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Carceri, specialisti: è emergenza salute tra droga, violenza, suicidi

Carceri, specialisti: è emergenza salute tra droga, violenza, suicidiRoma, 20 nov. (askanews) – Le carceri italiane esplodono tra problemi cronici e conseguenze della pandemia. Da una parte sovraffollamento, mancanza di personale, strutture fatiscenti, difficoltà per il personale medico, psicologi ed infermieri. Dall’altra, nonostante l’impatto della pandemia sia stato contenuto, le conseguenze psicologiche sui nuovi detenuti, come si evince dai dati su suicidi, uso di stupefacenti, violenza. Da queste esigenze nasce la proposta di un nuovo modello organizzativo da parte della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria – SIMSPe, presentato in occasione del XXIV Congresso Nazionale – Agorà Penitenziaria, nei giorni scorsi a Napoli. Il 2022 è stato anno record per il numero di suicidi (84), mentre nel 2023, a metà novembre, sono già 62 le persone che si sono tolte la vita in carcere, collocando anche quest’anno tra quelli con il dato più elevato. Per quanto riguarda la salute mentale, secondo dati recenti, sono significative le percentuali di coloro che nelle carceri italiane assumono sedativi, ipnotici o stabilizzanti dell’umore, anche se il numero di diagnosi psichiatriche gravi resta limitato. A questo si aggiunge il tema della tossicodipendenza.

“Tra i detenuti riscontriamo un tasso di tossicodipendenza sempre più elevato – sottolinea Antonio Maria Pagano, Presidente SIMSPe, Dirigente Medico Psichiatra Responsabile UOSD Tutela Salute Adulti e Minori Area Penale presso ASL Salerno – . Si stima che, considerando anche il sommerso, oltre il 60% dei detenuti faccia uso di stupefacenti, mentre prima del COVID non si arrivava al 50%. Purtroppo la frammentazione del sistema impedisce il reperimento di dati scientifici precisi, motivo per cui auspichiamo anche la creazione di un sistema di raccolta e analisi dei dati intersettoriali per velocizzare le risposte. Nel caso della tossicodipendenza, infatti, il fenomeno genera un effetto disinibente che aumenta la violenza, di cui pagano le conseguenze i detenuti stessi, il personale sanitario e la polizia penitenziaria. La stessa tendenza si riscontra anche all’esterno delle mura carcerarie: non a caso, come emerge da una recente indagine della ASL di Salerno tra i minori autori di reato nella provincia, sono aumentati i reati contro le persone e diminuiti quelli contro il patrimonio. In Campania, il problema atavico del sovraffollamento e questa nuova realtà della tossicodipendenza rappresentano emergenze ancora più dilaganti, con dati al di sopra della media nazionale”. Tra le principali difficoltà nella gestione del diritto alla salute nelle carceri italiane, dove ogni anno transitano oltre 100mila persone, una situazione operativa di grande difficoltà e frammentazione sull’intero territorio nazionale. Per questo SIMSPe propone Unità Operative aziendali di Sanità Penitenziaria, dotate di autonomia organizzativa e gestionale, multifunzionali e multiprofessionali e accoglie con favore l’ipotesi di una cabina di regia interministeriale composta da tecnici indicati dal Ministero della salute e dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, come emerso dal recente incontro tra il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Ostellari, e il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, chiedendone l’integrazione con il ministero del Welfare e l’ANCI. Inoltre, SIMSPe propone un Manuale di accreditamento per le strutture sanitarie penitenziarie sviluppato da uno dei gruppi di lavoro interprofessionale, presentato proprio in sede di Congresso, e l’istituzione dell’infermiere di Comunità per la Sanità Penitenziaria. “In Italia, l’assistenza sanitaria penitenziaria non è univoca ed è parcellizzata tra tanti servizi, nonostante rappresenti uno degli ultimi presidi di sanità pubblica – evidenzia Antonio Pagano – per molti detenuti che provengono da situazioni di svantaggio sociale, infatti, il carcere è il primo contatto con il SSN. Ma per una sanità penitenziaria efficiente servono Unità Operative aziendali multifunzionali e multiprofessionali cui siano assegnati tutti i professionisti che abbiano esclusivo compito di assistenza nei confronti delle persone private della libertà, dai minori agli adulti, dalle dipendenze alla salute mentale, dall’infettivologia alla medicina legale, dall’odontoiatria all’igiene pubblica, in modo che lavorino in sinergia tra loro e riescano a dare risposte univoche ai bisogni complessi delle persone e alle necessità dell’Autorità Giudiziaria e dell’Amministrazione Penitenziaria”. “I risultati ottenuti in ambito infettivologico sono stati realizzati grazie a importanti progetti come ROSE – Rete dOnne SimspE, che ha affrontato le infezioni da HIV e da Epatite C nelle donne detenute – sottolinea Sergio Babudieri, Direttore Scientifico SIMSPe – l’HCV è stato eliminato in diversi penitenziari, mentre gli screening per l’HIV hanno consentito di avviare i relativi trattamenti. I dati sono significativi: se vent’anni fa in carcere la prevalenza di HIV era del 20%, oggi è appena l’1% e sono quasi tutti in terapia, riducendo anche il rischio di contagio. Tuttavia, negli ultimi anni abbiamo riscontrato un aumento delle infezioni da HIV in cui incorre la popolazione migrante una volta giunta sul territorio italiano a causa delle precarie condizioni igienico-sanitarie a cui è costretta. L’auspicio è quello di ottimizzare il momento di detenzione per favorire screening e trattamenti per persone che accedono con maggiore difficoltà ai servizi di cura e assistenza”.

Covid, esperti: malattia da non sminuire per la Salute Pubblica

Covid, esperti: malattia da non sminuire per la Salute PubblicaRoma, 17 nov. (askanews) – L’infezione gira più di quanto pensiamo, sebbene l’ospedalizzazione non sia più così impattante come in passato, grazie a una riduzione della patogenicità e all’immunizzazione generalizzata. Vi sono però i pazienti fragili, esposti alle conseguenze più gravi del Covid-19 e ai ricoveri in terapia intensiva, da tutelare e da vaccinare, come hanno insegnato i 7 milioni di morti e le 13 miliardi dosi di vaccino somministrate a livello globale. Questa fase si contraddistingue quindi per la protezione della popolazione più fragile, attraverso la campagna di vaccinazione e un uso precoce dei farmaci antivirali, nonché per l’attenzione al Long Covid, i cui studi si stanno sviluppando proprio in questo periodo. Per far fronte a queste esigenze, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT si è messa alla guida di un progetto educazionale pensato in collaborazione con i colleghi della Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza (SIMEU) con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza delle risorse e delle opzioni terapeutiche combinate, per affrontare il Covid tra i diversi clinici coinvolti, a partire dai medici di medicina generale della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie – SIMG, fino ai diversi specialisti coinvolti nella cura della fase più avanzata della malattia e nel Long COVID. “Finalmente le nuove linee guida OMS del 10 novembre scorso identificano le priorità tra i pazienti che con infezione da SARS-CoV-2 necessitano di accedere alla terapia precoce – evidenzia Emanuele Nicastri, membro direttivo SIMIT e Direttore UOC Malattie Infettive Alta Intensità di Cura INMI Spallanzani – sono tutti gli immunocompromessi per i motivi più diversi. Il rischio di ricovero o decesso arriva sino al 6%. Questi pazienti devono essere sensibilizzati a fare subito il tampone naso-faringeo in caso di sintomi simil influenzali e, in caso di positività, ad accedere immediatamente alla terapia precoce antivirale attraverso i medici di medicina generale o gli ambulatori ospedalieri di terapia antivirale precoce”. Il programma educativo a cui stanno lavorando le società scientifiche SIMIT, SIMG, SIMEU mira a migliorare le conoscenze a partire dalla patogenesi, dalle caratteristiche cliniche e dalla storia naturale dell’infezione da SARS-CoV-2 per migliorare la gestione clinica del paziente. “Oggi la lotta al COVID parte dal territorio, grazie alla possibilità di accesso a terapie preventive che possono essere somministrate a seguito di diagnosi precoci – sottolinea Claudio Mastroianni, Presidente SIMIT -. Per favorire le diagnosi precoci è fondamentale una sinergia tra diverse discipline, con i medici di famiglia che possono identificare i pazienti più fragili e inviarli al trattamento, in virtù anche delle migliori conoscenze di cui oggi disponiamo. A questo si aggiunge la necessità di una maggiore attenzione per i disturbi post COVID, che, in quanto malattia multifattoriale, necessita di un approccio multidisciplinare, in cui l’infettivologo si conferma il regista dell’azione”. In questo quadro aggiornato anche la medicina di emergenza-urgenza gioca un ruolo strategico. “In queste settimane in cui pure i contagi corrono, si denota un numero limitato di patologie acute, che colpiscono prevalentemente i pazienti anziani fragili – sottolinea Alessandro Riccardi, Consigliere nazionale SIMEU e Responsabile della formazione – diventa pertanto opportuno condividere un approccio con gli infettivologi che preveda maggiore dinamicità nel processo assistenziale, superando il concetto dei reparti COVID, mentre ogni specialità dovrebbe prendere in carico i propri pazienti e lasciare agli infettivologi il paziente con il maggiore coinvolgimento polmonare e una malattia da COVID più elevata, prestando attenzione soprattutto alle comorbidità. Si deve ripensare anche la gestione intraospedaliera, che deve svilupparsi all’insegna di una maggiore elasticità nei reparti”. “La Medicina generale si conferma recettiva anche in questa fase – sottolinea Alessandro Rossi, Responsabile Ufficio di Presidenza SIMG – in questi anni, la SIMG ha varato numerosi strumenti messi a disposizione del Medico di Medicina Generale affinché fosse sempre aggiornato: corsi di formazione, decaloghi, documenti intersocietari, indagini. In questa nuova fase, il nostro ruolo si sviluppa lungo due direttrici: anzitutto, siamo impegnati a identificare i pazienti a rischio di malattia grave e ospedalizzazione, come anziani, immunocompromessi, malati cronici, al fine di proporre la somministrazione di una dose booster del vaccino aggiornato alle più recenti varianti. In secondo luogo, è necessario riaffermare l’assoluta necessità di trattare tempestivamente con i farmaci antivirali a disposizione della Medicina Generale tutti i soggetti a rischio, effettuando una precoce diagnosi clinica e virologica con tampone antigenico rapido”.

Studio: statine e digiuno “affamano” cellule arrestando crescita tumore

Studio: statine e digiuno “affamano” cellule arrestando crescita tumoreRoma, 17 nov. (askanews) – Da pilastro della prevenzione cardiovascolare a possibile terapia anti-tumorale: è la doppia vita delle statine, farmaco estremamente diffuso per ridurre i livelli di colesterolo, suggerita da uno studio dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communication. L’idea è quella di “affamare” i tumori e poi colpirli riciclando farmaci ben noti, a basso costo, utilizzati da anni per tutt’altri scopi, in grado di arrestare la crescita delle cellule tumorali, messe a “stecchetto” con brevi cicli di digiuno. Così i farmaci che, come le statine, impediscono la sintesi di colesterolo cruciale per soddisfare il bisogno di nutrienti delle cellule tumorali, combinati a brevi cicli di digiuno, potrebbero diventare una terapia “low cost” per combattere tumori difficili come quello al pancreas, il carcinoma del colon-retto e il melanoma. I risultati, ottenuti dal team di ricercatori guidato da Alessio Nencioni del Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche (DIMI) dell’Università di Genova, attraverso lo screening di centinaia di farmaci già utilizzati in clinica su linee di cellule cancerose in vitro e su modelli sperimentali in vivo, aprono la strada a possibili terapie più sicure ed economiche, grazie a medicinali che oltre a essere poco costosi sono anche maneggevoli e ben tollerati.

“La cura dei pazienti oncologici ha costi molto elevati, che a volte limitano l’accesso a terapie efficaci soprattutto nei Paesi a basso reddito. Per questo esiste un interesse crescente nel valutare la possibilità di ‘riciclare’ come antitumorali farmaci non oncologici, approvati e impiegati da tempo per altre patologie: si tratta infatti di medicinali che in genere sono a basso costo, essendo scadute le coperture brevettuali, e che grazie all’esperienza di utilizzo su larga scala sappiamo avere un profilo di sicurezza spesso buono – spiega Alessio Nencioni, direttore della Clinica Geriatrica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e coordinatore dell’indagine assieme ad Amr Khalifa e Irene Caffa -. Esempi ben noti di farmaci non oncologici riproposti come anticancro sono la talidomide, dapprima venduta come antinausea e sedativo e ora usata per trattare il mieloma multiplo, e l’acido retinoico, che è ampiamente utilizzato per trattare patologie della pelle ma ha dimostrato anche una grande efficacia nel trattamento della leucemia promielocitica acuta. Tuttavia, nonostante esistano vari studi clinici in corso, l’identificazione di altri farmaci di uso comune che si prestino a essere ‘riproposti’ per trattare malati oncologici procede a rilento”. I ricercatori del San Martino hanno ipotizzato che esponendo i tumori a condizioni di “stress nutrizionale”, cioè a una carenza di nutrienti e di fattori di crescita come quella che si verifica con un digiuno transitorio, sarebbe stato possibile renderli vulnerabili anche ad altri farmaci di uso comune. Hanno perciò utilizzato linee cellulari di numerosi tumori, fra cui quelli al pancreas, al colon-retto e il melanoma, e dopo averle esposte a condizioni che mimano il digiuno hanno condotto uno screening di centinaia di farmaci di uso comune. “I risultati mostrano che farmaci che riducono la sintesi di colesterolo, tra cui le statine, diventano capaci di arrestare la crescita di vari tipi di neoplasie quando “combinati” con brevi cicli di digiuno settimanale – spiega Nencioni – il digiuno riduce la capacità delle cellule tumorali di sintetizzare il proprio colesterolo e inoltre le induce ad espellere il colesterolo che contengono. In questa situazione, esporre i tumori a farmaci che riducono ulteriormente la produzione di colesterolo fa sì che le cellule maligne sperimentino un’improvvisa forte carenza di questo lipide, cruciale per vari aspetti del loro metabolismo e della loro crescita, e che perciò non siano più in grado di crescere. In passato era già emersa una possibile attività antitumorale per le statine: i nostri dati confermano la possibilità di utilizzarle come antitumorali in associazione al digiuno e segnalano la possibilità di usare allo stesso modo anche altri tipi di medicinali”. Anche alcuni noti antifungini, tra cui terbinafina e miconazolo, hanno infatti dimostrato di possedere attività simile e i dati positivi sono stati confermati in modelli animali di vari tipi di tumore, sottoponendo i topolini a periodi di digiuno e quindi al trattamento con i farmaci più promettenti emersi dallo screening su linee cellulari. “Il digiuno è cruciale per potenziare l’attività antineoplastica dei farmaci, tra i due tipi di intervento si crea cioè una positiva sinergia antitumorale. Lo ‘stratagemma dietetico’ del digiuno potrà quindi servire a individuare anche altri farmaci non oncologici da ‘riciclare’ come antitumorali. Intanto, i dati positivi ottenuti con i medicinali anticolesterolo e antifungini dovranno essere confermati attraverso studi clinici che all’IRCCS Policlinico San Martino stiamo già ipotizzando, per poter essere presto in grado di offrire ai pazienti oncologici nuove opportunità di cura sicure e a basso costo”, conclude Nencioni.

Sanità digitale, tecnologia dalla parte del medico: step per cominciare

Sanità digitale, tecnologia dalla parte del medico: step per cominciareRoma, 16 nov. (askanews) – La rivoluzione della sanità non è solo clinica. È multidimensionale: passa per differenti professionalità e differenti strumenti. In questo contesto, la digitalizzazione gioca un ruolo fondamentale per amplificare la professione sanitaria, partendo dalla formazione.

Questo il messaggio lanciato dal convegno “Digital health 2023. La cardiologia del presente e del futuro”, tenutosi nella Sala Zuccari di Palazzo Giustiniani su iniziativa del senatore Antonio Guidi, in collaborazione con ANIC (Associazione Nazionale Innovazione Cardiovascolare), organizzato da DreamCom, e con il coordinamento scientifico del dottor Marco Rebecchi, presidente del direttivo della Regione Lazio dell’associazione italiana Aritmologia e Cardiostimolazione (AIAC); dal professor Gabriele Palozzi, esperto presso l’Unità di missione per l’attuazione del Pnrr del ministero della Salute, già docente nella facoltà Economia dell’università Tor Vergata di Roma e dal professor Ermenegildo de Ruvo, responsabile di elettrofisiologia cardiaca al policlinico Casilino di Roma. L’evento ha costituito uno spazio di approfondimento sulle più recenti tecnologie – dalla telemedicina all’intelligenza artificiale – al fine di valutare la più efficace integrazione fra nuove tecnologie e sistema sanitario, soprattutto affrontando le questioni della privacy dei dati, della formazione degli operatori e dell’accessibilità tecnologica.

Il senatore Antonio Guidi ha dichiarato: “La sfida che la tecnologia in medicina oggi deve cogliere e risolvere è riavvicinare la persona-paziente ai medici, agli ospedali, agli enti preposti alla cura. Gli ultimi sconvolgimenti mondiali che ci hanno lasciato più ammalati del solito – ha precisa il neuropsichiatra – ci fanno comprendere quanto è decisivo abbracciare la persona malata con la nostra tecnica umana. Stiamo affermando quanto sia improrogabile comprendere e utilizzare le nuove tecnologie e l’inizio di una nuova era della professione sanitaria, amplificata e non sostituita dalla tecnologia. La scienza e la sua evoluzione – ha concluso – passano dall’osservazione curiosa, la sperimentazione coraggiosa, gli occhi, le mani, le parole”. A dar il via ai lavori i responsabili scientifici del convegno con il messaggio del sottosegretario di Stato all’Innovazione tecnologica e alla Transizione digitale, Alessio Butti. “Fra le tante rivoluzioni positive che le tecnologie stanno portando avanti nelle nostre vite, quella in ambito salute è la più importante”, ha scritto Butti. “Stiamo lavorando per essere in prima linea in Europa e in Occidente in questo campo. Il Pnrr è la nostra base per farlo”, ha affermato. “Con gli oltre 20 miliardi messi a disposizione, stiamo attuando un cambiamento sociale radicale, migliorando la possibilità di avere analisi e monitoraggio aggiornati e puntuali, ma soprattutto rivoluzionando il mondo in cui affrontare le patologie”. “Questo impegno da parte del governo è importante che si costruisca attraverso la formazione, il dibattito e la condivisione di idee”, ha concluso il sottosegretario.

Sono intervenuti esperti del settore, differenti professionisti sanitari e ricercatori e hanno presentato casi di successo, best practice e studi di ricerca che illustreranno le caratteristiche delle nuove tecnologie in ambito medico, per farne emergere vantaggi e per valutarne le criticità. I responsabili scientifici, i professori Marco Rebecchi, Gabriele Palozzi ed Ermenegildo de Ruvo, hanno dichiarato: “La sanità digitale non deve essere vissuta come qualcosa di strettamente tecnologico. Come qualsiasi innovazione nella storia – dalla penna al personal computer – anche la sanità digitale rappresenta uno strumento donato al medico per ottimizzare il proprio lavoro quotidiano. Il componente principale della sanità resta l’essere umano, in quanto destinatario di cura. È dunque certo che le innovazioni tecnologiche già in circolo ci danno l’occasione di investire energie nella formazione, volta ad amplificare la professione sanitaria, in un rinnovato e vivificato contesto di assistenza territoriale, in cui i modelli di comunicazione medico-paziente si evolvono, accanto ai modelli di cura e di gestione delle malattie”.

Tumori maschili, via a Campagna Lilt in collaborazione con Federugby

Tumori maschili, via a Campagna Lilt in collaborazione con FederugbyRoma, 16 nov. (askanews) – Durante il mese di novembre, periodo dell’anno dedicato alla prevenzione dei tumori maschili, la LILT – Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori – promuove la campagna di sensibilizzazione focalizzata sulle patologie tumorali della sfera genitale maschile. Quest’anno l’iniziativa Nastro Blu – LILT for Men è in programma dal 18 al 26 novembre, per incentivare le visite di controllo presso gli ambulatori LILT distribuiti su tutto il territorio nazionale e diffondere conoscenza su queste patologie attraverso la distribuzione dell’opuscolo informativo: una pubblicazione nella quale vengono forniti approfondimenti sulle neoplasie “esclusivamente” maschili, come il tumore della prostata, il tumore al testicolo ed il carcinoma del pene.

È sul tema dell’autoesame che la campagna 2023 vuole accendere i riflettori. Grazie al recente protocollo di intesa tra LILT e la Federazione Italiana Rugby, i giocatori della Nazionale Italiana Rugby Michele Lamaro, Federico Ruzza e Giacomo Nicotera hanno prestato il loro volto per mettere in luce il valore della prevenzione, invitando tutti gli uomini a scendere in campo con loro ed effettuare visite di controllo. «Il supporto della FIR e il coinvolgimento di questi tre giovani sportivi, che si fanno veicolo di un messaggio così importante verso i propri coetanei – afferma il Presidente Nazionale LILT Francesco Schittulli – non può che renderci fieri del lavoro di educazione alla salute che stiamo portando avanti da oltre cento anni. La prevenzione e la diagnosi precoce oggi guariscono oltre il 65% dei casi di cancro e intensificando le campagne di sensibilizzazione potremmo arrivare già oggi a una guaribilità superiore all’85%». «Come Presidente della Federazione sono sempre felice di vedere le atlete e gli atleti delle nostre Nazionali impegnati nel ruolo di testimonial di importanti campagne sociali. Come medico, sono doppiamente entusiasta della collaborazione tra FIR e LILT per sensibilizzare ragazzi e uomini di tutte le età ad un tema come quello della prevenzione dai tumori genitali maschili. Novembre è il mese della prevenzione e il rugby italiano, con i suoi Azzurri, è impegnato a fare la propria parte al fianco della Lega Italiana per la Lotta contro i Tumori» ha commentato il Presidente della FIR, Marzio Innocenti.

Natalità a rischio e PMA, esperti: dare maggiore supporto a donne

Natalità a rischio e PMA, esperti: dare maggiore supporto a donneRoma, 16 nov. (askanews) – “Continua sempre a calare il numero di nascite in Italia e questo dipende da una serie di fattori. Un fattore importante è il procrastinare della ricerca di una gravidanza. Questo comporta una fisiologica riduzione delle probabilità per ottenere un bambino determinata dal fatto che man mano che l’età aumenta diminuiscono le probabilità di trovare ovociti per poter dar luogo a un bambino che nasce”. Lo ha detto Filippo Maria Ubaldi, SIFES-MR, alla conferenza stampa “PMA e preservazione della fertilità: investire nel nostro futuro demografico”, tenutasi stamattina al Ministero della Salute.

L’incontro ha voluto affrontare l’annoso problema della denatalità che oggi, più che nel passato, colpisce il nostro Paese rendendolo fanalino di coda dell’Europa. Attualmente circa il 15% della popolazione italiana non riesce ad avere figli, spingendo sempre più coppie a ricorrere alle tecniche di procreazione medicalmente assistita (PMA). “La Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia – ha sottolineato Nicola Colacurci, Presidente SIGO – ritiene che sia fondamentale che possano accedere a prestazioni fornite dal Sistema Sanitario Nazionale anche tutte quelle donne che hanno delle patologie mediche riconosciute, che impattano in maniera significativa sul potenziale riproduttivo o che hanno il rischio di avere una menopausa precoce e di non riuscire ad esaudire il loro desiderio riproduttivo quando lo decidono. Sarebbe quindi fondamentale riuscire a realizzare una preservazione della fertilità, e quindi di avere degli ovociti crioconservati per queste specifiche patologie. In rapporto a questo la SIGO ha preparato un documento che ha portato all’attenzione del Ministero della Salute e del governo, al fine di riuscire ad estendere i LEA non soltanto alle pazienti oncologiche ma anche a queste donne portatrici di altre gravi patologie non oncologiche”.

Nonostante la forte domanda di cura da parte dei cittadini, l’accesso ai centri e la reale disponibilità di queste tecniche risultano disomogenei da Regione a Regione e tra coloro che potrebbero essere interessati ad un trattamento, solo il 27% riesce ad accedervi, dando vita ad un turismo sanitario fuori dall’Italia senza precedenti. Sui ticket regionali è intervenuta Mara Campitiello, Capo Segreteria Tecnica del Ministro della Salute Orazio Schillaci: “Tutte le regioni – ha spiegato – dovranno omologarsi al sistema nazionale. Lo scopo è di rendere omogenee tutte le regioni per cui è stato stabilito un ticket per l’omologa e quindi per tutto il percorso ad essa affine e per l’eterologa una quota di compartecipazione”. L’obiettivo della giornata alla quale sono intervenuti anche Eleonora Porcu, membro del Consiglio Superiore di Sanità, professore Alma Mater, Università di Bologna, Giulia Scaravelli, Responsabile Centro Operativo Adempimenti legge 40/2004 Registro Nazionale PMA-ISS, Mark Connolly, esperto di Economia sanitaria e José Remohi, Presidente e fondatore Clinica M-RMA, era quello infatti di definire i presupposti per realizzare delle condizioni cliniche e normative maggiormente favorevoli per le coppie che desiderano intraprendere un percorso di genitorialità attraverso il ricorso alla PMA o al social freezing, diffondendo maggiore consapevolezza in Italia ed efficientando la gestione regionale dei percorsi terapeutici.

“C’è una grande disinformazione su questo tema – ha spiegato in conclusione Ubaldi. Il vedere persone note che ottengono gravidanze a 50 anni fa pensare che la gravidanza si possa ottenere quando e come si vuole ma in realtà non sanno che queste gravidanze sono aneddotiche o ottenute mediante la tecnica dell’ovodonazione. Bisogna quindi dare a livello istituzionale, scientifico e nei mass media una corretta informazione ai ragazzi cioè che i figli bisogna farli il prima possibile, bisogna cercare una gravidanza spontanea il prima possibile. Se questo non si può perché manca un partner affidabile o perché non ci sono le condizioni economiche o stabilità lavorativa allora si può pensare di andare a congelare gli ovociti”.

Oftalmologia, al via oggi a Roma Congresso nazionale oculisti AIMO

Oftalmologia, al via oggi a Roma Congresso nazionale oculisti AIMORoma, 16 nov. (askanews) – Dalle ultime novità nella chirurgia oftalmoplastica e del glaucoma alle nuove opportunità per i pazienti affetti da maculopatie o da patologie della cornea, come il cheratocono. Dal rischio clinico all’etica medica e alla chirurgia refrattiva della cataratta, passando per la sindrome dell’occhio secco, che rappresenta ad oggi una delle principali cause di ricorso a visita medica dell’oculista, fino alla gestione medica e chirurgica delle uveiti pediatriche. E ancora: dalla responsabilità professionale, in particolare in relazione all’utilizzo di nuove tecnologie, con gli interventi di esperti in medicina legale, al tema dei costi associati al reperimento, banking e distribuzione di tessuti oculari per trapianti, discussi da rappresentanti del Centro Nazionale Trapianti e del Comitato scientifico della Società Italiana Banche degli Occhi. Non mancheranno poi le sessioni di chirurgia in diretta, con esperti oculisti collegati dalle sale operatorie dell’Ospedale San Giovanni Addolorata di Roma, di Vista Vision Roma e Firenze e di Blu Eye a Milano. Spazio, inoltre, ai cambiamenti ormonali legati all’età (come la menopausa, l’ovaio policistico, le terapie ormonali sostitutive o le malattie oncologiche senologiche, andrologichee ginecologiche) che compromettono l’equilibrio della superficie oculare. E infine uno sguardo alla chirurgia estetica del volto, con le più avanzate tecniche per la miglior riuscita della blefaroplastica superiore ed inferiore e alle corrette tecniche iniettive per l’utilizzo, sempre a scopo estetico, della tossina botulinica. Di questo, ma anche di molto altro, si discuterà in occasione del 14esimo Congresso Nazionale AIMO (Associazione Italiana Medici Oculisti), il secondo organizzato in collaborazione con SISO (Società Italiana di Scienze Oftalmologiche), che si apre oggi a Roma presso il Palazzo dei Congressi dell’Eur. All’evento, in programma fino al 18 novembre, sono attesi oltre 2.000 partecipanti, tra oculisti, medici specializzandi ed esperti provenienti da tutta Italia, che potranno prendere parte a numerosi incontri, simposi, tavole rotonde, sessioni e corsi incentrati sulle attuali tematiche di maggior interesse dell’oftalmologia italiana ma anche internazionale.

“Ogni anno il nostro Congresso Nazionale si arricchisce sempre di più, anche grazie alla preziosa collaborazione degli oculisti SISO – fa sapere la presidente di AIMO, Alessandra Balestrazzi – anche per questa edizione ci aspettano a Roma tre giornate ricche di appuntamenti, con un programma vastissimo pensato e strutturato per non lasciare indietro nessuna tematica inerente al mondo dell’oftalmologia. Sono tanti gli argomenti che verranno trattati da oculisti ed esperti del settore, da quelli più tradizionali ai più innovativi. Penso, solo per fare qualche esempio, alle sessioni dedicate alla gestione del paziente glaucomatoso o con retinopatia diabetica sul territorio, alla luce del DM 77, oppure a quelle rivolte ai ‘grandi’ temi dell’oculistica come il glaucoma e le maculopatie, senza dimenticare patologie come la cataratta e la miopia. Una interessante novità introdotta nel programma, poi, riguarda alcuni simposi specifici sulla ‘superficie oculare al femminile’, durante i quali si discuterà sul ruolo degli ormoni sessuali sulla salute degli occhi della donna”.

Nati prematuri: SINPIA, in Italia 1 bambino su 10 nasce pretermine

Nati prematuri: SINPIA, in Italia 1 bambino su 10 nasce pretermineRoma, 16 nov. (askanews) – Oggi in Italia la percentuale dei bambini nati pretermine varia tra il 7 e il 10%: ogni anno nel nostro Paese nascono prima del termine tra i 25.000 e i 30.000 neonati, circa 1 bambino su 10, la maggior parte non gravemente prematuri (i cosiddetti “late preterm”), mentre sono circa 0.9-1% i nati “molto” o “estremamente” pretermine. Domani 17 novembre ricorre, come ogni anno, la Giornata Mondiale della Prematurità, World Prematurity Day, istituita nel 2008 e riconosciuta dal Parlamento europeo grazie all’impegno della European Foundation for the Care of Newborn Infants (EFCNI), finalizzata a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla nascita pretermine. In occasione della Giornata Mondiale della Prematurità, la SINPIA, Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza, sottolinea l’importanza dell’intervento precoce per i bambini a rischio di sviluppare disturbi del neurosviluppo. “La prematurità – spiega Elisa Fazzi, Presidente SINPIA, Direttore della U.O. Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza ASST Spedali Civili e Università di Brescia – è una condizione che può comportare un aumento del rischio di sviluppare oltre alla Paralisi cerebrale infantile spesso associata a deficit sensoriali, in particolare visivi e cognitivi di varia entità, disturbi del neurosviluppo, tra cui disturbi dell’apprendimento, del linguaggio e del comportamento, fino ai quadri di disturbo dello spettro autistico o di deficit di attenzione e/o iperattività spesso in comorbidità. L’intervento precoce, che si fonda su strategie di intervento centrate sulla famiglia e sull’arricchimento ambientale, può essere iniziato già nelle prime settimane di vita e può includere interventi di tipo riabilitativo, ma anche di sostegno alla genitorialità con interventi educativi, psicologici e sociali”.

Notevoli passi avanti sono stati compiuti dalla scienza e, oggi, anche per i bambini che nascono prima delle 27-28 settimane la possibilità di sopravvivere è alta, superiore al 70%, sebbene all’aumento della sopravvivenza non corrisponda anche una simile drastica diminuzione delle problematiche presentate a distanza di anni. L’incidenza dei disturbi del neurosviluppo nei bambini nati pretermine è stimata intorno al 20%, mentre la paralisi cerebrale infantile colpisce circa il 10% dei neonati con prematurità di grado elevato, e rappresenta la causa più frequente di disabilità motoria nei bambini. “E facile intuire – interviene Simona Orcesi, professore associato di Neuropsichiatria Infantile presso l’Università di Pavia e membro del Consiglio Direttivo della SINPIA – che più è grave la prematurità, con età gestazionale e peso neonatale molto bassi, maggiormente diminuiscono le possibilità di sopravvivenza mentre aumentano le complicanze, sebbene negli ultimi decenni abbiamo potuto assistere ad un significativo miglioramento delle tecniche ostetriche e delle cure intensive neonatali. Nell’evoluzione neuropsichica dei gravi pretermine sono però ancora presenti fragilità cognitive e comportamentali, difficoltà di regolazione delle emozioni, quadri clinici che rientrano nei disturbi del neurosviluppo che a volte si evidenziano più avanti, in età scolare. Si tratta di problemi spesso considerati più lievi che invece possono compromettere la qualità di vita dei bambini e delle famiglie”. Le nuove tecniche di studio con Risonanza Magnetica cerebrale stanno dimostrando sempre di più che nascere pretermine può compromettere la maturazione cerebrale, soprattutto per i più prematuri. L’altra faccia della medaglia in questo contesto, però, è che la maturazione cerebrale al di fuori dell’ambiente intrauterino è anche facilmente modificabile grazie alle caratteristiche di plasticità del sistema nervoso in via di sviluppo, cioè alla capacità del sistema nervoso di riorganizzarsi in modo funzionale in risposta a cambiamenti e ad esperienze ambientali.

“Ogni influsso ambientale esterno – aggiunge Elisa Fazzi – si inserisce in un processo di scambio reciproco continuo tra afferenze ambientali e modificabilità delle reti neurali e contribuisce a plasmare l’encefalo stesso. Negli ultimi decenni la ricerca scientifica ha confermato che l’ambiente può influire molto e positivamente sulla plasticità cerebrale: rappresenta un “farmaco” potente che abbiamo a disposizione fin dai primi giorni di vita di un bambino pretermine e può influenzare positivamente il suo sviluppo in condizioni di fragilità, agendo, ad esempio, attraverso meccanismi epigenetici, regolando l’espressione genica ed esercitando un ruolo protettivo”.

Oggi World Diabetes Day: 62 mln affetti in Europa, oltre 4 mln in Italia

Oggi World Diabetes Day: 62 mln affetti in Europa, oltre 4 mln in ItaliaRoma, 14 nov. (askanews) – Conoscere il proprio rischio di sviluppare il diabete, è il tema del World Diabetes Day 2023 che si svolge in tutto il mondo il 14 novembre. Con 62 milioni di persone affette in Europa di cui più di 4 milioni in Italia, il diabete è la quarta causa di morte. Sono infatti 80mila le morti solo nel nostro Paese, pari a 9 decessi evitabili ogni ora. Ancor più grave è constatare che dal 2000 ad oggi i casi sono raddoppiati, mentre si stima che ci sia almeno un milione di persone con diabete non diagnosticato. Ecco perché il tema della Giornata Mondiale di quest’anno è #knowyourrisk, knowyourresponse (conosci il tuo rischio, conosci la tua risposta), sottolineato anche nella conferenza di presentazione organizzata in collaborazione tra Intergruppo parlamentare Obesità, diabete e malattie croniche non trasmissibili e FeSDI – Federazione delle società scientifiche diabetologiche italiane, costituita da SID – Società Italiana di Diabetologia e AMD – Associazione Medici Diabetologici, svoltasi stamattina presso il Ministero della Salute.

«I numeri dimostrano la necessità di risposte ed azioni tempestive ed efficaci sia assistenziali, ma anche capaci di produrre un cambiamento culturale – dichiara il Ministro della Salute Prof. Orazio Schillaci – grazie al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e alle recenti misure previste nella manovra finanziaria, potremo finalmente realizzare un nuovo modello organizzativo di medicina territoriale che assicurerà ai diabetici quella multidisciplinarietà che è cruciale per una gestione ottimale della malattia e per prevenire l’insorgenza di complicanze. Ma la sfida non facile che ci attende è anche quella di promuovere la cultura della prevenzione primaria e secondaria, di accrescere la consapevolezza nei nostri concittadini dell’importanza dell’adozione di stili di vita sani e di eseguire controlli periodicamente». Il World Diabetes Day è la più ampia campagna di awareness al mondo, lanciata nel 1991 dalla International Diabetes Federation e dall’OMS, che non solo promuove l’importanza di azioni coordinate, ma si propone di individuare le criticità e ideare strategie per superarle. Un evento globale che ogni anno raccoglie una audience di circa 1 miliardo di persone in 160 paesi. Un adulto su dieci nel mondo soffre di diabete. Oltre il 90 per cento soffre di diabete di tipo 2. Quasi la metà non è ancora stata diagnosticata. In molti casi, il diabete di tipo 2 e le sue complicanze possono essere ritardati o prevenuti adottando e mantenendo abitudini sane. Essere consapevoli del proprio rischio di diabete di tipo 2 significa essere in grado di prendere decisioni informate riguardo alla propria salute. Questa consapevolezza può spingere le persone a monitorare regolarmente i loro livelli di zucchero nel sangue ma non solo: controllare il colesterolo e la pressione arteriosa. Conoscere il rischio e cosa fare è importante per supportare la prevenzione, la diagnosi precoce e il trattamento tempestivo. In Italia nel 2021 sono stati registrati 15.205 ricoveri legati alle complicanze del diabete, con un tasso medio di ospedalizzazione stabile rispetto al 2020 (Rapporto Esiti Agenas 2022), mentre permane una criticità nei ricoveri ‘potenzialmente evitabili’: si spendono infatti oltre 50 milioni di euro per ricoveri legati all’ipoglicemia. Il diabete aumenta il rischio di ospedalizzazione per diversi fattori. Le persone con diabete corrono un rischio due volte maggiore di essere ricoverate, rispetto alle persone senza diabete. Il 20-25 per cento delle persone con diabete viene ricoverato almeno una volta durante l’anno e, mediamente, la durata del ricovero aumenta del 20 per cento in presenza di diabete. Il paziente affetto da diabete presenta un rischio aumentato di soffrire di altre malattie non trasmissibili come neoplasie e broncopneumopatia cronica ostruttiva. La malattia sta diventando un’epidemia globale, con milioni di persone coinvolte a causa dell’aumento ponderale, la sedentarietà e cattivi stili di vita. Tuttavia, conoscere il proprio rischio di sviluppare il diabete è il primo passo cruciale verso la prevenzione e la gestione efficace di questa condizione. Da qui le iniziative organizzate anche in Italia per sensibilizzare su questi temi. Un’onda blu fatta di luce ha illuminato ieri sera diversi monumenti di Roma per annunciare la Giornata Mondiale del Diabete e promuovere l’attenzione sui rischi e l’importanza di agire contro questa malattia. Molti luoghi iconici si sono passati il testimone, illuminandosi a intervalli di 20 minuti ciascuno: Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina, Arco di Giano, Tempio di Portuno, Tempio di Ercole, Teatro Marcello, Colosseo, Statua Mazzini, Fontana dell’Acqua Paola, Arco di Costantino, Cerchio Galleria d’Arte Moderna, Piazza della Repubblica, Piramide Cestia, Statua Garibaldi, Tempio di Saturno. Dal pomeriggio di ieri e per tutta la giornata di oggi saranno inoltre esposti a Roma, in piazza San Silvestro, 17 manifesti informativi sui temi della Giornata Mondiale. E si svolgerà oggi e domani presso il Senato della Repubblica, su iniziativa della Sen. Daniela Sbrollini, Presidente dell’Intergruppo parlamentare Obesità, diabete e malattie croniche non trasmissibili, in collaborazione con FeSDI, uno screening rivolto ai parlamentari, con l’obiettivo di promuovere la cultura della prevenzione e porre il tema al centro dell’opinione pubblica e dell’agenda istituzionale.

Diabete, Schillaci: screening pediatrico importante per tutela salute

Diabete, Schillaci: screening pediatrico importante per tutela saluteRoma, 14 nov. (askanews) – La legge 130 del 2023 che detta disposizioni per la definizione di un programma diagnostico per l’individuazione del diabete di tipo 1 e della celiachia nella popolazione pediatrica è “una legge importante che ha trovato da subito il mio sostegno e quello dell’intero Parlamento. Un sostegno unanime che dimostra come la salute sia un tema che deve unire e non dividere. È un provvedimento che pone l’Italia all’avanguardia, è la prima nazione ad approvare una legge che prevede in modo sistematico programmi pluriennali di screening per la celiachia e per i diabete di tipo 1 rivolti alla popolazione pediatrica”. Lo ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci intervenendo alla Camera al convegno “Giornata mondiale del diabete – Un nuovo inizio: i traguardi da raggiungere con la legge 15 settembre 2023 n.130”, organizzato in occasione della Giornata mondiale del diabete che ricorre oggi.

“Alcuni studi, negli anni, – ha proseguito il ministro – hanno evidenziato una correlazione, variabile dall’1,5% al 10%, tra soggetti con diabete di tipo 1 e soggetti che sviluppano anche il morbo celiaco. La prevalenza media dell’associazione tra le due patologie va dal 4,1% al 6,5% ed è riscontrabile specialmente in età pediatrica con una frequenza più elevata di almeno 10 volte rispetto alla popolazione non diabetica. Il diabete di tipo 1 rappresenta circa il 10% dei casi di diabete e in Italia riguarda circa 300.000 persone. É una malattia con una incidenza in aumento in tutto il mondo che insorge, in genere, durante gli anni dell’adolescenza, ma può comparire anche in bambini piccolissimi (perfino neonati) o in giovani adulti e dura tutta la vita”. Lo screening, ha detto Schillaci, rappresenta una “grande opportunità” e grazie a questa legge “potremo individuare precocemente i bambini a rischio”. La legge è la cornice che va resa operativa. “Siamo già al lavoro per la predisposizione dei decreti attuativi per l’adozione del programma di screening – ha annunciato il ministro – e per l’istituzione dell’Osservatorio nazionale che avrà il compito delicato di studiare ed elaborare le risultanze dello screening pubblicando annualmente una relazione sul portale del Ministero della salute”.

Quest’anno, ha ricordato Schillaci, “il ministero della Salute ha stipulato una convenzione con l’Istituto Superiore di Sanità, per un progetto pilota di screening, su scala ridotta, propedeutico alla successiva realizzazione dello screening pluriennale su scala nazionale. Lo studio, permetterà di ottenere informazioni sulla presenza di anticorpi predittivi del diabete di tipo 1 e della celiachia nella popolazione pediatrica, di comprendere se le due malattie condividono gli stessi fattori genetici e di stabilire se i due epifenomeni derivano dalla medesima predisposizione e approfondire il ruolo del glutine nella malattia diabetica. Altrettanto importante sarà l’impegno del ministero della Salute per la promozione di campagne di informazione e sensibilizzazione sull’importanza della diagnosi precoce in età pediatrica e per la conoscenza del programma di screening. Con la legge 130, dunque, – ha concluso il ministro Schillaci – garantiamo alla fascia più giovane della nostra popolazione un importante strumento di tutela della salute”.