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Salute, canto come forma terapeutica per 11 bambini cardiopatici

Salute, canto come forma terapeutica per 11 bambini cardiopaticiFirenze, 24 giu. (askanews) – Cantare fa bene. Non solo perché emoziona, rilassa e regala una preziosa carica di energia, ma anche perché le tecniche del canto implicano un training respiratorio che “allena” cuore e polmoni. Recenti ricerche dimostrano, infatti, che un attento lavoro su atti respiratori lenti e profondi e su contrazione e rilassamento del diaframma migliorano la performance fisica, la tolleranza allo sforzo e il benessere. E’ con questa consapevolezza che è nato il progetto “Cantando: il canto come training respiratorio per i bambini con cardiopatie congenite complesse”. L’iniziativa, promossa da Monasterio, è stata sostenuta dalla sua Fondazione Luigi Donato, con la collaborazione di Accademia del Maggio Musicale Fiorentino, Associazione Il Poggio ETS, Fondazione Science & Music, Istituto di Fisiologia Clinica del CNR e Aicca nazionale e Toscana (Associazione Italiana dei Cardiopatici Congeniti Adulti).


Il progetto, partito a marzo, si è articolato in 13 lezioni: un incontro a settimana all’Ospedale del Cuore e uno al mese all’Accademia del Maggio, a Firenze. Domenica 23 giugno la chiusura, con un concerto a Montecastelli (Pisa), sede dell’associazione Il Poggio. Grazie a Cantando, 11 bambini e ragazzi con cardiopatia congenita complessa, tra i 6 e 16 anni, pazienti dell’Ospedale del Cuore di Monasterio a Massa, hanno avuto l’opportunità di frequentare un corso di canto tenuto dai maestri Paolo Biancalana ed Elia Orlando.


“Siamo orgogliosi di aver sostenuto il progetto Cantando. Da sempre – spiega Marco Torre, Direttore Generale di Monasterio – siamo impegnati nella umanizzazione delle cure, impegno ancor più importante quando il paziente è un bambino o una bambina. “Il progetto Cantando – spiega Giulia, mamma di Federico, uno dei bimbi che ha partecipato al progetto -ha permesso loro di conoscere la magia del canto, di collaborare tra loro e crescere attraverso la musica”.

Sanità, Ministero: obiettivo è nuovo Piano Nazionale a garanzia Lea

Sanità, Ministero: obiettivo è nuovo Piano Nazionale a garanzia LeaMilano, 21 giu. (askanews) – “Obiettivo del ministero: un nuovo Piano Sanitario Nazionale come strumento di governance tra Stato-Regioni a garanzia dei Lea. Dal 2006 non ne abbiamo uno”: così Francesco Saverio Mennini, Capo Dipartimento della Programmazione Ministero della Salute durante “Colazione con”, l’evento promosso da Onws (Osservatorio Nazionale Welfare e Salute) per stimolare il dibattito attorno al tema del welfare e della qualità dell’invecchiamento. “Il nuovo Piano – ha aggiunto Mennini – terrà conto dei modelli organizzativi atti a garantire un miglioramento dell’assistenza territoriale così da soddisfare una presa in carico del paziente efficiente più vicina al luogo in cui vive e di una riduzione della mobilità sanitaria”. Tutti aspetti, questi, che riguardano da vicino la contraddizione tutta italiana che c’è tra l’accentuato invecchiamento della popolazione da un lato e l’insufficienza di interventi welfare dall’altro.


In Italia il tasso medio di speranza di buona salute nel 2021 era di 60,5 anni. L’età media – secondo il Rapporto Annuale 2024 dell’Istat – è di 46,6 anni (quasi un anno in più rispetto al 2020). Sul totale della popolazione, sono 14,36 milioni gli ultrasessantacinquenni, pari al 24,3% della popolazione, e secondo le ultime previsioni dell’Istituto tale percentuale è destinata a crescere fino al 35,1% della popolazione nel 2080. La speranza di vita alla nascita della popolazione residente italiana, sempre secondo l’Istat, è invece di 81,1 anni per i maschi e di 85,2 per le femmine. Il problema principale riguarda la non autosufficienza. L’Istat stima che sono 3,8 milioni le persone non autosufficienti in Italia, la maggior parte delle quali sono anziani: il rischio della non autosufficienza, infatti, si incrementa al crescere dell’età e coinvolge circa il 40% delle persone over 80 anni. L’intervento pubblico in materia è lacunoso e la maggior parte degli oneri, in 7 casi su 10, viene scaricata sulle famiglie. Si stima inoltre che l’assistenza sia garantita da circa un milione di badanti con una spesa annua in retribuzioni di circa 9 miliardi di euro. La spesa pubblica complessiva per il Long Term Care (interventi socio-assistenziali pagati dallo Stato che comprendono quella sanitaria, l’indennità di accompagnamento e altre prestazioni) è di 38 miliardi di euro. La più importante è sicuramente l’indennità di accompagnamento che, nel 2024, è pari a 531,76 euro mensili, erogata a 1,57 milioni di anziani over 65 anni non autosufficienti, l’11,5% della popolazione over 65 (Osservatorio statistico Inps, anno 2023), per una spesa annua complessiva di 9,3 miliardi (0,65% del Pil). Intanto, la Ragioneria Generale dello Stato ha stimato che, nel 2026, la spesa pubblica per Ltc sarà pari al 1,6% del Pil, mentre le previsioni per il futuro mostrano una crescita progressiva, dovuta sia all’indicizzazione del costo medio delle prestazioni, sia all’accentuazione del processo di invecchiamento della popolazione. In particolare, è stato stimato che nel 2070 la spesa sarà pari al 2,3% – 2,4% del Pil.


Il numero delle persone che hanno accesso all’indennità di accompagnamento è aumentato negli ultimi 20 anni, ma il valore reale dell’indennità di accompagnamento si è ridotto per effetto dell’inflazione (-15%). Per quanto riguarda l’assistenza domiciliare, i servizi residenziali coprono l’1,8% della popolazione anziana e vengono forniti prevalentemente da enti privati, con una disponibilità piuttosto limitata: 2 letti ogni 100 ultrasessantacinquenni, uno dei dati più bassi in assoluto in Europa. Le insufficienze dell’intervento pubblico sono compensate dalla spesa privata stimata nell’ordine dei 33 miliardi di euro. La spesa privata è quasi tutta out-of-pocket, poiché le polizze assicurative raccolgono solamente 178 milioni di euro, e una parte consistente di questa spesa è di scarsa qualità, poiché soprattutto l’assistenza domiciliare è gestita attraverso il ricorso alla ricerca privata di una badante e spesso sconfina nel lavoro in nero. Ufficialmente, infatti, sono 961mila le Colf e le badanti in Italia. Questi, però, sono i dati dell’Inps relativi alle assunzioni regolari, mentre si stima che i lavoratori domestici siano circa 2 milioni con una componente irregolare, che va oltre il 50%.


Per rispondere alle carenze su questa materia è stata varata la legge 23 marzo 2023, n. 3311 “Deleghe al Governo in materia di politiche in favore delle persone anziane”. La legge delega si propone di riformare il complesso degli interventi Ltc e introdurre il Sistema Nazionale Anziani non Autosufficienti. La riforma prevederebbe quattro aspetti qualificanti: una governance unificata del sistema, una nuova domiciliarità, una nuova residenzialità e una nuova indennità di accompagnamento. L’11 marzo scorso il governo ha approvato definitivamente un primo decreto attuativo che stabilisce un finanziamento di un miliardo di euro in due anni per aumentare, in via sperimentale, l’indennità di accompagnamento a 1.380 euro dal 1 gennaio del 2025. Ma i criteri di accesso sono così restrittivi da ridurre la platea degli interessati a poche decine di migliaia, forse 30mila. Sebbene non sia facile un paragone e non è possibile traslare i sistemi stranieri nel nostro Paese a causa delle grandi differenze che ci sono, è opportuno notare che, nei Paesi presi in esame, i sistemi di Ltc sono stati oggetto di riforme recenti per adeguarli ai mutamenti sociali e al crescere delle persone fragili. In Germania, dal 1995, esiste la copertura obbligatoria Ltc per tutti i lavoratori dipendenti. Il sistema è retto dai contributi versati dai lavoratori, che sono pari al 3,4-3,5% dello stipendio annuo. Il costo dell’assistenza a lungo termine per gli anziani over 65 anni ha raggiunto gli 89,5 miliardi di euro nel 2021, il 2,5% del Pil. La Francia punta molto sull’assistenza domiciliare: 7 su 10 anziani ricevono assistenza a casa. Le risorse economiche impiegate sono pari a 64,2 miliardi di euro, il 2,6% del PIL. L’intervento pubblico copre il 33%, le assicurazioni obbligatorie il 46%, l’out-of-pocket il 21%. In Svezia il servizio Ltc è quasi interamente a carico dello Stato. Le risorse economiche impiegate sono di 4 miliardi di euro, il 2,8% del PIL, coperte al 94% dall’intervento pubblico, mentre il restante 6% è coperto dall’out-of-pocket.

Salute, a Roma la settima edizione del Memorial Lorenzo Semprini

Salute, a Roma la settima edizione del Memorial Lorenzo SempriniRoma, 21 giu. (askanews) – Una patologia cardiaca genetica che può portare a gravi aritmie e morte: la sindrome di Brugada è una malattia del cuore che può causare irregolarità aritmiche potenzialmente letali. Per questo sono fondamentali le attività di prevenzione e ricerca per ridurre il rischio di morte improvvisa. Domani a Roma – a partire dalle ore 16 presso il circolo sportivo “La Mirage” – si terrà la settima edizione del Memorial Lorenzo Semprini.


“L’Associazione Lollo per la Sindrome di Brugada ODV” nasce nel 2020 dopo la scomparsa prematura di Lorenzo, specializzando in cardiologia, appena trentenne. Ciò ha spinto familiari e amici ad attivarsi nell’opera di sensibilizzazione promuovendo e divulgando la conoscenza relativa a questa malattia invisibile. Allo stesso tempo, l’associazione promuove attività di ricerca finalizzate al miglioramento delle opzioni di trattamento e alla riduzione del rischio di morte improvvisa, più frequente soprattutto tra i giovani. Lo stesso Lorenzo si è spento infatti nel sonno, all’età di 30 anni. In pochi anni di attività l’Associazione ha promosso corsi di BLS-D (Basic Life Support and Defibrillation), ha effettuato più di 2500 ecg gratuiti in giovani adulti delle scuole medie e superiori romane e non solo, impegnandosi per far inserire la sindrome tra le malattie rare in Italia così da fornire maggior tutela ai pazienti. Tutto ciò è stato possibile anche grazie al contributo di aziende quali Eurizon Capital SGR e Italo. Quest’ultima in particolare ha sposato la causa della prevenzione scegliendo l’associazione per effettuare screening cardiologici ai dipendenti della sede di Roma. Infine, l’associazione con il progetto “ECG Itinerante” propone screening elettrocardiografici nelle scuole, attraverso i quali si possono monitorare gli studenti negli anni della crescita così da prevenire la Sindrome, ma anche fornirgli maggiore consapevolezza sulle malattie cardiache.


“Siamo consapevoli – ha dichiarato il presidente dell’associazione e madre di Lollo, Patrizia Menna- che servono anche concretezza e solidità. In questo senso siamo qui a promuovere il settimo Memorial Lorenzo Semprini, un evento sportivo e associativo organizzato proprio nel campo dove Lorenzo ha giocato la sua ultima partita, voluto per raccogliere fondi, sensibilizzare e promuovere la conoscenza di questa sindrome”. “Se vi chiedete cosa possiamo fare per evitare queste morti improvvise – ha dichiarato lo specialista in cardiologia Prof. Pedro Brugada – vi dico che possiamo fare molto ma anche poco. Molto si può fare attraverso la prevenzione e gli studi cardiologici preventivi, così come viene fatto oggi in molti paesi, e ciò è vitale per riconoscere questa sindrome, ma anche poco perché questa malattia ha una caratteristica che la distingue dalle altre, e cioè è una delle più nascoste nella branca della cardiologia. Quindi la cosa fondamentale, così come per ogni altra malattia, è fare screening costanti così per prevenire ed evitare queste morti improvvise. Insieme si può fare tanto”.


Madrina e testimonial della giornata sarà la giornalista e scrittrice Claudia Conte che presenterà la cerimonia di chiusura delle attività dell’associazione. Nel corso dell’evento infatti tra screening elttrocardiografici, un corso di BLSD, il tennis tavolo, lo yoga ed Nordic Walking, troveranno spazio anche due tornei di calcio a 5: uno associativo, uno agonistico, entrambi da 4 squadre. Interverranno anche a sostegno dell’iniziativa rappresentanti della Comunità di Sant’Egidio e i calciatori della squadra “Italianattori”.

Gli italiani a tavola: sempre più virtuosi e meno spreconi

Gli italiani a tavola: sempre più virtuosi e meno spreconiMilano, 14 giu. (askanews) – Da bravini nel 2023 a decisamente bravi, quasi perfetti, nel 2024. Questa, in sintesi, la fotografia degli italiani nel tortuoso percorso alla ricerca dell’elisir di lunga e buona vita o, almeno, dell’alimentazione varia ed equilibrata. Gli italiani stanno diventando virtuosi dell’alimentazione a quanto pare: nel 2024 in Italia si mangia sempre meglio e si spreca sempre meno. In Italia abbiamo aumentato il consumo delle verdure, dal 39% nel ’23 al 44% nel 2024; il consumo dei legumi (aumentato nel ’23 del 22%) oggi è cresciuto del 31%; il consumo del pesce è passato dalla percentuale di aumento del 19% nel ’23 al 22%; quasi invariato il consumo di frutta: dal 35% nel ’23 al 36% in più; le alternative vegetali al latte dall’aumento nel 2023 del 13% sono passate ad aumentare nel 2024 al 15% e il latte dal 11% al 13%.


A dimostrarlo le percentuali importanti rilevate dall’Osservatorio Nestlé con una ricerca dedicata – realizzata su base annuale – che attesta un approccio a un consumo più salutare. A conferma di tanto virtuosismo, il 43% degli intervistati dichiara di consumare meno carne rossa rispetto agli anni precedenti, mentre aumenta del 16% il consumo di alternative proteiche. Ci stiamo rassegnando a ridurre anche quello che ci dà buon umore, come i dolci, che quest’anno abbiamo diminuito del 39%, così come i superalcolici: il 51% degli intervistati dichiara infatti di averne ridotto il consumo. E allora meglio buttarsi su Pizza e Pasta, ritenuti rispettivamente per l’82% e per il 67% dei rispondenti, i cibi della gioia. Tanto poi ci pensa il caffè a ridarci carica per essere più presenti e reattivi nella quotidianità, dato che il 69% degli intervistati ne fa un consumo invariato rispetto all’anno scorso e, anzi, il 15% ne ha aumentato il consumo.


Nel 2024, il pranzo per il 46% e la colazione per il 31% sono i pasti più rilevanti che prevalgono sulla cena, considerata meno importante e votata per il 23%. Ma l’aperitivo in ogni caso, per il 60%, raramente sostituisce la cena, tendenza invece rilevata negli ultimi anni. Il 51% degli intervistati non salta mai i pasti. Tuttavia, ugualmente non ci sentiamo del tutto sereni: il 42% dichiara di accusare un senso di ansia e solo il 7% sembra non soffrirne mai, 4 su 10 affermano di ascoltare musica come rimedio per combattere l’ansia, 3 su 10 indicano il riposo e lo sport come soluzione. Bisogna però tenere d’occhio la pigrizia, dato che Il 62% non si è mai iscritto ad alcun programma di allenamento nell’ultimo anno, mentre il 30% si allena ma, 4 su 10, solo 2 volte a settimana.


Commenta la dottoressa Marzia Benvenuti, psicologa e psicoterapeuta: “Questi dati portano l’attenzione sul fatto che più di 6 persone su 10, nell’ultimo anno, hanno dichiarato di soffrire di ansia, elemento che incide sulla sensazione di fame o sazietà della mattina. Se si soffre di ansia è più facile che si attivi il cortisolo proprio durante la mattinata togliendo la voglia di mangiare. Il cortisolo scende durante il pomeriggio e la sera, ed ecco riapparire la fame”. E prosegue: “Individuare questo dettaglio ci rende molto più consapevoli non solo dei nostri stati emotivi ma anche della nostra scelta dei cibi. Se la fame è maggiore dal pomeriggio a dopo cena vuol dire che ho un problema con il cortisolo”. Nel 2024, siamo inoltre meglio idratati, il 60% degli italiani beve 2 litri di acqua al giorno e il 30% 1 litro.


Sul fronte sostenibilità, 7 rispondenti su 10 si ritengono abbastanza o molto consapevoli circa la sostenibilità ambientale, tuttavia quasi 1 su 2 non ha modificato la propria alimentazione per essere più sostenibile nell’ultimo anno. Ma almeno il 94% non spreca più il cibo. Uscendo dal comfort dei nostri gusti e dei nostri piatti identitari, le specie aliene che stanno infestando diverse zone d’Italia, fanno un po’ paura: il 33% ritiene questo fenomeno un pericolo per la biodiversità, mentre il 41% dichiara di non saperne abbastanza. Ma dopo il clamore suscitato dai ‘famosi’ granchi blu nella scorsa estate, più di 6 italiani su 10 affermano che sarebbero curiosi di assaggiare le specie aliene commestibili, e solo il 12% le ha già provate e li consiglierebbe. Venendo alla nota dolente, il nostro carrello della spesa risente dell’attuale contesto socioeconomico, facendo decidere come prima cosa al prezzo e alle promozioni la scelta finale del cibo da acquistare. In secondo luogo, la preferenza va agli ingredienti più salutari possibili, a conferma dell’orientamento generale per una dieta sana. Commenta il Dottor Giuseppe Fatati, direttore scientifico dell’Osservatorio Nestlé: “Mangiare bene non è più un fatto di pura gastronomia ma oggi deve essere condito dal saper scegliere equilibratamente tra i vari componenti di una corretta alimentazione e le proposte del mercato. I partecipanti alla nostra survey sembrano essere consapevoli della necessità di un’alimentazione corretta e tale consapevolezza è migliorata nel corso degli anni. Purtroppo, il particolare momento socioeconomico sembra influenzare le scelte in modo significativo”. Conclude Fatati: “Le scelte alimentari sono orientate dal potere d’acquisto nonostante vi sia una manifesta attenzione per gli ingredienti salutari. Il consumatore intervistato conosce i principi di un corretto stile di vita ma è condizionato dalla possibilità di spendere”.

Cardiologi: sostanze stupefacenti, cannabis inclusa, a rischio cuore

Cardiologi: sostanze stupefacenti, cannabis inclusa, a rischio cuoreRoma, 14 giu. (askanews) – Che le sostanze stupefacenti siano al centro di varie problematiche della società civile è un concetto noto ma vi è ancora poca conoscenza, sia in ambito sanitario che sociale, sulla capacità che queste sostanze hanno di determinare problemi cardiovascolari e in generale un danno biologico con gravi ripercussioni sulla salute di chi le assume e importanti ricadute sulla spesa sanitaria. La scarsa informazione e soprattutto la disinformazione, legata ai canali da cui vengono attinte le informazioni, determinano false convinzioni come ad esempio quella di ritenere la cannabis innocua in quanto “terapeutica” e favoriscono dunque la bassa percezione del pericolo “sostanze”, alcool compreso, per il cuore e per la salute umana in particolare tra i giovani. Domenico Gabrielli – Presidente Fondazione per il Tuo cuore e Direttore Cardiologia dell’Ospedale San Camillo di Roma – chiarisce: “La presenza di un danno d’organo cardiaco che può rimanere a lungo asintomatico, dando la falsa impressione di essere sani, il fatto che il più delle volte il danno d’organo si sviluppa lentamente nel tempo senza dare particolari sintomi durante le assunzioni, la sottostima delle diagnosi di cardiopatie determinate o favorite dall’uso di sostanze psicoattive e il fatto che ci sia poca sensibilità, e molta reticenza a parlare, cosi come si dovrebbe, di queste tematiche contribuiscono alla erronea convinzione che le sostanze stupefacenti non facciano poi cosi tanto male al cuore e al nostro organismo. Tutte le principali droghe conosciute, cannabis compresa, hanno un effetto cardiotossico e possono determinare o favorire l’insorgenza vari tipi di patologie cardiovascolari, anche gravi o mortali. Le sostanze stupefacenti infatti danneggiano le coronarie determinando ischemia cardiaca acuta o cronica e danneggiano direttamente il muscolo cardiaco provocando infiammazione (miocardite), dilatazione (cardiomiopatia dilatativa) o ispessimento (ipertrofia) del cuore. Condizioni queste, che se non diagnosticate e curate tempestivamente, possono portare a scompenso cardiaco. Favoriscono inoltre l’insorgenza di vari tipi di aritmie, a volte letali e alterazioni della pressione arteriosa, della coagulazione e delle valvole cardiache.” “La cocaina – continua il prof. Gabrielli – può favorire l’insorgenza di ogni tipo di patologia cardiaca e aumenta fino al 23% il rischio di infarto miocardico nelle prime ore dopo l’assunzione. L’uso non medico della Cannabis, è stato associato ad un aumentato rischio di patologie cardio e cerebrovascolari. Il fatto che esista una cannabis utilizzata per scopi medici non significa che fumare marijuana non faccia male al cuore e alla salute. Anche il Fentanyl è un farmaco molto utilizzato in medicina, eppure negli USA l’uso non medico di oppioidi sintetici con effetti antidolorifici come il Fentanyl e derivati è un vero e proprio problema di salute sociale. Tali sostanze, magari acquistate anche per via illegale, hanno infatti aumentato la mortalità per arresto cardiorespiratorio (son stati stimati circa 75.000 decessi da oppiodi sintetici nel 2022 negli Stati Uniti) e costituiscono ora negli USA una tra le principali cause di morte nei soggetti giovani-adulti.” “Obiettivo della Fondazione per il Tuo cuore e dei cardiologi ANMCO – conclude il prof. Gabrielli – è quello di svolgere una prevenzione al passo con i tempi in considerazione del sempre più frequente uso e abuso di sostanze psicoattive, poiché sono cambiate non solo le sostanze assunte ma anche il profilo di chi le assume. La prevenzione delle problematiche cardiovascolari da sostanze psicoattive merita tutta la nostra attenzione e giustifica ogni sforzo in quanto tali malattie non sono affatto rare, dati evidenziano che fino a un quarto degli infarti nei soggetti giovani sia legato all’uso di droghe. E in generale il danno cardiaco da droghe è decisamente più frequente di quello che riusciamo a dimostrare.”


“Quanto detto – sottolinea il dott. Francesco Ciccirillo – cardiologo, responsabile Ambulatorio D.A.H.D. ( Drug Abuse Heart Diseases) U.O.C. Cardiologia- P.O. Vito Fazzi – ASL Lecce – dovrebbe portarci a considerare le sostanze psicoattive come un fattore di rischio cardiovascolare indipendente e aggiuntivo e a considerare il loro ruolo favorente sui sintomi e sulle malattie cardiovascolari riscontrate nella pratica clinica oltre che a portare avanti dei programmi di prevenzione adeguati volti a scongiurare la prima assunzione e l’uso anche ricreazionale di sostanze psicoattive. Infatti il danno cardiovascolare si può instaurare non solo nel consumatore abituale (che rimane comunque a rischio più alto) ma anche in quello occasionale, a volte indipendentemente dalla quantità di sostanza assunta soprattutto se presente una particolare predisposizione genetica (non sempre nota) o altri fattori contingenti.” “E’ difficile quantificare e prevedere il rischio di un danno cardiaco da droghe nel singolo individuo – continua il dott. Ciccirillo – in quanto l’effetto delle droghe può variare da soggetto a soggetto e perfino nello stesso soggetto, in base a dose, modalità, tempistica, durata di assunzione, tipo, purezza, quantità della sostanza e presenza o meno di altri fattori predisponenti. Le malattie cardiache da droghe possono manifestarsi in maniera acuta (generalmente temporalmente associata e proporzionale all’ultima dose assunta) e/o svilupparsi lentamente nel tempo, quindi, anche i soggetti che non hanno alcuna sintomatologia acuta dopo l’assunzione, se continuano ad assumere droghe, possono sviluppare nel tempo un danno cardiaco. Da qui l’importanza di smettere di assumere sostanze prima che il danno si manifesti o diventi irreversibile oltre che a sottoporsi e/o eseguire dei programmi di screening cardiologico in chi ha una storia di assunzione di sostanze psicoattive soprattutto se presenta un alto profilo di rischio cardiovascolare globale.” “Per una adeguata prevenzione delle malattie cardiache da sostanze psicoattive – conclude il dott. Ciccirillo – è importante anche conoscere e imparare a non sottovalutare i sintomi associati all’uso di sostanze per chiedere pronto aiuto medico. È fondamentale per esempio non trascurare il sintomo del dolore al petto in quanto può essere espressione di gravi patologie cardiorespiratorie acute. Dallo 0.7% fino al 6% di soggetti che arrivano in Pronto Soccorso per dolore toracico dopo uso di Cocaina ha un infarto cardiaco secondario a tale sostanza. Ugualmente è fondamentale riferire al medico se sono state assunte “sostanze” per evitare pericolose interazioni farmacologiche”.

Primo caso in Europa di febbre Oropouche: individuato all’IRCCS di Negrar

Primo caso in Europa di febbre Oropouche: individuato all’IRCCS di NegrarRoma, 14 giu. (askanews) – Il Dipartimento di Malattie Infettive, Tropicali e Microbiologia dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar ha diagnosticato il primo caso in Europa di febbre Oropouche, in una paziente con una storia recente di viaggi nella regione tropicale caraibica. Il caso è stato già segnalato alle autorità sanitarie e alla ASL di competenza della Regione Veneto, nonché ai servizi di informazione e monitoraggio internazionali. Il virus è stato isolato nel laboratorio BSL3 del Dipartimento, primo passo per poter sviluppare test diagnostici specifici e studi sulla capacità di veicolare il virus da parte dei potenziali vettori (zanzare e moscerini) diffusi anche da noi. “La febbre Oropouche è causata dall’omonimo virus (OROV), scoperto nel 1955 nel sangue di un lavoratore forestale di Trinidad e Tobago. Si tratta di un virus diffuso normalmente nella regione amazzonica, ma ciò che è più rilevante è che si tratta di un virus che viene trasmesso all’uomo dalle punture di insetti, in particolare moscerini e zanzare – spiega Federico Giovanni Gobbi, direttore del Dipartimento di Malattie Infettive, Tropicali e Microbiologia dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar -. La febbre Oropouche è una delle arbovirosi più diffuse del Sud-America, con oltre 500.000 casi diagnosticati dal 1955 a oggi, un numero probabilmente sottostimato viste le limitate risorse diagnostiche disponibili nell’area di diffusione. Dall’ultimo aggiornamento epidemiologico risultano tra la fine del 2024 ed il 2024 più di 5.000 casi di febbre Oropouche in Bolivia, Brasile, Colombia e Perù, ed ultimamente anche a Cuba”. “I sintomi della febbre Oropouche si manifestano di solito dopo 3-8 giorni dalla puntura dell’insetto vettore, e sono in gran parte sovrapponibili a quelli di altre febbri virali tropicali come dengue, Zika o chikungunya: febbre alta (oltre i 39 °C) accompagnata da mal di testa, dolore retrorbitale, malessere generale, mialgia, artralgia, nausea, vomito e fotofobia – prosegue Concetta Castilletti, responsabile dell’Unità di Virologia e Patogeni Emergenti dell’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria di Negrar -. Sono stati inoltre registrati sporadici casi di interessamento del sistema nervoso centrale, come meningite ed encefalite. Nel 60% circa dei casi dopo la prima fase acuta i sintomi si ripresentano, in forma meno grave: di solito da due a dieci giorni, ma anche dopo un mese dalla prima comparsa”. “Le arbovirosi come la febbre Oropouche, o come dengue, Zika, chikungunya – precisano gli esperti- costituiscono una delle emergenze di salute pubblica con le quali dobbiamo abituarci a convivere. I cambiamenti climatici e l’aumento degli spostamenti delle popolazioni umane rischiano di rendere endemici anche alle nostre latitudini virus un tempo confinati nella fascia tropicale. È fondamentale essere sempre preparati a rispondere all’emergenza di patogeni che non sono abitualmente diffusi nella fascia mediterranea, e sotto questo aspetto l’essere riusciti ad isolare il virus OPOV ci fornisce un’arma in più per affinare la diagnostica e la ricerca. La diagnosi tempestiva e la sorveglianza costante, unite a interventi di salute pubblica come le disinfestazioni, rimangono lo strumento principale per contenere questi rischi”. “La diagnosi di febbre Oropouche effettuata dall’IRCCS Sacro Cuore Don Calabria – commenta Gobbi – conferma l’importanza di disporre di presidi specializzati, in grado di monitorare costantemente l’andamento delle arbovirosi e di altre patologie trasmissibili. La duplice specializzazione del nostro IRCCS in malattie infettive e tropicali, e il fatto che da oltre trent’anni sia presente presso il nostro ospedale un servizio di medicina dei viaggiatori, ci mettono nelle condizioni di poter individuare con tempestività l’emergenza di potenziali rischi di salute pubblica, che in questo modo possono essere gestiti sul nascere grazie alla consolidata collaborazione con le autorità sanitarie della provincia di Verona e della Regione Veneto”.

Anziani, 1 su 3 vittima abusi. Da geriatri SIGG vademecum segnali allarme

Anziani, 1 su 3 vittima abusi. Da geriatri SIGG vademecum segnali allarmeRoma, 14 giu. (askanews) – Angherie, negligenza, maltrattamenti fisici e psicologici, abusi nelle RSA, sono riferiti dal 30% degli anziani fragili, per arrivare a circa due terzi nelle RSA e nelle case di riposo. Tra le mura domestiche le situazioni di abuso sono poco rilevabili, ma nella maggior parte dei casi avvengono purtroppo per mani di caregiver e di famigliari, da aiutare e non abbandonare, pur senza giustificare le violenze. In questo scenario la SIGG, in occasione della Giornata Mondiale contro gli abusi che ricorre domani, promuove un vademecum in cui si indicano i campanelli di allarme per intercettare e riconoscere i segnali di violenza e maltrattamento. “Tra i segnali che possono far sospettare un problema di abuso, in generale, ricorrono scarsa igiene o un odore sgradevole, abiti sporchi, malnutrizione e disidratazione non correlate a una patologia – dichiara Andrea Ungar, presidente SIGG -. Tra i campanelli di allarme che potrebbero indicare che un anziano è vittima di violenza fisica, i più diffusi sono lesioni, come graffi o tagli localizzati prevalentemente su testa e viso, compresi occhi, orecchi, area dentale, collo e arti superiori. Ma anche cadute e fratture con cause indeterminate o ustioni e lividi in luoghi e di tipo insolito. Mostrare, invece, comportamenti caratterizzati da paura di rappresaglie, vergona, rassegnazione, riluttanza a parlare apertamente possono essere indicativi di abuso psicologico ed emotivo”. Ma se chi assiste gli anziani è frustrato e stressato dall’onere assistenziale, il carico delle cure quotidiane finisce spesso per favorire l’esaurimento fisico ed emotivo, un nemico a volte invisibile che induce a trascuratezza e ad azioni di abuso psicologico, fisico e finanziario. “L’assistenza di un anziano, specie con deterioramento cognitivo, impegna il famigliare sia sul piano pratico ed organizzativo che su quello emotivo, portando spesso a un ‘cortocircuito’ relazionale che si ripercuote sulla vita dell’anziano con comportamenti abusivi del caregiver che percepisce l’onere assistenziale come un impegno schiacciante e complesso e che determina spesso atteggiamenti disfunzionali – aggiunge Anna Castaldo, coordinatrice del gruppo di studio SIGG sulla prevenzione del maltrattamento agli anziani -. Ed è proprio lo stress derivante dal carico assistenziale a causare una riduzione della qualità delle cure e, nel peggiore dei casi, situazioni di abuso che esplodono soprattutto nel difficile periodo estivo. I comportamenti dei caregiver che suggerisco abusi sono, ad esempio, non lasciar parlare l’anziano, trattarlo come un bambino e fornire spiegazioni poco plausibili per le lesioni – prosegue -. Circa due terzi degli episodi di abuso avvengono nelle RSA e nelle case di riposo. Tra i maltrattamenti istituzionali più ricorrenti ad opera del personale assistenziale ci sono: mancanza di rispetto per la dignità e la privacy dell’anziano, utilizzo di mezzi di contenzione inappropriati e nessuna flessibilità negli orari di messa a letto e di alzata, uso improprio di farmaci, mancata fornitura di occhiali, apparecchi acustici o protesi dentali, non fornire cibo e bevande adeguati o mancata assistenza nel mangiare”. Contro i maltrattamenti la SIGG invita a offrire gentilezza come risposta alle violenze verso gli anziani più fragili. “Il semplice atto di essere gentili con le persone anziane deve essere considerato parte del servizio di cura – sottolineano Ungar e Castaldo -. Mostrare gentilezza ispira gentilezza e aiuta a diffonderla per combattere i conflitti e prevenire gli abusi. La neuroscienza indica che vedere qualcuno mostrare emozioni positive attiva automaticamente le stesse aree del cervello. Essere gentile con una persona anziana significa avere un atteggiamento di rispetto, accoglienza e disponibilità. Una persona fragile incapace di badare a sé stessa a causa di una malattia o una disabilità fisica, ha bisogno innanzitutto di essere ascoltata attentamente e non interrotta. È importante anche mantenere un contatto fisico e visivo con la persona anziana e condividere momenti di relax”. Sulle persone anziane la gentilezza può avere un forte impatto anche terapeutico per il mantenimento della salute e del benessere non solo mentale ma anche fisico. Attivando la produzione di ossitocina, l’ormone della felicità che allontana lo stress, la gentilezza contribuisce a proteggere la memoria, aiuta a combattere la depressione e contribuisce al calo della pressione sanguigna e del cortisolo”.

Operatori sanità in aree critiche, “nuove tecnologie di protezione”

Operatori sanità in aree critiche, “nuove tecnologie di protezione”Roma, 13 giu. (askanews) – L’importanza di ridurre le infezioni correlate all’assistenza, anche attraverso i nuovi strumenti più innovativi promossi sul mercato da aziende italiane come quelle presenti, è stato il tema al centro della conferenza dal titolo “I dispositivi di protezione per l’operatore sanitario nelle aree critiche: nuove tecnologie”, promossa dal vicepresidente della Commissione Affari Sociali della Camera Luciano Ciocchetti, a seguito di un suo ordine del giorno sul tema approvato a Montecitorio lo scorso aprile. La conferenza ha visto la partecipazione, oltre che di Ciocchetti, del prof. Alberto Firenze, presidente HCRM (Hospital & Clinical Risk Managers) e docente all’Università di Palermo; del prof. Roberto Lombardi, già Dipartimento Igiene del Lavoro Ispesl e Dipartimento per le Innovazioni Tecnologiche dell’Inail, anche lui docente; e di Fabio Lencioni e Carlo Tagliabue, rispettivamente Presidente e Amministratore delegato di L.C.M. Trading S.p.A.


“E’ fondamentale ridurre le infezioni ospedaliere, le cosiddette ICA”, ha sottolineato Ciocchetti: “Noi oggi abbiamo un serio problema come sistema Paese, con una presenza più alta rispetto ad altre nazioni europee di infezioni ospedaliere. Abbiamo anche un problema legato alla carenza di nuovi antibiotici che possano contrastare le infezioni antimicrobico-resistenti. Dobbiamo quindi fare un lavoro di prevenzione legato anche all’utilizzo di dispositivi sanitari. Ho già presentato e fatto approvare come Ordine del Giorno alla Camera dei Deputati, con parere favorevole del Governo, un documento che impegna l’esecutivo a stabilire delle linee guida sul materiale e su tutti i dispositivi sanitari di protezione utilizzati dal personale sanitario”. “Nel 2019 – ha affermato il prof. Firenze – l’OMS ha lanciato la Giornata per il Lavaggio delle Mani. Questo è l’indicativo più importante di quanto oggi le infezioni correlate all’assistenza rivestano una emergenza sanitaria. Come affrontarla? Sicuramente la pandemia ci ha insegnato molto. Allora portiamo a casa quel risultato per determinare azioni di cambiamento che vedano la multidisciplinarietà e il coinvolgimento di un sistema che parta dal Governo e poi le Regioni, le aziende del servizio sanitario nazionale, a determinare momenti premianti, anche con la condivisione nell’ambito degli obiettivi assegnati ai singoli direttori per far sì che le buone pratiche e l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuali siano parte integrante di un sistema di cambiamento, che abbia nella sicurezza dei pazienti e degli operatori sanitari l’obiettivo centrale”.


“Abbiamo troppi decessi causati dalle ICA (diecimila ogni anno). Bisogna attuare tutte le misure di sicurezza, tra cui quelle innovative che sono venute fuori recentemente, e i dispositivi di protezione individuale, riguardanti specialmente gli operatori delle aree critiche in sanità, come casacca e pantalone. Si tratta – ha spiegato il prof. Lombardi – di dispositivi che garantiscono una tutela importantissima per eccellenti attività di carattere antibatterico e antivirale, come quelli delle aziende presenti qui oggi. Questi vanno adottati, lo prevede la legislazione. Adesso sta all’attuazione da parte delle Regioni e degli organismi preposti raggiungere i risultati auspicati”. “Come gruppo LCM – ha detto Fabio Lencioni, presidente L.C.M. Trading S.p.A. – siamo i distributori esclusivi per l’Italia delle divise ospedaliere prodotte da Erreà. Naturalmente siamo molto appassionati a questa iniziativa, che pur avendo anche dei risvolti economici, si occupa della cura della salute e della prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza, che rappresentano un problema veramente serio della sanità italiana. Lieti di dare il nostro contributo”.


“Siamo contenti e orgogliosi di essere tra le aziende che si sono impegnate nell’innovazione e che hanno visto in questi dispositivi di protezione individuale, di cui la conferenza promossa dall’On. Ciocchetti discuteva, una potenziale nuova tecnologia per la salute pubblica. Grazie ad aziende italiane come la nostra ed Erreà, che ha brevettato il prodotto, abbiamo cominciato a proporlo sul mercato sia da un punto di vista tecnico-scientifico sia da un punto di vista commerciale. Siamo contenti di sapere che anche il Governo oggi si è impegnato su questo tema, da parte nostra ci impegneremo come azienda a continuare e a perseguire un obiettivo che, oltre ad essere di natura commerciale, ha una grande valenza sotto il profilo socio-sanitario”, ha concluso Carlo Tagliabue, Ceo di L.C.M. Trading S.p.A.

Sangue, torna a crescere numero giovani donatori: +7mila nel 2023

Sangue, torna a crescere numero giovani donatori: +7mila nel 2023Roma, 11 giu. (askanews) – Nel 2023 è tornato a crescere il numero dei donatori giovani. Per la prima volta da almeno dieci anni, i donatori compresi nella fascia d’età tra i 18 e i 45 anni sono aumentati di circa 7mila unità rispetto all’anno precedente. Un risultato sicuramente positivo che però rientra in una tendenza ultradecennale all’invecchiamento della popolazione dei donatori, tendenza che trova conferma nel confronto con gli anni precedenti. Nel 2023 i donatori tra 18 e 45 anni hanno rappresentato infatti il 50,7% del totale, solo 5 anni prima, nel 2018, tale percentuale era del 55%. Sono i dati illustrati al ministero della Salute dal direttore del Centro Nazionale Sangue, Vincenzo De Angelis, in occasione dell’avvio, della Campagna “Dona vita, dona sangue” promossa dal Ministero della Salute, in collaborazione con il Centro Nazionale Sangue e le principali Associazioni e Federazioni di donatori italiane (AVIS, Croce Rossa Italiana, FIDAS, FRATRES e DonatoriNati).


A livello generale il 2023 ha segnato una lieve crescita nel numero totale dei donatori di sangue, che sono aumentati di 20mila unità rispetto al 2022. Segno più anche per il numero delle donazioni (+36mila rispetto al 2022), aumento che ha permesso di superare la soglia dei 3 milioni di donazioni in un anno. Si conferma così l’importanza della generosità della popolazione italiana dei donatori che ha garantito anche quest’anno l’autosufficienza del paese in materia di globuli rossi e la possibilità di effettuare circa 2 milioni e 837mila trasfusioni ad una media di 1.748 pazienti al giorno. In netta crescita anche i numeri della raccolta di plasma, che con gli oltre 880mila chili conferiti all’industria farmaceutica per la produzione di plasmaderivati, ha totalizzato il record di raccolta nella storia italiana. Paradossalmente, nonostante l’aumento del 4% registrato nel 2023, l’obiettivo dell’autosufficienza in materia di plasmaderivati resta ancora lontano. A pesare in particolare su questo dato è il fortissimo aumento nella richiesta di questo tipo di farmaci, in particolare delle immunoglobuline. Basti pensare che nonostante il livello record della raccolta, le donazioni dei donatori italiani hanno coperto circa il 62% del fabbisogno di immunoglobuline. Nel 2022, che per la raccolta di plasma è stato un anno nero, la quota di autosufficienza in materia di immunoglobuline era stata del 64%. “L’importanza della campagna ‘Dona vita, dona sangue’ è testimoniata anche dai numeri – ha commentato il direttore De Angelis -. Ci eravamo rivolti a un pubblico più giovane e per la prima volta dopo più di un decennio il numero dei donatori giovani è aumentato rispetto all’anno precedente e si sono registrati anche aumenti considerevoli nella raccolta, specie del plasma. Non bisogna però accontentarsi dei buoni risultati ottenuti, perché per invertire la tendenza all’invecchiamento della popolazione dei donatori e per garantirci l’autosufficienza in materia di plasma c’è ancora tanto da fare. E solo con l’impegno concreto di tutti gli attori in campo, dal Ministero della Salute alla più piccola associazione di donatori, potremo garantire non solo nel presente, ma anche in futuro, le trasfusioni e le terapie a base di farmaci plasmaderivati per tutti i pazienti del nostro Paese”.

Cure palliative pediatriche garantite solo al 15% bimbi che ne hanno bisogno

Cure palliative pediatriche garantite solo al 15% bimbi che ne hanno bisognoRoma, 10 giu. (askanews) – L’accesso alle Cure Palliative Pediatriche (CPP) è garantito solo al 15% dei 30mila bambini che in Italia ne avrebbero bisogno e ben 7 regioni non hanno centri o strutture dedicate a questo servizio specialistico, di conseguenza i piccoli pazienti e le loro famiglie sono costretti a fare viaggi estenuanti e a trascorrere lunghi periodi lontani da casa per ricevere le cure necessarie. È l’allarme lanciato da Peter Pan ODV – organizzazione di volontariato che accoglie, insieme alle loro famiglie, i bambini malati di cancro che si recano a Roma per ricevere le cure necessarie – in occasione del convegno “Qualità della vita, qualità delle Cure Palliative Pediatriche. La figura del Caregiver”, una delle tappe romane del 3° Giro d’Italia delle Cure Palliative Pediatriche (GCPP). Dal convegno è emersa la necessità di considerare, all’interno del percorso di Cure Palliative Pediatriche, non solo l’aspetto medico, ma anche il benessere emotivo, sociale e psicologico dei bambini e delle loro famiglie.


La disuguaglianza regionale nell’accesso alle Cure Palliative Pediatriche è solo uno degli elementi che impedisce di accedervi alla maggioranza dei bambini che ne avrebbero diritto: “Spesso l’inserimento in un percorso di CPP specialistiche si ha tardivamente, a causa di una percezione di fallimento professionale da parte del personale curante – spiega Alessandra Pieroni, del Centro di Cure Palliative Pediatriche dell’IRCCS Ospedale Pediatrico Bambino Gesù – inoltre, molte famiglie faticano ad accettare l’idea di passare da una terapia curativa a una terapia di supporto, soprattutto quando viene percepita come un “abbandono”. Le CPP non sono però legate solo alle fasi terminali della malattia, quando, tutti i trattamenti volti alla guarigione sono già stati tentati. Al contrario, prevedono l’assistenza fin dal momento della diagnosi di una malattia inguaribile e proseguono per tutta la traiettoria della malattia, anche in contemporanea alle altre terapie”. Centro della tappa del Giro d’Italia delle Cure Palliative Pediatriche organizzata da Peter Pan ODV, che quest’anno compie 30 anni, è stata la figura del caregiver, fondamentale in caso di pazienti pediatrici, attivamente coinvolta nella somministrazione delle cure e nel garantire il benessere emotivo dei pazienti. Figura che è quasi sempre un componente della famiglia, con il proprio bagaglio di sofferenza. Secondo lo studio Palliped3, nel 90% dei casi analizzati, il caregiver principale è la madre.


«Il supporto alle famiglie è parte integrante del percorso di Cure Palliative Pediatriche – spiega Renato Fanelli, oncologo, membro del Comitato Etico di Peter Pan e del Coordinamento Regionale per le Cure Palliative Adulti e Pediatriche – il nucleo familiare è la prima comunità in cui il paziente vive la sua malattia ed è qui che viene individuata la figura del caregiver, importantissima nella cura del paziente. Il caregiver e la famiglia tutta sono sottoposti a un pesante carico emotivo, è quindi assolutamente necessario che l’equipe curante si prenda cura della famiglia, specialmente se sono presenti bambini o minori.»