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Sangua, cresce raccolta plasma ma Italia non ancora autosufficiente

Sangua, cresce raccolta plasma ma Italia non ancora autosufficienteRoma, 22 gen. (askanews) – Cresce la raccolta di plasma in Italia ma ancora non basta per ottenere l’autosufficienza in materia di medicinali plasmaderivati. I dati preliminari del monitoraggio del conferimento di plasma per frazionamento nel 2023 confermano quelle che erano state le tendenze registrate già nei primi mesi dell’anno passato, con una crescita della raccolta che si attesta sui 4,3 punti percentuali. Secondo il primo monitoraggio quindi, nell’anno appena concluso sono stati raccolti 880mila chili di plasma, circa 36mila in più rispetto al 2022. Gli obiettivi di raccolta sono stati centrati da quasi tutte le Regioni e Province Autonome, con alcune che sono riuscite a raccogliere anche molto più di quanto previsto dagli obiettivi annuali. I dati del 2023 confermano però che la raccolta è a due velocità, con Regioni trainanti come Marche, Friuli Venezia-Giulia ed Emilia-Romagna che raccolgono in media oltre 22 kg di plasma per 1.000 abitanti (ben più dei 18 kg che permetterebbero all’Italia un grado di indipendenza strategica dal mercato estero per il soddisfacimento della domanda di albumina e immunoglobuline). La mancata autosufficienza in materia di medicinali plasmaderivati rappresenta un danno per le tasche del Servizio Sanitario Nazionale. Secondo le stime contenute nel Programma di Autosufficienza Nazionale del sangue e dei suoi prodotti per l’anno 2023 (DM 1 agosto 2023), pubblicato in Gazzetta Ufficiale negli scorsi mesi, la spesa da sostenere sul mercato internazionale per soddisfare il 90% della domanda totale dei soli medicinali plasmaderivati driver, albumina e immunoglobuline, sarebbe stata indicativamente di 180 milioni di euro. Ma è prima di tutto un punto debole a livello strategico che, in caso di difficoltà di reperimento dei farmaci, come si sono registrate ad esempio durante gli anni di massima diffusione del COVID-19, potrebbe mettere a rischio le terapie salvavita di migliaia di pazienti italiani. “Sono dati sicuramente positivi – commenta il direttore del Centro Nazionale Sangue, Vincenzo De Angelis – che testimoniano il buon lavoro svolto da tutti gli attori del Sistema trasfusionale. Eppure ci confermano che serve ancora uno sforzo a tutti i livelli per riuscire a raggiungere l’autosufficienza che metterebbe i pazienti italiani al sicuro dalle incognite di un mercato ormai globalizzato che offre a volte solo garanzie illusorie. Bisognerà sicuramente lavorare per ridurre le differenze tra le Regioni e per aumentare la quota dei donatori di plasma e favorire l’incremento della frequenza tra una donazione e l’altra. Ci sono tantissime persone che sarebbero perfette per donare il plasma, le donne per esempio, che a volte hanno livelli leggermente più bassi di emoglobina, o persone che hanno gruppi sanguigni come l’AB che hanno un utilizzo moderato a livello trasfusionale”. Nei prossimi giorni il Centro Nazionale Sangue avvierà la campagna di comunicazione digitale “Dona anche tu il plasma”. La campagna ha lo scopo di sensibilizzare sul tema della donazione di plasma l’ampia platea dei fruitori dei social network e fornirà contenuti informativi, compreso un link con la geolocalizzazione delle strutture più vicine presso cui si può prenotare una donazione.

Malattie rare, al via la campagna #UNIAMOleforze

Malattie rare, al via la campagna #UNIAMOleforzeRoma, 22 gen. (askanews) – Il 29 febbraio 2024, il giorno più raro del calendario, si celebra in tutto il mondo la Giornata dedicata alle Malattie Rare (Rare Disease Day). UNIAMO, la Federazione Italiana delle Malattie Rare, che da 25 anni opera per la tutela e la difesa dei diritti delle persone con malattia rara e delle loro famiglie, svilupperà come di consueto dal 2008 iniziative specifiche. In continuità con le precedenti edizioni, UNIAMO approfondirà il tema del “viaggio”, un percorso metaforico a rappresentare le difficoltà e le sfide che incontrano le persone con malattia rara. Focus di questa edizione sarà la presa in carico olistica, un approccio integrato di cura che considera tutte le esigenze sanitarie e sociali.

Insieme ad una campagna out-of-home, con la brandizzazione di autobus, tram e pensiline in quattro città italiane (Roma, Milano, Bologna e Venezia), verranno organizzati eventi di sensibilizzazione con la presenza delle più alte cariche politiche e istituzionali. La campagna social coinvolgerà influencer, persone con malattia rara, associazioni e cittadini, con una grafica coordinata e momenti focali sul racconto delle “storie” dei pazienti. Per l’edizione 2024 del Rare Disease Day, la diciassettesima, UNIAMO ha deciso di raggiungere con la sua campagna di sensibilizzazione un pubblico più giovane, stringendo una partnership con il FantaSanremo, il fantasy game basato sul Festival della canzone italiana che l’anno scorso ha coinvolto oltre un milione e mezzo di partecipanti. Sul sito fantasaremo.com si potrà comporre la propria squadra fatta da 5 artisti, acquistati con 100 baudi – la valuta del gioco -, e iscriverla alla Lega UNIAMO.

Gli hashtag ufficiali saranno #rarediseaseday, #uniamoleforze e #rarimaisoli. L’hashtag #uniamoleforze vuol spronare tutti gli attori a coalizzare gli sforzi per ottimizzare il sistema e raggiungere una reale presa in carico, che assicuri diagnosi precoce, terapie appropriate, disponibili e a domicilio, percorsi strutturati, integrazione socio-sanitaria, collegamenti fra centri di specializzazione e territorio, ricerca e sperimentazioni che offrano speranza per il futuro. Il video e il podcast, realizzati quest’anno con il contributo del noto musicista e direttore d’orchestra Beppe Vessicchio, saranno trasmessi su canali tv e radio nazionali.

Le iniziative di UNIAMO partono il 31 gennaio con il lancio online della campagna #UNIAMOleforze, insieme al video spot. A dare il via al mese delle malattie rare il primo febbraio la conferenza stampa al Ministero della Salute con il Sottosegretario Marcello Gemmato. Il 6 febbraio a Roma si entra nel vivo delle iniziative di sensibilizzazione con l’inaugurazione dei bus elettrici che circoleranno per tutto il mese con i colori ufficiali della giornata. Il 9 febbraio prevista a Milano una conferenza stampa alla quale seguirà il 10 Febbraio, sempre a Milano, la marcia per le malattie rare che partirà da Piazza Castello (con taglio del nastro della pensilina brandizzata) per concludersi in via Palestro. Il 12 febbraio sarà la volta della conferenza stampa a Bologna. Il 21 Febbraio a Roma l’evento coorganizzato con l’Istituto Superiore di Sanità sulla medicina narrativa e, nel pomeriggio, un convegno sulle attività dell’Istituto con focus malattie rare. Il 29 febbraio, sempre a Roma, l’evento della Federazione dedicato ai parlamentari, per fare il punto sull’anno trascorso. A chiudere il mese dedicato alle iniziative due appuntamenti a Venezia, il 1° marzo una conferenza stampa per l’inaugurazione degli schermi digitali brandizzati all’aeroporto e il 2 marzo un convegno con temi incentrati sull’etica e le sfide poste dalle malattie rare. La Giornata ha ricevuto quest’anno il patrocinio di Agenas, CNR, Federazione Nazionale Ordini Tsrm E Pstrp, Fiaso, Fofi e Forum Terzo Settore.

Si ringraziano Rai Pubblica Utilità (per la campagna di sensibilizzazione) e Sky per il Sociale (per la diffusione dello spot TV).

Influenza, esperti: con gelo in arrivo rischio colpo di coda

Influenza, esperti: con gelo in arrivo rischio colpo di codaRoma, 19 gen. (askanews) – Secondo il bollettino della sorveglianza pubblicato dall’Istituto Superiore di Sanità, l’incidenza dell’influenza dei record scende ma resta alta, così il rapido sbalzo di temperature, atteso nei prossimi giorni nel nostro Paese, preoccupa gli esperti per il rischio di un colpo di coda del virus maggiore nelle fasce più anziane della popolazione e tra chi non ha seguito un adeguato periodo di convalescenza dopo la risoluzione dei sintomi influenzali acuti.

Il freddo espone al rischio di un indebolimento delle difese immunitarie ed è quindi fondamentale non abbassare la guardia ancora per qualche settimana perché il virus può colpire a tradimento. Infatti, “le temperature in discesa possono influenzare la risposta immunitaria innescata dall’ingresso nel naso di batteri e virus – spiega Francesco Landi, direttore del Dipartimento Scienze dell’Invecchiamento – Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, past presidente della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG) -. Le vie aeree si proteggono grazie al rilascio nel muco di miliardi di minuscole sacche piene di fluido, chiamate vescicole extracellulari che circondano e attaccano gli “intrusi” prima che si addentrino nell’organismo. Tuttavia, è sufficiente una riduzione di 5 gradi della temperatura interna delle mucose nasali per mettere fuori gioco e dimezzare la prima linea delle difese immunitarie che vengono messe in atto nel naso”. E’ quanto emerso da uno studio recentemente pubblicato sul Journal of Allergy and Clinical Immunology dai ricercatori della Harvard Medical School e della Northeastern University che hanno verificato come un abbassamento di 5 gradi della temperatura dei tessuti interni del naso, dipendente in larga misura della temperatura dell’aria esterna inalata, determini una risposta immunitaria attenuata con una riduzione del 42% delle vescicole extracellulari secrete dalle cellule nasali, quando queste percepiscono la presenza di un agente patogeno. Il rischio di circolazione del virus in conseguenza di questa variazione metereologica, appare ancora più evidente quando avviene una rapida diminuzione di temperatura, come quella prevista nel nostro Paese con un crollo di 10-15 gradi entro domenica. Ciò è quanto risulta da un recente studio pubblicato sulla rivista Open Forum of Infectious Diseases della Società Americana di Malattie Infettive che ha monitorato l’andamento dell’influenza in Giappone dal 2012 al 2021, verificando l’associazione di una maggiore diffusione del virus nelle settimane in cui gli sbalzi delle temperature erano più repentini. “Le persone più esposte sono soprattutto quelle appartenenti alle fasce più anziane della popolazione, tra cui i livelli di copertura vaccinale sono rimasti lontani dai limiti minimi auspicabili, e coloro che non hanno seguito una convalescenza adeguata non dedicando il giusto tempo a recuperare le forze dopo il virus – sottolinea Andrea Ungar, presidente SIGG e ordinario di Geriatria all’Università di Firenze -. La fretta di rimettersi in pista può compromettere la guarigione, aumentando il rischio di ricadute in quanto dopo l’influenza, l’apparato respiratorio è in condizioni di maggiore fragilità e quindi è più facile ammalarsi di nuovo”. “Per difendersi è ancora utile vaccinarsi ed è importante proteggere il naso per cercare di mantenere una temperatura più elevata delle prime vie respiratorie, usando un abbigliamento adeguato ad esempio con l’uso di sciarpe o mascherine nei soggetti più a rischio. Importanti sono anche una dieta sana ed equilibrata e una regolare attività fisica, associati a specifici integratori, ma sempre indicati dal proprio medico, che potrà suggerire l’integratore più giusto, nel giusto dosaggio, in base al proprio stato di salute, mette in guardia Landi, tra gli autori di una review sull’argomento, recentemente pubblicata sulla rivista Clinics in Geriatric Medicine.

Esperti: ecco i nemici del cuore 3.0…e come difendersi

Esperti: ecco i nemici del cuore 3.0…e come difendersiRoma, 18 gen. (askanews) – I nemici del cuore e delle coronarie sono tanti e vanno ben al di là di quelli tradizionali, i cosiddetti fattori di rischio modificabili o SMuRFs (colesterolo, diabete, ipertensione, fumo). Se di certo i grandi ‘classici’ non sono da trascurare, va anche detto che almeno il 15% degli infartuati non presenta alcun fattore di rischio noto. È dunque necessario allargare la visuale e far luce sui nuovi pericoli dai quali proteggersi. È quanto ha cercato di fare una interessante review pubblicata su European Heart Journal che riassume i principali ‘nuovi’ rischi per il cuore nel nome-ombrello di ‘esposoma’. Tra i nuovi arrivati vanno considerati l’inquinamento (dell’aria, del suolo, dell’acqua, esposizione a sostanze chimiche), fattori socio-economici e psicologici (stress, depressione, isolamento sociale), ma anche malattie infettive come l’influenza e il Covid-19, con le quali facciamo pesantemente i conti ogni inverno. “Sebbene negli anni i trattamenti contro i fattori di rischio tradizionali siano diventati sempre più efficaci e abbiano contribuito non poco a ridurre incidenza e conseguenze della cardiopatia ischemica – sottolinea Rocco Montone, cardiologo presso la UOC Cardiologia Intensiva di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS-Università Cattolica – questa resta la principale causa di morte nel mondo. Per questo l’attenzione si sta allargando dai fattori di rischio tradizionale, a tutto ciò che ci circonda, al mondo del quale siamo immersi, fatto di inquinamento, virus, problemi economici e psicologici che, a loro volta, possono contribuire in maniera sostanziale a determinare e perpetuare il problema ‘cardiopatia ischemica’. Questi fattori di rischio – prosegue il dottor Montone – interagiscono in modo imprevedibile, spesso potenziandosi tra loro. Ecco perché è necessario considerarli nella loro totalità, includendoli in questo nuovo paradigma dell’esposoma. La nostra review fa dunque il punto su come l’esposizione a lungo termine all’esposoma possa contribuire alla comparsa di cardiopatia ischemica e suggerisce quali potenziali strategie di mitigazione del rischio andrebbero messe in atto”. L’inquinamento atmosferico (soprattutto da PM2.5 o particolato fine) da solo può ridurre l’aspettativa di vita di 2,9 anni (il fumo di tabacco la riduce di 2,2 anni). Lo studio Global Burden of Disease (GBD) ha stimato che nel 2019 fossero direttamente riconducibili all’inquinamento nel mondo 7 milioni di decessi (4,1 da inquinamento ambientale e 2,3 da inquinamento domestico). “Questi decessi da inquinamento – ricorda Montone – sono causati soprattutto da malattie cardiovascolari (arresto cardiaco, scompenso, aritmie, ictus ischemico e soprattutto infarti) e agiscono su vari meccanismi. L’esposizione all’aria inquinata ad esempio ‘ossida’ il colesterolo cattivo (LDL), rendendolo più pericoloso e altera la funzionalità del colesterolo ‘buono’ (HDL), rendendo così meno efficaci anche le statine. L’esposizione acuta a PM2.5 proveniente dagli scappamenti dei veicoli diesel può determinare un rialzo improvviso della pressione. Gli inquinanti atmosferici inoltre possono alterare la sensibilità all’insulina e promuovere la comparsa di diabete, attraverso stress ossidativo e infiammazione cronica; secondo il GBD, fino al 22% dei casi di diabete di tipo 2 potrebbero essere imputati all’inquinamento”. Altri problemi vengono dall’inquinamento acustico, luminoso e dallo stress sociale, che alterando gli ormoni dello stress e i ritmi circadiani (con la deprivazione o frammentazione del sonno) possono peggiorare lo stress ossidativo e la risposta infiammatoria, portando a disfunzione endoteliale, ad una maggior aggregabilità delle piastrine e promuovendo così la comparsa di cardiopatia ischemica. L’inquinamento del suolo infine, come quello da metalli pesanti (cadmio, piombo e arsenico), pesticidi o particelle di plastica può contaminare l’acqua e il cibo che mangiamo, contribuendo anch’esso alla comparsa di eventi cardiaci avversi. Anche i cambiamenti climatici, che sono strettamente correlati all’inquinamento, hanno un impatto importante sulla salute del cuore. “Le ondate di caldo – ricorda Montone – sono sempre più frequenti; una prolungata esposizione al caldo è stata di recente correlata ad aumentato rischio di mortalità cardiovascolare”. Da non sottovalutare poi la salute mentale, legata a doppio filo a quella del cuore. Stress cronico, depressione, isolamento sociale e solitudine possono dare un importante contributo alle malattie cardiovascolari; lo stress determina una iper-attivazione del sistema nervoso simpatico che può portare a ipertensione arteriosa, mentre l’aumentata produzione di cortisolo dai surreni, può promuovere insulino-resistenza e favorire la comparsa di obesità viscerale. Lo stress infine si associa spesso ad alterate abitudini di vita (dieta poco sana, sedentarietà, fumo) che potenziano i fattori di rischio cardio-vascolari tradizionali.

San Valentino alle Terme di Chianciano tra relax e benessere

San Valentino alle Terme di Chianciano tra relax e benessereRoma, 18 gen. (askanews) – Dal 10 febbraio si comincia a festeggiare il San Valentino con “I Sensi dell’Amore” e i “Bagni di Notte – Love Edition”. Il 14 febbraio due eventi speciali per una notte indimenticabile alle Terme Sensoriali e alle Piscine Termali Theia. Fino al 25 febbraio la promozione “Day Spa Love Edition” per continuare a regalare la magia di San Valentino.

Terme di Chianciano, il complesso termale incastonato tra la Val di Chiana e la Val d’Orcia, vuole celebrare l’amore nella giornata più romantica dell’anno. Il San Valentino alle Terme di Chianciano è dedicato a tutti gli innamorati. Per chi fosse alla ricerca di un’esperienza profondamente intima, la serata ideale è alle Terme Sensoriali con l’evento “I Sensi dell’amore”: due date speciali, il 10 febbraio e il 14 febbraio, dalle 20.00 alle 23.00, in cui gli ospiti potranno immergersi in un percorso olistico sensazionale, tra suggestioni notturne, aromi, colori e sapori, con venti esperienze sensoriali uniche, a cui seguono il “percorso del gusto”, realizzato in collaborazione con le aziende locali Bradi Toscani (cinta senese) e Pianporcino (formaggi).

Per coloro che invece volessero trascorrere una notte romantica e all’insegna del divertimento, la meta perfetta sono le Piscine Termali Theia con l’evento “Theia in Love”: il 14 febbraio dalle 19.30 alle 24.00, gli ospiti saranno avvolti da un’atmosfera magica, con musica dal vivo (chitarra e voce) che accompagnerà una cena in accappatoio. La serata regalerà intimità e divertimento con drink, festa, sfere luminose e vapori termali notturni. Un’esperienza unica i cui posti sono limitati. Si consiglia quindi di prenotare in anticipo contattando la struttura. Non può mancare il consueto appuntamento con i “Bagni di Notte” del 10 febbraio, sempre alle Piscine Termali Theia, che per l’occasione si reinventano “Love Edition”: sfondo ideale per una sera romantica, l’ingresso notturno all’area spa permette di apprezzare la musica dal vivo sorseggiando un calice di vino delle aziende agricole locali.

La promozione speciale Day Spa Love Edition, estesa fino al 25 febbraio, consente alle coppie di prolungare la magia di San Valentino, regalando ore di relax e benessere grazie a un pacchetto speciale che include 4 ore alle Piscine Theia e 3 ore alle Terme Sensoriali.

Alzheimer, regolare livelli dopamina riduce sintomi primi fasi malattia

Alzheimer, regolare livelli dopamina riduce sintomi primi fasi malattiaRoma, 18 gen. (askanews) – Uno studio dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, insieme alla Fondazione Santa Lucia IRCCS di Roma e condotto su modelli sperimentali, ha confermato che la stimolazione dopaminergica è efficace nel ridurre l’ipereccitabilità dell’ippocampo condizione alla base dell’insorgenza di epilessia e che può contribuire al progressivo danno cognitivo nella malattia di Alzheimer.

La malattia di Alzheimer è la prima causa di demenza nella popolazione italiana e oltre 600.000 persone convivono con questa condizione. Sebbene la diagnosi della malattia sia, ad oggi, esclusivamente legata ai sintomi riportati al neurologo dal paziente e misurati dal neuropsicologo, la ricerca sta proponendo sempre maggiori soluzioni per la diagnosi precoce dell’Alzheimer. Un ambito promettente è nello studio delle aree del cervello preposte alla produzione della dopamina, un importante neurotrasmettitore il cui deficit è solitamente legato alla malattia di Parkinson per la quale esistono, già oggi, numerose terapie. In quest’ambito, l’equipe di ricerca del prof. Marcello D’Amelio, Responsabile del laboratorio di Neuroscienze Molecolari del Santa Lucia IRCCS e Professore Ordinario di Fisiologia Umana dell’Università Campus Bio-Medico, da alcuni anni si è focalizzata sull’Area Tegmentale Ventrale (VTA), un’area del cervello legata alla produzione di dopamina e coinvolta in numerose funzioni cerebrali, in quanto punto di passaggio di numerosi circuiti cerebrali che collegano aree differenti del cervello.

Un nuovo studio dell’equipe del prof. D’Amelio ha confermato che i livelli di dopamina nell’ippocampo, l’area del cervello sede della memoria, svolgono un ruolo nella lunga fase pre-clinica della malattia di Alzheimer, caratterizzata da ipereccitabilità corticale, piccoli episodi epilettici (spesso asintomatiche e rilevabili con approfondimenti elettroencefalografici). “Agire prima ancora che il paziente manifesti sintomi evidenti della malattia è molto complesso”, spiega D’Amelio: “Per riuscirci è necessario individuare con ragionevole certezza il paziente che effettivamente svilupperà la malattia ed intervenire il prima possibile per preservare i neuroni. Infatti, non tutti i pazienti con le lesioni tipiche dell’Alzheimer sviluppano la malattia e un nostro precedente studio clinico sulla VTA ha permesso di identificare in maniera molto precoce i pazienti che svilupperanno la malattia di Alzheimer isolandoli da chi, pur presentando le lesioni da amiloide, è meno a rischio. Con questo studio aggiungiamo un ulteriore tassello alla conoscenza delle fasi pre-cliniche dell’Alzheimer. Intervenendo sui meccanismi dopaminergici del cervello con farmaci ben noti per la loro efficacia nella malattia di Parkinson, siamo riusciti, in modelli sperimentali e non ancora sull’uomo, a preservare l’attività neuronale in aree colpite dalla malattia riducendo l’ipereccitabilità ippocampale che può sfociare in attività epilettiche, tipiche delle fasi iniziali della malattia di Alzheimer, e contribuire al peggioramento del declino cognitivo”.

Il meccanismo scatenato dalla carenza di dopamina, a sua volta legata ad una precoce degenerazione dell’Area Tegmentale Ventrale, impedisce una corretta attivazione di interneuroni che hanno la funzione di controllare l’eccitabilità corticale. Questo studio conferma l’importanza che i circuiti dopaminergici rivestono nella malattia di Alzheimer, storicamente legata alla carenza di altri neurotrasmettitori tra cui l’acetilcolina. Si tratta di un ambito di ricerca promettente perché permetterebbe di trasferire le terapie oggi disponibili per la malattia di Parkinson nella malattia di Alzheimer. Conclude D’Amelio: “La diagnosi precoce e accurata della malattia di Alzheimer è fondamentale per selezionare i pazienti che devono imboccare specifici percorsi terapeutici anche farmacologici, incluse le terapie con anticorpi monoclonali contro la beta-amiloide. È, infatti, evidente che tanto più precoce è l’inizio del trattamento tanto maggiori sono le probabilità di rallentare o auspicabilmente arrestare il deterioramento cognitivo che conduce il paziente alla completa perdita dell’autonomia. Questo lavoro va nella direzione di identificare specifiche alterazioni di eccitabilità corticale come biomarcatori di malattia che insieme ad altri, oggi disponibili, possano meglio caratterizzare lo stadio di sviluppo di malattia e aiutare il clinico a intraprendere il percorso terapeutico più adatto”.

Cardiopatia ischemica, la rivoluzione passa da un pallone medicale

Cardiopatia ischemica, la rivoluzione passa da un pallone medicaleRoma, 18 gen. (askanews) – I Deb (Drug Eluting Balloon), ovvero i palloni a rilascio di farmaco, rappresentano una vera e propria rivoluzione nel campo della cardiologia interventistica. E’ la terza in ordine di tempo, dopo l’utilizzo degli stent medicati nel 2003 ed il trattamento percutaneo delle patologie valvolari nel 200. Si tratta di palloncini per il trattamento della cardiopatia ischemica che, oltre a dilatare i vasi sanguigni, rilasciano contemporaneamente una sostanza medicata, solitamente un farmaco antiproliferativo, che aiuta a prevenire la formazione di occlusioni o restenosi senza lasciare alcun residuo metallico nel paziente. L’Unità Operativa di Emodinamica del Policlinico di Tor Vergata, guidata da Giuseppe Sangiorgi, rappresenta un’eccellenza in questo campo, terza in Italia per infarti acuti e rapidità di intervento. Di 1200 trattamenti annuali un quarto è già fatto solo con il palloncino medicato. “Nella Regione Lazio – spiega Sangiorgi – il nostro centro è capofila come numero di interventi eseguiti con solo DEB senza dover impiantare nessuno stent, con il vantaggio di ridurre al minimo le potenziali complicanze legate alla presenza di un corpo estraneo all’interno dei vasi ed a ridurre, al tempo stesso, la necessità di una duplice terapia antiaggregante a lungo termine”. Il tema è al centro di un simposio di tre giorni a Roma dove si confrontano i principali esperti del settore cardiovascolare provenienti da tutto il mondo, insieme ai rappresentanti della ricerca e sviluppo del settore medicale e chimico-farmaceutico. L’evento, organizzato da Summeet, società leader nell’organizzazione di eventi di formazione a carattere scientifico, ponte culturale tra professionisti sanitari e stakeholder, ha il patrocinio della Società Europea di Cardiologia (ESC), della Società Italiana di Cardiologia (SIC), della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), della Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare (SICVE) e si propone di fornire un momento di confronto tra specialisti per discutere l’efficacia clinica e la sicurezza dei DEB, evidenziare le ultime innovazioni ed i progressi correlati in campo cardiovascolare con l’utilizzo di questa tecnologia, e delineando al tempo stesso le sfide e le opportunità per uno sviluppo futuro. “Uno dei temi principali – conferma il professore, pioniere di questo tipo di procedura nella popolazione maschile – è l’applicazione dei DEB nel campo dell’angioplastica coronarica, un intervento comune per ripristinare il flusso sanguigno nelle arterie coronarie ostruite o stenotiche. L’uso dei DEB in questa procedura ha mostrato risultati promettenti in termini di riduzione delle restenosi, ovvero la ricomparsa di una stenosi nel vaso trattato a distanza di tempo, oltre il vantaggio di ridurre al minimo le potenziali complicanze legate alla presenza di un corpo estraneo all’interno dei vasi e a ridurre al tempo stesso la necessità di una duplice terapia antiaggregante a lungo termine”. “La prospettiva – aggiunge Sangiorgi – è utilizzare questa tecnica rivoluzionaria anche per altri interventi come l’angioplastica periferica e l’angioplastica carotidea. Questo apre interessanti prospettive per il trattamento di malattie vascolari che coinvolgono altre parti del corpo ed in vasi a basso flusso – dove l’impianto di stent non è opportuno – come nel caso dei pazienti affetti da disfunzione erettile. L’evoluzione di questa tecnologia rappresenterà un passo avanti significativo nel trattamento delle malattie cardiovascolari, offrendo alternative ugualmente efficaci ed al tempo stesso più sicure per i pazienti di tutto il mondo” conclude Sangiorgi.

”Influenza. Prendo l’antibiotico? NO”: nuova campagna Ordini Medici Bari

”Influenza. Prendo l’antibiotico? NO”: nuova campagna Ordini Medici BariRoma, 16 gen. (askanews) – “Influenza. Prendo l’antibiotico? NO”. La nuova campagna di comunicazione dell’Ordine dei medici di Bari dà un consiglio chiaro ai pugliesi che in questi giorni sono alle prese con il picco dell’influenza: “L’abuso di antibiotici li rende inefficaci nel tempo. Difendi la tua salute. Chiedi sempre al tuo medico”. “Gli antibiotici non devono infatti essere usati per prevenire o curare infezioni virali, in quanto inefficaci contro i virus, a meno che non siano presenti anche infezioni batteriche – spiega Filippo Anelli, Presidente dell’Ordine dei medici di Bari – lo stesso vale per le nevralgie: è sempre il medico che deve stabilire se la causa del dolore sia un’infezione batterica e quindi debba essere trattata con antibiotici”.

La campagna, in affissione da ieri a Bari e provincia, intende sensibilizzare la cittadinanza rispetto ai rischi connessi all’antibiotico-resistenza. Un uso eccessivo o non corretto di antibiotici favorisce infatti l’insorgenza e la diffusione di ceppi batterici resistenti a questi farmaci. Le infezioni causate da batteri resistenti, non rispondendo alle cure convenzionali, portano ad un prolungamento della malattia, all’insorgenza di possibili complicazioni e ad un maggiore rischio di morte. La riduzione dell’efficacia del trattamento, inoltre, aumenta il rischio di possibili focolai epidemici. “I dati ci dicono che crescono i casi di ceppi batterici resistenti, che diventano più difficili da trattare. Per questo è importante che i pazienti si affidino al proprio medico prima di assumere un farmaco che non solo è inutile ma rischia di essere dannoso”, aggiunge Anelli.

Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità, In Italia nel 2022 le percentuali di resistenza alle principali classi di antibiotici per gli otto patogeni sotto sorveglianza si mantengono elevate. In particolare, per Enterococcus faecium continua ad osservarsi un preoccupante trend in aumento nella percentuale di isolati di resistenti alla vancomicina, che è passata dall’11,1% del 2015 al 30,7% nel 2022. Per Streptococcus pneumoniae dopo una diminuzione registrata nel 2021 (9,8%), nel 2022 si osserva un aumento della percentuale di isolati resistenti alla penicillina (12,8%).

Gimbe: cresce migrazione per curarsi, verso il nord un fiume da 4,25 mld

Gimbe: cresce migrazione per curarsi, verso il nord un fiume da 4,25 mldRoma, 16 gen. (askanews) – Nel 2021 cresce la migrazione sanitaria: un fiume da € 4,25 miliardi scorre verso le regioni del Nord. A Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto il 93,3% del saldo attivo. Il 76,9% del saldo passivo grava sul Centro-Sud. Delle prestazioni ospedaliere e ambulatoriali erogate in mobilità oltre 1 euro su 2 va nelle casse del privato. L’autonomia differenziata è uno schiaffo al meridione: il Sud sarà sempre più dipendente dalla sanità del Nord. Questi i punti focali dell’ultimo Rapporto pubblicato da Gimbe sulla situazione sanitaria in Italia.

Nel 2021, si legge, la mobilità sanitaria interregionale in Italia ha raggiunto un valore di € 4,25 miliardi, cifra nettamente superiore a quella del 2020 (€ 3,33 miliardi), con saldi estremamente variabili tra le Regioni del Nord e quelle del Sud. Il saldo è la differenza tra mobilità attiva, ovvero l’attrazione di pazienti provenienti da altre Regioni, e quella passiva, cioè la “migrazione” dei pazienti dalla Regione di residenza. Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto – Regioni capofila dell’autonomia differenziata – raccolgono il 93,3% del saldo attivo, mentre il 76,9% del saldo passivo si concentra in Calabria, Campania, Sicilia, Lazio, Puglia e Abruzzo. «La mobilità sanitaria – spiega Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – è un fenomeno dalle enormi implicazioni sanitarie, sociali, etiche ed economiche, che riflette le grandi diseguaglianze nell’offerta di servizi sanitari tra le varie Regioni e, soprattutto, tra il Nord e il Sud del Paese. Un gap diventato ormai una “frattura strutturale” destinata ad essere aggravata dall’autonomia differenziata, che in sanità legittimerà normativamente il divario Nord-Sud, amplificando le inaccettabili diseguaglianze nell’esigibilità del diritto costituzionale alla tutela della salute». Ecco perché, in occasione dell’avvio della discussione in Aula al Senato del DdL Calderoli, continua Cartabellotta, «la Fondazione GIMBE ribadisce quanto già riferito nell’audizione in 1a Commissione Affari Costituzionali del Senato: la tutela della salute deve essere espunta dalle materie su cui le Regioni possono richiedere maggiori autonomie». Numerose le motivazioni: “Il Servizio Sanitario Nazionale attraversa una gravissima crisi di sostenibilità e il sotto-finanziamento costringe anche le Regioni virtuose del Nord a tagliare i servizi e/o ad aumentare le imposte regionali. In altri termini non ci sono risorse da mettere in campo per colmare le diseguaglianze in sanità. Il DdL Calderoli rimane molto vago sulle modalità di finanziamento, oltre che sugli strumenti per garantire i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) secondo quanto previsto dalla Carta Costituzionale. Il gap in sanità tra Regioni del Nord e del Sud è sempre più ampio, come dimostrano i dati sugli adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e quelli sulla mobilità sanitaria qui riportati. Le maggiori autonomie già richieste da Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto potenzieranno le performance di queste Regioni e, al tempo stesso, indeboliranno ulteriormente quelle del Sud, anche quelle a statuto speciale. Un esempio fra tutti: una maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale, rischia di provocare una fuga dei professionisti sanitari verso le Regioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose. Le Regioni del Sud non avranno alcun vantaggio: essendo tutte (tranne la Basilicata) in Piano di rientro o addirittura commissariate come Calabria e Molise, non avrebbero nemmeno le condizioni per richiedere maggiori autonomie in sanità. Il Paese, indebitando le future generazioni, ha sottoscritto il PNRR che ha come obiettivo trasversale a tutte le missioni proprio quello di ridurre le diseguaglianze regionali e territoriali”. «In tal senso – chiosa Cartabellotta – risulta ai limiti del grottesco la posizione dei Presidenti delle Regioni meridionali governate dal Centro-Destra, favorevoli all’autonomia differenziata. Una posizione autolesionistica che dimostra come gli accordi di coalizione partitica prevalgano sugli interessi della popolazione».

Pazienti e pasticci coi farmaci di tutti i giorni: allarme internisti SIMI

Pazienti e pasticci coi farmaci di tutti i giorni: allarme internisti SIMIRoma, 16 gen. (askanews) – Più patologie croniche da curare e più terapie di assumere ogni giorno. Cresce, così, il rischio di “pasticciare” con i farmaci. Gli esperti della Società Italiana di Medicina Interna (SIMI) lanciano l’allarme ‘bucce di banana nelle terapie’ e propongono consigli e istruzioni per l’uso per evitarle. “In Italia si stima che il 75% degli over 60 assuma 5 o più farmaci al giorno. A rischio ‘pasticci’ sono soprattutto gli anziani con iniziali problemi di memoria, non assistiti da un familiare o da un caregiver. Ma anche persone che assumono farmaci per fai-da-te o passa-parola”, spiega Giorgio Sesti, presidente della SIMI. Doppioni e politerapie. Il problema può sorgere quando il paziente si reca da diversi specialisti senza comunicare loro di essere già in terapia con alcuni farmaci, uscendo dalla visita con una lista di nuovi farmaci che potrebbero essere ‘doppioni’ di quelli che già assumono o essere in contrasto con questi (interazione farmacologica). Lo stesso a volte accade quando, un paziente dimesso dall’ospedale, assume i farmaci prescritti in lettera di dimissione, riprendendo però anche ad assumere anche quelli antecedenti al ricovero. “È importante – consiglia il professor Sesti – informare sempre il medico delle terapie in corso, portando con sé un elenco completo dei farmaci e della posologia assunta. È bene inoltre informare sempre il medico di famiglia delle terapie proposte dai diversi specialisti, per aggiornare la scheda farmacologica e verificare che non ci siano per problemi di ‘incompatibilità’ e interferenza farmacologica che possono verificarsi sia con alcuni farmaci (ad esempio antibiotici o contraccettivi orali), ma anche con farmaci da banco, integratori e fitoterapici. Un altro consiglio è di portare sempre nel portafoglio la lista dei farmaci assunti con orari e dosaggi, in caso di emergenza”. Non dimenticare di comunicare al medico le allergie. “Bisogna sempre informare il medico di eventuali allergie (non solo farmacologiche) e soprattutto di reazioni allergiche insorte a seguito dell’assunzione di un farmaco in particolare- ricorda il professor Sesti -. Anche una terapia ‘sicura’ può avere effetti disastrosi su un paziente allergico ad un determinato principio farmacologico”. Quando l’inganno è nel nome o nel colore del farmaco. Un errore abbastanza comune è quello di prendere un farmaco al posto di uno con un nome simile o con una formulazione simile (ad esempio compresse rosa, forma a losanga, ecc.). L’ideale sarebbe prendere sempre il farmaco dalla scatola sulla quale scrivere a cosa serve (ad esempio ‘per la pressione’, ‘per dormire’, ‘diuretico’, ‘per il diabete’, ecc.). Molti anziani in politerapia sono abituati a mettere i farmaci in un portapillole con scomparti divisi per giorno e orario della giornata (mattina, pomeriggio, sera); in questo caso bisogna fare attenzione che il contenitore non si rovesci, mischiando il contenuto di orari o giorni diversi”. Il microbiota intestinale ‘partecipa’ alla terapia. Un recente studio pubblicato su ‘Nature’ ha individuato 70 possibili interazioni tra batteri intestinali e i farmaci; il problema è di così vasta portata da aver fatto coniare il termine ‘farmaco-microbiomica’. “Gli antibiotici o la terapia cronica con inibitori di pompa protonica (PPI, farmaci gastro-protettori, che spesso tra l’altro non è necessario assumere per lunghi periodi) ad esempio – spiega il professor Sesti – modificano il microbiota intestinale e questo può avere a sua volta un impatto sull’efficacia di alcuni farmaci come i contraccettivi orali (terapia estro-progestinica) o la terapia anticoagulante orale (warfarin). Le terapie che alterano il microbiota intestinale possono insomma interferire con l’attivazione di altri farmaci, riducendone o aumentandone la biodisponibilità. In caso di assunzione di antibiotici o di sospensione di terapie croniche (PPI, statine, ecc.) bisogna sempre verificare con il proprio medico se questo può avere ricadute su altre terapie in corso”. Seguire sempre la prescrizione del medico/specialista e chiedere spiegazioni se poco chiara. “La soluzione è quella di non aver paura di chiedere spiegazioni – afferma il professor Sesti – non si dovrebbe mai uscire dallo studio del medico, senza avere le idee chiare rispetto alla prescrizione di una nuova terapia. Se il dubbio insorge una volta tornati a casa, è bene contattare il medico per email per avere chiarimenti”. Rispettare gli orari di assunzione dei farmaci. “Molte terapie – ricorda il professore – vanno prese a digiuno (è il caso ad esempio degli ormoni tiroidei) o comunque lontano dai pasti (cioè due ore dopo o un’ora prima del pasto) come nel caso di alcuni antibiotici (es. macrolidi). Al contrario, i FANS (ibuprofene, naprossene, ketoprofene, ecc.) vanno assunti a stomaco pieno perché gastro-lesivi. Alcuni farmaci vengono prescritti due o tre volte al giorno perché la loro durata d’azione copre solo 8 o 12 ore e dunque, per non rimanere scoperti è bene rispettare l’orario di prescrizione. È necessario insomma rispettare sempre orari e dosaggi e se si salta una dose, mai prenderla doppia il giorno successivo nel tentativo di ‘recuperare’. Per aiutare la memoria, si può ricorrere alle sveglie sul telefonino”. Non assumere mai i farmaci con latte, pompelmo o con bevande alcoliche. “I farmaci vanno assunti sempre con un abbondante bicchiere d’acqua. Mai con il latte o gli agrumi (o peggio con bevande alcoliche) – spiega Sesti – perché questo può ridurne o aumentarne l’assorbimento”. Non assumere mai un antibiotico senza prescrizione del medico. Molti, alle prime linee di febbre, ricorrono al ‘fai-da-te’ attingendo a precedenti terapie antibiotiche avanzate e conservate nell’armadietto dei medicinali. “È un errore – sottolinea il professor Sesti – perché non tutti i mal di gola, sinusiti, bronchiti o cistiti necessitano di una terapia antibiotica e comunque l’antibiotico che troviamo in casa potrebbe non essere efficace su quel germe e semmai contribuire al fenomeno dell’antibiotico-resistenza”. Non ridurre, né aumentare autonomamente la dose dei farmaci. “Nel primo caso il dosaggio del farmaco potrebbe non essere efficace – spiega Sesti – nel secondo si rischia di incorrere nei suoi effetti indesiderati o in problemi di sovradosaggio. Il take home message anche in questo caso è di verificare sempre con il medico se è il caso di ‘ritoccare’ la posologia del farmaco (ad esempio se la pressione arteriosa aumenta con il freddo o scende durante l’estate), senza modificarlo autonomamente. Il corretto dosaggio di alcuni farmaci inoltre varia anche in base alla funzionalità dei reni, quindi soprattutto in presenza di insufficienza renale, è bene attenersi alle prescrizioni degli addetti ai lavori. Non interrompere mai le terapie prescritte per una condizione cronica (diabete, ipertensione, ipercolesterolemia, BPCO, ecc). Alcuni pazienti interrompono la cura quando finiscono le compresse contenute nella scatola, altri perché ritengono di star meglio (‘la pressione è tornata normale’). “Ma il diabete, come la pressione alta o l’ipercolesterolemia – spiega il professore – necessitano di un trattamento cronico, anche vita natural durante. Le patologie croniche non si comportano come una polmonite che guarisce dopo una settimana di terapia antibiotica e anche se la colesterolemia o la glicemia sono rientrati nella norma nelle analisi del sangue, non bisogna sospendere una statina o un farmaco anti-diabete perché si tornerà rapidamente al punto di partenza”.