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Centrale Latte Roma e Bambino Gesù, 25 anni di collaborazione

Centrale Latte Roma e Bambino Gesù, 25 anni di collaborazioneRoma, 30 gen. (askanews) – Contribuire alla salute dei bambini e sostenere la missione dell’Ospedale attraverso le donazioni di attrezzature vitali e campagne solidali. È questo l’obiettivo della storica collaborazione, che ha festeggiato ieri il 25° anniversario, tra la Centrale del Latte di Roma e l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Tanti i progetti che dimostrano l’impegno concreto della Società lattiero casearia e dell’Ospedale Pediatrico romano nel garantire l’accesso a questo elemento vitale per la crescita e lo sviluppo dei neonati, specialmente in situazioni di nascite premature o difficili. La Banca del Latte è una delle iniziative che meglio racconta questo sodalizio attraverso la distribuzione di oltre 1000 litri di latte materno ogni anno per i piccoli che non possono essere allattati. Un successo che dimostra la forte vocazione solidale della Centrale del Latte di Roma e dell’Ospedale Bambino Gesù che grazie alla rete costituita da 100 mamme donatrici riescono ad aiutare oltre 200 neonati con particolari esigenze terapeutiche. Nel 2019, la Centrale del Latte di Roma ha inoltre ampliato il suo sostegno attraverso la donazione di un’automobile per il ritiro a domicilio del latte materno che rende ancora più preziosa una realtà come la Banca del Latte Materno. La collaborazione tra Centrale del Latte di Roma e la Fondazione Bambino Gesù, è riuscita a potenziare le strutture ospedaliere e le risorse, offrendo un sostegno concreto ai piccoli pazienti e alle realtà coinvolte. Un percorso volto alla promozione delle corrette abitudini alimentari e di una visione olistica del benessere dei neonati, concentrata sui benefici del latte materno, quali la formazione del microbiota e lo sviluppo cerebrale. Le due realtà hanno celebrato i grandi risultati che hanno consentito il miglioramento delle qualità delle cure pediatriche e che riflettono l’impegno verso la comunità. In questa occasione la Centrale del Latte di Roma ha lanciato un’edizione speciale del packaging dei propri prodotti.

La Centrale del Latte di Roma ha partecipato attivamente a diverse campagne solidali, promosse dal Bambino Gesù per la raccolta fondi, tra cui “Un Euro per un Bambino”, “Mettiamo su Casa”, “Futuriamo”. Durante queste iniziative, l’azienda ha donato attrezzature di primo ordine come una poltrona ortodontica, un’ambulanza, un sistema di trattamento iper/ipotermia e un microscopio avanzato per il laboratorio di Microbiologia. «Siamo estremamente orgogliosi di festeggiare il 25° anniversario della nostra collaborazione con l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Nel corso degli anni, questa partnership ha superato i confini di una collaborazione, trasformandosi in un autentico legame umano. L’impatto tangibile che abbiamo avuto sulla vita dei bambini e sulle attività dell’ospedale ci riempie di gratitudine, confermando il valore fondamentale nel sostenere la salute dei più giovani», ha dichiarato il Presidente della Centrale del Latte di Roma, Fabio Massimo Pallottini durante l’evento di ieri pomeriggio.

«Sono lieto che continui la collaborazione della Centrale del Latte, con l’Ospedale Pediatrico – ha affermato Tiziano Onesti, Presidente del Bambino Gesù – Per l’alimentazione dei neonati pretermine, specie per quelli di peso molto basso alla nascita, quanto il latte della propria madre non è disponibile, entra in azione la Banca del Latte umano donato. Un progetto di solidarietà, di civiltà e di tutela della salute che viene portato avanti dal personale dell’Ospedale e da numerosi volontari».

Esperti: dolore addominale per 30% bimbi età scolare. Non va sottovalutato

Esperti: dolore addominale per 30% bimbi età scolare. Non va sottovalutatoRoma, 29 gen. (askanews) – Il dolore addominale funzionale colpisce 3 bambini su 10 in età scolare, ed è la prima causa di assenze scolastiche in tutto il mondo. È una condizione benigna che nell’80% dei casi si risolve entro due anni dal consulto medico, ma non va trascurata perché incide negativamente sul benessere e sulla qualità di vita del bambino, con conseguenze sfavorevoli anche per la sua famiglia. Il dolore addominale funzionale interessa bambini e ragazzi da 4 a 18 anni, ed è caratterizzato da un dolore localizzato prevalentemente intorno all’ombelico, che si manifesta per almeno quattro giorni al mese e per almeno due mesi consecutivi. Il dolore addominale può associarsi a mal di testa, stordimento, stanchezza, dolore agli arti e nausea. Si tratta del disturbo più comune descritto ai pediatri. Pur non avendo una causa organica, comporta frequentemente l’esecuzione di indagini non necessarie, visite mediche ripetute, giorni di scuola e di lavoro persi, depressione e ansia. Per aumentare la consapevolezza su questo disturbo la Società Europea di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica (ESPGHAN), in collaborazione con le Società Pediatriche Generali e le Società Nazionali di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione Pediatrica (PGHAN) promuovono una campagna sanitaria in tutta Europa.   In Italia la campagna viene realizzata in collaborazione con la Società Italiana di Pediatria (SIP) e con la Società Italiana di Gastroenterologia Epatologia e Nutrizione Pediatrica (SIGENP). Volantini, poster, brochure e un fumetto, nelle varie lingue europee, saranno distribuiti ai pediatri, ma saranno anche messi a disposizione dei genitori sui canali social e sul sito della Società Italiana di Pediatria, al fine di favorire la comprensione di questa problematica. La campagna di comunicazione viene presentata in Italia oggi al Ministero della Salute. 

“Lo scopo di questa campagna -spiega Sanja Kolacek, portavoce ESPGHAN— non è soltanto educativo, bensì di sensibilizzazione del grande pubblico. Il dolore addominale funzionale è una condizione benigna, ma tediosa, che ostacola la vita quotidiana del bimbo colpito e di tutta la sua famiglia. Se affrontata nel modo corretto, oltre l’80% dei bambini non proverà più dolore e starà bene”. Interpellato in merito all’importanza della  campagna il professor Marc A. Benninga, gastroenterologo pediatrico ed esperto ESPGHAN, ha spiegato: “Il dolore addominale funzionale è molto diffuso in tutto il mondo. A volte è intermittente, ma spesso compromette la qualità della vita. Questi bambini manifestano più ansia, più depressione e hanno una qualità di vita inferiore”. Il dolore addominale funzionale è diagnosticato sulla base dei criteri di Roma (una serie di linee guida utilizzate dai medici per diagnosticare e trattare i disturbi gastrointestinali funzionali), che stabiliscono che la diagnosi debba prevedere quanto segue: – Dolore di tipo episodico o continuo che dura almeno quattro giorni al mese per almeno due mesi.  – Dolore che si presenta non soltanto in concomitanza con l’alimentazione o il ciclo mestruale. – Non soddisfa i criteri relativi ad altri disturbi gastrointestinali funzionali e non corrisponde a un’altra condizione medica.  I bambini potrebbero inoltre lamentare mal di testa, stordimento, stanchezza, dolore agli arti e nausea concomitante. In merito alla gestione e alla diagnosi del dolore addominale funzionale, si sottolinea l’importanza di evitare la sovradiagnosi e il rischio che il bambino sia sottoposto a procedure diagnostiche invasive e non necessarie. Nonostante non vi sia una causa organica, l’individuazione tempestiva della condizione, il sostegno e le rassicurazioni al bambino colpito e alla sua famiglia, nonché l’eventuale integrazione di altri trattamenti, aiuteranno la maggior parte dei bambini a stare meglio. “Anche se si tratta di una condizione benigna, sottovalutare i sintomi può peggiorare la situazione”, afferma la Presidente della Società Italiana di Pediatria Annamaria Staiano.  “È importante incoraggiare i bambini e i ragazzi a continuare a svolgere le normali attività come andare a scuola, fare attività fisica, uscire con gli amici: ciò può distrarli e alleviare i sintomi. È importante inoltre aiutarli a mantenere un buon ritmo del sonno e una corretta alimentazione e rassicurarli sul fatto che il dolore non ha una causa grave, ed è temporaneo. Il dolore addominale funzionale può essere causato dallo stress e, a sua volta, provocarlo: il consiglio, quindi, è parlare con i bambini e i ragazzi di ciò che crea loro preoccupazioni e ansie”.  

Villadei: un saluto dallo spazio ai piccoli pazienti del Bambino Gesù

Villadei: un saluto dallo spazio ai piccoli pazienti del Bambino GesùRoma, 29 gen. (askanews) – Stamane, grazie alla collaborazione con l’Aeronautica Militare, il Col. Walter Villadei, astronauta, impegnato da qualche giorno nella missione Ax-3 Voluntas sulla Stazione Spaziale Internazionale, ha offerto ai piccoli pazienti del Bambino Gesù un regalo davvero speciale: un collegamento audio e video dalla stazione orbitante intorno alla Terra. Il Colonnello Villadei ha risposto alle domande e alle curiosità di un gruppo di bambini radunato nella ludoteca della sede del Gianicolo, alla presenza del Presidente del Bambino Gesù, Tiziano Onesti, e del Generale di Brigata Aerea Urbano Floreani, Capo del 5° Reparto “Comunicazione” dello Stato Maggiore dell’Aeronautica. Il collegamento rientra tra le attività che l’astronauta svolge nella missione Ax-3 Voluntas, guidata dal Ministero della Difesa tramite l’Aeronautica Militare e che coinvolge anche Agenzia Spaziale Italiana, università, centri di ricerca e imprese.

Tante le curiosità dei piccoli con lo sguardo incollato verso l’astronauta che “galleggiava” nella stazione orbitante con alle spalle il tricolore italiano. A Cecilia che ha chiesto com’è la Terra dallo spazio, Villadei ha spiegato che “è straordinariamente bella. Sono stupende le sfumature azzurre degli oceani e le nevi sulle vette dell’Himalaya. E’ bello quando si passa sull’Italia, di notte con le luci o anche di giorno, e la si attraversa in un momento”. L’astronauta ha spiegato ai bambini il lavoro a bordo della Stazione Spaziale Internazionale dedicata alla ricerca. Il suo compito comprende esperimenti per studiare e mitigare gli effetti fisiologici del volo spaziale sugli esseri umani, capire i cambiamenti biologici legati alla salute e alle malattie sulla Terra e condurre attività per valorizzare le competenze italiane in campo operativo, tecnologico e commerciale applicate allo spazio. Uno degli argomenti che più ha appassionato i piccoli pazienti è stato cosa si mangia nello spazio e se si può cucinare la pasta. Villadei ha mostrato le speciali buste alimentari usate dagli astronauti e i contenitori con le cannucce per bere i liquidi. “La pasta non si può cucinare come sulla Terra perché non si può far bollire l’acqua” ma “è stato sperimentato un modo nuovo di cucinarla facendola riscaldare per 30 minuti”. Un risultato, a detta dell’astronauta e dei suoi compagni di volo “molto, molto buono”. A Sofia che gli ha chiesto se lo spazio è grande o piccolo, il colonnello ha spiegato che “lo spazio è molto grande e abbiamo appena iniziato ad esplorarlo”. Quindi l’invito per tutti i bambini a studiare e a impegnarsi perché “qualcuno di voi potrà arrivare sicuramente sulla Luna o su Marte”. Al termine del collegamento il Presidente Onesti ha consegnato al Generale Floreani alcuni disegni sul tema dello spazio realizzati dai bambini della ludoteca. «Siamo contenti di aver dato a bambini e bambine presenti la possibilità di entrare nella Stazione Spaziale Internazionale – ha commentato il Gen. Floreani -. Speriamo che lo Spazio sia sembrato loro un po’ più vicino e ci auguriamo che questo collegamento possa dare un piccolo aiuto nel percorso di cura, perché abbiano aspirazioni e sogni che vadano, possiamo proprio dirlo, al di là dei confini della Terra». «Collegarsi con lo spazio – ha affermato il Presidente Onesti – è stata una grande emozione per tutti quanti, bambini e adulti. È bello poter offrire ai nostri pazienti ricoverati delle occasioni così importanti, esperienze indimenticabili che segneranno in modo positivo il loro ricordo della permanenza in Ospedale. La cura dei bambini e dei ragazzi passa anche attraverso momenti come questi. Saremo felici di poter accogliere il colonnello Villadei in Ospedale, quando ritornerà dalla sua missione».

Università Cattolica e Gemelli in Tanzania per sostegno alla maternità

Università Cattolica e Gemelli in Tanzania per sostegno alla maternitàRoma, 29 gen. (askanews) – È partita il 27 gennaio la delegazione dell’Università Cattolica e della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS per accompagnare la quarta tappa del Progetto di sostegno, collaborazione e sviluppo delle attività e delle strutture sociosanitarie del Paese dell’Africa orientale, nell’ambito delle iniziative di solidarietà e di volontariato internazionale di Fondazione e Ateneo.

Questa nuova missione – spiega una nota – nasce, in particolare, con l’obiettivo di rafforzare e sostenere le attività del St. Gemma Hospital di Dodoma attraverso tutte le fasi del progetto, grazie a un’attività di consulenza e formazione, accompagnando l’intera realizzazione di nuove strutture: un nuovo edificio per il reparto Maternità con l’organizzazione della Sala Operatoria e della Sala Parto, grazie all’expertise del personale medico e sanitario dell’Area di Ginecologia e Ostetricia della Fondazione Gemelli, diretta da Antonio Lanzone, Ordinario di Ginecologia e Ostetricia alla Facoltà di Medicina e chirurgia dell’Università Cattolica. La delegazione, composta da ginecologhe e personale della Direzione Tecnica, ICT e innovazione tecnologie sanitarie della Fondazione Gemelli diretta dall’Ing. Giovanni Arcuri, è guidata da Mons. Claudio Giuliodori, Assistente Ecclesiastico generale dell’Università Cattolica, che ha seguito fin dall’inizio, ossia dai primi anni Duemila, i progetti di realizzazione e sviluppo del St. Gemma Hospital attraverso la realizzazione dei tre precedenti progetti in Tanzania che hanno ottenuto il sostegno della CEI: “Grazie al legame con alcuni amici del Trentino e alla conoscenza diretta della Congregazione locale delle Suore di Santa Gemma presenti nella Diocesi di Dodoma, dopo la costruzione dell’Ospedale, inaugurato nel 2004, e la formazione di 30 suore infermiere e 3 suore medico con un progetto avviato nel 2009, è stata realizzata la struttura per il nuovo servizio dedicato alla gastroscopia, servizio allora non disponibile nel raggio di 500 Km da Dodoma (2016) e curato per i primi tre anni grazie alla collaborazione di 20 medici gastroenterologi volontari italiani che si sono alternati in loco per tutto il periodo. Ora il progetto cresce ancora e raddoppia gli spazi ospedalieri, dedicando tutta la nuova struttura alla ostetricia e ginecologia”.

“Da molti anni, la CEI sostiene le attività del St. Gemma Hospital con i fondi dell’8xmille che i cittadini destinano alla Chiesa Cattolica. Si tratta di un supporto a favore delle donne e dei bambini, in una fase particolare per la salute materno- infantile, che pone un’attenzione costante all’accompagnamento delle persone accolte. Garantire assistenza e cura, con competenza e sollecitudine, è un modo concreto per farsi prossimi e per promuovere la dignità dell’essere umano”, sottolinea S. E. Mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario Generale della CEI. Il nuovo progetto, redatto dalla Direzione Tecnica della Fondazione Gemelli nel corso del 2022, risponderà ai più moderni criteri progettuali e normativi italiani e sarà in grado di soddisfare due bisogni essenziali: la necessità di ampliare il servizio di maternità a causa dell’aumento esponenziale delle partorienti che si rivolgono all’ospedale di Dodoma e, quindi, la necessità di allestire un servizio per i molti neonati prematuri per evitare il trasferimento critico all’unico ospedale che lo ha, distante 35 chilometri.

Melanoma, al Pascale somministrata prima dose italiana vaccino

Melanoma, al Pascale somministrata prima dose italiana vaccinoNapoli, 26 gen. (askanews) – Si chiama Alfredo, ed è il primo paziente italiano a cui stamattina all’Istituto dei tumori Pascale di Napoli è stato somministrato il vaccino anticancro a mRNA per la cura del melanoma. Per l’Irccs partenopeo, dove Alfredo è seguito dallo scorso settembre dall’oncologo Paolo Ascierto, un ruolo di primo piano nella ricerca sui vaccini antitumorali. Anche se, come precisa Ascierto “ci vorrà qualche anno prima di avere i risultati di quest’ultima fase dello studio clinico, la fase III”. Cauto ottimismo, quello dell’oncologo primo al mondo per la cura del melanoma, visto anche che l’Italia è stata esclusa dalla sperimentazione di fase I e II, ma anche grande entusiasmo. “La nostra speranza è quella di poter dare una nuova e più efficace opzione terapeutica a quanti più pazienti possibili. Ed è per questo che oggi è un grande giorno. Il vaccino, prodotto da Moderna – ha proseguito Ascierto – si basa sulla stessa tecnologia adottata per quelli contro il Covid, cioè utilizzando mRNA sintetici progettati per ‘istruire’ il sistema immunitario a riconoscere specifiche proteine, chiamati ‘neoantigeni’, che sono espressione di mutazioni genetiche avvenute nelle cellule malate. Il suo scopo non è quello di prevenire la malattia ma di aiutare e supportare il sistema immunitario dei pazienti a riconoscere e ad attaccare più efficacemente il tumore. Certo, essendo una sperimentazione a ‘doppio cieco’ potremmo trovarci di fronte ad una dose di placebo. Secondo protocollo, infatti, né il paziente né l’oncologo sanno cosa gli è stato iniettato. Lo sapremo alla fine della sperimentazione”. Ad oggi ci sono ben 70 farmaci immunoterapici allo studio, sia in fase preclinica (su sperimentazioni non umane) che in fase clinica, e solo in Italia si contano circa 200 studi clinici in corso, di cui 51 con arruolamento attivo, che rappresentano a tutti gli effetti una nuova opportunità terapeutica per i pazienti. Il Pascale ha screenato altri 18 pazienti, candidati al vaccino. Nel frattempo, si stima che nel mondo ci siano oltre 40 vaccini anti-cancro a mRNA allo studio, mentre continuano ad aumentare le nuove indicazioni per farmaci immunoterapici già in uso.

Dengue e chikungunya anche in Italia allarme malattie tropicali neglette

Dengue e chikungunya anche in Italia allarme malattie tropicali negletteRoma, 26 gen. (askanews) – Nel 2023, in Italia sono stati 82 i casi di dengue – la “febbre spaccaossa” – autoctoni, avvenuti direttamente nel nostro Paese, e 280 quelli importati da viaggiatori tornati da luoghi in cui la malattia è endemica; 7 i casi di chikungunya; 600 i casi diagnosticati di malattia di Chagas dal 1998, e centinaia i positivi alla strongiloidosi, una forma di parassitosi, diffusa soprattutto tra gli over 65. Questi sono i dati che riguardano solo alcune delle 12 patologie, che hanno trasmissione sul territorio italiano, delle 21 che compongono il mosaico delle malattie infettive tropicali neglette (NTDs). Un gruppo eterogeneo di patologie, molte delle quali a carattere infettivo, causate da virus, batteri, funghi e tossine che comprendono anche, tra le altre, scabbia, echinococcosi e leishmaniosi, accomunate dall’essere più diffuse in zone povere, specialmente tropicali, con scarse risorse e dimenticate dall’agenza politica, dalla ricerca scientifica e invisibili all’opinione pubblica. “A livello globale sono quasi 1,7 miliardi le persone che richiedono interventi sanitari per queste malattie, con più di mezzo milione di morti l’anno. Circa 4000-5000 le persone colpite nel nostro Paese dove, in particolare la dengue, secondo i dati della sorveglianza dell’Istituto Superiore di Sanità, ha fatto registrare nel 2023 il record europeo per casi autoctoni – spiega Federico Gobbi, direttore del dipartimento di malattie infettive e tropicali dell’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar (Verona) e professore associato di malattie infettive all’università di Brescia -. Sembrano cifre irrisorie, ma in realtà il fenomeno è sottostimato e in continua crescita, non solo a livello globale e nel resto di Europa, ma anche da noi – sottolinea -. L’Italia è un osservato speciale, complice il cambiamento climatico che ha determinato la diffusione della zanzara tigre su tutto il territorio nazionale. A destare preoccupazione – prosegue – è il rischio endemico di dengue e anche di chikungunya in aumento con l’arrivo della primavera”. S “È importante focalizzare l’attenzione su queste 2 patologie, in quanto in Italia è presente la zanzara vettore, che può acquisire questi virus da viaggiatori infetti e trasmettere queste malattie che causano febbre, mal di testa, manifestazioni cutanee, e soprattutto fortissimi dolori osteoarticolari”, puntualizza Gobbi. A confermare ciò una analisi della letteratura condotta da ricercatori svizzeri e pubblicata di recente su New Microbes and New Infections che ha evidenziato come Aedes albopictus(più comunemente conosciuta come zanzara tigre), uno dei principali vettori della febbre dengue e chikungunya, sia presente in Europa che ormai insediata nelle regioni meridionali del continente. “In Italia queste zanzare sono giunte per la prima volta nel 1990 dagli Stati Uniti, arrivando a Genova e Padova e diffondendosi poi in tutto il Paese. Laddove è presente un vettore, vi è il rischio di trasmissione di tutte le patologie connesse al vettore stesso: è sufficiente che arrivi un viaggiatore con la malattia per innescare epidemie autoctone di quella patologia “di importazione”. Nel 2020 in Veneto, in provincia di Vicenza, si è verificata la prima epidemia autoctona di dengue in Italia con 11 casi e nel 2023 si sono registrati tre differenti cluster indipendenti tra loro: uno in Lombardia nella provincia di Lodi e due nel Lazio, a Roma e nel Circeo, arrivando a 82 casi autoctoni nel 2023 – riporta Gobbi -. Poiché nel 50-90% degli individui la dengue appare in forma asintomatica o molto lieve, molti casi passano inosservati e si può quindi ipotizzare che l’incidenza sia molto più alta di quanto non emerga dalle statistiche di sorveglianza”. “Dobbiamo prepararci a epidemie autoctone di dengue e chikungunya sempre più importanti. Nei prossimi anni, diventerà sempre più frequente una globalizzazione delle malattie infettive: viaggiano merci, viaggiano persone e viaggiano vettori. In un mondo sempre più interconnesso, interconnesse saranno anche le patologie”, sottolinea Gobbi. Ad accentuare il fenomeno e i contagi, il cambiamento climatico che, provocando un innalzamento delle temperature crea le condizioni ideali per la proliferazione delle zanzare tigre. “L’Aedes albopictus prospera a temperature comprese tra i 15°C e i 35°C, ma – aggiunge Gobbi – può tollerare anche inverni generalmente caldi come quello che stiamo vivendo, che non sono quindi in grado di decimare le larve e ciò comporterà un aumento delle zanzare con l’arrivo della primavera”.

È quindi importante attuare una sorveglianza attiva dei casi di importazione, per evitare che da pochi episodi limitati si generino epidemie estese. “È urgente mettere in atto maggiori misure contro questo problema di salute pubblica – sottolinea -. La mancata attenzione nei confronti delle patologie infettive “dimenticate”, aumenta il rischio che anche i paesi non endemici ne siano interessati, come sta accadendo appunto in Italia”. Nel 2021 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha lanciato una road map per le malattie tropicali dimenticate per il decennio 2021-2030 nella quale vengono definiti gli obiettivi globali per prevenire, controllare, eliminare ed eradicare queste patologie. “Ad oggi siamo ancora lontani dal raggiungere pienamente questi risultati e secondo il report 2023 sul progresso della road map, solo 47 Paesi hanno eliminato almeno una NTDs. C’è quindi ancora molto lavoro da fare per diminuire le infezioni e la circolazione delle malattie e per ridurre il pericolo a livello globale”, conclude Gobbi.

Salute mentale, il 50% dei disturbi compare prima dei 18 anni

Salute mentale, il 50% dei disturbi compare prima dei 18 anniRoma, 26 gen. (askanews) – “Stiamo vivendo un’epoca complessa che ha generato una sofferenza psichica diffusa, in particolare tra gli adolescenti e i giovani. Basti pensare che quasi il 50% di tutti i disturbi mentali compare entro i 18 anni, mentre il 62% si manifesta entro i 24anni. Abbiamo una finestra che ci consente interventi precoci per un recupero più rapido ed efficace dei ragazzi, ‘salvandone’ il futuro. Dobbiamo essere messi nelle condizioni di poterla usare con la ‘salutogenesi’, la promozione della salute, aumentando i fattori di resilienza. La salute mentale inizia prima del concepimento, per questo vogliamo e possiamo guardare oltre, promuovere la prevenzione primaria e secondaria. Vogliamo parlare di screening in un Paese che li sottovaluta o non riesce ad applicarli solo perché richiedono discussioni e decisioni”. Queste le parole di Claudio Mencacci e Matteo Balestrieri, Presidenti della Sinpf (Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia), a conclusione dei lavori del XXV Congresso nazionale dedicato a “Le neuroscienze del domani: la neuropsicofarmacologia verso la precisione e la personalizzazione delle cure”. L’evento ha coinvolto quasi 1200 esperti in 30 diverse sessioni, con la presentazione di 22 tra studi e poster in tre giorni, toccando tutti gli argomenti possibili nel campo della farmacologia in ambito neurologico e psichiatrico. “Tutta la psichiatria italiana, presente in questi tre giorni, di concerto con le Istituzioni, deve prendere consapevolezza del crescente disagio giovanile e agire insieme per dare risposte concrete e adeguate – sottolinea Mencacci, anche direttore emerito del dipartimento di Neuroscienze al Fatebenefratelli di Milano -. Questa alleanza ha assoluta necessità di un’agenzia nazionale che si faccia carico del coordinamento di azioni e risorse per la promozione della salute mentale della popolazione”. È importante anche intervenire affinché cada il tabù sugli psicofarmaci, molto spesso visti con sospetto, ma fondamentali come lo sono le terapie oncologiche e cardiovascolari. Così come deve essere alta l’attenzione sul loro corretto utilizzo. “Il consumo di psicofarmaci, prevalentemente antidepressivi e benzodiazepine, è in costante crescita da molti anni, circa il 2% l’anno – dichiara Matteo Balestrieri, Co-Presidente Sinpf e direttore della Clinica Psichiatrica dell’Azienda Sanitaria Universitaria di Udine -. Le benzodiazepine in particolare sono farmaci di fascia C, i più prescritti in assoluto, per quanto l’Italia sia il Paese che ha il minor numero di prescrizioni in Europa. Questo ci impone comunque una riflessione. Perché non sempre alle prescrizioni corrispondono utilizzi consoni. Il 40% di queste, infatti, viene poi gestito con un ‘fai da te’ pericolosissimo che mette a repentaglio il successo delle cure. Senza contare, poi, l’acquisto illegale: fino a un terzo dei farmaci usati dai giovani sono reperiti sul web, un fenomeno impressionante, e vengono utilizzati per ‘lo sballo’, per ‘uscire dallo sballo e dormire’, per migliorare le performance scolastiche o il proprio aspetto fisico, con danni enormi sulla salute, non solo mentale”. Infine, gli specialisti invitano a fare attenzione ai nuovi sistemi di comunicazione. “Sui social media la salute mentale finisce per essere trasferita al pubblico in modo semplicistico e scorretto – concludono Mencacci e Balestrieri -. Bisogna imparare a comunicare anche nell’universo dei social, per arrivare ai ragazzi con informazioni scientificamente corrette e semplici da comprendere. E bisogna che gli influencer, prima di scrivere anche una sola riga, pur personale, su problemi di salute mentale si informino consultando medici specialisti autorevoli, e valutino con grande attenzione l’effetto delle loro parole, che possono essere fraintese”.

”La Città dei Bambini” nella nuova pediatria del Policlinico di Milano

”La Città dei Bambini” nella nuova pediatria del Policlinico di MilanoRoma, 26 gen. (askanews) – Le corsie come viali alberati, l’ingresso come uno Skatepark e le stanze di degenza come colorate camerette. È questo il concept creativo che guiderà l’allestimento degli spazi dell’area pediatrica del Nuovo Policlinico di Milano, che sarà ultimato entro il 2024. Il progetto – caratterizzato da tecnologia integrata con gli spazi di accoglienza e di degenza, elementi grafici e tematici diversificati a seconda delle età dei pazienti e biofilia – è stato realizzato da Novembre Studio ed è il vincitore del bando da un milione di euro, promosso e finanziato da Fondazione De Marchi, per realizzare nell’ospedale milanese «il reparto di pediatria più bello e accogliente del mondo». Il progetto si chiama «La città dei bambini» ed è stato presentato in occasione di una cerimonia di premiazione organizzata alla Triennale di Milano con Marco Giachetti, presidente Fondazione IRCCS Ca’ Granda Ospedale Maggiore Policlinico di Milano; Anna Scavuzzo, vicesindaco del Comune di Milano con delega all’istruzione e Linus. Alla base del concept è l’idea di trasformare gli spazi dell’area pediatrica in una città a misura di bambino, in continuità con il concetto di piazza, proposto dagli studi Stefano Boeri Architetti, Ratti, come elemento chiave del nuovo ospedale e tenendo a mente l’obiettivo di umanizzare gli spazi per i pazienti pediatrici. Ogni ambiente della nuova pediatria, infatti, ricreerà un contesto familiare per eliminare la sensazione di lontananza e avvicinare i bambini ai luoghi che vivono, come se fosse il loro quartiere. L’ingresso sarà caratterizzato da uno Skatepark così che, a partire dall’accesso al reparto, si abbia un ingresso stimolante che generi emozioni positive per i piccoli pazienti, dotato di un grande ledwall interattivo per intrattenere durante l’attesa. I corridoi si trasformano nei Viali della città, mentre le degenze saranno nelle Case dei pazienti e ricreeranno un ambiente domestico, sia per la scelta dei materiali sia per il livello di personalizzazione in mano ai pazienti. I salotti, a seconda delle funzioni, diventano rispettivamente: la Sala giochi interamente dedicata all’intrattenimento digitale con possibilità di guardare serie tv e postazioni per il gioco individuale e condiviso; la Ludoteca offre ai più piccoli intrattenimento e benessere, tra grafiche e arredi giocosi e display digitali progettati per stimolare la creatività; la Classe, uno spazio in cui i bambini, durante il periodo di degenza, potranno studiare e fare i compiti e l’Ufficio, un’area dedicata ai genitori dotata di postazioni di lavoro per lo smart working. Infine, il quarto piano sarà “abitato” dal Giardino Terapeutico che tramite l’utilizzo di arredi e giochi ispirati al mondo animale diventa lo Zoo della città. Inoltre, il corridoio che conduce al giardino sarà contraddistinto da coltivazioni idroponiche verticali, che fungono da orto urbano, contribuendo all’ortoterapia. «Oltre all’eccellenza della cura e della ricerca – commenta Marco Giachetti, presidente del Policlinico di Milano – vogliamo portare nel nuovo Policlinico anche il tema dell’umanizzazione: fare in modo che tutti i pazienti, specialmente i bambini e le loro famiglie, possano vivere l’esperienza ospedaliera in modo meno traumatico possibile. Con questo progetto puntiamo a umanizzare gli spazi della Pediatria ricreando un ambiente il più possibile vicino a quello domestico, aiutando i bambini e le loro famiglie a sentirsi meno lontani dalla propria casa: i piccoli potranno godere di ambienti colorati e a misura di bambino, mentre i genitori potranno usufruire di spazi dedicati in modo da non sentirsi isolati rispetto alla loro attività lavorativa e quotidiana. L’umanizzazione degli spazi porterà beneficio anche al personale medico e sanitario, che potrà operare in ambienti armoniosi facilitando quindi il rapporto con i piccoli pazienti e le loro famiglie. A breve Milano avrà il nuovo grande Policlinico e, al suo interno, la Pediatria più bella del mondo: sono molto felice di questo risultato e ringrazio in particolare la Fondazione De Marchi e tutti i suoi sostenitori, i benefattori e i filantropi che da sempre sostengono con generosità il nostro ospedale». Gli ambienti destinati all’area pediatrica del Nuovo Policlinico avranno un’estensione di oltre 12mila metri quadrati distribuiti su tre piani e la consegna dei lavori, relativa all’umanizzazione degli spazi, è prevista per marzo 2025. La Pediatria del Nuovo Policlinico continuerà, quindi, ad essere un punto di riferimento a livello nazionale per l’assistenza, la cura e la ricerca in campo pediatrico. La Lombardia è, infatti, tra le Regioni maggiormente coinvolte nell’accoglienza di pazienti costretti a spostarsi per motivi sanitari. L’iniziativa rientra nel progetto “Un Ospedale mica male” finalizzato a contenere il dolore e a ridurre lo stress dei bambini ricoverati in ospedale, alleviando il senso di isolamento e facilitando il ritorno alla vita quotidiana al termine delle cure. La Fondazione De Marchi, attraverso i suoi progetti, ogni anno sostiene quasi 90.000 bambini realizzando, oltre ad interventi di umanizzazione e fornitura di macchinari diagnostici e terapeutici, 150 ore di pet therapy, 1.400 ore di arte terapia e di 550 ore di assistenza psicologica.

Carnevale, su CeliachiaFacile i dolci gluten free per celiaci

Carnevale, su CeliachiaFacile i dolci gluten free per celiaciRoma, 25 gen. (askanews) – I dolci di Carnevale sono anche gluten free. Le persone celiache, quindi, non dovranno rinunciare a una parte fondamentale della festa e gustare le prelibatezze zuccherine che si consumano a Carnevale. Secondo quanto riporta la piattaforma CeliachieFacile, spiega una nota, ogni Regione ha i propri piatti tipici, non solo frappe, bugie, chiacchiere e castagnole, ma anche graffe, ravioli dolci, zeppole, cicerchiata e crescionda, prodotti tutti a base di farina di frumento o di altri cereali contenenti glutine e quindi altamente pericolosi per chi è intollerante al glutine. Ma gli stessi prodotti possono essere realizzati con materie prime non nocive per i celiaci.

Il segreto – spiega Michele Mendola, fondatore di CeliachiaFacile e autore best seller – è “sostituire le farine tradizionali (come grano, orzo, segale) con altre farine naturalmente senza glutine. La scelta è ampissima, ci sono quelle di riso, mais, avena, miglio, quinoa, amaranto, teff, mandorle, ceci, lenticchie, grano saraceno, cocco. Si prestano molto bene per preparare dei dolci e basta scegliere quella che si preferisce in base al proprio gusto”. Chi cucina dei piatti gluten free deve però seguire la regola che va sempre rispettata: occorre utilizzare degli utensili da cucina appositi e tenerli separati da quelli usati per tutti gli altri piatti. Questo serve a evitate che gli alimenti con glutine possano contaminare quelli per i celiaci. La stessa attenzione – aggiunge Mendola – si deve tenere quando si va a una festa e ci sono tanti cibi sulla tavola perché si deve stare molto attenti alle contaminazioni accidentali. Basta una semplice mollica di pane per scatenare l’intolleranza al glutine. E chi prepara dei piatti per soggetti celiaci, si deve ricordare di lavarsi bene le mani, prima di toccare farine e pietanze gluten free”. Acquistando prodotti già confezionati, invece – avverte Mendola -, “ci si deve sempre assicurare che tutti gli alimenti consumati siano certificati come prodotti senza glutine: è necessario leggere con attenzione gli ingredienti presenti sulla confezione ed evitare eventuali contaminazioni con prodotti contenenti glutine durante la preparazione o la conservazione degli alimenti”. Le aziende specializzate in cibi senza glutine ormai offrono anche un’ampia scelta di dolci di carnevale. E per i dolci e i piatti regionali, ci sono delle ottime produzioni semi-artigianali. “In Sicilia ad esempio – dice ancora Mendola – si trovano senza problemi le versioni gluten free della pignolata, che sono palline di pasta fritta al miele, e degli sfinci, ovvero delle frittelle di pasta che vengono coperte di zucchero o di miele, oppure vengono farcite di creme o uva sultanina. E con specifici mix di farina si possono realizzare persino i cuddrureddri, le frittelle alla cannella tipiche della provincia di Caltanissetta”.

Depressione, incidenza più alta 25% in pazienti con patologie cardiache

Depressione, incidenza più alta 25% in pazienti con patologie cardiacheRoma, 25 gen. (askanews) – I farmaci antidepressivi non rappresentano un pericolo per le persone con malattia cardiaca – per le quali l’incidenza di depressione arriva al 30% rispetto al 5-7% della popolazione generale – né per chi ha avuto un infarto miocardico, né per chi soffre di dolore toracico funzionale e né per chi è affetto da una malattia coronarica. Per questi pazienti il trattamento farmacologico contro la depressione è efficace tanto quanto lo è per coloro che non hanno alcun problema cardiologico. Sono inoltre sicuri, anche se un po’ meno efficaci, per i pazienti con lombalgia o con lesioni cerebrali traumatiche. A fare chiarezza una volta per tutte sul timore infondato che gli antidepressivi non siano una terapia indicata per coloro che hanno una o più malattie fisiche, è stata un’ampia revisione sistematica e meta-analisi, pubblicata sulla rivista JAMA Psychiatry. I risultati della ricerca, condotta dall’Università Charité di Berlino e dall’Università di Aarhus in Danimarca, sono stati discussi al XXV Congresso Nazionale della Società di NeuroPsicoFarmacologia (Sinpf), dedicato a “Le neuroscienze del domani: la neuropsicofarmacologia verso la precisione e la personalizzazione delle cure”.

“La depressione è la patologia mentale più frequente in Italia, con oltre 3 milioni di persone che soffrono di sintomi depressivi e una prevalenza in ulteriore aumento a seguito della pandemia da Covid-19 – spiega Claudio Mencacci, Co-Presidente Sinpf e direttore emerito di Neuroscienze all’Ospedale Fatebenefratelli-Sacco di Milano -. Numerosi studi internazionali hanno mostrato che tra i malati di patologie croniche diffuse, come il diabete o l’insufficienza cardiaca, in Italia l’incidenza della depressione è del 30%. Una percentuale altissima se paragonata a quella riscontrata tra la popolazione in generale, che oscilla tra il 5 e il 7%”. Ma la relazione tra patologie croniche e depressione è bidirezionale. “Non solo un malato cronico ha un rischio maggiore di cadere in depressione, rispetto al resto della popolazione – specifica Mencacci -. Anche chi è depresso ha una possibilità maggiore di ammalarsi di patologie croniche. Per questo è fondamentale avere ben chiaro quali siano le opzioni di trattamento per i pazienti con depressione e altre comorbidità”. Sebbene gli antidepressivi siano il trattamento di prima linea per ogni manifestazione di disturbo depressivo maggiore, la maggior parte degli studi mirati a valutare la sicurezza e l’efficacia di questi farmaci escludono i pazienti con altre comorbidità. Pertanto, l’uso degli antidepressivi nel trattamento della depressione in pazienti con altre malattie è poco compreso. “Questo nuovo studio colma una lacuna importante – spiega Matteo Balestrieri, Co-Presidente SINPF, direttore della Clinica Psichiatrica dell’Azienda Sanitaria Universitaria di Udine -. Basato su 176 revisioni sistematiche che hanno preso in considerazione ben 43 malattie e 52 meta-analisi riguardanti 27 diverse condizioni mediche, il lavoro conclude che gli antidepressivi sono sicuri ed efficaci anche per i pazienti che soffrono di depressione con patologie pregresse, come il cancro, le malattie cardiache e metaboliche, nonché i disturbi reumatologici e neurologici”. Si tratta di una buona notizia per le persone con depressione e problemi di salute fisica, ed è molto rilevante per la pratica clinica. “La qualità della vita è spesso gravemente compromessa, soprattutto dalla depressione – spiega Mencacci -. Sappiamo anche che il decorso della malattia fisica è peggiore nei pazienti che soffrono anche di depressione. Quindi, trattare questi pazienti con antidepressivi in aggiunta ad altre misure terapeutiche può essere davvero di grandissimo aiuto”.

Tuttavia, rimane la necessità di fare attenzione alle eventuali controindicazioni e interazioni con altri farmaci assunti dai pazienti. “Per fortuna però oggi esistono molti antidepressivi con meccanismi d’azione diversi – conclude Balestrieri -. Quindi, quasi sempre, esiste almeno un farmaco adatto per trattare la depressione per ogni paziente, a prescindere dalla storia medica. È molto importante, naturalmente, la corretta gestione della terapia, una volta iniziata. Come per ogni tipo di paziente”.