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Transizione energetica: accordo di collaborazione tra Terna e Rse

Transizione energetica: accordo di collaborazione tra Terna e RseMilano, 15 feb. (askanews) – Accordo tra Terna, il gestore della rete elettrica di trasmissione nazionale, e Rse – Ricerca sul Sistema Energetico, per lo sviluppo e l’applicazione di processi e tecnologie nel campo energetico e ambientale, promuovendo, iniziative di studio e attività di sviluppo e innovazione.


L’intesa, di durata quinquennale, è stata firmata a Roma dall’amministratore delegato e direttore generale di Terna Giuseppina Di Foggia, e dal professor Franco Cotana, amministratore delegato di Rse. “Siamo orgogliosi di aver stretto questo accordo con un’eccellenza nel panorama italiano ed europeo da sempre impegnata nello studio e nell’individuazione di soluzioni efficienti per il settore energetico – ha dichiarato Giuseppina Di Foggia – La collaborazione che avviamo da oggi ci permetterà di sviluppare nuove tecnologie che sempre più risponderanno alle crescenti esigenze e sfide imposte dalla transizione energetica, coerentemente con i target nazionali e internazionali di decarbonizzazione”.


“La transizione energetica globale impone una maggiore diffusione dell’energia elettrica in tutti i settori. L’Italia ha quindi bisogno di reti elettriche performanti, intelligenti e capillari, in grado di servire utenti sempre più esigenti – ha commentato Franco Cotana – La firma dell’accordo tra Rse e Terna sancisce una collaborazione importante per lo sviluppo delle reti, non solo in corrente alternata ma anche in corrente continua, e per il trasporto dell’energia in tutto il Paese”. Grazie alla collaborazione, Terna e Rse potranno dunque cooperare, mediante azioni di pianificazione, programmazione e coordinamento, al fine di creare un contesto favorevole allo sviluppo della ricerca, delle tecnologie e alla diffusione di progetti di innovazione, di sicurezza energetica e resilienza della rete elettrica, di fondamentale importanza per Terna, in qualità di abilitatore della transizione energetica, e per Rse, nel suo ruolo di promotore di innovazione, efficienza e circolarità nell’intera filiera dell’energia e della sostenibilità.


In particolare, la partnership prevede la stipula di una convenzione quadro finalizzata all’avvio di reciproche collaborazioni su temi quali, ad esempio: pianificazione e progettazione ottimale della rete, metodologie di smart asset management, osservabilità, controllabilità e resilienza del sistema elettrico, sviluppo di nuove tecnologie per la flessibilità della rete, scenari di sviluppo della domanda e della generazione da fonti rinnovabili, big data management e data science, uso di tecnologia Internet of Things, cyber security, intelligenza artificiale e altre tecnologie abilitanti la transizione energetica nazionale. (nella foto: la firma della convenzione quadro tra l’ad di Terna Giuseppina Di Foggia e l’ad di Rse Franco Cotana)

Ricerca, la coltura idroponica fa bene alle piante e all’ambiente

Ricerca, la coltura idroponica fa bene alle piante e all’ambienteRoma, 7 set. (askanews) – Le colture idroponiche che utilizzano acque reflue derivate da colture ‘donatrici’ possono essere una risposta sostenibile di fronte alla sempre maggiore scarsità di acqua dolce. A dimostrarlo è una ricerca dell’Università di Pisa pubblicata recentemente sulla rivista “Agricultural Water Management”, che ha riguardato due piante spontanee tipiche del Mediterraneo che crescono anche in Toscana, l’aspraggine (Picris hieracioides) e la piantaggine (Plantago coronopus), specie impiegate nel settore alimentare e fitoterapico.

“Secondo i principi dell’economia circolare e dei sistemi produttivi integrati o a cascata – spiega il professore Alberto Pardossi dell’Università di Pisa – abbiamo utilizzato l’acqua reflua proveniente da una coltura ‘donatrice’, il pomodoro coltivato in serra in questo caso, riducendo così l’impatto ambientale della coltura a monte e i costi di produzione della coltura a valle, dato che non è necessario acquistare fertilizzanti”. Le acque reflue delle colture in serra hanno spesso un elevato contenuto di sali e pertanto individuare le specie adatte è fondamentale. L’aspraggine e la piantaggine sono infatti piante “alofite”, il che significa che tollerano bene i terreni salini e l’irrigazione con acque salmastre.

“Le due specie studiate si sono adattate molto bene alla coltura idroponica in serra, oggi sempre più utilizzata per la produzione ortaggi crudi o minimamente trasformati di particolare interesse per la cucina gourmet – conclude Pardossi – Questo metodo di coltivazione suscita infatti un interesse crescente perché consente di migliorare la qualità dei prodotti mediante un’adeguata gestione della soluzione nutritiva e facilita la lavorazione post-raccolta grazie alla pulizia del materiale vegetale”. Alberto Pardossi, 35 anni di carriera accademica, professore ordinario di Orticoltura e Floricoltura ed esperto di colture in serra e indoor, fa parte del gruppo di ricerca ‘Orticoltura e Floricoltura’ dell’Ateneo pisano come gli altri autori dello studio. Insieme a lui hanno condotto gli esperimenti in serra e le analisi di laboratorio Luca Incrocci, professore associato di Orticoltura e Floricoltura, esperto di colture in serra e di agricoltura di precisione, Martina Puccinelli, assegnista di ricerca, esperta di colture idroponiche e biofortificazione degli ortaggi, e Giulia Carmassi, responsabile del laboratorio chimico ed esperta di colture in serra.

Ricerca ecologica in Artico: il progetto PRA “EcoClimate”

Ricerca ecologica in Artico: il progetto PRA “EcoClimate”Roma, 10 ago. (askanews) – Nell’ambito del progetto PRA “EcoClimate”, coordinato dal Gruppo di Ecologia trofica del Dipartimento di Biologia ambientale della Sapienza Università di Roma in collaborazione con il Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto di ricerca sulle acque (Cnr-Irsa, sede di Roma) e Istituto di scienze polari (Cnr-Isp, sedi di Messina e Roma), per la prima volta è stato utilizzato un drone idrografico, appositamente configurato per il lavoro a latitudini estreme, per ottenere batimetrie 2D e 3D ad altissima risoluzione dei bacini lacustri nelle isole Svalbard, nel circolo polare Artico.

I dati acquisiti – informa una nota – consentiranno di calcolare con una precisione mai raggiunta prima i volumi d’acqua, i tempi di ricambio dei laghi artici e prevederne l’evoluzione in funzione delle condizioni ambientali attese nella regione per il prossimo futuro. “Il drone utilizzato è stato progettato e adattato proprio per questo scopo: piccolo, leggero e facilmente trasportabile, ci ha permesso di raggiungere laghi ai piedi dei ghiacciai mai mappati prima. I risultati ottenuti e i calcoli volumetrici dei laghi verranno, poi, correlati con i dati ecologici, per ottenere informazioni uniche su questi delicati ecosistemi acquatici”, spiega David Rossi (Cnr-Irsa), responsabile della sperimentazione.

“Benchè l’uso dei droni stia diventando di uso comune nell’ambito delle attività di ricerca polare, questa è la prima volta che un drone idrografico viene utilizzato sulla terraferma per lo studio degli ecosistemi lacustri artici”, aggiunge Edoardo Calizza (Sapienza Università di Roma), coordinatore del progetto. “Questo rientra nell’approccio fortemente interdisciplinare che caratterizza il progetto PRA “EcoClimate”: l’obiettivo è comprendere come i cambiamenti climatici potranno influenzare la struttura e il funzionamento di questi delicati ecosistemi, considerati hotspot di biodiversità e sink di carbonio alle più elevate latitudini”. La sperimentazione è stata possibile grazie alla strumentazione fornita e configurata ad hoc dalla Seafloor System Inc. per il drone idrografico portatile e dall’azienda Italiana Microgeo per l’antenna GNSS (Global Navigation Satellite System).

I dati acquisiti tramite la tecnologia appena testata saranno associati a dati ecologici per la ricostruzione delle reti trofiche, dati microbiologici per lo studio del metabolismo lacustre, immagini satellitari e misure radiometriche di campo per lo studio della dinamica di neve e vegetazione.

Gardaland Resort azienda virtuosa per Aenor

Gardaland Resort azienda virtuosa per AenorRoma, 11 lug. (askanews) – Gardaland Resort è il primo Parco Divertimenti italiano ad ottenere la certificazione “Rifiuti Zero” di AENOR, ente certificatore internazionale tra i dieci più importanti del mondo e riconosciuta in 90 Paesi che individua e certifica le aziende in grado di garantire una gestione virtuosa dei rifiuti massimizzando le azioni di prevenzione e di recupero. Gardaland, si legge in una nota, è stata considerata azienda virtuosa e ha ottenuto la certificazione AENOR Rifiuti Zero in quanto ha raggiunto, nell’ultimo anno, il traguardo certificato del 93,4% di rifiuti valorizzati sul totale dei rifiuti prodotti contribuendo a dare impulso alla sostenibilità attraverso operazioni di recupero e di economia circolare.

Negli ultimi anni le attività di sviluppo a favore dell’ambiente sono diventate temi d’attualità presenti sia nel dibattito pubblico, che in quello politico di tutto il mondo; in quest’ottica una corretta gestione dei rifiuti e la loro reintroduzione nella catena del valore sono attività centrali dei processi di sostenibilità e contribuiscono concretamente al raggiungimento degli obiettivi 11, 12 e 14 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Gardaland Resort nell’aprile del 2019 – in netto anticipo rispetto all’entrata in vigore della legge nel ’22 – aveva, infatti, già azzerato la plastica monouso a favore di materiali compostabili e biodegradabili all’interno dei punti ristorazione del Parco. Nel corso del 2022, inoltre, Gardaland ha dato priorità allo sviluppo sostenibile del Resort concentrandosi anche sul potenziamento della raccolta differenziata, su processi di economia circolare e sulla gestione virtuosa dei rifiuti tanto da ricevere l’ambita Certificazione Rifiuti Zero di AENOR.

L’analisi di AENOR effettuata su Gardaland è stata estremamente rigida e rigorosa ed ha richiesto la convalida di ogni documento per ogni singolo passaggio della filiera relativa alla gestione dei rifiuti. L’analisi effettuata, nel corso dell’intero anno 2022, ha coinvolto tutto il Resort e sono stati presi in considerazione, quindi, tutte le tipologie di rifiuti derivanti dalla ristorazione, dai negozi, dagli uffici e dalle officine; non solo scarti alimentari, quindi, ma anche ad esempio indumenti, scarti dei negozi come giocattoli rotti, pile, carta e cartone fino agli oli idraulici, vernici di manutenzione del Parco, per citarne alcuni. Gardaland inoltre ha scelto di gestire attraverso un particolare processo anche il rifiuto indifferenziato destinandolo ad impianti di selezione e cernita spingendo al massimo il recupero dello scarto azzerando quasi completamente il materiale destinato alle discariche.

“Questo prestigioso riconoscimento è stato ottenuto grazie alla collaborazione dell’intera Azienda – afferma Sabrina de Carvalho CEO Gardaland – che ha messo in atto una serie di operazioni che hanno permesso ad ogni singolo dipendente e collaboratore del Parco di contribuire attivamente alla valorizzazione e riciclaggio dei rifiuti. Questa attività di economia circolare ci ha permesso di estendere gli orizzonti e aprire nuove collaborazioni conseguendo non solo obiettivi ambientali ma anche sociali.” In uno dei tanti progetti di recupero, Gardaland ha anche coinvolto una Cooperativa Sociale – impegnata in attività di inclusione lavorativa di soggetti fragili – con la quale ha sviluppato un progetto volto al riutilizzo delle divise dismesse del Parco. Un’attività sociale che ha permesso che le divise, così come gli scarti dei negozi, fossero selezionate e riutilizzate inserendole nel circuito del commercio equo solidale. In questo modo un potenziale scarto è stato intercettato prima che diventasse rifiuto e inserito in un processo di economia circolare.

“Interessante il lavoro qualitativo fatto da Gardaland – interviene il Direttore Generale di AENOR Italia l’Ing. Pierpaolo Arca – mi ha colpito la progettualità delle soluzioni di smaltimento attuate. La produzione di rifiuti infatti è una delle sfide ambientali più difficili che la società odierna deve affrontare. I cittadini chiedono che le organizzazioni si allineino ai valori che li riguardano veramente, e la sostenibilità ambientale è senza dubbio uno di questi. Il certificato AENOR “Rifiuti Zero” riconosce le organizzazioni che dispongono di un sistema di tracciabilità dei rifiuti con un recupero compreso tra il 90% e il 100% e le aiuta a conformarsi agli sviluppi normativi contribuendo a generare fiducia tra tutti gli stakeholder. Gardaland – conclude Arca – entra di diritto a far parte del gruppo di grandi aziende che ottengono questa distinzione, è la prima azienda in Italia del settore parco dei divertimenti ad ottenerla. Con essa, invia un messaggio forte e chiaro del suo impegno verso le migliori pratiche per recuperare i rifiuti che genera, evitando che vengano smaltiti in discarica progredendo nella strada verso l’economia circolare.” “Siamo decisamente onorati ed orgogliosi – continua de Carvalho – di ricevere la certificazione ‘Rifiuti Zero’. Questo importante riconoscimento conferma e rafforza l’impegno di Gardaland sul tema della sostenibilità. Insieme a tutti i dipendenti continueremo a perseguire questa sfida volta al miglioramento della qualità dell’ambiente, con l’obiettivo di produrre sempre meno rifiuti coinvolgendo altri partner per valorizzare al meglio il mondo in cui tutti viviamo”.

Allarme Cobalto, il minerale di largo consumo che presenta lati oscuri

Allarme Cobalto, il minerale di largo consumo che presenta lati oscuriRoma, 9 giu. (askanews) – Il cobalto gioca un ruolo chiave nell’economia green, ponendosi al centro della transizione verso le energie rinnovabili. Quante volte avremo letto o sentito dire una frase simile. La spiegazione è semplice: il suo impiego nelle batterie agli ioni di litio, presenti nella maggior parte dei dispositivi elettronici di largo consumo, come smartphone, tablet, laptop e nelle auto elettriche, lo rendono un minerale di assoluto rilievo e molto ricercato. Tant’è che la crescente domanda di energia pulita ne dovrebbe aumentare a dismisura la richiesta. Si stima che, entro il 2025, crescerà da 4 a 20 volte la sua dimensione attuale. Tuttavia è necessario non trascurare l’impatto a livello globale dei flussi di estrazione e trasformazione del cobalto che presentano non pochi e preoccupanti lati oscuri.

“L’utilizzo del cobalto nelle batterie agli ioni di litio rende questo materiale cruciale per la transizione ambientale -afferma Erpinio Labrozzi, architetto e PhD candidate del Politecnico di Milano e coordinatore del progetto Blue Cobalt, geographies of the new extractive in mostra fino al 26 novembre presso Climate Wunderkammer, evento della Biennale di Architettura 2023. Allo stesso tempo però non va dimenticato il suo grande impatto ambientale determinato dal consumo di energia e dalle polveri prodotte durante i processi di estrazione e trasformazione, nonché dalla contaminazione dell’acqua dovuta al deflusso in corpi idrici delle acque meteoriche delle miniere o degli impianti di lavorazione. Inoltre, l’estrazione delle cosiddette terre rare è responsabile di perdita di habitat e biodiversità ed erosione del suolo, per non parlare dello sfruttamento della manodopera, soprattutto in paesi in via di sviluppo come la Repubblica Democratica del Congo. Nel Sud di questo paese, nella provincia del Katanga, nel 2018 è stato estratto circa il 65% del cobalto mondiale. Ma per gran parte della sua storia recente, la fame di minerali nello Stato ha causato danni ambientali e ha alimentato violenti conflitti, contribuendo alla prolungata crisi umanitaria del Paese. Storicamente le operazioni minerarie non hanno portato benefici alle comunità locali e, insieme alle sfide di governance, hanno causato insicurezza e povertà, creando le condizioni per cicli di violenza e sfruttamento del lavoro, ma rappresentando, allo stesso tempo, una fonte di reddito indispensabile per buona parte della popolazione”. Altri produttori significativi sono il Canada e l’Australia, dove il cobalto viene prodotto principalmente come sottoprodotto dell’estrazione del nichel. Le esportazioni di cobalto hanno registrato un aumento significativo del 54,6% dal 2020 al 2021. La Cina domina le importazioni globali di cobalto e la produzione di cobalto raffinato che rappresentava oltre il 60% del totale mondiale nel 2018. “L’obiettivo della ricerca -spiega Labrozzi- non è di proporre soluzioni, quanto quello di restituire, in maniera transcalare ed innovativa, tramite l’utilizzo di mappature ed animazioni 3D, la complessità delle problematiche legate alle filiere di estrazione e raffinazione del cobalto”. Negli ultimi anni, l’Unione Europea ha mostrato un rinnovato interesse per l’estrazione del cobalto da fonti indigene, inserendo il minerale tra le materie prime di “interesse strategico”, insieme ad altre terre rare. Inoltre, il Vecchio Continente, ha modificato la propria politica mineraria per estrarre materie prime da risorse autoctone, invertendo la tendenza degli ultimi decenni in cui l’attività mineraria è stata delocalizzata in altre parti del mondo. Questi materiali sono fondamentali per la realizzazione del Green New Deal europeo, e la concentrazione geografica dell’estrazione e della raffinazione del cobalto rappresenta un rischio potenzialmente serio per la futura fornitura di questo minerale. Attualmente l’estrazione di cobalto in Europa è presente solo in tre miniere in Finlandia. Mentre le attività di raffinamento si svolgono sempre in Finlandia, ma anche in Belgio e Francia.

“Studi recenti hanno identificato 509 depositi ed eventi contenenti cobalto in 25 paesi in Europa -continua l’Architetto Labrozzi- in particolare, nelle Alpi Occidentali, nei comuni di Usseglio e Balme (Italia), sono in atto nuovi piani per l’estrazione mineraria. Le autorità locali, in particolar modo di Usseglio, accolgono con favore la possibilità di esplorare la presenza di cobalto, spinte dalla promessa di nuovi posti di lavoro, sviluppo locale e che l’estrazione mineraria non impatterà sul paesaggio. Ma è necessario porsi alcune domande: quanti posti di lavoro può creare il mining moderno, considerando il suo alto livello di automazione? L’estrazione mineraria è compatibile con un’idea di turismo legato alla natura, con l’economia delle Malghe, con l’alpinismo, con lo sci e con le strategie di utilizzo naturale degli ecosistemi montani?”. Il Green New Deal dell’Unione Europea include politiche e programmi che incoraggeranno l’espansione dell’estrazione mineraria di risorse non rinnovabili, con conseguenze per il clima, gli ecosistemi e le comunità locali che destano non poca preoccupazione. “Prima di intraprendere questa epica ricerca industriale, la società deve domandarsi se è la soluzione giusta – conclude Labrozzi – sono necessari massicci investimenti nella ricerca e nello sviluppo di batterie senza cobalto e nel riciclaggio dello stesso minerale per migliorare la catena del valore ed evitare di replicare i vecchi processi di sfruttamento. Occorre proporre scenari per rispondere all’emergenza climatica senza danneggiare ulteriormente l’ecosistema e le comunità locali nei Paesi in via di sviluppo”.

Transizione energetica, presentato primo impianto di idrogeno verde

Transizione energetica, presentato primo impianto di idrogeno verdeRoma, 26 mag. (askanews) – E’ stato presentato davanti a una platea di 200 persone, tra investitori, imprenditori e players del settore della transizione energetica, il primo impianto italiano di Idrogeno verde. Un elettrolizzatore che produce fino a 1MW di Idrogeno Verde pari a 18 kg all’ora. Ad inaugurarlo, nella sua sede di Pizzighettone in provincia di Cremona, è stata l’azienda H2Energy, nata in pandemia da tre soci fondatori del nord Italia, due chimici di processo, Claudio Mascialino e Saro Capozzoli e un imprenditore del fotovoltaico, Riccardo Ducoli. L’azienda, che ha aperto le porte della sua sede lombarda organizzando il primo di una serie di Hydrogen Day si è presentata ufficialmente mostrando le sue eccellenze: un Laboratorio di Ricerca&Sviluppo sull’Idrogeno Verde, al primo piano, (che ha fatto nascere recentemente la nuova tecnologia proprietaria AMSE® per produrre Idrogeno verde a costo ridotto e ad alta sostenibilità ambientale); il primo impianto italiano con tecnologia PEM da 1MW che produce circa 18Kg di Idrogeno all’ora e riesce a stare dentro le dimensioni di un container; il ruolo da protagonista che si è ritagliata nella filiera dell’Idrogeno in Italia.

Alla presentazione ufficiale davanti alle Istituzioni lombarde e locali, oltre ai soci e ai responsabili di H2Energy, è intervenuto anche il professor Antonello Pezzini, Advisor del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica e delegato del Comitato economico sociale europeo della UE che ha sottolineato, dati alla mano, come sia necessaria una cultura del cambiamento e come l’idrogeno sia oggi uno strumento fondamentale per la strategia dell’UE verso la neutralità climatica. “Sono contento – ha detto Pezzini di essere all’inaugurazione di un impianto del genere perchè abbiamo bisogno di scelte di coraggio come queste da parte degli imprenditori italiani ed europei. E’ necessario e urgente un cambiamento culturale sul tema. L’idrogeno infatti rappresenta uno dei settori fondamentali della nuova strategia industriale della UE con un considerevole potenziale in termini di creazione di posti di lavoro di qualità ed è vettore indispensabile per la nostra sopravvivenza. La Banca Europea dell’Idrogeno istituita da Ursula Von der Leyen vuole colmare la carenza di investimenti e avrà iul compito di agevolare sia la produzione di idrogeno rinnovabile all’interno dell’UE, sia le relative importazioni, contribuendo in tal modo al conseguimento degli obiettivi legati alla transizione verso la neutralità climatica. Ma affinchè la Banca europea possa ottenere risultati positivi il quadro normativo per la produzione e il consumo di idrogeno deve essere ultimato in via prioritaria”.

Paolo Carrera, direttore Generale di H2Energy ha presentato l’azienda, e i risultati raggiunti con investimenti privati in questi primi tre anni di lavoro. “Il contesto non è facile ma siamo convinti che fra 5 anni saremo contenti di essere stati tra i primi a raccogliere questa sfida di futuro. La giornata di oggi è uno scambio di opinioni tra addetti ai lavori e imprenditori interessati. Vogliamo far vedere quello che siamo riusciti a fare perchè in Italia e in Europa abbiamo bisogno di impianti come questo e di una cultura dell’Idrogeno. Sperando che anche le istituzioni non solo locali riescano a cogliere cosa stiamo facendo e capiscano quanto è importante promuovere e sostenere chi si muove in questa direzione della transizione energetica”. Tra i prossimi obiettivi di H2Energy che vuole consolidare la creazione di una catena e di una filiera italiana dell’idrogeno anche con altri players e imprenditori del settore ci sono anche la realizzazione di un impianto da 5MW con tecnologia PEM, il test della nuova tecnologia AMSE® durante il 2024 per lanciarla sul mercato nel 2025, lo sviluppo in altre aree del mondo come l’Africa e la ricerca di un’area industriale dove produrre idrogeno a livello industriale per produzione oltre i 30 MW. Inoltre, questo è solo il primo di una serie di Hydrogen Days che H2Energy organizzerà anche con gli enti accademici con cui già collabora come il Politecnico di Torino, e l’Università Bicocca di Milano, per promuovere, sostenere e sviluppare la nascita di una nuova Cultura sull’Idrogeno e lo sviluppo di una Hydrogen Generation, che conosca e diffonda le potenzialità dell’idrogeno che ad oggi è uno dei principali vettori per raggiungere la neutralità climatica e davvero salvare il pianeta nel quale viviamo.

Da ENEA celle solari ad alta resa per applicazioni urbane e rurali

Da ENEA celle solari ad alta resa per applicazioni urbane e ruraliRoma, 5 mag. (askanews) – Celle solari ad alta resa con materiali, architetture e processi innovativi per moduli fotovoltaici sostenibili, affidabili ed efficienti, da integrare in ambito urbano, nel paesaggio e nei siti di interesse storico-architettonico, con l’obiettivo di ridurre il costo dell’energia elettrica e il consumo di suolo. Sono state realizzate nell’ambito del programma “Ricerca di Sistema elettrico – Progetto integrato Fotovoltaico ad alta efficienza”, condotto da ENEA in collaborazione con Cnr, RSE e varie università, i cui risultati sono stati presentati in occasione della Giornata mondiale del Sole che si celebra il 3 maggio.

In particolare, ENEA sta lavorando nei Centri ricerche di Portici (Napoli) e Casaccia (Roma), in collaborazione con l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, allo sviluppo della nuova generazione di celle solari con la tecnologia “tandem” perovskite/silicio, in grado di raggiungere efficienze maggiori del 28% nella conversione dell’irraggiamento solare in energia elettrica. Il team di ricerca sta inoltre lavorando allo sviluppo di soluzioni innovative che integrano l’utilizzo della luce solare per fotovoltaico e fotosintesi, in grado di trasmettere la radiazione solare necessaria alla crescita delle piante e contemporaneamente generare energia elettrica. In questo contesto – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – si stanno sperimentando coperture fotovoltaiche da applicare in serre agricole con approcci su scala di laboratorio e su larga area: strutture semitrasparenti a film sottile spettralmente selettive (aree fino a 100 cm2) e moduli fotovoltaici semitrasparenti opportunamente progettati da ENEA per essere inseriti in contesti di pregio.

“Il nostro obiettivo è migliorare le prestazioni delle celle solari e studiare soluzioni applicative che promuovano la penetrazione della tecnologia fotovoltaica nel sistema produttivo e, dunque, nel sistema elettrico. Siamo fiduciosi sulla possibilità di riuscire a superare a breve la barriera ‘psicologica’ del 30% di efficienza per le celle tandem, avvicinandoci allo stato dell’arte mondiale della tecnologia”, evidenzia Paola Delli Veneri, responsabile ENEA del Laboratorio Dispositivi innovativi. Oltre al miglioramento delle prestazioni dei moduli fotovoltaici attuali e all’integrazione del fotovoltaico nel contesto urbano e rurale, gli studi hanno posto grande attenzione all’utilizzo di materiali e architetture di dispositivo con prestazioni stabili nel tempo e con processi innovativi tali da risultare potenzialmente promettenti anche in un’ottica industriale di medio/lungo termine.

Il pacchetto sul cambiamento climatico della UE “Fit for 55” prevede che l’Italia raggiunga 64 GW di potenza fotovoltaica installata al 2030, rispetto ai 25 GW del 2022, generando una quantità di energia elettrica annua pari a 88 TWh, contro i 27,5 TWh del 2022. “Trasformare l’energia del sole in energia elettrica mediante la tecnologia fotovoltaica è una tra le opzioni più concrete per la decarbonizzazione del sistema energetico, in grado di contenere l’innalzamento medio globale della temperatura e contrastare i cambiamenti climatici”, aggiunge Delli Veneri. “Ma – conclude – è altrettanto cruciale supportare l’industria italiana del settore, sostenendo anche la creazione di nuove filiere produttive e facilitando in tal modo il percorso indicato nel piano energetico nazionale”.