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Schillaci: a breve decreto per fondi Piano oncologico nazionale

Schillaci: a breve decreto per fondi Piano oncologico nazionaleRoma, 30 ott. (askanews) – “Il Piano oncologico nazionale è stato tra i primi atti che ho firmato. Un documento atteso da tempo, che ha la finalità di abbattere le tante differenze nell’accesso alle cure oncologiche che sono presenti sul nostro territorio nazionale e che rappresentano una violazione grave e dolorosa del principio di equità a cui si ispira il nostro Servizio Sanitario. Poche settimane fa la Conferenza Stato-Regioni ha approvato l’Intesa sullo schema di decreto – che a breve firmerò – per la ripartizione del Fondo e questo consentirà l’implementazione attraverso una dotazione di 10 milioni per ciascuno degli anni dal 2023 al 2027”.

Lo ha annunciato il ministro della Salute Orazio Schillaci intervenendo al Quirinale alla cerimonia di celebrazione de “I giorni della ricerca” – l’iniziativa della Fondazione AIRC che da 29 anni accende i riflettori sul cancro per informare sui progressi della ricerca e raccogliere nuove risorse per il lavoro dei ricercatori – durante la quale il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricevuto una rappresentanza del mondo scientifico e di sostenitori della Fondazione.

Scompenso cardiaco, in Italia colpite oltre un milione di persone

Scompenso cardiaco, in Italia colpite oltre un milione di personeRoma, 27 ott. (askanews) – Lo scompenso cardiaco è una patologia cronica in forte aumento che colpisce 15 milioni di persone in Europa e oltre 1 milione nel nostro Paese. In Italia lo scompenso cardiaco è la causa principale di ospedalizzazione nelle persone di età superiore ai 65 anni, con un rilevante impatto non solo clinico, ma anche sociale ed economico. La prevalenza di questa patologia cresce in maniera esponenziale con l’età, colpendo oltre il 20% dei cittadini con più di 80 anni. Se non adeguatamente trattato peggiora nel tempo, con esito fatale nel 50% dei pazienti, entro cinque anni dalla diagnosi. Vi è inoltre uno stretto legame con chi soffre di diabete: 4 persone colpite da scompenso hanno anche questa patologia. Lo scompenso cardiaco è causato dall’incapacità del cuore di assolvere alla normale funzione contrattile di pompa e di garantire il corretto apporto di sangue a tutti gli organi, che ricevono pertanto quantità insufficienti di ossigeno per le loro esigenze metaboliche portando ad un accumulo di liquidi nei polmoni e nei tessuti. Nello stadio precoce la malattia può essere asintomatica e non sempre facilmente diagnosticabile ma con il passare del tempo i sintomi tendono ad aggravarsi. E’ una sindrome clinica particolarmente complessa che può esporre ad un aumentato rischio di aritmie minacciose per la vita e morte improvvisa. Oggi e domani a Milano, presso Palazzo Mezzanotte, si tiene la Convention Nazionale Centri Scompenso Cardiaco ANMCO 2023, in cui i cardiologi ospedalieri italiani ANMCO faranno il punto su prevenzione e nuove terapie. Fabrizio Oliva – Presidente ANMCO e Direttore Cardiologia 1 dell’Ospedale Niguarda di Milano – dichiara: “Fortunatamente l’innovazione in campo medico sta cambiando lo scenario, a beneficio delle persone colpite da questa patologia cronica. Negli ultimi anni sono state implementate le terapie farmacologiche e le possibilità di intervento non farmacologico in questi pazienti con miglioramento della loro prognosi. Se si inizia uno schema terapeutico che comprende i nuovi farmaci dopo i 55 anni si potrebbe garantire al paziente, rispetto alla terapia precedente, 8 anni di vita in più. Dopo i 65 anni, si potrebbe garantire una differenza di 6 anni di vita in più. Nello scompenso cardiaco il concetto di “stabilità”, è diverso da quello della “gravità”. Il paziente può essere stabile clinicamente ma presentare contemporaneamente un elevato grado di rischio sia di morte che di ospedalizzazione. In pratica non esiste il paziente a basso rischio: potremmo dire che lo scompenso cardiaco è una patologia cronicamente acuta. Occorre quindi mettere in atto modelli assistenziali innovativi che mettano in contatto più stretto il territorio con l’ospedale perché anche se il paziente necessita di più ricoveri nel corso dell’anno sarà sempre maggiore il tempo che passerà a domicilio o comunque in un setting assistenziale territoriale. E’ per questo che oltre all’ottimizzazione della terapia, dobbiamo pensare all’ottimizzazione organizzativa per l’inserimento dei pazienti in percorsi assistenziali finalizzato al miglioramento della gestione e della prognosi di questi pazienti sia in termini di ricoveri ospedalieri che di sopravvivenza”.

Sanità, al Bambin Gesù 4 trapianti di organi in 24 ore

Sanità, al Bambin Gesù 4 trapianti di organi in 24 oreMilano, 27 ott. (askanews) – Quattro trapianti di organi al Bambino Gesù in 24 ore, quattro ragazzi che tornano ad avere fiducia in una nuova vita. La scorsa settimana, tra il 17 e il 18 ottobre, nell’Ospedale della Santa Sede sono stati eseguiti 3 trapianti di rene e uno di fegato a beneficio di 3 ragazzi e una ragazza con gravi patologie. La sincronia tra gli interventi ha richiesto il coinvolgimento di circa 40 operatori sanitari. Tutti i pazienti sono ora in buone condizioni.

La prima ad essere trapiantata, nel tardo pomeriggio del 17 ottobre, è stata la paziente più giovane dei quattro: a 13 anni era in attesa di trapianto di fegato da 6 mesi a causa di una cirrosi biliare da atresia delle vie biliari, una rara condizione patologica che porta alla distruzione progressiva dei dotti biliari, i canali deputati al trasporto della bile dal fegato all’intestino. Nel corso della giornata del 18 ottobre si sono susseguiti i tre interventi di trapianto renale. Il primo ha riguardato un ragazzo di 15 anni affetto da ipoplasia renale bilaterale, una patologia rara che non permette il completo sviluppo dei reni. I pazienti vanno incontro a insufficienza renale cronica grave, come era accaduto al ragazzo trapiantato che dalla scorsa primavera necessitava di dialisi peritoneale. Il secondo paziente trapiantato è stato un ragazzo di 16 anni, in emodialisi cronica da luglio 2023, per insufficienza renale cronica determinata da glomerulosclerosi focale e segmentale, una rara patologia che determina la progressiva cicatrizzazione (sclerosi) dei glomeruli cioè le unità filtranti dei reni.

L’ultimo trapianto ha visto coinvolto un ragazzo di 25 anni in emodialisi cronica da 8 anni e già sottoposto ad un primo trapianto renale nel 2011, purtroppo non andato a buon fine. Il ragazzo, la cui patologia di base è una uropatia malformativa (malformazione grave delle vie urinarie), era in lista di trapianto di rene da circa 7 anni. La condizione di iperimmunità, cioè l’elevata produzione di anticorpi, sviluppata in seguito al primo trapianto, rendeva infatti molto difficoltoso reperire un nuovo organo idoneo senza rischio di rigetto. Gli interventi hanno impegnato circa 40 operatori delle diverse Unità operative del Bambino Gesù afferenti ai Programmi di Trapianti di Fegato e di Trapianto di Rene, in particolare di Chirurgia epato-bilio-pancreatica, Nefrologia e Dialisi, Epatologia, Anestesia e Rianimazione, Radiologia e Anatomia patologica, oltre al Coordinamento Trapianti e al Comparto operatorio.

“Il primo ringraziamento va alle famiglie dei due donatori – afferma Marco Spada, responsabile dell’Unità operativa complessa di Chirurgia Epato-Bilio-Pancreatica e dei Trapianti di Fegato e Rene – che in un momento di grande dolore hanno aperto il cuore alle ragioni della solidarietà e della vita per 4 ragazzi. La realizzazione di questa sequenza di trapianti è stata possibile anche grazie all’utilizzo delle macchine di perfusione extracorporea degli organi, che consentono di prolungare i tempi di ischemia. Desidero inoltre ringraziare tutto il personale sanitario e non che ha collaborato alla riuscita dei 4 interventi in sole 24 ore. Un risultato così importante per i nostri pazienti e le loro famiglie non può che essere frutto di un grande lavoro di équipe e di dedizione personale e professionale”.

Salute, Schillaci: oblio oncologico è una battaglia di civiltà

Salute, Schillaci: oblio oncologico è una battaglia di civiltàRoma, 27 ott. (askanews) – “Ho fortemente sostenuto la legge sull’oblio oncologico per garantire diritti e parità di trattamento alle persone che escono dalla malattia neoplastica. Purtroppo chi guarisce dal cancro si trova ancora di fronte ad alti steccati che ostacolano il ritorno alla normalità. Succede nella ricerca del lavoro, nelle adozioni, nella sottoscrizione di un mutuo o di un’assicurazione: tutte circostanze nelle quali l’aver avuto un tumore pesa come uno stigma incancellabile. Porre fine a queste discriminazioni è, appunto, una ‘battaglia di civiltà’”. Lo ha detto il ministro della Salute Orazio Schillaci nel videomessaggio inviato al convegno “Oblio oncologico: una battaglia di civiltà – Verso la legge che tutela le persone guarite da malattie oncologiche”, organizzato dal Cnel in collaborazione con l’Associazione “Le 12 Querce – Centro studi Tony e Andrea Augello”.

“Insieme al Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e con tutto il governo, – ha proseguito Schillaci – abbiamo seguito con grande attenzione l’iter della legge, assicurando il supporto necessario per procedere speditamente. Considero un grande traguardo sul piano umano e sociale la convergenza di tutte le forze politiche su questa legge”. “Grazie allo sviluppo della diagnostica, agli screening, alle migliori capacità di cura, – ha detto il ministro della Salute – abbiamo un numero sempre maggiore di persone che sopravvivono dopo una diagnosi di tumore. Nel 2020 sono stati stimati in oltre 3 milioni e seicentomila i pazienti viventi dopo la diagnosi di malattia oncologica. Si tratta di circa il 37% in più di quanto si osservava 10 anni prima. E il 27% di queste persone è considerato ‘guarito’, ovvero la sua aspettativa di vita è pressoché uguale a quella di chi non si è mai ammalato. Eppure, alla guarigione dal punto di vista medico non corrisponde ancora una guarigione giuridica e sociale. I progressi della medicina ci chiamano a un cambiamento culturale, sociale e ad un avanzamento di civiltà. E una volta di più, dobbiamo essere grati alle associazioni per aver dato voce a un’istanza le cui ragioni sono così importanti ed evidenti. Un impegno che le istituzioni e la politica hanno fatto proprio e ora finalmente si riconosce il diritto all’oblio oncologico anche in Italia”.

“Del resto, il pieno reinserimento sociale è cruciale nel percorso del paziente oncologico e anche il reinserimento lavorativo è tra gli obiettivi del Piano Oncologico Nazionale 2023-2027 con cui puntiamo a rafforzare la prevenzione, le reti oncologiche regionali, l’empowerment dei pazienti, la ricerca. Perché la lotta contro il cancro – ha concluso Schillaci – è una priorità assoluta per il ministero della Salute. E soprattutto richiede il contributo di tutti”. Aprendo il convegno il presidente del Cnel Renato Brunetta ha ricordato che è stato il Cnel a presentare il 21 marzo scorso la proposta di legge sull’oblio oncologico, approvata dalla Camera all’unanimità il 3 agosto e che Brunetta auspica venga approvata definitivamente entro l’anno.

Al via primo ampio studio post pandemia su dieta degli italiani

Al via primo ampio studio post pandemia su dieta degli italianiRoma, 27 ott. (askanews) – Hanno aderito già circa 15 mila volontari, sono donne in 8 casi su dieci, soprattutto nella fascia di età tra i 45 e i 65 anni, in oltre la metà dei casi pranzano fuori una volta alla settimana e oltre il 15% abitualmente cinque giorni su sette. E, sorpresa, emerge solo l’11,7% di fumatori, contro il 24,2% nazionale del report 2022 dell’Istituto Superiore della Sanità. Sono i primi dati preliminari di YOUGOODY, lo studio prospettico che ha preso il via il 23 febbraio di quest’anno, ideato, coordinato e gestito direttamente dal team di ricercatori della Struttura Complessa di Epidemiologia e Prevenzione dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, in collaborazione con Esselunga.

“Lo studio mira a comprendere i cambiamenti che sono avvenuti in questi ultimi 30 anni nello stile di vita degli italiani”, sottolinea Sabina Sieri, Direttore Struttura Complessa di Epidemiologia e Prevenzione INT e responsabile del progetto YouGoody: “Per questo, le persone che aderiscono sono invitate a compilare una serie di questionari dettagliati relativi allo stile di vita e allo stato di salute. La parte predominante è quella della dieta, suddivisa per gruppi alimentari, come frutta e verdura, cereali, carne, alcolici. I dati che ricaveremo dai questionari ci serviranno per individuare nuovi stili alimentari e comportamentali che saranno poi messi in relazione con il mantenimento di un buono stato di salute oppure con l’insorgenza o l’aggravarsi di malattie quali diabete, tumori e malattie cardiovascolari”. Il reclutamento del Progetto prevede due strategie. La prima, in corso, con la ricerca di volontari attraverso i canali di comunicazione Esselunga, come la newsletter e la cartellonistica nei negozi. La seconda, che prenderà il via a breve, ha come obiettivo di ampliare il numero di adesioni allo studio coinvolgendo le Regioni del Centro e del Sud, isole comprese, grazie al supporto dei Comuni, delle Asl di zona e dei Centri universitari. Questo, per costruire una coorte prospettica di 100 mila volontari over 18 entro giugno 2025. “Nel nostro Istituto hanno preso forma studi focalizzati sullo stile di vita e in particolare sull’alimentazione, che hanno contribuito alla creazione di quella che oggi è internazionalmente la dieta anti-cancro” – interviene Marco Votta, Presidente INT – “Non poteva quindi che nascere presso di noi YouGoody, che permetterà di rendere sempre più mirate le strategie preventive che saranno utili a noi, ma soprattutto alle generazioni future. Ringrazio quindi i nostri ricercatori, che hanno ideato questo progetto, ulteriore fiore all’occhiello per il nostro Istituto e che lo stanno sviluppando su tutto il territorio nazionale. Ringrazio anche Esselunga, che ancora una volta è al nostro fianco per iniziative volte alla promozione della salute”.

YOUGOODY è il primo ampio studio osservazionale condotto in Italia dopo la pandemia. Durante i lockdown si è assistito a un aumento del consumo di comfort food e a una diminuzione dell’attività fisica, confermati da una review pubblicata su Frontiers in Nutrition1. Dati alla mano, il 22,6% degli intervistati ha ammesso un consumo maggiore rispetto al pre-lockdown di snack, salati, dolciumi, prosecco, e il 37,2% ha dichiarato di avere trascurato l’attività fisica durante il confinamento. Ad oggi, sono in corso ricerche per valutarne l’impatto nel tempo. “Sappiamo che eventi esterni di grande impatto, come l’emergenza Covid-19, producono cambiamenti importanti nello stile di vita – continua Sieri – La raccolta dei dati che abbiamo in corso ora ci permetterà di caratterizzare le nuove abitudini di vita, di valutare come esse si evolvono nel tempo e il loro impatto sulla salute, grazie al fatto che queste informazioni verranno aggiornate ogni 2 anni. Questo ci permetterà anche di comprendere se e altri eventi esterni, come le campagne informative che man mano verranno attivate a cura del Ministero della Salute avranno una loro efficacia nell’influenzare cambiamenti positivi nello stile di vita”.

È noto che la scorretta alimentazione, il consumo di alcool, il sovrappeso e la sedentarietà sono responsabili di circa il 30% dei casi di cancro. Ma il mix rappresenta anche una grande minaccia per la salute di cuore e cervello. “Le malattie cardiovascolari e le forme tumorali oggi in Italia rappresentano rispettivamente la prima e la seconda causa di morte – interviene Giovanni Apolone, Direttore Scientifico INT – Hanno in comune i medesimi fattori di rischio per quanto riguarda lo stile di vita e per questo, oggi si assiste sempre di più alla progettazione di studi che vanno oltre la singola patologia. YOUGOODY è un progetto che va in questa direzione e i risultati che si otterranno saranno sicuramente utili per la formulazione di strategie di prevenzione mirate al benessere totale della persona”. Sta emergendo che cambiare lo stile di vita produce effetti a qualsiasi età, a fronte di un rischio più basso di eventi letali. A dimostrarlo è EPIC, European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition, il vasto studio internazionale che ha preso vita all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano nei primi anni ’90 e che in questo momento è all’apogeo della sua attività scientifica. Grazie a EPIC sono stati pubblicati a partire dal 2004 dati molto solidi sulla relazione tra consumo di carne rossa e insaccati e il cancro al colon e la riduzione del rischio associata al consumo di alimenti ricchi di fibre vegetali, provenienti in particolare da cereali integrali e verdure. E sempre EPIC, ha permesso di mettere in luce l’impatto negativo dell’insulino-resistenza sull’incremento del rischio di alcune forme tumorali, tra le quali il cancro al seno in post-menopausa.

“Queste informazioni, così come molte altre, hanno consolidato dal punto di vista scientifico il valore di un regime alimentare ricco di frutta, verdura, cereali integrali e relativamente povero in carni rosse, insaccati e cibi ricchi in grassi animali e messo in luce quali meccanismi negativi scattano nell’organismo in caso di consumo eccessivo di alcolici e di bevande dolci, sia a base di zucchero che di dolcificanti artificiali” – interviene Elio Riboli, Professore di Epidemiologia e Prevenzione del Cancro presso la Scuola di Sanità Pubblica dell’Imperial College di Londra e Coordinatore Europeo e Principal Investigator di EPIC. – “Sappiamo però che in questi trent’anni i gusti alimentari si sono modificati. Basti pensare ad esempio all’aumento di chi sta scegliendo una dieta senza carni, vegetariana o vegana e in generale all’incremento della popolazione di single che ha portato a un concetto diverso dei pranzi e soprattutto delle cene. Ora, con YOUGOODY sarà interessante esaminare i cambiamenti intervenuti nello stile di vita degli italiani e seguirne l’andamento nel corso degli anni, con l’obiettivo anche di comprendere se c’è una relazione tra questi cambiamenti e il rischio di malattia, anche in positivo”. Il progetto rientra nella più ampia partnership che unisce l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano ed Esselunga che, già nel 2012, aveva portato alla raccolta di oltre 880mila euro donati da Esselunga con la collaborazione dei clienti. Nel 2019 è poi stata suggellata una collaborazione della durata di due anni che ha visto la donazione di un milione di euro da parte di Esselunga da destinare ad attività e progetti di ricerca scientifica condotti da INT, rinnovata nel 2021 con un ulteriore finanziamento che ha permesso di sviluppare questo progetto. Esselunga, inoltre, ha realizzato con i ricercatori dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano l’iniziativa “Impariamo a mangiare bene”: una collana di cinque volumi dedicati alla promozione di uno stile di vita sano grazie a una alimentazione equilibrata. “Con l’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano condividiamo il ruolo fondamentale che assumono un regime alimentare corretto e abitudini salutari come validi strumenti per la prevenzione di molte patologie. È per tale motivo che siamo onorati di aver contribuito, con i nostri strumenti e i nostri canali, all’esito di questa prima parte dello studio prospettico. Continueremo pertanto a veicolare questa iniziativa con l’obiettivo di farla conoscere ad un numero sempre maggiore di nostri clienti e permettere un ampio reclutamento, perché crediamo nella ricerca e nella promozione di stili di vita sani e, come fatto negli anni, proseguiremo nel divulgare i valori di un’alimentazione equilibrata”, conclude Giovanni Merante, responsabile Sponsorizzazioni ed Eventi Esselunga.

Salute: sesso, dopo il tumore 1 donna su 2 prova dolore

Salute: sesso, dopo il tumore 1 donna su 2 prova doloreRoma, 26 ott. (askanews) – Difficoltà e dolore durante i rapporti sessuali nel 57% dei casi; calo del desiderio per il 25%. Il restante 12% si divide equamente in cistiti ricorrenti, secchezza vaginale e problemi psicologici come tristezza immotivata e insonnia. Sono i primi risultati dello Sportello di Ascolto Sex and The Cancer per l’orientamento psicologico e medico dedicato al tema della sessualità dopo il cancro e per pazienti che effettuano un trattamento oncologico o lo hanno abbandonato, nato da un’idea di Amalia Vetromile, ex paziente oncologica e ora Presidente dell’Associazione Mamanonmama Aps. I risultati, lanciati in occasione del 4° Convegno Nazionale di Sex and the Cancer, riguardano 1.400 donne sopravvissute al tumore, hanno tra i 45 e i 55 anni e vengono da ogni parte d’Italia. «In Italia, le persone che vivono dopo una diagnosi di tumore sono circa 3,6 milioni, di queste più di 1,9 milioni sono donne – commenta Vetromile -. Molte delle cure che le donne devono affrontare hanno conseguenze, dalle patologie urogenitali alla menopausa precoce, che si ripercuotono sulla sfera della salute riproduttiva e sessuale, spesso taciute per pudore o scarsa consapevolezza». «Le terapie oncologiche che vanno dalla terapia chirurgica alle chemioterapie o radioterapie sono prevalentemente orientate a ridurre il tumore al massimo. Queste, naturalmente, hanno effetti collaterali sull’organismo. È importante che il medico sia attento a cogliere prematuramente i segnali che arrivano dalle donne e a stimolare un dialogo medico-paziente su questi temi», spiega l’oncologa Alessandra Fabi, responsabile di Medicina di Precisione in senologia del Policlinico Gemelli di Roma.

«Per quanto riguarda la mia branca, la ginecologia – aggiunge Donatella Caserta, ordinario di ginecologia e direttrice Uoc ginecologia Aou Sant’Andrea Sapienza Università di Roma ed esperta dello Sportello – il problema è che queste terapie, soprattutto se eseguite in una donna molto giovane, portano ad avere conseguenze, come una menopausa precoce. Questo può determinare non soltanto l’impossibilità di avere successivamente una gravidanza ma, molte volte, ad avere quella che noi definiamo come sindrome uro genitale, ovvero tutta una serie di disturbi legati al basso tratto che le impediscono anche di avere rapporti».

Diritto alla cura, incontro su valore tecnologia in gestione diabete

Diritto alla cura, incontro su valore tecnologia in gestione diabeteRoma, 25 ott. (askanews) – Un approccio integrato e interdisciplinare alla cronicità, che porti alla collaborazione delle diverse figure coinvolte – persone con diabete, clinici, istituzioni e industrie farmaceutiche – che implichi servizi digitali e tecnologie innovative equamente accessibili, per ottenere un superamento delle barriere alla collaborazione, un incremento dell’efficacia della terapia e un effettivo miglioramento della qualità della vita delle persone con diabete. Di questo si è parlato ieri all’evento “Oltre la cura: la persona e la tecnologia al centro della gestione del diabete”, che si è svolto nell’ambito della seconda edizione del Forum “Tutto nella norma”, nato dalla collaborazione tra Fondazione Roche e Formiche per discutere di diritti e temi di politica sanitaria tra esponenti del mondo accademico, istituzionale e sanitario.

Il diabete è una malattia cronica molto complessa, con forti ripercussioni sul quotidiano delle persone che vi convivono. In Italia, secondo i dati del rapporto dell’Italian Barometer Diabetes Observatory 2022, è stimata una prevalenza pari al 6,8 per cento della popolazione italiana, 4 milioni di persone, con un trend collegato strettamente all’invecchiamento della popolazione e, quindi, in costante aumento. A questi dati andrebbero aggiunti circa un milione e mezzo di casi non diagnosticati. Proprio per questi numeri e per la tendenza al progressivo aumento, il diabete è una delle sfide più impegnative con cui è chiamato a misurarsi il Servizio Sanitario Nazionale. Negli ultimi anni si sono fatti grandi progressi in ambito scientifico, tecnologico e normativo, ma è necessario fare ulteriori sforzi per rendere concreto un modello di cura e gestione della patologia davvero integrato, affinchè il diritto alla cura delle persone con diabete si possa tradurre in un beneficio per la collettività.

“La condizione della persona con cronicità coinvolge comportamenti singoli e decisioni pubbliche, valori umani e competenze professionali, urgenze immediate e necessità di programmazione e allocazione di risorse adeguate da parte del Servizio Sanitario Nazionale – commenta Mariapia Garavaglia, Presidente Fondazione Roche. – Si tratta di un ambito in cui l’attenzione alla dimensione etica si traduce in attenzione alla qualità umana delle relazioni tra tutti gli interlocutori del Sistema salute, che solo collaborando tra loro possono sostenere i bisogni sanitari, assistenziali e psicologici delle persone, migliorandone così la qualità di vita”. “Il diabete è una malattia che richiede un approccio olistico, mirato e personalizzato per cui “sintonizzarsi” con la persona nella sua unicità diventa fondamentale. L’innovazione tecnologica riveste un ruolo centrale nella gestione della patologia e nella prevenzione delle complicanze; la disponibilità dei dati permette di facilitare il dialogo medico-paziente, la collaborazione tra medici di medicina generale e strutture diabetologiche e lo sviluppo di servizi di teleconsulto – commenta Nicola Napoli, Professore Ordinario di Endocrinologia Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e Presidente SID Lazio. – Oggi però in Italia abbiamo ancora numerose problematiche legate alla digitalizzazione e alla condivisione del dato in ambito sanitario; la diabetologia italiana si è in gran parte dotata di strumenti elettronici per la gestione dei dati clinici, ma la condivisione di questi con altri specialisti che concorrono nella cura del diabete e delle sue complicanze, e con la rete della medicina generale, è ancora estremamente limitata”.

“Queste difficoltà nella gestione della persona con diabete si declinano a livello regionale, dove l’assistenza è diversa da regione a regione, spesso anche tra una ASL e l’altra della stessa regione – afferma Raffaella Sommacal, Consigliere delegato AGD Italia e membro del Consiglio Direttivo Diabete Italia. – Occorre implementare su tutto il territorio nazionale un’assistenza integrata, continua e focalizzata sugli outcome di cura sin dagli esordi della patologia. E in quest’ottica, la digitalizzazione sanitaria risulta fondamentale per promuovere l’uso di registri e la raccolta dati, integrandoli nel sistema di cura del diabete ed utilizzandoli quali strumenti essenziali per migliorare la qualità della cura della malattia, che permetterebbero al paziente di migliorare l’aderenza terapeutica, ai clinici di collaborare e comunicare tra loro offrendo così una cura interdisciplinare, alle istituzioni di tenere monitorato l’andamento della malattia e delle sue complicanze”. “Quindi, oggi l’innovazione tecnologica rappresenta l’elemento utile a colmare il divario tra bisogni e risorse, e può portare a un rinnovamento organizzativo e tecnologico nel diabete, volto a un’assistenza completa – continua Vincenzo Fiore, Direttore U.O.S.D. Diabetologia-Endocrinologia, Asl Roma 5-sede P.O. Tivoli e Presidente AMD Lazio. – Una corretta implementazione di questa innovazione e un accesso esteso a livello nazionale sono condizioni necessarie per promuovere la collaborazione tra tutti gli interlocutori che cooperano nella cura del diabete e per far sì che pazienti e caregiver possano sfruttare appieno il potenziale delle risorse tecnologiche oggi a disposizione”.

“Roche è da sempre impegnata a portare un cambiamento concreto nella cura del diabete, investendo in ricerca e sviluppo e in partnership di qualità con terze parti volte a mettere a disposizione dei pazienti e del Sistema soluzioni sempre più innovative, sostenendo percorsi educazionali di qualità in collaborazione con le società medico-scientifiche e promuovendo il dialogo fra i diversi interlocutori, affinché ogni persona con diabete possa essere ascoltata nei suoi bisogni e avere accesso a soluzioni e modelli di cura e gestione della patologia sempre più personalizzati, equi e sostenibili”, conclude Massimo Balestri, General Manager di Roche Diabetes Care Italy.

Al Nuovo Policlinico di Milano il reparto pediatria più bello al mondo

Al Nuovo Policlinico di Milano il reparto pediatria più bello al mondoRoma, 24 ott. (askanews) – Contribuire a realizzare in Italia «il reparto di pediatria più bello e accogliente del mondo» per ridurre al minimo lo stress emotivo e psicologico dei piccoli pazienti e dei loro genitori. È la grande sfida della Fondazione De Marchi, il cui obiettivo è di rendere gli spazi pediatrici del Nuovo Policlinico di Milano, che sarà ultimato entro il 2024, ambienti ancora più colorati, accoglienti, altamente tecnologi e totalmente a misura di bambino. Per il progetto è stato già lanciato un bando da un milione di euro, rivolto ai migliori studi di architettura e aperto fino al 31 ottobre. Il vincitore sarà selezionato nelle prossime settimane, la premiazione del progetto vincitore avverrà a gennaio 2024.

«Il milione di euro già stanziato ci permetterà di realizzare il progetto vincitore del bando, ma per rendere gli spazi del Nuovo Policlinico ancora più belli e per potenziare i servizi per i bambini e le loro famiglie abbiamo ancora bisogno di sostegno», spiega Francesco Iandola, direttore esecutivo della Fondazione De Marchi. «Il nostro obiettivo, infatti – aggiunge Iandola – è quello di sostenere l’attivazione nel nuovo reparto anche di servizi di supporto psicologico, pet therapy, musicoterapia e arteterapia». Gli ambienti destinati alle strutture di Pediatria del Nuovo Policlinico avranno un’estensione di oltre 12mila metri quadrati distribuiti su tre piani e saranno caratterizzati da spazi capaci di promuovere il benessere dei bambini e dei loro familiari, con zone di incontro, relax e svago. Come richiesto dal bando, tutti gli ambienti pediatrici condivideranno una narrazione e un unico progetto creativo e verranno utilizzate speciali tecnologie multimediali per accogliere, stupire e accompagnare i bambini in ogni tappa del loro percorso di cura.

La Pediatria del Nuovo Policlinico continuerà ad essere un punto di riferimento a livello nazionale per i bambini bisognosi di cure mediche. La Lombardia è, infatti, tra le Regioni maggiormente coinvolte nell’accoglienza di pazienti costretti a spostarsi per motivi sanitari. Per contribuire a finanziare il progetto dei nuovi spazi pediatrici e offrire nuovi servizi ai piccoli pazienti e alle loro famiglie, Fondazione De Marchi ha lanciato una campagna sms solidale: per donare basta inviare un sms o fare una chiamata da rete fissa al numero 45581 entro l’11 novembre. L’iniziativa rientra nel progetto “Un ospedale mica male” finalizzato a contenere il dolore e a ridurre lo stress dei bambini ricoverati in ospedale, alleviando il senso di isolamento e facilitando il ritorno alla vita quotidiana al termine delle cure.

La Fondazione De Marchi, attraverso i suoi progetti, ogni anno sostiene quasi 90.000 bambini realizzando, oltre ad interventi di umanizzazione e fornitura di macchinari diagnostici e terapeutici, 150 ore di pet therapy, 1.400 ore di arte terapia e di 550 ore di assistenza psicologica.

Lupus eritematoso: approccio multidisciplinare per diagnosi precoce

Lupus eritematoso: approccio multidisciplinare per diagnosi precoceRoma, 24 ott. (askanews) – Favorire una crescente collaborazione tra clinici, medici di famiglia e associazioni di pazienti per contrastare l’avanzata del lupus eritematoso sistemico. Tre i pilastri su cui costruire un nuovo approccio alla malattia: diagnosi precoce, approccio multidisciplinare e terapie innovative. È l’invito che arriva nel corso del convegno “Lupus: focus su cause e sintomi di una patologia complessa”, promosso oggi a Roma, presso Sala Caduti di Nassirya del Senato della Repubblica, per volontà del Senatore Ignazio Zullo. “Il Lupus è una patologia che impatta gravemente sulla qualità della vita dei pazienti, in particolare delle giovani donne, e come politico impegnato nel migliorarla non posso che essere soddisfatto delle nuove prospettive che le persone affette da LES avranno anche grazie ai nuovi farmaci – commenta Zullo, membro della 10ª Commissione permanente del Senato (Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale) -. La ricerca progredisce e mette a disposizione nuove opportunità terapeutiche. In questo anno di legislatura ho potuto riscontrare quanto i temi delle patologie autoimmuni, come il LES, abbiano dei fili conduttori ed è per questo che con un gruppo di colleghi afferenti al Senato e alla Camera abbiamo deciso di riunirci in un Intergruppo Parlamentare “Prevenzione e cura delle malattie autoimmuni” che presenteremo ufficialmente il 21 novembre 2023 e per il quale abbiamo chiesto la partecipazione delle principali Società Scientifiche e delle Associazioni di Pazienti”. Il lupus è una malattia reumatica cronica autoimmune che coinvolge il sistema immunitario e colpisce vari organi e tessuti, che nei casi più critici possono rimanere danneggiati dal peggioramento della malattia. Secondo l’Istituto Superiore di Sanità, la malattia colpisce soprattutto le donne in età fertile, prevalentemente dai 15 ai 40 anni, con un rapporto donna-uomo 6-10:1. In età pediatrica e dopo la menopausa, il rapporto si riduce a 3:1. Il lupus eritematoso sistemico (LES) in Italia colpisce oltre 27mila persone. “La malattia può esordire a tutte le età, tuttavia l’esordio più frequente è nelle donne in età fertile, con importanti implicazioni sulla gravidanza e sulla maternità. I sintomi iniziali, quali febbre, astenia, malessere generale, artralgie, sono spesso aspecifici, e questo è uno dei motivi che contribuisce alle difficoltà diagnostiche – spiega Gian Domenico Sebastiani, presidente nazionale della Società italiana di reumatologia (Sir) – . Una ricerca condotta dal Gruppo di Studio sul LES di recente insorgenza della Società Italiana di Reumatologia, che coordino personalmente da più di 10 anni, dimostra che il ritardo diagnostico nel nostro paese è ancora notevole, in media 20 mesi. In aggiunta alle difficoltà diagnostiche legate alla complessità del quadro clinico, contribuiscono al ritardo diagnostico la scarsa conoscenza della malattia da parte dei medici e della popolazione in generale, e la scarsa presenza di strutture reumatologiche di riferimento negli ospedali e presidi territoriali del SSN. Il paziente affetto da LES viene spesso visto da specialisti diversi dal reumatologo, che non sempre sono in grado di riconoscere la malattia”. “Il ritardo diagnostico – prosegue Sebastiani – genera gravi ripercussioni per il paziente e per la collettività, in quanto nel lasso di tempo che intercorre tra l’esordio della malattia e il riconoscimento diagnostico, il paziente accumula danno irreversibile a carico degli organi e apparati colpiti. Ad oggi disponiamo di farmaci molto efficaci che, sotto la guida del reumatologo esperto, sono in grado di modificare favorevolmente il decorso e la prognosi della malattia, con notevoli vantaggi per il singolo individuo e per la collettività in termini di risparmio sulla spesa sociale, dal momento che il danno è direttamente correlato all’invalidità”.

Fnomceo- Censis: ogni euro investito in Ssn ne genera quasi il doppio

Fnomceo- Censis: ogni euro investito in Ssn ne genera quasi il doppioRoma, 24 ott. (askanews) – Puntare sul Servizio sanitario nazionale conviene. E non solo nel senso che fa bene alla salute delle persone: è un investimento redditizio per l’azienda Italia. Ogni euro di risorse pubbliche investito in sanità ne genera, infatti, quasi due di produzione in valore. Non solo: se l’investimento pro-capite di risorse fosse pari a quello della Germania, si creerebbero 2 milioni e mezzo di nuovi posti di lavoro, e non limitatamente al settore. A dimostrarlo, il Rapporto Fnomceo-Censis “Il valore economico e sociale del Servizio Sanitario Nazionale – Una Piattaforma fondamentale per il Paese”, che ha studiato gli impatti economici e occupazionali – diretti, indiretti e indotti – della spesa sanitaria pubblica. Il Rapporto è stato presentato oggi a Roma da Francesco Maietta, responsabile area Consumer, mercati privati e istituzioni del Censis nell’ambito del convegno “Valore salute: SSN, volano di progresso del paese”, voluto dalla Federazione nazionale degli Ordini dei Medici, la Fnomceo, appunto, per celebrare “i 45 anni del Servizio Sanitario Nazionale, un’eccellenza italiana”. A introdurre la presentazione, il Presidente del Censis, Giuseppe De Rita. E che il Servizio sanitario nazionale sia davvero un’eccellenza lo dimostrano i dati: l’Italia è uno dei paesi più longevi al mondo e, anche, quello con una più alta aspettativa di vita senza disabilità. Infatti, l’Italia si colloca al terzo posto della graduatoria Ue per speranza di vita con 82,7 anni dopo Spagna (83,3) e Svezia (83,1); ed è al terzo posto della graduatoria della speranza di vita in buona salute dove registra un valore dell’indicatore pari a 68,1, inferiore solo a quello di Malta (68,7) e Svezia (68,4). “È evidente che la qualità del Servizio sanitario – spiega il Presidente della Fnomceo, Filippo Anelli – nel lungo periodo, non è estranea al fatto che l’Italia sia un caso di studio per allungamento della speranza di vita e per diffusione della longevità attiva, vale a dire per la diffusione di positive esperienze esistenziali individuali di terza e quarta età, fatte di buona salute e coinvolgimento sociale”. Ma il Servizio sanitario nazionale è molto più che un erogatore di servizi e prestazioni sanitarie, comunque indispensabili al benessere e alla qualità della vita degli italiani. I dati dell’indagine parlano chiaro. Partendo da un valore della spesa sanitaria pubblica pari a 131,3 miliardi di euro (dato dalla spesa sanitaria pubblica del 2022, 131,1 miliardi di euro – pari al 6,7% del PIL – più una quota aggiuntiva che include la ricerca e sviluppo) il valore della produzione interna diretta, indiretta e dell’indotto ad essa ascrivibile è stimata pari a 242 miliardi di euro. Il moltiplicatore della transizione dalla spesa al valore della produzione è pari a 1,84: per ogni euro di spesa sanitaria pubblica investito nel Servizio sanitario viene generato un valore della produzione non distante dal doppio. “La domanda di beni e servizi attivata dalla spesa sanitaria pubblica – spiega il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli – si irradia nel resto dell’economia, ampliando il valore della produzione delle imprese, con benefici significativi sull’occupazione, sul valore aggiunto e sul Pil nazionale”. Il valore aggiunto complessivo creato è pari a 127 miliardi di euro: il 7,3% del valore aggiunto totale e il 6,5% del Pil. I settori che direttamente e indirettamente beneficiano della spinta della spesa sanitaria pubblica sono le attività dei servizi sanitari, per un valore della produzione pari a 126 miliardi di euro con quasi 1,3 milioni di occupati, il settore dell’assistenza sociale con 8,6 miliardi di valore di produzione e un’occupazione di 180 mila persone, il commercio al dettaglio e all’ingrosso, con quasi 9 miliardi di valore di produzione e oltre 95 mila occupati. E poi settori professionali e di servizi qualificati di tipo amministrativo, legale, contabile, di consulenza gestionale con un valore della produzione di oltre 3 miliardi di euro per oltre 30 mila addetti, e quello relativo a servizi di vigilanza e di facility management con 3 miliardi di euro di valore della produzione e quasi 43 mila occupati. La generatività della spesa sanitaria pubblica si completa considerando che il totale delle imposte dirette e indirette e dei contributi sociali ascrivibili al circuito attivato dalla spesa sanitaria pubblica citata è pari ad oltre 50 miliardi di euro. Si tratta di oltre 28 miliardi di imposte dirette e indirette e quasi 22 miliardi di contributi sociali relativi ai lavoratori dipendenti coinvolti.