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Salute uomo: al Campus Bio-Medico controlli gratis urologia e tricologia

Salute uomo: al Campus Bio-Medico controlli gratis urologia e tricologiaRoma, 24 nov. (askanews) – In occasione del mese internazionale dedicato alla prevenzione della salute maschile e della Giornata internazionale dell’Uomo (domenica 19), la Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico promuove appuntamenti di informazione e un programma di incontri di educazione e sensibilizzazione dedicati alla prevenzione. Fino al 16 dicembre, la Fondazione offre la possibilità di effettuare esami del PSA gratuiti per 375 persone. In caso di valori alterati, il paziente viene contattato per sottoporsi a una successiva visita urologica gratuita. Gli esami sono realizzabili tutti i giorni dal lunedì al sabato presso il Poliambulatorio Campus Bio-Medico Porta Pinciana. Sabato 25 novembre, presso il Policlinico in via Álvaro del Portillo, l’open day di tricologia con 36 posti per visite gratuite per l’alopecia androgenetica, mentre martedì 28 novembre, sempre la sede del Policlinico ospiterà un incontro formativo di educazione clinica sull’osteoporosi maschile.

Oltre a promuovere in vari appuntamenti rivolti al pubblico l’informazione e la sensibilizzazione per uno stile di vita sano, che preveda lo svolgimento di attività fisica regolare, ma anche la riduzione del fumo, del consumo di alcolici, di carne rossa e bevande zuccherate, gli specialisti della Fondazione hanno realizzato una mappa con alcune linee guida per i controlli medici da effettuare nelle diverse fasce d’età a partire dai 18 anni. Le informazioni sono di carattere generale e sono rivolte a persone non affette da patologie in atto o con fattori di rischio (fumo, alcol, obesità, ereditarietà, familiarità, etc.). Non solo gesti di attenzione regolare come l’autopalpazione testicolare, che si raccomanda a partire dai 18-20 anni, ma anche visite regolari: in particolare, dai 18 anni si raccomanda almeno una volta l’anno (e dai 21 una volta ogni 2 anni) lo svolgimento delle visite oculistiche e dermatologiche con mappatura dei nevi. Mentre a partire dai 21 anni diventa importante controllare almeno una volta l’anno anche la pressione arteriosa. Da prevedere a partire dai 40 anni lo svolgimento regolare (almeno una volta l’anno) degli esami ematochimici completi con urine e l’ecografia dell’addome completo (una volta l’anno tra i 40 e i 50 anni, che aumentano a due volte l’anno dopo i 50 anni). Si aggiunge tra i 50 e i 64 anni, lo svolgimento regolare, almeno una volta l’anno, della ricerca del sangue occulto nelle feci, la visita cardiologica con Ecg e la visita urologica con esplorazione rettale e dosaggio del Psa (Antigene Prostatico Specifico). “La crescita negli ultimi anni del numero assoluto dei casi di tumore in Italia, come sottolineato anche dagli ultimi dati AIOM, rende sempre più importante, l’impegno per accelerare le diagnosi e favorire la prevenzione primaria e secondaria delle malattie tumorali, non solo tramite il fondamentale controllo dei fattori di rischio, ma anche attraverso la diffusione di una maggiore conoscenza delle informazioni utili a prendersi cura della propria salute fin da giovani” Lorenzo Sommella, direttore sanitario della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico. “La nostra Fondazione è impegnata sul territorio con iniziative concrete per la prevenzione, che speriamo possano arrivare a sempre più persone. In occasione del Novembre azzurro, abbiamo deciso di mettere a disposizione sempre più risorse coinvolgendo 15 operatori sanitari specialisti delle Unità operative di urologia, dermatologia, medicina dello sport e odontoiatria – nelle attività dedicate alla promozione della prevenzione della salute maschile – con oltre 400 prestazioni gratuite rivolte alla prevenzione urologica e tricologica. Siamo soddisfatti di constatare anche che oltre 1.200 utenti hanno risposto alla campagna informativa sull’importanza della prevenzione per la salute maschile lanciata dalla Fondazione con il Programma My-Hospital”, aggiunge.

In Italia, il tumore più diffuso tra gli uomini è il tumore alla prostata, con previsioni di aumento in numeri assoluti da 40.500 nel 2022 a 42.300 nel 2025 (AIOM. 2022). In crescita secondo le previsioni, nei prossimi tre anni, anche le nuove diagnosi di tumore al polmone, prima causa di morte per tumore tra gli uomini nel nostro Paese. Le diagnosi potrebbero salire da 29.300 nel 2022 a 30.800 nel 2025. Secondo gli ultimi dati diffusi dall’American Cancer Society nel 2023, quasi il 30% dei nuovi casi di tumore tra gli uomini sono tumori alla prostata, circa il 12% riguarderebbe tumori a polmone e bronchi. Guardando ai tumori più diffusi a livello globale nella popolazione maschile, il numero stimato di nuovi casi nel 2020, si riferisce per il 14,1% a tumori alla prostata e per il 14,3% ai tumori al polmone (Oms, 2020).

Influenza, Simg: siamo sopra soglia epidemica e trend è in crescita

Influenza, Simg: siamo sopra soglia epidemica e trend è in crescitaRoma, 24 nov. (askanews) – I tassi di diffusione dell’influenza sono in crescita, con il picco previsto prima di Natale. Per questo i medici di famiglia della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie raccomandano di accelerare i tempi ed estendere la copertura delle vaccinazioni antinfluenzali in corso, con particolare attenzione ai soggetti fragili. Questo l’appello lanciato dal 40° Congresso Nazionale SIMG, che è in corso a Firenze, e durerà fino al 25 novembre. “I dati registrati nell’ultima settimana, quella del 17 novembre, hanno riportato circa 400mila persone colpite dal virus influenzale, un’incidenza del 6,7 per mille nella popolazione generale – sottolinea Alessandro Rossi, Presidente eletto SIMG – al momento la diffusione dell’influenza è leggermente superiore alla soglia epidemica, ma si registra un andamento in crescita, con la curva che molto probabilmente proseguirà nelle prossime settimane, fino a raggiungere il picco poco prima di natale”.

Da metà ottobre è attiva la campagna vaccinale in tutte le regioni italiane. “Soprattutto nei soggetti fragili, si devono raggiungere delle coperture maggiori rispetto allo scorso anno, quando il tasso di copertura si è attestato al 56%, ben lontano dal 75% auspicabile e dal 95% ottimale – evidenzia Alessandro Rossi – ogni punto di copertura in più, come confermano i dati della letteratura, corrisponde a un abbassamento diretto della mortalità e dell’ospedalizzazione, che colpiscono soprattutto i pazienti anziani e i più fragili, per i quali la vaccinazione non è più solo consigliata, ma raccomandata. Tra questi vi sono due popolazioni a cui bisogna prestare particolare attenzione: i pazienti diabetici di qualsiasi età, in quanto il diabete per le sue caratteristiche espone maggiormente alle conseguenze più nefaste del virus influenzale, e le donne in gravidanza a qualsiasi settimana, poiché il vaccino è sicuro e protegge sia la donna che il feto. Non va trascurata l’indicazione della vaccinazione a tutto il resto della popolazione giovane e adulta per proteggere sia se stessi che la comunità e i contatti diretti di queste persone. La SIMG ha predisposto strumenti formativi e informativi per favorire le somministrazioni dei vaccini, specificando l’importanza di usarne due specifiche tipologie sulle categorie più fragili, quello adiuvato e quello ad alto dosaggio, che si sono rivelati maggiormente efficaci nel prevenire mortalità e ospedalizzazione”. “La campagna vaccinale contro l’influenza, inoltre – conclude Rossi – rappresenta un fattore in grado di promuovere anche gli altri vaccini per l’adulto, dal booster aggiornato contro le più recenti varianti del Covid-19, da rilanciare fortemente in questa fase, a quelli contro Pneumococco e Herpes Zoster. Sono tutti somministrabili nel corso della stessa seduta del vaccino antinfluenzale”.

Sorveglianza RespiVirNet Iss: sale incidenza sindromi simil-influenzali

Sorveglianza RespiVirNet Iss: sale incidenza sindromi simil-influenzaliRoma, 24 nov. (askanews) – Sale, come atteso con l’avanzare della stagione fredda, l’incidenza delle sindromi simil influenzali in Italia, che nell’ultima settimana si attesta a 7.6 casi per mille assistiti (vs 6,6 nello scorso bollettino), con una prevalenza di Rhinovirus e una percentuale ancora piccola di virus influenzali veri e propri. Lo affermano i bollettini della sorveglianza RespiVirNet pubblicati oggi. Ecco i dati principali: Sorveglianza epidemiologica. • Aumenta il numero di casi di sindromi simil-influenzali (ILI) in Italia. Nella 46° settimana del 2023, infatti, l’incidenza è pari a 7,6 casi per mille assistiti (6,6 nella settimana precedente). Si sottolinea che a tale aumento concorrono diversi virus respiratori. • Aumenta l’incidenza in tutte le fasce di età, ma risultano maggiormente colpiti i bambini al di sotto dei cinque anni in cui l’incidenza è pari a 16,0 casi per mille assistiti (12,8 nella settimana precedente). La scorsa stagione in questa settimana l’incidenza di ILI nei bambini sotto i cinque anni era pari a 28,4 casi mille assistiti. • Tutte le Regioni, tra quelle che hanno attivato la sorveglianza, registrano un livello di incidenza delle sindromi simil-influenzali sopra la soglia basale, tranne Friuli-Venezia Giulia e Molise. In Piemonte e Lombardia raggiunta la soglia di intensità media dell’incidenza.

Sorveglianza virologica. • Durante la prima settimana di sorveglianza virologica per la stagione 2023/2024, si registra una limitata circolazione dei virus influenzali. • Su 808 campioni clinici ricevuti dai diversi laboratori afferenti alla rete RespiVirNet, 21 (2,6%) sono risultati positivi al virus influenzale, tutti di tipo A (18 di sottotipo H1N1pdm09, 2 H3N2 e 1 A non ancora sottotipizzato). • Tra i campioni analizzati, 67 (8,3%) sono risultati positivi per SARS-CoV-2, 34 (4,2%) per RSV e i rimanenti 207 sono risultati positivi per altri virus respiratori, di cui: 152 Rhinovirus, 28 Adenovirus, 15 virus Parainfluenzali, 9 Coronavirus umani diversi da SARS-CoV-2 e 3 Metapneumovirus.

Malattie rare, focus UNIAMO disuguaglianze genere: troppe discriminazioni

Malattie rare, focus UNIAMO disuguaglianze genere: troppe discriminazioniRoma, 23 nov. (askanews) – “Il 48,61% delle donne caregiver non riesce ad organizzare visite e controlli preventivi”. È quanto emerge da una ricerca effettuata da UNIAMO, presentata stamattina a Roma, presso la Sala Capranichetta dell’Hotel Nazionale, nell’ambito dell’evento “Donne, salute e rarità”, organizzato con il contributo non condizionato di Chiesi Global Rare Diseases. Secondo l’indagine, il 17,36% non riesce ad organizzare un controllo per sé stessa da oltre 3 anni, il 20,14% da più di un anno, il 17,36% nell’ultimo anno, il 18,06% negli ultimi 6 mesi e solo il 27,08% negli ultimi tre mesi.

“Sulla base di questi numeri – ha spiegato Annalisa Scopinaro, presidente di UNIAMO – Federazione Italiana delle Malattie Rare – avevamo tutti gli elementi per sviluppare il nostro lavoro. Il primo, la Risoluzione ONU sui diritti delle persone con malattia rara adottata nel 2021 dopo aver espresso la “necessità di ridurre le disuguaglianze di genere”, che sottolinea che “le donne e le ragazze con una malattia rara devono affrontare maggiori discriminazioni e barriere nell’accesso ai servizi sanitari” e che le donne caregiver “si assumono una quota sproporzionata di cure e lavoro domestico non retribuiti”. È proprio dai principi espressi nella Risoluzione che si muove il nuovo progetto di UNIAMO. “Donne, madri, medico: sono capaci di trasformare la straordinaria capacità femminile di concentrare su di sé la cura di tutti i componenti della famiglia in capacità di innovazione per la governance nella gestione della complessità di cura per i bambini e le persone con malattie rare nel Sistema Socio Sanitario italiano”, ha sottolineato Giuseppina Annicchiarico, coordinatrice regionale in Puglia per le malattie rare. Il rapporto fra donne e malattie rare va oltre però alla medicina di genere. “Non solo le donne possono essere colpite dalle malattie rare, ma spesso si trovano anche a sostenere il carico psicologico e assistenziale per curare i figli affetti da una malattia rara”, ha affermato Simone Baldovino, coordinatore in Piemonte.

In una situazione in cui, come emerge sempre dalla ricerca, non hanno nemmeno più tempo per loro stesse: il 48,61% dichiara di avere anche meno di un’ora al giorno e addirittura il 34,03% di non avere affatto tempo per sé stessa, oltre la cura alla persona affetta da malattia rara. “Perché il ritardo diagnostico è maggiore nelle donne rispetto all’uomo? I percorsi che costruiamo e le terapie che utilizziamo sono ugualmente efficaci negli uomini e nelle donne? Sono solo alcune delle domande a cui tutti dobbiamo collaborare per rispondere”, secondo Giuseppe Limongelli, coordinatore sulle malattie rare in Campania. “Le donne – ha ricordato Cristina Scaletti, coordinatrice in Toscana per le malattie rare – non vogliono essere uguali agli uomini, vogliono avere gli stessi diritti e le stesse opportunità ma nel rispetto della loro diversità”. E se da un lato si sta assistendo ad una sempre maggior specificità delle terapie, dall’altro è necessario che a questa specificità si accompagni una diagnosi puntuale, in tempi ragionevoli. “Nel foresigh studio Rare 2030 si auspica che il tempo di diagnosi scenda ad un anno dalla comparsa dei primi sintomi, dai 4,1 al momento rilevati dagli studi di Eurordis”, ha concluso Annalisa Scopinaro.

Tra le storie raccontate nel corso della giornata quella di Rita Treglia, consigliera di UNIAMO e presidente ANACC, che ha chiesto una maggiore attenzione alla salute mentale della donna caregiver, e la storia di Stella raccontata da Stefania Polvani, presidente Società Italiana di Medicina Narrativa (SIMeN), a testimonianza di come la medicina narrativa possa essere strumento necessario per promuovere la salute delle donne.

Africa, al via la prima grande campagna di vaccini per la malaria

Africa, al via la prima grande campagna di vaccini per la malariaMilano, 23 nov. (askanews) – E’ partita dal Camerun, con oltre 330mila dosi, la prima grande campagna di vaccinazioni per la malaria in Africa. A promuoverla Gavi, the Vaccine Alliance , insieme a OMS e UNICEF, che parlano di una pietra miliare nel percorso verso una vaccinazione sempre più ampia contro una delle malattie più mortali per i bambini africani.

“Avere un vaccino per la malaria – ha detto ad askanews Aurelia Nguyen, Chief Program Officer di Gavi – rappresenta un cosa davvero importante. Pensate che la malaria uccide ogni anno mezzo milione di bambini sotto i 5 anni in Africa e centinaia di milioni di persone si ammalano. Abbiamo tanti strumenti efficaci contro la malaria, ma il vaccino è qualcosa di decisivo se vogliamo abbattere il numero delle morti per questa malattia, soprattutto tra i bambini africani”. Nel 2021 si sono verificati 247 milioni di casi a livello globale, che hanno causato 619.000 morti. Di questi decessi, il 77% riguardava bambini sotto i 5 anni, soprattutto in Africa. L’incidenza di malaria raggiunge il picco più alto nel continente africano, dove nel 2021 si sono registrati circa il 95% dei casi globali di malaria e il 96% dei decessi correlati.

“Io lavoro per Gavi, the Vaccine Alliance – ha proseguito Nguyen – e quello che facciamo è aiutare gli Stati, sopratutto quelli che sono in difficoltà nel reperire e distribuire i vaccini a fare esattamente questo: dal supporto all’acquisto dei vaccini, fino alla distribuzione all’interno del Paese. Noi lavoriamo molto negli Stati, con i governi e tutte la parti coinvolte per portare i vaccini ai bambini. Si tratta davvero di mettere insieme tutti questi pezzi: rifornimento, distribuzione e coinvolgimento delle comunità”. Il vaccino antimalarico RTS,S è raccomandato dall’OMS e molti Paesi africani stanno finalizzando i piani di distribuzione. Nelle prossime settimane è prevista la consegna di ulteriori 1,7 milioni di dosi in Burkina Faso, Liberia, Nigeria e Sierra Leone. Ma il discorso sui vaccini non si limita alla malaria. “Questa – ha concluso Aurelia Nguyen – è anche un’opportunità per noi per pensare ad altre patologie per le quali nel futuro potremmo avere un vaccino, come per esempio la tubercolosi, malattia sulla quale stiamo facendo progressi per sviluppare nuovi strumenti che ci permettano di offrire agli Stati modi per proteggere la loro popolazione”.

Queste prime spedizioni testimoniano che la vaccinazione contro la malaria sta uscendo dalla fase pilota e gettano le basi affinché i Paesi africani possano iniziare le vaccinazioni nel primo trimestre del 2024 con programmi di immunizzazione di routine supportati da Gavi.

Indagine: un medico su tre “perde” fino a 3 ore al giorno al telefono

Indagine: un medico su tre “perde” fino a 3 ore al giorno al telefonoRoma, 21 nov. (askanews) – Ore e ore al telefono per prenotare visite, fare ricette, certificati… Tempo prezioso “sacrificato” tra chiamate e messaggi whatsapp, che potrebbe essere meglio investito per visitare i pazienti in presenza. Il 30% circa dei medici di famiglia, dei pediatri di libera scelta e degli specialisti spende fino a 3 ore della propria giornata al telefono per “incombenze burocratiche”. Quasi 20 ore a settimana, circa 80 in un mese per gestire situazioni che potrebbero essere delegate tranquillamente a una piattaforma digitale. Questi sono alcuni dei dati di un’indagine conoscitiva inedita realizzata da Datanalysis su 1.000 medici di medicina generale, pediatri di libera scelta e specialisti e direttori generali. I risultati sono stati presentati oggi a Roma, nel corso del convegno “Dalla Prevenzione alle liste d’attesa. Come gli strumenti digitali possono creare nuovo valore nella sanità”, promosso e organizzato da MioDottore Connect, secondo appuntamento annuale del ciclo “I Leader della sanità”. La ricerca ha analizzato molti punti, tra cui un ‘ritorno al passato’: indica ad esempio che, tra le varie opzioni di assistenza, la quasi totalità dei medici, generalisti e specialisti, considera ancora le visite in presenza come le più affidabili. La telemedicina piace, anche se più agli specialisti, circa il 25% dei quali ritiene vada potenziata. I professionisti delle cure primarie, medici di famiglia e pediatri di libera scelta, ritengono invece centrale puntare sul rilancio della prevenzione (25%) e sulla semplificazione e riduzione del carico burocratico (23%). Sul fronte dell’assistenza sanitaria territoriale, l’intervento ritenuto prioritario da oltre il 30% dei medici intervistati è quello dell’incremento di professionisti, medici di famiglia e specialisti, mentre per il 25% è fondamentale aumentare le Case della Salute. All’evento introdotto da Americo Cicchetti, direttore generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute, hanno preso parte, tra gli altri, Barbara Cittadini (presidente nazionale di AIOP, l’Associazione Italiana Ospedalità Privata), Nicola Calabrese (presidente della FIMMG, la Federazione Nazionale dei Medici di Medicina Generale), oltre al vicepresidente vicario della FIASO, Paolo Petralia; il presidente di Federfarma, Marco Cossolo e il vicesegretario generale di Cittadinanzattiva Francesca Moccia. La voce delle Regioni è stata portata dall’assessore alle politiche sociali della Regione Lazio, Massimiliano Maselli e dal direttore generale del Policlinico Tor Vergata e commissario all’ASL Roma1, Giuseppe Quintavalle.

“L’innovazione di processo può garantire la continuazione della missione del Servizio Sanitario Nazionale, e quindi la garanzia della sua sostenibilità – ha osservato Americo Cicchetti -. Dai servizi sul territorio, al domicilio, alla telemedicina, che necessariamente dobbiamo mettere in campo. Le piattaforme di telemedicina e teleconsulto garantiscono un ulteriore importante obiettivo: quello di creare integrazione tra le competenze distribuite tra le professioni attraverso il lavoro in team. Per ottenere tutto questo c’è bisogno di una base tecnologica e di innovare le competenze dei professionisti. Così come è importante coinvolgere i cittadini, sempre più vicini al digitale ma consapevoli che la popolazione anziana può trovare qualche ostacolo”. Secondo i camici bianchi intervistati, il ricorso a una piattaforma sanitaria digitale che consente di prenotare visite e controlli potrebbe influire sulla sanità territoriale ed ospedaliera, in primis, riducendo le liste d’attesa (lo dice circa il 34% dei medici), e, in subordine, prevenendo la necessità di ricoveri (25%). Lo conferma Barbara Cittadini, presidente nazionale di AIOP. “In un processo, oggi indispensabile e improcrastinabile di digitalizzazione e modernizzazione del settore sanitario ed ospedaliero, le piattaforme digitali per la prenotazione di visite e controlli, integrando il rapporto tra medico e paziente, rappresentano uno strumento molto efficace di management dell’assistenza: dalla prevenzione dei ricoveri ospedalieri fino alla gestione a distanza di assistenza e cure, le piattaforme digitali possono essere, anche, un valido alleato per il governo delle liste d’attesa, garantendo che la domanda di assistenza dei cittadini sia gestita secondo principi di equità di accesso”. Tra gli elementi distintivi di queste piattaforme online per prenotare visite e controlli, i medici hanno citato la possibilità di ridurre telefonate e messaggi (il 30% dei medici di famiglia e il 35% degli specialisti) e il risparmio di tempo che può essere dedicato ad attività cliniche (il 26% dei medici generalisti ed il 35% degli specialisti). “Oggi peró il tema non è solo l’opportunità di avere supporto ad una migliore organizzazione del lavoro bensì uno strumento professionale che supporti il medico di medicina generale nel percorso di relazione fiduciaria medico paziente che è prioritario per la medicina generale – ha precisato Nicola Calabrese, presidente della FIMMG -. Da qui la necessità che questi sistemi siano personalizzati secondo le esigenze della medicina generale che ha la responsabilità, proprio per la relazione di fiducia col paziente e per il ruolo all’interno del sistema di sanità pubblica, di garantire sistemi che rispettino il ruolo professionale del medico nelle dinamiche della domanda di salute per i propri pazienti primariamente nel sistema sanitario nazionale e poi anche rispetto all’offerta privata”.

Antibiotico resistenza, 1 italiano su 2 non ne ha mai sentito parlare

Antibiotico resistenza, 1 italiano su 2 non ne ha mai sentito parlareRoma, 20 nov. (askanews) – Un italiano su due non ha mai sentito parlare di antibiotico resistenza e il 46% di essi utilizzerebbe gli antibiotici anche per infezioni virali. Inoltre, il 74% dei rispondenti afferma di aver utilizzato antibiotici negli ultimi dodici mesi, e di questi ben il 56% lo ha fatto per infezioni del tratto respiratorio superiore, come mal di gola/faringite, laringite e tonsillite. Questa è la fotografia che emerge dalla ricerca sull’utilizzo degli antibiotici da parte degli italiani e alla loro conoscenza e sensibilità sull’antibiotico-resistenza svolta da IQVIA, società a livello globale nell’elaborazione ed analisi dei dati in ambito sanitario, in collaborazione con Reckitt, una delle società multinazionali nell’ambito dei prodotti OTC per la cura del mal di gola. La ricerca, condotta su un campione di oltre 1.300 individui, rappresentativo della popolazione italiana adulta, e presentata in occasione della Settimana Mondiale sull’Uso Consapevole degli Antibiotici dal 18 al 24 novembre 2023, conferma la necessità di impegno in questo ambito, in cui Reckitt è già attiva a livello globale e pronta a definirsi con concrete progettualità anche in Italia. Il fenomeno dell’antibiotico-resistenza è infatti oggi poco conosciuto dai cittadini italiani, nonostante i dati siano molto allarmanti: annualmente in Italia muoiono circa 11.000 persone per infezioni che non possono essere curate a causa della resistenza agli antibiotici, mentre a livello mondiale, rispetto a questo problema, si stimano 10 milioni di morti ogni anno entro il 2050.

L’uso inappropriato di un antibiotico può nascere da una scarsa conoscenza circa le modalità corrette di utilizzo di quest’ultimo e dall’assenza di una valutazione medica. Per curare le comuni infezioni delle vie respiratorie superiori, quelle di origine virale come ad esempio raffreddore, influenza e, nella maggior parte dei casi il mal di gola, gli antibiotici molto spesso non sono necessari, proprio perché si tratta di infezioni sostenute da virus, contro i quali gli antibiotici non esplicano alcun effetto terapeutico. Utilizzare frequentemente gli antibiotici, per l’appunto, porta a sviluppare un adattamento di alcuni microrganismi che acquisiscono la capacità di sopravvivere, resistere e, perfino, proliferare in presenza di una concentrazione di un agente antibatterico, generalmente sufficiente ad inibire o uccidere microrganismi della stessa specie, rendendo, così, l’azione dell’antibiotico inefficace. Parlando di mal di gola, ad esempio, anche AIFA – Agenzia Italiana del Farmaco – ha ormai accertato che in 9 casi su 10il mal di gola è di origine virale e non batterica, e quindi non necessita dell’assunzione dell’antibiotico per la sua cura. Ciò nonostante, in Italia, il mal di gola rappresenta, tra le patologie elencate, quella con la più alta percentuale di utilizzo inappropriato di antibiotici, come evidenziato nel rapporto nazionale del 2021 redatto proprio dall’AIFA sull’utilizzo degli antibiotici in Italia. «Il mal di gola costituisce uno dei motivi più comuni per cui i pazienti si rivolgono al proprio medico e può avere un impatto negativo sostanziale sulla vita quotidiana di un individuo» sostiene Aurelio Sessa, specialista in medicina interna. «Sebbene doloroso e autolimitante, in molti casi si risolve entro 3-7 giorni, anche spontaneamente. Tuttavia, il disagio causato dai sintomi spinge i pazienti verso la richiesta e l’uso inappropriato degli antibiotici, fattore che contribuisce al crescente problema della resistenza antibiotica. Per il trattamento sintomatico del mal di gola possono risultare utili le formulazioni di FANS da somministrare a livello locale, come ad esempio quelle a base di flurbiprofene, poiché Il sollievo sintomatico conseguente all’applicazione locale di FANS rappresenterebbe quindi un fattore rilevante per i pazienti, in grado così di ridurre l’uso inappropriato degli antibiotici» conclude Sessa. Dall’indagine, condotta da IQVIA per Reckitt, emerge, inoltre, come il medico di medicina generale continui ad essere il punto di riferimento per il paziente nella ricerca di informazioni (53%). Detto ciò, però, preoccupa il dato secondo cui 1 italiano su 2 non ha mai sentito parlare di antibiotico-resistenza e ancor di più, tra coloro che dichiarano di non averne sentito parlare, il 49% la definisce erroneamente e semplicemente come inefficacia dell’antibiotico, mentre il 45% pensa che questo fenomeno non possa diventare un vero e proprio problema. Ad aggravare ulteriormente la situazione, poi, ci sono le percentuali legate alle modalità di utilizzo degli antibiotici: il 41% non collega la resistenza all’antibiotico alla sua assunzione senza una reale necessità, il 49% è propenso ad utilizzare un antibiotico che ha già a disposizione a casa senza una nuova prescrizione e il 46% utilizzerebbe erroneamente antibiotici anche per curare infezioni virali, come l’influenza, senza approfondire con il medico.

Carceri, specialisti: è emergenza salute tra droga, violenza, suicidi

Carceri, specialisti: è emergenza salute tra droga, violenza, suicidiRoma, 20 nov. (askanews) – Le carceri italiane esplodono tra problemi cronici e conseguenze della pandemia. Da una parte sovraffollamento, mancanza di personale, strutture fatiscenti, difficoltà per il personale medico, psicologi ed infermieri. Dall’altra, nonostante l’impatto della pandemia sia stato contenuto, le conseguenze psicologiche sui nuovi detenuti, come si evince dai dati su suicidi, uso di stupefacenti, violenza. Da queste esigenze nasce la proposta di un nuovo modello organizzativo da parte della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria – SIMSPe, presentato in occasione del XXIV Congresso Nazionale – Agorà Penitenziaria, nei giorni scorsi a Napoli. Il 2022 è stato anno record per il numero di suicidi (84), mentre nel 2023, a metà novembre, sono già 62 le persone che si sono tolte la vita in carcere, collocando anche quest’anno tra quelli con il dato più elevato. Per quanto riguarda la salute mentale, secondo dati recenti, sono significative le percentuali di coloro che nelle carceri italiane assumono sedativi, ipnotici o stabilizzanti dell’umore, anche se il numero di diagnosi psichiatriche gravi resta limitato. A questo si aggiunge il tema della tossicodipendenza.

“Tra i detenuti riscontriamo un tasso di tossicodipendenza sempre più elevato – sottolinea Antonio Maria Pagano, Presidente SIMSPe, Dirigente Medico Psichiatra Responsabile UOSD Tutela Salute Adulti e Minori Area Penale presso ASL Salerno – . Si stima che, considerando anche il sommerso, oltre il 60% dei detenuti faccia uso di stupefacenti, mentre prima del COVID non si arrivava al 50%. Purtroppo la frammentazione del sistema impedisce il reperimento di dati scientifici precisi, motivo per cui auspichiamo anche la creazione di un sistema di raccolta e analisi dei dati intersettoriali per velocizzare le risposte. Nel caso della tossicodipendenza, infatti, il fenomeno genera un effetto disinibente che aumenta la violenza, di cui pagano le conseguenze i detenuti stessi, il personale sanitario e la polizia penitenziaria. La stessa tendenza si riscontra anche all’esterno delle mura carcerarie: non a caso, come emerge da una recente indagine della ASL di Salerno tra i minori autori di reato nella provincia, sono aumentati i reati contro le persone e diminuiti quelli contro il patrimonio. In Campania, il problema atavico del sovraffollamento e questa nuova realtà della tossicodipendenza rappresentano emergenze ancora più dilaganti, con dati al di sopra della media nazionale”. Tra le principali difficoltà nella gestione del diritto alla salute nelle carceri italiane, dove ogni anno transitano oltre 100mila persone, una situazione operativa di grande difficoltà e frammentazione sull’intero territorio nazionale. Per questo SIMSPe propone Unità Operative aziendali di Sanità Penitenziaria, dotate di autonomia organizzativa e gestionale, multifunzionali e multiprofessionali e accoglie con favore l’ipotesi di una cabina di regia interministeriale composta da tecnici indicati dal Ministero della salute e dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, come emerso dal recente incontro tra il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Ostellari, e il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, chiedendone l’integrazione con il ministero del Welfare e l’ANCI. Inoltre, SIMSPe propone un Manuale di accreditamento per le strutture sanitarie penitenziarie sviluppato da uno dei gruppi di lavoro interprofessionale, presentato proprio in sede di Congresso, e l’istituzione dell’infermiere di Comunità per la Sanità Penitenziaria. “In Italia, l’assistenza sanitaria penitenziaria non è univoca ed è parcellizzata tra tanti servizi, nonostante rappresenti uno degli ultimi presidi di sanità pubblica – evidenzia Antonio Pagano – per molti detenuti che provengono da situazioni di svantaggio sociale, infatti, il carcere è il primo contatto con il SSN. Ma per una sanità penitenziaria efficiente servono Unità Operative aziendali multifunzionali e multiprofessionali cui siano assegnati tutti i professionisti che abbiano esclusivo compito di assistenza nei confronti delle persone private della libertà, dai minori agli adulti, dalle dipendenze alla salute mentale, dall’infettivologia alla medicina legale, dall’odontoiatria all’igiene pubblica, in modo che lavorino in sinergia tra loro e riescano a dare risposte univoche ai bisogni complessi delle persone e alle necessità dell’Autorità Giudiziaria e dell’Amministrazione Penitenziaria”. “I risultati ottenuti in ambito infettivologico sono stati realizzati grazie a importanti progetti come ROSE – Rete dOnne SimspE, che ha affrontato le infezioni da HIV e da Epatite C nelle donne detenute – sottolinea Sergio Babudieri, Direttore Scientifico SIMSPe – l’HCV è stato eliminato in diversi penitenziari, mentre gli screening per l’HIV hanno consentito di avviare i relativi trattamenti. I dati sono significativi: se vent’anni fa in carcere la prevalenza di HIV era del 20%, oggi è appena l’1% e sono quasi tutti in terapia, riducendo anche il rischio di contagio. Tuttavia, negli ultimi anni abbiamo riscontrato un aumento delle infezioni da HIV in cui incorre la popolazione migrante una volta giunta sul territorio italiano a causa delle precarie condizioni igienico-sanitarie a cui è costretta. L’auspicio è quello di ottimizzare il momento di detenzione per favorire screening e trattamenti per persone che accedono con maggiore difficoltà ai servizi di cura e assistenza”.

Covid, esperti: malattia da non sminuire per la Salute Pubblica

Covid, esperti: malattia da non sminuire per la Salute PubblicaRoma, 17 nov. (askanews) – L’infezione gira più di quanto pensiamo, sebbene l’ospedalizzazione non sia più così impattante come in passato, grazie a una riduzione della patogenicità e all’immunizzazione generalizzata. Vi sono però i pazienti fragili, esposti alle conseguenze più gravi del Covid-19 e ai ricoveri in terapia intensiva, da tutelare e da vaccinare, come hanno insegnato i 7 milioni di morti e le 13 miliardi dosi di vaccino somministrate a livello globale. Questa fase si contraddistingue quindi per la protezione della popolazione più fragile, attraverso la campagna di vaccinazione e un uso precoce dei farmaci antivirali, nonché per l’attenzione al Long Covid, i cui studi si stanno sviluppando proprio in questo periodo. Per far fronte a queste esigenze, la Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali – SIMIT si è messa alla guida di un progetto educazionale pensato in collaborazione con i colleghi della Società Italiana di Medicina di Emergenza e Urgenza (SIMEU) con l’obiettivo di aumentare la consapevolezza delle risorse e delle opzioni terapeutiche combinate, per affrontare il Covid tra i diversi clinici coinvolti, a partire dai medici di medicina generale della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie – SIMG, fino ai diversi specialisti coinvolti nella cura della fase più avanzata della malattia e nel Long COVID. “Finalmente le nuove linee guida OMS del 10 novembre scorso identificano le priorità tra i pazienti che con infezione da SARS-CoV-2 necessitano di accedere alla terapia precoce – evidenzia Emanuele Nicastri, membro direttivo SIMIT e Direttore UOC Malattie Infettive Alta Intensità di Cura INMI Spallanzani – sono tutti gli immunocompromessi per i motivi più diversi. Il rischio di ricovero o decesso arriva sino al 6%. Questi pazienti devono essere sensibilizzati a fare subito il tampone naso-faringeo in caso di sintomi simil influenzali e, in caso di positività, ad accedere immediatamente alla terapia precoce antivirale attraverso i medici di medicina generale o gli ambulatori ospedalieri di terapia antivirale precoce”. Il programma educativo a cui stanno lavorando le società scientifiche SIMIT, SIMG, SIMEU mira a migliorare le conoscenze a partire dalla patogenesi, dalle caratteristiche cliniche e dalla storia naturale dell’infezione da SARS-CoV-2 per migliorare la gestione clinica del paziente. “Oggi la lotta al COVID parte dal territorio, grazie alla possibilità di accesso a terapie preventive che possono essere somministrate a seguito di diagnosi precoci – sottolinea Claudio Mastroianni, Presidente SIMIT -. Per favorire le diagnosi precoci è fondamentale una sinergia tra diverse discipline, con i medici di famiglia che possono identificare i pazienti più fragili e inviarli al trattamento, in virtù anche delle migliori conoscenze di cui oggi disponiamo. A questo si aggiunge la necessità di una maggiore attenzione per i disturbi post COVID, che, in quanto malattia multifattoriale, necessita di un approccio multidisciplinare, in cui l’infettivologo si conferma il regista dell’azione”. In questo quadro aggiornato anche la medicina di emergenza-urgenza gioca un ruolo strategico. “In queste settimane in cui pure i contagi corrono, si denota un numero limitato di patologie acute, che colpiscono prevalentemente i pazienti anziani fragili – sottolinea Alessandro Riccardi, Consigliere nazionale SIMEU e Responsabile della formazione – diventa pertanto opportuno condividere un approccio con gli infettivologi che preveda maggiore dinamicità nel processo assistenziale, superando il concetto dei reparti COVID, mentre ogni specialità dovrebbe prendere in carico i propri pazienti e lasciare agli infettivologi il paziente con il maggiore coinvolgimento polmonare e una malattia da COVID più elevata, prestando attenzione soprattutto alle comorbidità. Si deve ripensare anche la gestione intraospedaliera, che deve svilupparsi all’insegna di una maggiore elasticità nei reparti”. “La Medicina generale si conferma recettiva anche in questa fase – sottolinea Alessandro Rossi, Responsabile Ufficio di Presidenza SIMG – in questi anni, la SIMG ha varato numerosi strumenti messi a disposizione del Medico di Medicina Generale affinché fosse sempre aggiornato: corsi di formazione, decaloghi, documenti intersocietari, indagini. In questa nuova fase, il nostro ruolo si sviluppa lungo due direttrici: anzitutto, siamo impegnati a identificare i pazienti a rischio di malattia grave e ospedalizzazione, come anziani, immunocompromessi, malati cronici, al fine di proporre la somministrazione di una dose booster del vaccino aggiornato alle più recenti varianti. In secondo luogo, è necessario riaffermare l’assoluta necessità di trattare tempestivamente con i farmaci antivirali a disposizione della Medicina Generale tutti i soggetti a rischio, effettuando una precoce diagnosi clinica e virologica con tampone antigenico rapido”.

Studio: statine e digiuno “affamano” cellule arrestando crescita tumore

Studio: statine e digiuno “affamano” cellule arrestando crescita tumoreRoma, 17 nov. (askanews) – Da pilastro della prevenzione cardiovascolare a possibile terapia anti-tumorale: è la doppia vita delle statine, farmaco estremamente diffuso per ridurre i livelli di colesterolo, suggerita da uno studio dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature Communication. L’idea è quella di “affamare” i tumori e poi colpirli riciclando farmaci ben noti, a basso costo, utilizzati da anni per tutt’altri scopi, in grado di arrestare la crescita delle cellule tumorali, messe a “stecchetto” con brevi cicli di digiuno. Così i farmaci che, come le statine, impediscono la sintesi di colesterolo cruciale per soddisfare il bisogno di nutrienti delle cellule tumorali, combinati a brevi cicli di digiuno, potrebbero diventare una terapia “low cost” per combattere tumori difficili come quello al pancreas, il carcinoma del colon-retto e il melanoma. I risultati, ottenuti dal team di ricercatori guidato da Alessio Nencioni del Dipartimento di Medicina Interna e Specialità Mediche (DIMI) dell’Università di Genova, attraverso lo screening di centinaia di farmaci già utilizzati in clinica su linee di cellule cancerose in vitro e su modelli sperimentali in vivo, aprono la strada a possibili terapie più sicure ed economiche, grazie a medicinali che oltre a essere poco costosi sono anche maneggevoli e ben tollerati.

“La cura dei pazienti oncologici ha costi molto elevati, che a volte limitano l’accesso a terapie efficaci soprattutto nei Paesi a basso reddito. Per questo esiste un interesse crescente nel valutare la possibilità di ‘riciclare’ come antitumorali farmaci non oncologici, approvati e impiegati da tempo per altre patologie: si tratta infatti di medicinali che in genere sono a basso costo, essendo scadute le coperture brevettuali, e che grazie all’esperienza di utilizzo su larga scala sappiamo avere un profilo di sicurezza spesso buono – spiega Alessio Nencioni, direttore della Clinica Geriatrica dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino di Genova e coordinatore dell’indagine assieme ad Amr Khalifa e Irene Caffa -. Esempi ben noti di farmaci non oncologici riproposti come anticancro sono la talidomide, dapprima venduta come antinausea e sedativo e ora usata per trattare il mieloma multiplo, e l’acido retinoico, che è ampiamente utilizzato per trattare patologie della pelle ma ha dimostrato anche una grande efficacia nel trattamento della leucemia promielocitica acuta. Tuttavia, nonostante esistano vari studi clinici in corso, l’identificazione di altri farmaci di uso comune che si prestino a essere ‘riproposti’ per trattare malati oncologici procede a rilento”. I ricercatori del San Martino hanno ipotizzato che esponendo i tumori a condizioni di “stress nutrizionale”, cioè a una carenza di nutrienti e di fattori di crescita come quella che si verifica con un digiuno transitorio, sarebbe stato possibile renderli vulnerabili anche ad altri farmaci di uso comune. Hanno perciò utilizzato linee cellulari di numerosi tumori, fra cui quelli al pancreas, al colon-retto e il melanoma, e dopo averle esposte a condizioni che mimano il digiuno hanno condotto uno screening di centinaia di farmaci di uso comune. “I risultati mostrano che farmaci che riducono la sintesi di colesterolo, tra cui le statine, diventano capaci di arrestare la crescita di vari tipi di neoplasie quando “combinati” con brevi cicli di digiuno settimanale – spiega Nencioni – il digiuno riduce la capacità delle cellule tumorali di sintetizzare il proprio colesterolo e inoltre le induce ad espellere il colesterolo che contengono. In questa situazione, esporre i tumori a farmaci che riducono ulteriormente la produzione di colesterolo fa sì che le cellule maligne sperimentino un’improvvisa forte carenza di questo lipide, cruciale per vari aspetti del loro metabolismo e della loro crescita, e che perciò non siano più in grado di crescere. In passato era già emersa una possibile attività antitumorale per le statine: i nostri dati confermano la possibilità di utilizzarle come antitumorali in associazione al digiuno e segnalano la possibilità di usare allo stesso modo anche altri tipi di medicinali”. Anche alcuni noti antifungini, tra cui terbinafina e miconazolo, hanno infatti dimostrato di possedere attività simile e i dati positivi sono stati confermati in modelli animali di vari tipi di tumore, sottoponendo i topolini a periodi di digiuno e quindi al trattamento con i farmaci più promettenti emersi dallo screening su linee cellulari. “Il digiuno è cruciale per potenziare l’attività antineoplastica dei farmaci, tra i due tipi di intervento si crea cioè una positiva sinergia antitumorale. Lo ‘stratagemma dietetico’ del digiuno potrà quindi servire a individuare anche altri farmaci non oncologici da ‘riciclare’ come antitumorali. Intanto, i dati positivi ottenuti con i medicinali anticolesterolo e antifungini dovranno essere confermati attraverso studi clinici che all’IRCCS Policlinico San Martino stiamo già ipotizzando, per poter essere presto in grado di offrire ai pazienti oncologici nuove opportunità di cura sicure e a basso costo”, conclude Nencioni.