostro impegno globale facendo sì che gli Stati membri e le istituzioni europee uniscano le forze più di quanto non facciano già?”


Sarà importante, continua il presidente del Consiglio europeo, guardando al prossimo insediamento della nuova Amministrazione Trump negli Usa, “determinare come possiamo rafforzare il legame transatlantico, forgiato da una storia comune, basato su valori condivisi e riflesso in una fitta rete di scambi economici, difendendo allo stesso tempo i nostri interessi. Come può l’Europa accelerare i suoi sforzi per sostenere una quota maggiore del peso della propria sicurezza e difesa? Come possiamo sostenere al meglio gli interessi economici dell’Europa nel contesto di opinioni in evoluzione sul ruolo del commercio nel promuovere la prosperità per entrambe le sponde dell’Atlantico? Sorprende, a questo punto, l’assenza di una menzione esplicita dell’accordo storico appena siglato dall’Ue con il Mercosur, che tuttavia – e questo può spiegare il linguaggio prudente di Costa – deve ancora ricevere l’approvazione degli Stati membri e vede la forte opposizione della Francia e le perplessità di altri paesi come Polonia, Irlanda, Austria e Italia. Sarà inoltre discussa dai leader “la questione dello sviluppo di relazioni strategiche reciprocamente vantaggiose con il Regno Unito, in particolare nel campo della sicurezza e della difesa, nel rispetto dei principi fondamentali su cui si fonda la relazione Ue-Regno Unito dopo la Brexit”. Il successivo punto all’ordine del giorno sarà “l’importante rapporto di Sauli Niinisto (l’ex presidente finlandese, ndr) sul rafforzamento della preparazione e della prontezza civile e militare dell’Europa, su cui chiederemo al Consiglio Ue, all’Alto rappresentante e alla Commissione europea di portare avanti i lavori”. I capi di Stato e di governo passeranno poi ad affrontare “il lavoro in corso per intensificare l’attuazione del nostro approccio globale alla migrazione, concentrandoci sul seguito da dare alle decisioni passate, in particolare quelle prese nella riunione del Consiglio europeo dell’ottobre scorso”. L’ormai tradizionale lettera ai leader sull’immigrazione da parte della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, alla vigilia di ogni vertice Ue, “fornirà un utile contributo a questa discussione”, rileva Costa. L’agenda prevede poi ancora una discussione “sulla situazione in rapida evoluzione in Medio Oriente, e sul modo migliore in cui l’Unione europea può contribuire agli sforzi di de-escalation” nella regione. Come alla fine di ogni semestre, il vertice si concluderà con la presentazione, da parte del primo ministro ungherese Viktor Orban, del rapporto sui risultati dell’attuale presidenza di turno del Consiglio Ue, che è stata esercitata dal governo di Budapest. di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli

Ue, nella gara per la rincorsa a Trump Meloni segna un punto

Ue, nella gara per la rincorsa a Trump Meloni segna un puntoRoma, 14 dic. (askanews) – Con la photo opportunity di Notre Dame Giorgia Meloni ha messo a segno un punto importante (almeno mediaticamente) nella gara tra i leader europei ad accreditarsi come interlocutore privilegiato di Donald Trump. La missione a Parigi della premier è stata comunicata ai media italiani da Palazzo Chigi solo alle 20.53 del giorno precedente, con un ritardo che rivela come Meloni fosse interessata non certo all’evento ma alla possibilità di mostrarsi vicina al tycoon: ottenuto il contatto ha deciso di partire.


Un fatto che ci ha ricordato un po’ il 9 febbraio del 2023, quando la premier non era stata invitata al vertice sempre a Parigi tra Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Volodymyr Zelensky. In quell’occasione, la presidente del Consiglio era attesa a Bruxelles per il Consiglio europeo ma fino all’ultimo tentò di “imbucarsi”. I cronisti italiani, già presenti nella capitale belga, tracciavano minuto per minuto sull’app flightradar la rotta dell’aereo di Stato, che puntava decisamente verso la capitale francese, salvo virare all’ultimo momento per puntare il muso verso Bruxelles. In quel caso il tentativo fallì, e lei definì “inopportuna” la riunione; in questo caso l’aggancio è riuscito. Le diplomazie venerdì hanno lavorato fino all’ultimo momento per organizzare l’incontro. Sia quelle ufficiali che quelle “informali”. “Ho dato una piccola mano”, ha raccontato a ‘Un giorno da pecora’ Andrea Stroppa, l’informatico oggi braccio destro in Italia di Elon Musk. In che modo? “Aiutando Elon a conciliare la sua agenda con quella della Meloni. Io ho parlato con entrambi, poi si sono sentiti direttamente. Se uno può agevolare questi incontri lo fa. Magari trovando l’orario giusto in mezzo ai loro molti appuntamenti”.


L’incontro, con la foto scattata dal robot umanoide “Optimus” del fondatore di Tesla e pubblicata su X dallo stesso Stroppa, ha poi detto Trump, è stato “fantastico”, con una Meloni che aveva “molta energia”. Concetto ribadito anche giovedì 12: “E’ una leader e una persona fantastica”, ha detto il presidente eletto, che Meloni via X ha ringraziato per le “belle parole”. La premier sarà dunque a Washington il 20 gennaio per la cerimonia di giuramento (dove Matteo Salvini con la sua cravatta rosso Maga cerca da tempo di strappare un posto). Viktor Orban – l’unico che nell’Ue ha sostenuto apertamente Trump nella campagna elettorale – ha evidentemente “rosicato”, come si dice a Roma, ed è subito volato a Mar-a-Lago, ma sembra ormai decisamente scavalcato. “Quello tra Trump e Giorgia è un rapporto che naturalmente si è consolidato, sono due leader conservatori, anche caratterialmente sono due persone carismatiche e forti. Meloni diventerà naturalmente il ponte tra Washington e Bruxelles – dice a Europa Building Andrea Di Giuseppe, il deputato Fdi della Florida che ha tenuto i contatti con l’entourage trumpiano -. Non c’è un altro leader tra i Paesi fondatori che possa dialogare con Trump, sta all’Europa capire che la Meloni è un asset e non ci saranno alternative per l’Europa, che sarà chiamata a fare delle politiche diverse da quelle portate avanti fino adesso. Ma senza un ‘traduttore’, senza un ponte, la vedo difficile”. Quanto a Orban, “ha un ottimo rapporto con Trump, ma il peso dei due Paesi è molto diverso, con tutto il rispetto per l’Ungheria”. C’è da capire se questo rapporto rafforzerà la posizione di Meloni, o se invece la porterà a isolarsi in un’Europa in cui “la leadership franco-tedesca s’è indebolita” e “non vedo altre leadership in grado di guidare” l’Unione, come ha notato Mario Draghi. Senza citare la premier italiana.


di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli

Migranti, la storia della bambina scampata al naufragio parla all’Ue

Migranti, la storia della bambina scampata al naufragio parla all’UeRoma, 14 dic. (askanews) – Il silenzio di una bambina di 11 anni della Sierra Leone parla all’Europa, che dovrebbe ascoltarla. Yasmine è stata salvata – unica sopravvissuta – dopo il naufragio di un barcone con a bordo una quarantina di migranti al largo di Lampedusa. E’ stata raccolta, aggrappata a una camera d’aria che l’ha tenuta a galla, dall’equipaggio del Trotamar III. La nave di una di quelle Ong che il governo italiano chiama “taxi del mare”, quando non complici degli scafisti, e che ostacola in tutti i modi.


Tanto che – ad esempio – proprio ieri, 13 dicembre, la nave Geo Barents di Medici senza Frontiere ha annunciato il “ritiro” dal Mediterraneo a causa di “leggi assurde e insensate”. Tra queste il decreto Cutro, approvato dal governo in un Consiglio dei ministri svoltosi nella cittadina calabrese. Nel naufragio avvenuto nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023 morirono 94 persone. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella si recò a rendere omaggio alle vittime; Giorgia Meloni decise altrimenti, organizzando un Cdm e una conferenza stampa che tutti ricorderanno. Mentre i ministri erano chiusi in riunione nel palazzo comunale, incontrammo uno dei primi soccorritori arrivati sul posto. Aveva gli occhi vitrei di stanchezza e dolore. “Ho iniziato a tirare su cadaveri di bambini dall’acqua prima che arrivassero i rinforzi. E’ stata una cosa disumana, che non dimenticherò mai. E si poteva evitare, sarebbe bastato far intervenire subito i soccorsi; ma non è stato fatto”, raccontò. Quello che invece, da allora, è stato fatto è creare in Europa un clima sempre più ostile verso i migranti. Meloni ha convinto Ursula von der Leyen e altri leader che quella delle migrazioni sia la priorità dell’Europa. Ed è iniziata una rincorsa alla ricerca di soluzioni sempre più drastiche, passate dai centri italiani in Albania ai progetti dei “centri di rimpatrio in paesi terzi sicuri”, alle “soluzioni innovative”, fino al “modello Ruanda”.


Una rincorsa che si è vista anche negli ultimi giorni, in Italia e in diversi altri paesi dell’Ue come Austria e Germania, riguardo a quanto sta accadendo in Siria. Di fronte a un Paese martoriato da un feroce dittatore (Assad), il cui governo è finito in mano a miliziani che non sembrano certo brillare per progressismo e rispetto dei diritti, la reazione d’istinto, quasi immediata, è stato la sospensione delle richieste di asilo dei profughi siriani, appena 204 (!) in Italia, nei primi 9 mesi del 2024 secondo Eurostat. Siamo di fronte a una politica estera “dettata dall’ossessione per i migranti”, come scrive David Carretta sul “Mattinale europeo”, che rischia di far naufragare il progetto europeo. Il neo commissario agli Affari interni e Immigrazione, l’austriaco Magnus Brunner, ha fornito alcuni chiarimenti, durante la conferenza stampa al termine del Consiglio affari interni di giovedì 12 dicembre, sulla prossima attuazione del Patto migratorio dell’Ue e sulla legislazione ulteriore che la Commissione europea sta preparando riguardo ai rimpatri dei migranti a cui è stato negato l’asilo ( comprese disposizioni sulla loro eventuale deportazione nei cosiddetti “hub di rimpatrio” in paesi terzi sicuri), e alla definizione di una nuova lista comune europea dei paesi terzi sicuri (che oggi non esiste). “L’attuazione del Patto per l’immigrazione e l’asilo – ha detto Brunner – sarà un enorme traguardo per migliorare l’Unione europea, per assicurare che l’immigrazione sia gestita in modo fermo ma giusto. In questi giorni riceveremo i piani di attuazione nazionali del Patto da parte degli Stati membri, che analizzeremo attentamente per procedere in modo più rapido in certe aree”.


Ma il Patto non risolverà tutti i problemi. “C’è un compito – ha sottolineato il commissario – che non abbiamo ancora completato, quello sui rimpatri: nessuno comprende perché le persone che non hanno il diritto di restare nell’Unione europea non siano poi rimpatriate. La nuova legislazione sui rimpatri dovrà essere presentata rapidamente. Ci concentreremo su tre elementi: prima di tutto, decisioni più rapide sui rimpatri; in secondo luogo, gli obblighi di cooperazione per le persone che sono già state oggetto di decisioni di rimpatrio; e, terzo, il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni di rimpatrio. Ci stiamo lavorando, la legislazione – ha aggiunto Brunner – deve essere fatta il più presto possibile; speriamo di riuscirci entro il primo trimestre del prossimo anno. La consultazione è iniziata oggi, anche a livello politico”. Per quanto concerne i paesi terzi sicuri, “dovremo discuterne, non ci siamo ancora arrivati, siamo ancora lontani”, ha osservato Brunner. “Ne dobbiamo discutere dal mese prossimo, parallelamente alla legislazione sui rimpatri. Ci sono molte domande, ovviamente, su questo argomento; e penso che faccia parte delle ‘nuove soluzioni’, della discussione sulle soluzioni innovative”, che sono menzionate nelle conclusioni del Consiglio europeo di ottobre. “Avremo questa discussione fra tutti gli Stati membri e tra gli stati membri e la Commissione”.


“La legislazione sui rimpatri – ha precisato poi Brunner – è prevista per il primo trimestre del 2025. Riguardo alla lista dei paesi terzi sicuri, invece, parliamo del secondo trimestre del 2025, ovvero entro giugno 2025”. Quanto agli hub di rimpatrio, e alle dichiarazioni del ministro italiano dell’Interno, Matteo Piantedosi, secondo cui gli altri paesi Ue guarderebbero all’accordo Italia-Albania come modello da seguire, il commissario ha affermato: “Penso che dobbiamo ancora trovare un’intesa comune sui cosiddetti ‘hub di rimpatrio’. La mia interpretazione è che il loro campo di applicazione riguarderà solo le persone per cui è stata già emessa una decisione di rimpatrio. Questa – ha insistito – è la mia interpretazione”. In altre parole, al contrario di quanto aveva fatto capire Ursula von der Leyen con le sue dichiarazioni al termine del Consiglio europeo di ottobre, tra le “soluzioni innovative” che verranno proposte nella futura legislazione europea non sarà previsto il “modello Ruanda”, ovvero la possibilità di deportare in paesi terzi sicuri i migranti che avrebbero diritto all’asilo. Inoltre, ha aggiunto Brunner, “dovremo affrontare anche il coinvolgimento delle agenzie dell’Ue e delle organizzazioni internazionali, ed esaminare questo aspetto nei dettagli. E penso anche che dovremo costruire una base ancora più solida nella dimensione esterna della migrazione, poiché avremmo bisogno di partner, ovviamente, di paesi partner per rimpatriare le persone. Insomma, ci sono molti elementi a cui dobbiamo pensare, molte domande a cui dobbiamo rispondere. E poi, naturalmente, il rispetto dei diritti fondamentali, tra cui il principio di non respingimento, resta una precondizione”, ha concluso il commissario. Vale la pena di ricordare che il principio di non respingimento (“non refoulement”), sancito dall’art.33 della Convenzione di Ginevra, vieta l’allontanamento forzato di un migrante irregolare verso un paese in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate, indipendentemente dal fatto che abbia ottenuto o meno lo status di rifugiato, o che abbia formalizzato una richiesta d’asilo. Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli

Fitto, un vero democristiano al servizio della Commissione Ue

Fitto, un vero democristiano al servizio della Commissione UeRoma, 14 dic. (askanews) – Se mai ce ne fosse stato bisogno (soprattutto dopo le inverosimili e infondate accuse, che gli sono state rivolte da vari europarlamentari verdi, liberali, socialisti e di estrema sinistra, durante il processo delle audizioni di conferma, di essere un fascista, o comunque di estrema destra), Raffaele Fitto ha dimostrato oltre ogni dubbio, alla sua prima uscita pubblica come neo vicepresidente esecutivo della Commissione europea responsabile per la Coesione e le Riforme, di essere un vero “democristiano”, con certificato d’origine. E’ successo giovedì 12 dicembre a Bruxelles, durante il suo intervento davanti a una riunione congiunta del Comitato delle Regioni dell’Ue (Cdr) e della commissione Affari regionali del Parlamento europeo.


L’assegnazione, per la prima volta, del portafoglio della Politica di coesione e delle riforme a una vicepresidenza esecutiva della nuova Commissione europea “è un riconoscimento del fatto che l’Europa non può andare avanti senza una forte coesione”, e “invia un forte segnale” che evidenzia “il ruolo centrale delle regioni, sottolineando che rimarranno al centro del nostro lavoro”, ha rilevato Fitto. E “per la prima volta, la politica di coesione e le riforme saranno sotto la stessa guida di altre politiche europee cruciali come agricoltura, trasporti, turismo, pesca e ‘blue economy’”, ha detto l’ex ministro italiano della Coesione, del Pnrr e degli Affari europei, ex presidente della Regione Puglia, ex membro dello stesso Cdr e della stessa Commissione parlamentare per le Politiche regionali a cui si stava rivolgendo. Nonostante le sue rassicurazioni ai rappresentanti delle regioni dell’Ue sulla “centralità” del loro ruolo, Fitto, tuttavia, non ha mai negato, né menzionato esplicitamente, il controverso progetto della Commissione di “nazionalizzare” la gestione delle politiche di coesione e dei fondi strutturali dell’Ue, stravolgendo l’attuale assetto che la affida alle regioni, in un rapporto diretto e dialettico con Bruxelles. Si tratta di un progetto della presidente Ursula von der Leyen, trapelato sulla stampa nel giugno scorso ma mai confermato formalmente dalla Commissione, che sostituirebbe all’attuale sistema di programmazione dei progetti da finanziare, negoziati direttamente con le regioni, un nuovo modello più centralizzato, simile a quello del Pnrr, che avrebbe al centro gli Stati nazionali invece delle amministrazioni locali, e in cui l’esborso dei fondi sarebbe condizionato non solo alla realizzazione dei singoli progetti ma anche a determinate riforme strutturali che gli Stati dovrebbero garantire di attuare (“cash-for-reform”). Ben 530 diversi programmi Ue “trasversali” che oggi vanno a beneficio delle regioni, finanziati con le due voci di bilancio più importanti dell’Ue, quelle per la Politica di coesione e per la Politica agricola comune, verrebbero ristrutturati in modo da diventare 27 programmi nazionali, uno per Stato membro.


Von der Leyen intenderebbe applicare il nuovo modello a partire dal prossimo Quadro di bilancio comunitario pluriennale, 2028-2034, che la nuova Commissione dovrebbe presentare a fine 2025, per avviare il lungo e complicatissimo negoziato con gli Stati membri e con il Parlamento europeo, per l’adozione del Quadro di bilancio entro fine 2027. Nella Commissione, a quanto è dato capire, oltre alla stessa presidente von der Leyen, sarebbero il nuovo commissario al Bilancio, il polacco Piotr Serafin, e lo stesso Raffaele Fitto ad avere la responsabilità di coordinare e attuare questa grande trasformazione, negoziando i piani nazionali. E non è assolutamente un caso che il portafoglio di Fitto sia intitolato, appunto, “Coesione e Riforme”. Peraltro va ricordato che in Italia Fitto è stato l’artefice della riforma dei fondi di coesione, con un decreto legge che ha introdotto un “coordinamento” sugli interventi tra i livelli regionali e nazionale, con la firma di “patti” di coesione, meccanismi di incentivazione sulla base dell’attuazione dei progetti ma anche la possibilità di attivare “poteri sostitutivi” statali in caso di inerzia delle amministrazioni locali.


Il Cdr e circa 150 singole Regioni si sono già espresse contro questo progetto, il negoziato si annuncia difficile. Ma Fitto nel suo intervento di giovedì scorso si è limitato a rassicurare i suoi interlocutori sul fatto che “le regioni, le città e i cittadini europei saranno in prima linea nella missione” che gli è stata assegnata. L’unico cenno, implicito e sibillino, che il vicepresidente esecutivo ha fatto al progetto di von der Leyen, lo si può leggere in questo suo avvertimento: “La politica di coesione deve essere rafforzata e modernizzata, non solo in termini di riduzione delle disparità” tra le regioni, “ma anche a sostegno delle priorità europee: la transizione verde e digitale, la sicurezza geopolitica e le industrie strategiche, la competitività, la preparazione per un futuro allargamento” dell’Unione. “Per fare ciò, la politica di coesione dell’Ue deve evolvere”, ha concluso Fitto. Democristianamente. Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Ue-Mercosur accordo storico, ma bisogna convincere l’Italia

Ue-Mercosur accordo storico, ma bisogna convincere l’ItaliaRoma, 6 dic. (askanews) – L’atteso accordo politico Ue-Mercosur, concluso e annunciato il 6 dicembre a Montevideo da Ursula von der Leyen e dai presidenti di Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, è pronto. Adesso ci sarà da convincere i Paesi recalcitranti (tra cui l’Italia), spesso sensibili alle lobby agricole.


‘Non è solo un’opportunità economica, è anche una necessità politica’, mentre ‘forti venti soffiano nella direzione opposta, verso l’isolamento e la frammentazione. Ma questo accordo è la nostra risposta chiara. Siamo uniti sulla scena globale, come partner’, ha detto la presidente della Commissione Ursula von der Leyen. I ‘venti contrari’ sono quelli del protezionismo che sta prevalendo, con le nuove tensioni internazionali, la guerra in Ucraina e l’ostilità tra la Russia e l’Occidente, la rivalità economica e geopolitica della Cina, le minacce di una nuova stagione di dazi e sanzioni da parte della nuova amministrazione Trump negli Stati Uniti.


L’Europa e l’America latina appartengono alla stessa cultura e condividono storia, civiltà e valori, ma da 25 anni non riuscivano a concludere i negoziati per quest’accordo che comporterà enormi benefici per entrambe le parti. Sarà ‘uno dei più grandi partenariati per il commercio e gli investimenti che il mondo abbia mai visto’, con ‘un mercato di oltre 700 milioni di consumatori’, e significherà, ha sottolineato von der Leyen, ‘più posti di lavoro, e migliori, con più scelta, e prezzi più bassi’. Oltre ad abbattere i dazi alle dogane e le altre barriere agli scambi, il partenariato ‘rafforzerà le catene del valore; svilupperà industrie strategiche; sosterrà l’innovazione’. Per l’Ue, si prevedono vantaggi pari a 4 miliardi all’anno solo dalla riduzione degli attuali dazi alle esportazioni nel Mercosur (sulle auto e parti di ricambio, sui macchinari, sui prodotti chimici e farmaceutici, su abbigliamento e calzature, su alcol e vini, sul cioccolato, sulla pasticceria). E ci sarà anche un capitolo dedicato alla facilitazione dell’approvvigionamento di diverse materie prime critiche, necessarie per la transizione energetica (litio dall’Argentina, alluminio, grafite, niobio, manganese, vanadio e tantalo dal Brasile). Per i paesi del Mercosur, l’ambizione è quella di sviluppare più attività economiche ad alto valore aggiunto, invece di affidarsi solo all’esportazione delle materie prime.


Perché, allora, ci sono diversi paesi europei (la Francia, innanzitutto, a cui si sono aggiunte la Polonia, l’Irlanda, l’Austria, e ora anche l’Italia) che esprimono cautela, o insoddisfazione e perplessità, fino a una netta contrarietà a questo accordo? Al cuore di questa opposizione ci sono le lobby agricole, e soprattutto il comparto dell’allevamento, ma d’altra parte ci sono altri comparti, come quello vinicolo e i prodotti a denominazione d’origine protetta che hanno tutto da guadagnare dall’apertura del mercato latino americano, con la garanzia della tutela delle Dop. Il Copa-Cogeca, la confederazione delle associazioni di categoria agricole dell’Ue, ha sottolineato le proprie rivendicazioni in una nota in cui afferma che il settore ‘rimane particolarmente vulnerabile alle concessioni fatte nel capitolo agricolo sbilanciato di questo accordo. Comparti sensibili come carne di manzo, pollame, zucchero, etanolo e riso affrontano rischi maggiori di saturazione del mercato e perdita di reddito a causa dell’afflusso di prodotti a basso costo’ che si prevede dai paesi del Mercosur. Questi paesi, lamenta il Copa-Cogeca, ‘non soddisfano gli standard di produzione richiesti all’agricoltura dell’Ue, sia in termini di prodotti fitosanitari, che di benessere degli animali e pratiche di sostenibilità (ambientale, ndr). Le nazioni del Mercosur operano anche con norme sulle condizioni di lavoro e sicurezza inferiori, ciò che consente loro di produrre a costi inferiori, e rende impossibile una concorrenza leale per i produttori dell’Ue’.


Queste critiche sono riprese nella posizione espressa dal governo italiano alla vigilia dell’Accordo, anche se in questo caso sono declinate più come una puntualizzazione di ciò che va garantito e controllato attentamente che non come una bocciatura netta. ‘Va garantito che le norme europee sui controlli veterinari e fitosanitari siano pienamente rispettate e, più in generale, che i prodotti che entrano nel mercato interno rispettino pienamente i nostri standard di protezione dei consumatori e controlli di qualità’, sottolinea Palazzo Chigi. E aggiunge: ‘Serve un fermo impegno della Commissione a monitorare costantemente il rischio di perturbazioni del mercato e, in tal caso, ad attivare un rapido ed efficace sistema di compensazione, dotato di risorse finanziarie consistenti’. In realtà, le critiche all’Accordo non si riferiscono al testo attuale, ancora non pubblicato, ma a quello che era stato concordato con il Mercosur nel giugno 2019, e poi bloccato dalla marcia indietro del Brasile sugli impegni contro la deforestazione, sotto la presidenza Bolsonaro. Questo, almeno, rilevano fonti della Commissione, facendo notare che ci sono state negli ultimi mesi di negoziato tecnico notevoli aggiunte e modifiche, a cominciare dall’inserimento di una clausola secondo cui il partenariato potrà essere sospeso nel caso in cui una delle parti violi gravemente l’accordo di Parigi sul clima o decida di uscirne. Ci sono poi impegni legali concreti, non solo a livello politico, per fermare la deforestazione entro il 2030, e nuove disposizioni sugli appalti pubblici, sui dazi all’esportazione e sui veicoli. Ma soprattutto, la Commissione, e i paesi favorevoli all’Accordo avranno ora il compito di cercare di convincere gli Stati membri contrari del fatto che le loro preoccupazioni sono in realtà affrontate adeguatamente nel nuovo testo. Che i prodotti importati dal Mercosur rispetteranno le stesse norme fitosanitarie, di sicurezza alimentare (per esempio sui limiti ai residui di pesticidi, e i divieti all’uso degli antibiotici o degli ormoni negli allevamenti), e le stesse norme ambientali e sulle condizioni di lavoro (con il rispetto delle convenzioni dell’International Labour Organization) che si applicano nell’Ue. Un altro elemento importante dell’Accordo, a garanzia del settore agricolo europeo, sono le clausole sull’accesso limitato al mercato Ue, con il sistema delle quote, dei ‘prodotti sensibili’ importati dal Mercosur: carne di manzo, pollame, zucchero, etanolo, miele e riso. Inoltre, se le importazioni dal Mercosur dovessero impennarsi all’improvviso e provocare serie perturbazioni di mercato, potrà essere sospeso il loro ‘trattamento preferenziale’, ristabilendo temporaneamente dei dazi più alti. L’Accordo verrà pubblicato la settimana prossima, ma la Commissione deve ancora decidere la base giuridica, ovvero se sottoporlo poi all’approvazione del Parlamento europeo e degli Stati membri come un pacchetto unico, con competenze ‘miste’ – quella commerciale esclusiva dell’Ue e quella sulla cooperazione e gli aspetti politici di competenza dei paesi membri – o se se separare la procedura di ratifica su due diversi binari. Va considerato che un ‘accordo misto’ richiederebbe l’approvazione da parte dell’Ue e di tutti i suoi Stati membri (all’unanimità e con ratifiche nei parlamenti nazionali) sull’intero accordo prima che possa entrare pienamente in vigore. Se la Commissione sceglierà invece di procedere con il doppio binario, con due testi giuridicamente separati (pur se in unico pacchetto), sarebbe possibile anche un accordo provvisorio sulla sola parte commerciale, con le disposizioni che rientrano nella competenza esclusiva dell’Ue, che richiederebbe solo la ratifica del Parlamento europeo e della maggioranza qualificata del Consiglio Ue, senza le ratifiche dei parlamenti nazionali. In questo caso, che è quello più probabile, diventerà particolarmente importante per la Commissione cercare di convincere l’Italia, perché la sua eventuale opposizione, al fianco della Francia e di uno o due paesi più piccoli, basterebbe a determinare una minoranza di blocco e rendere impossibile la maggioranza qualificata in Consiglio Ue. di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Ue, la scommessa (sbagliata) di Socialisti e Liberali contro Fitto

Ue, la scommessa (sbagliata) di Socialisti e Liberali contro FittoRoma, 6 dic. (askanews) – La nuova Commissione von der Leyen ha cominciato finalmente a lavorare, ma restano più forti che mai i dubbi sulla tenuta della “maggioranza europeista” (Ppe, S&D, Renew, spesso con l’appoggio dei Verdi) che aveva garantito all’esecutivo comunitario, negli ultimi cinque anni, la possibilità di portare a termine una serie impressionante di atti legislativi, soprattutto nell’ambito del Green Deal. Ma sono proprio i risultati di quello sforzo legislativo senza precedenti – se si esclude il periodo glorioso dell’unificazione del mercato comune e della costruzione della moneta unica sotto la guida di Jacques Delors – che ora vengono rimessi in questione dalla possibile maggioranza alternativa di destra che il Ppe sembra intenzionato a tenere in riserva, pronto a ricorrervi quando lo deciderà, per far passare, con il sostegno dell’estrema destra, direttive, regolamenti ed emendamenti inaccettabili per il centro-sinistra.


Dopo un primo tentativo, fallito grazie all’opposizione degli Stati membri, di modificare il regolamento già adottato contro la deforestazione, il Ppe ci riproverà a breve, con il regolamento che prevede entro il 2035 l’azzeramento delle emissioni di CO2 dagli autoveicoli immessi sul mercato. In questo caso, c’è già un numero consistente di Stati membri, con l’Italia in prima fila, che sollecita una vistosa retromarcia sugli obiettivi obbligatori di riduzione delle emissioni delle auto, a partire da quelli già fissati per il 2025. “Non possiamo inseguire la decarbonizzazione al prezzo della desertificazione economica”, ripete spesso la premier. Giovedì 5 dicembre, Matteo Salvini, a Bruxelles per il Consiglio Trasporti dell’Ue, ha attaccato von der Leyen per aver proposto il “tutto elettrico dal 2035. Che è solo un enorme regalo alla Cina e un suicidio economico, ambientale, sociale e industriale” per l’Europa. “Chi continua a sostenere che bisogna mettere al bando i motori a benzina o diesel, o è ignorante, o è matto, o è al libro paga di qualcun altro che non vive in Europa. Non ci sono altre soluzioni”, ha detto ancora il leader della Lega, secondo cui von der Leyen nei suoi primi cinque anni di mandato “ha commesso un errore clamoroso, oggettivo, devastante, evidente”. Ma, ha aggiunto, “conto che nei prossimi cinque anni cambi verso. Il gruppo dei ‘Patrioti’ (la formazione di estrema destra al Parlamento europeo, di cui fa parte la Lega, ndr) sarà determinante per diverse votazioni e per molti dossier in Parlamento europeo, a differenza di quello che eravamo cinque anni fa”, ha concluso Salvini.


C’è da chiedersi se l’annunciato pacchetto legislativo del “Clean Industry Act”, che sarà presentato dalla nuova Commissione, più che una prosecuzione del Green Deal non possa configurarsi come un’occasione per rimettere mano a diverse parti della legislazione già adottata nella scorsa legislatura: come, appunto, le norme sulle emissioni delle auto, e poi magari anche il mercato dei permessi di emissioni (Ets) che è stato riformati e allargato a nuovi settori, nonché i nuovi “dazi climatici” (Cbam) all’importazione di energia, acciaio, prodotti chimici, cemento e fertilizzanti, che entreranno in vigore gradualmente a partire dal 2028. A parte il Green Deal, inoltre, è noto che la nuova Commissione presenterà nei prossimi mesi due nuove proposte legislative sull’immigrazione: una nuova “direttiva rimpatri”, e una lista comune dei “paesi terzi sicuri” in cui potranno essere deportati dall’Europa i migranti senza diritto d’asilo e in attesa di rimpatrio, e forse anche quelli che avrebbero diritto alla protezione internazionale nell’Ue. È altamente probabile che queste misure trovino una netta opposizione da parte del centro-sinistra nel Parlamento Europeo, e che passino alla fine con l’appoggio della “maggioranza Venezuela”, ovvero con un accordo tra il Ppe e i conservatori dell’Ecr di Giorgia Meloni, sostenuto dai due gruppi dell’estrema destra, Esn e “Patrioti”.


La seconda Commissione von der Leyen si troverà probabilmente a scendere a patti sulle normative europee con chi non crede all’integrazione europea e aspetta solo l’occasione giusta per smantellare l’Europa comunitaria e sostituirla con “l’Europa delle nazioni”, a legiferare sul Green Deal con l’appoggio di chi si oppone al Green Deal, e sull’immigrazione con chi non riconosce in pieno i diritti basilari degli immigrati e il diritto d’asilo. I veri europeisti, insomma, finiranno con il ritrovarsi all’opposizione della Commissione e in minoranza nelle altre istituzioni europee, in Parlamento e in Consiglio, dove i governi sono ormai sempre più di centro destra. Invece di costruire una coalizione basata su un programma di compromesso comune, von der Leyen ha assunto come proprio l’intero programma del Ppe, comprese le sue parti che gli altri membri della vecchia “maggioranza Ursula” non possono accettare. Come è stato possibile? Dove hanno sbagliato i gruppi del centro-sinistra, i Liberali di Renew, i Socialisti e Democratici, i Verdi? Avrebbero potuto chiedere a von der Leyen un impegno chiaro e preciso: quello di esercitare il potere della Commissione di ritirare le proprie proposte legislative se e quando dovessero essere approvate con il sostegno dell’estrema destra, con modifiche che ne comprometterebbero l’integrità, stravolgendone gli obiettivi. Ma nessuno di questi gruppi ha posto questa condizione alla presidente della Commissione, prima di eleggerla per il suo secondo mandato, a luglio, né al momento del voto di fiducia al nuovo esecutivo comunitario. I tre gruppi hanno preferito, invece, concentrarsi sulla richiesta di togliere la vicepresidenza esecutiva attribuita a Raffaele Fitto, come se quello fosse il problema, come se avere Fitto come semplice commissario fosse una garanzia sufficiente a scongiurare il ripetersi della “maggioranza Venezuela” durante il processo legislativo. Privare il commissario italiano del suo ruolo di vicepresidente non sarebbe bastato comunque, ma il centro-sinistra e i Verdi non hanno ottenuto nulla. di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Ue, Von der Leyen taglia i portavoce, aumenta controllo sulla comunicazione

Ue, Von der Leyen taglia i portavoce, aumenta controllo sulla comunicazioneRoma, 6 dic. (askanews) – Il primo atto concreto della nuova Commissione europea è stato, il giorno dopo la sua entrata in funzione il primo dicembre, la presentazione alla stampa del nuovo servizio dei portavoce, guidato dalla portoghese Paula Pinho. La grande novità sta nel numero ridotto dei portavoce veri e propri, quelli che parlano dal podio in sala stampa durante i briefing dell’esecutivo comunitario. Saranno 14 in tutto, ma in realtà solo 11 con specializzazioni tematiche precise, perché due di essi sono i vice della numero uno Paula Pinho, con compiti di coordinamento generale.


Von der Leyen ha portato alle estreme conseguenze una trasformazione “presidenzialista” che era già cominciata nel 2014, con la commissione di Jean-Claude Juncker, per iniziativa del suo capo di gabinetto, il tedesco Martin Selmayr. Fino ad allora, c’era un portavoce per ogni commissario europeo, più alcuni “coordinatori”. Selmayr spezzò il legame che univa ciascun portavoce al “proprio” commissario e al suo gabinetto (e alle direzioni generali di sua competenza), e rese il servizio dipendente direttamente e pressoché unicamente dalla presidenza della Commissione. Negli ultimi dieci anni, comunque, era rimasto in voga il sistema che assegnava la competenza per un portafoglio (raramente due, ma collegati tra loro) a ogni portavoce. In questo modo, ognuno di loro era, o diventava presto, specializzato nei temi da trattare con la stampa. Con la nuova Commissione, invece, 11 persone si dividono le competenze per i portafogli di 26 commissari, secondo una logica dei “cluster” che riproduce in gran parte le nuove divisioni del lavoro stabilite dall’onnipotente capo di gabinetto di von der Leyen, Bjoern Seibert, tedesco anche lui.


Ad esempio, il portavoce Maciej Berestecki, che si occuperà delle competenze di Raffaele Fitto (Coesione e Riforme), sarà responsabile anche per la comunicazione riguardo ai portafogli dei tre commissari che il vicepresidente esecutivo italiano avrà il compito di coordinare: Pesca, Agricoltura e Trasporti. Un altro portavoce, Olof Gill si occuperà di Sicurezza economica, Commercio, Dogane, Servizi finanziari, Relazioni interistituzionali. Anna-Kaisa Itkonen risponderà sulle Politiche climatiche, Energia, Politica degli alloggi, Ambiente e Tassazione. Markus Lammert sarà competente per Affari interni, Democrazia, Giustizia, Stato di diritto. E Lea Zuber per la Concorrenza, il Mercato interno e la Strategia industriale.


Sono solo alcuni esempi, che rendono bene l’idea della grande complessità dei compiti per ciascuno di questi portavoce. I quali non potranno più partecipare (come succedeva in passato) alle riunioni dei gabinetti di tutti i commissari responsabili delle competenze loro assegnate. E meno conosceranno in profondità i temi sui quali dovranno rispondere alla stampa (di cui a volte non si sono mai occupati finora), più si atterranno alla “line to take”, fissata nelle dichiarazioni scritte fornite loro dai servizi, e spesso direttamente dal gabinetto di von der Leyen.

Ue, se la Finlandia sembra il paradiso della stampa

Ue, se la Finlandia sembra il paradiso della stampaRoma, 6 dic. (askanews) – Una boccata d’aria fresca arriva dalla Finlandia per i “chigisti” – i giornalisti italiani che seguono Palazzo Chigi, sede della Presidenza del Consiglio – abituati a lottare contro agende che (quando ci sono) cambiano continuamente e informazioni con il contagocce, che costringono non di rado a mettere in piedi trasferte all’ultimo momento, e spesso a cambiarle e smontarle. Con grande affanno e dispetto per uffici viaggi e amministrazioni, di fronte a biglietti aerei, prenotazioni alberghiere e denaro buttati.


Si diceva della Finlandia. Giorgia Meloni sarà a Saariselka in Lapponia il 21 e 22 dicembre per il primo vertice europeo Nord-Sud, presenti oltre al padrone di casa Petteri Orpo, i colleghi di Svezia Ulf Kristersson e Grecia Kyriakos Mitsotakis, l’Alto Rappresentante dell’Unione Europea per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza Kaja Kallas. Nel pomeriggio di lunedì 2 dicembre da Palazzo Chigi arriva un “off” in cui si annuncia la partecipazione della premier e si danno, oltre a un breve contesto, informazioni su luogo del summit, aeroporto più vicino, temperature medie e la dicitura che “non sono ancora disponibili info riguardo accrediti ed eventuale presenza di un media center”. Il buon chigista si dà quindi da fare per trovare i voli (qualcuno partirà da Bruxelles, altri da Roma) e un hotel in una località piccola, con poche strutture e peraltro in altissima stagione, ché questo è il paese di Babbo Natale. In quattro e quattr’otto la logistica è sistemata, a caro prezzo visto che così all’ultimo momento tanto il costo degli aerei quanto quello degli hotel è alle stelle. Manca da definire la questione, non secondaria, di un accredito da fare. Di cui non si hanno notizie nel palazzo di piazza Colonna. Ma i “chigisti” sono abituati al fai-da-te e allora il 3 vanno sul sito del governo finlandese, trovano una generica mail stampa “info@…” e chiedono informazioni. Tempo poche ore e arriva la risposta da ben due addetti alla comunicazione. Questo il testo:


“Dear XXX, have learned that you have only lately got information about the Saariselka Summit. It will be busy, but I´m sure we can make this work together

Ue, chi è il nuovo ministro per gli Affari europei Tommaso Foti

Ue, chi è il nuovo ministro per gli Affari europei Tommaso FotiRoma, 6 dic. (askanews) – “A destra da sempre”, sempre ligio alla disciplina di partito, fedelissimo di Giorgia Meloni. Così viene descritto Tommaso Foti, il successore di Raffaele Fitto come ministro per gli Affari europei, il Pnrr e la Coesione. Quasi un “premio alla carriera” per questo orgoglioso piacentino, interista sfegatato, che nella sua lunga carriera politica ha più volte sfiorato incarichi di primo piano, salvo poi restarne escluso. In realtà l’idea di Meloni sarebbe stata quella di tenersi l’interim dei rapporti con Bruxelles, una scelta che però le è stata “sconsigliata” dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella (e dagli “appetiti” degli alleati Lega e Forza Italia). Dunque la premier ha messo in atto la tecnica già usata per la successione di Gennaro Sangiuliano: dimissioni di Fitto e nomina immediata di Foti, senza dare spazio a eventuali discussioni interne alla maggioranza.


Nato il 28 aprile 1960, diploma di liceo scientifico, con una buona “familiarità” con l’inglese, Foti (“Masino”, per gli amici) è un parlamentare di lunghissimo corso, con sei legislature alle spalle. Il suo impegno politico, nella regione “rossa” per eccellenza, l’Emilia Romagna, inizia nel “Fronte della gioventù”, l’organizzazione giovanile del Movimento sociale italiano. Il suo primo ispiratore fu Carlo Tassi, deputato missino e avvocato molto apprezzato, ricordato anche per indossare sempre la camicia nera, per una “promessa” – raccontava lui stesso – fatta da bambino a Benito Mussolini. Per il Msi viene eletto nel settembre del 1980 consigliere comunale di Piacenza, ruolo che ricopre fino al 1994. Proprio nel 1994 partecipa alla fondazione di Alleanza nazionale, il partito creato da Gianfranco Fini. Nel 1996 viene eletto in Parlamento e nella primavera del 2009 partecipa alla fondazione del partito unitario del centro-destra Il Popolo della Libertà. Da questo però si stacca nel 2012, quando è tra i fondatori di Fdi, insieme a Meloni, Guido Crosetto, Ignazio La Russa, Fabio Rampelli. Con i Fratelli d’Italia si candida nel 2013, ma non viene eletto (del resto era ancora un ‘partitino’). Eletto invece nel 2018, quando assume l’incarico di vice capogruppo vicario alla Camera, nell’attuale legislatura è stato eletto capogruppo. Fino alla “promozione” a ministro. Descritto come “spigoloso” ma capace di mediazioni al momento opportuno, Foti ha sicuramente l’esperienza per gestire alleati e tecnici con cui avrà a che fare per la gestione del Pnrr e dei fondi di coesione. Quel che manca pare essere invece un profilo di stampo europeo e internazionale e la consuetudine con i meccanismi di Bruxelles. A proposito di Europa, recentemente ha espresso la sua contrarietà al green deal “che rischia di ridurre a ben poco l’industria europea. La rivoluzione verde porterà povertà è disoccupazione. Il buon senso prima delle ideologie suggerisce di fermarsi in tempo”. Così come a una impostazione economica fatta solo di “virgole o logaritmi”. Per questo, prima delle elezioni europee, aveva auspicato “un’alleanza di centrodestra anche in Europa”. Anche quando ci fu da votare in Parlamento la ratifica del Mes (bocciata) aveva espresso la “ferma contrarietà” del partito, anche perchè “se ci viene posto come un prendere o lasciare, più che un trattato o un accordo a me appare come un diktat”.


Pur tenendo uno stile sempre istituzionalmente corretto, ogni tanto gli è scappato qualche ‘scivolone’ come quando il 25 aprile 2020 – nel giorno della festa della liberazione – pubblicò una sua foto in cui indossava una mascherina nera con il motto mussoliniano “Boia chi molla”. Un post che accese le polemiche e portò alcune opposizioni a chiederne le dimissioni. Lui lo rimosse, spiegando di essere stato equivocato e di voler semplicemente intendere che anche quel giorno era regolarmente al lavoro. di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli