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Gastroenterologia: sfide guardano a stili vita e a uso A.I. per diagnosi

Gastroenterologia: sfide guardano a stili vita e a uso A.I. per diagnosiRoma, 15 giu. (askanews) – Il trattamento e le innovazioni che segneranno il futuro della gastroenterologia sono al centro del convegno internazionale “New challenges in Gastroenterology”, in apertura domani all’NH hotel di Palermo fino al 17 giugno. La due giorni è stata presentata nella sede dell’Assemblea regionale siciliana, da Ambrogio Orlando, direttore della IBD Unit della Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti “Villa Sofia-Cervello” di Palermo, responsabile scientifico del convegno, e Roberto Di Mitri, direttore dell’Unità di Gastroenterologia ed endoscopia digestiva dell’ARNAS Ospedale Civico di Palermo, co-responsabile scientifico. Gli interventi, introdotti dalla giornalista scientifica, Maria Grazia Elfio, sono stati preceduti dai saluti del Presidente dell’Assemblea regionale siciliana, Gaetano Galvagno, del Direttore Generale del Dipartimento della Panificazione Strategica presso l’Assessorato alla Salute della Regione Sicilia, Salvatore Iacolino, e del sindaco di Palermo, Roberto Lagalla. A partecipare, anche i commissari straordinari dell’azienda Ospedali Riuniti Villa Sofia Cervello, Walter Messina, e dell’ARNAS Ospedale Civico, Roberto Colletti. La scelta di dare appuntamento ai maggiori esperti regionali, nazionali e stranieri di gastroenterologia nel capoluogo siciliano non è casuale, sottolinea la nota di presentazione dell’evento. In Sicilia sono numerose le strutture di eccellenza e sono presenti,unico esempio a livello nazionale, tre reti assistenziali dedicate: quella per le Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (SN-IBD Sicilian Network Inflammatory Bowel Disease), avviata oltre dieci anni fa per rispondere alle esigenze dei pazienti, che proprio nella Regione registrano fra i più alti tassi in termini di incidenza e prevalenza, la rete epatologica e la rete per le emergenze gastroenterologiche recentemente istituita. Le sessioni del convegno intendono coprire tutti gli ambiti di ricerca e innovazione nel settore: dal tratto gastrointestinale superiore al pancreas, dalle malattie epatiche alle infiammatorie croniche intestinali, dal microbiota intestinale alle patologie del piccolo e grande intestino fino all’endoscopia. Resa emergente dalla crescente resistenza a trattamenti antibiotici precedentemente efficaci, è l’infezione da Helicobacter pylori a cui è dedicata, in parte, la prima sessione sul tratto gastrointestinale superiore. Per il pancreas, le novità riguardano le pancreatiti croniche di varia etiologia e, in particolare, le terapie che possono dare un supporto nella gestione clinica di queste patologie, attraverso le nuove formulazioni farmacologiche, come gli alti dosaggi di enzimi pancreatici, ed eventualmente il trattamento endoscopico di supporto. La sessione sul fegato verrà sviluppata per la quasi totalità dai docenti dal centro di Gastroenterologia ed epatologia dell’Università di Palermo, diretto dai professori Calogero Cammà e Vito Di Marco. Se per il trattamento delle malattie croniche epatiche di origine virale sono stati compiuti passi da gigante grazie ai nuovi farmaci antivirali, per le patologie epatologiche legate alla sindrome metabolica, vale a dire la steatosi e la steatoepatite, assistiamo a una crescita dell’emersione di casi. In futuro sarà quindi necessario considerare come l’alimentazione scorretta, la scarsa attività fisica, e l’eccesso ponderale comporteranno la diffusione della sindrome metabolica che può manifestarsi anche con le malattie epatiche. Una delle sfide che riguardano da vicino l’Italia è la crescita dell’incidenza e della prevalenza delle Malattie Infiammatorie Croniche Intestinali (MICI). Oggi si stima che queste patologie abbiano un’incidenza intorno ai 10-15 nuovi casi su 100mila abitanti l’anno. Il dato tuttavia è sottostimato e si ipotizza che in Italia i pazienti siano oltre 280mila, di cui almeno 20 mila in Sicilia. L’esordio delle MICI può avvenire a qualsiasi età, ma il picco di prevalenza si registra nella fascia fra i 20 e i 40 anni. Novità anche dalla sessione dedicata al ruolo della flora batterica intestinale: è possibile che in un futuro non troppo lontano l’influenza del microbiota possa entrare nel management di alcune malattie gastrointestinali, sottolineano i gastroenterologi. Nella sessione sulle patologie del piccolo e grande intestino, ci sarà un aggiornamento sulla terapia medica del cancro colon-retto, inoltre, si parlerà dei farmaci per il trattamento della malattia celiaca e dell’intestino irritabile. Nell’ultima sessione dedicata alla endoscopia digestiva, sarà affrontato il tema dell’innovazione tecnologica. A partire dall’introduzione dell’intelligenza artificiale che gioca un ruolo nello screening e nell’individuazione delle lesioni precoci che conducono al cancro del colon, ma anche alla sua applicazione in endoscopia.

Malattie neuromuscolari: il Centro NeMO Napoli riparte in barca a vela

Malattie neuromuscolari: il Centro NeMO Napoli riparte in barca a velaRoma, 13 giu. (askanews) – “Molla gli ormeggi, esci dal porto sicuro e lascia che il vento gonfi le tue vele”. Con il messaggio di Mark Twain, il romanziere che sapeva raccontare la bellezza dell’avventura, ha preso il largo oggi la seconda edizione di “Anima Libera”, il percorso in barca a vela che affianca la presa in carico psicologica e riabilitativa delle persone con SLA, SMA e distrofie muscolari, attraverso una modalità esperienziale che ha come protagonista la cura di sé e del proprio desiderio di libertà, facendosi trasportare dalle onde del mare e del vento, in piena sicurezza. Promosso dal Centro Clinico NeMO Napoli, il progetto è attivato insieme all’Azienda Ospedaliera dei Colli – Ospedale Monaldi, dove il NeMO è presente dal 2020, ed in collaborazione con il Club Nautico della Vela della città e NeMO Lab. Una seconda edizione del percorso, quella presentata oggi, richiamata dai risultati molto positivi rilevati dal monitoraggio clinico e psicologico dei pazienti che hanno partecipato all’esperienza pilota dello scorso anno. “Le rilevazioni dei vissuti di benessere e dei parametri respiratori e cardiologici ci dicono che il progetto ha avuto un impatto positivo sulla qualità di vita dei pazienti che vi hanno preso parte nella prima edizione – spiega Giuseppe Limongelli, direttore scientifico del Centro NeMO Napoli -. Siamo felici, dunque, che si possa ripartire, dando la possibilità a più persone di partecipare al percorso e permettendoci, altresì, di continuare a fare ricerca per validare nel tempo un modello di trattamento in barca a vela, che supporti la presa in carico delle persone con malattie neuromuscolari”. L’analisi dimostra, infatti, un significativo miglioramento della percezione e dei vissuti della qualità di vita, espressi dai partecipanti. Ciascuno di loro manifesta la gioia di essersi sentito protagonista di un’avventura nella quale la malattia non rappresenta un limite. Lo studio preliminare, inoltre, rileva una riduzione dei punteggi medi di autovalutazione e valutazione dell’ansia, nei test psicologici somministrati prima e dopo le uscite in mare. A ciò su unisce la positiva risposta clinica dei parametri funzionali, che vedono un aumento della saturazione arteriosa periferica e una riduzione della frequenza cardiaca dopo l’uscita in mare. Sono proprio questi i primi incoraggianti risultati che portano ad aprire questa seconda edizione su un numero più ampio di pazienti.

“Promuoviamo, in sinergia con il Centro Clinico NeMO Napoli, attivo presso l’ospedale Monaldi, un modello che punta su protocolli terapeutici multidisciplinari e che cura le patologie neuromuscolari non solo con i farmaci, ma con una presa in carico globale che valorizza gli aspetti psicologici e riabilitativi – dichiara Anna Iervolino, direttore generale dell’Azienda Ospedaliera dei Colli, che continua – . I risultati incoraggianti registrati nel corso della prima edizione del progetto “Anima Libera” sono la dimostrazione dell’efficacia di questo approccio”. Promuovere l’interazione; migliorare l’umore e l’uso dei sensi; far sperimentare l’esperienza dell’immaginazione e affrontare la gestione dell’ansia, dunque, sono tra i principali obiettivi scientifici del progetto, nato dall’intuizione di Simona Tozza, responsabile del servizio di psicologia del NeMO Napoli. Per il 2023 il progetto prevede un percorso di dieci uscite in barca a vela, che avrà un’altura di circa 14 metri e sarà attrezzata per il trasporto in sicurezza di persone con disabilità motoria ed il coinvolgimento di 80 persone, individuate secondo indicatori clinici che permettano di affrontare il mare aperto, che desiderano mettersi in gioco in una nuova sfida per se stessi e insieme agli altri.

Consiglio Ue: ridurre del 20% consumo di antibiotici entro il 2030

Consiglio Ue: ridurre del 20% consumo di antibiotici entro il 2030Roma, 13 giu. (askanews) – Il Consiglio dell’Unione europea ha adottato la proposta della Commissione volta a potenziare l’azione dell’Ue contro l’antibiotico-resistenza che si stima causi ogni anno 35.000 morti nell’Unione europea. Gli antibiotici sono medicinali di importanza cruciale, ma nel corso degli anni il loro uso eccessivo e improprio ha portato a un aumento della resistenza antimicrobica, il che significa che gli antibiotici perdono efficacia e il trattamento delle infezioni è sempre più difficile quando non impossibile.

Annunciata il 26 aprile insieme alla revisione della legislazione farmaceutica ad opera della Commissione, la raccomandazione contribuisce a combattere questo problema nei settori della salute umana, animale e ambientale, seguendo il cosiddetto approccio “One Health”. La raccomandazione si concentra su prevenzione e controllo delle infezioni, sorveglianza e monitoraggio, innovazione e disponibilità di antibiotici efficienti, uso prudente degli stessi e cooperazione tra gli Stati membri e a livello mondiale. Per il 2030 sono stati fissati a livello dell’Ue diversi obiettivi, definiti insieme al Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie: una riduzione del 20% del consumo complessivo di antibiotici negli esseri umani; almeno il 65% del consumo complessivo di antibiotici negli esseri umani dovrebbe essere efficace (uso dell’antibiotico giusto); una riduzione delle infezioni provocate da 3 batteri chiave resistenti agli antibiotici, obiettivo che si applicherà principalmente agli ospedali.

Tali obiettivi raccomandati a livello dell’Ue, e tradotti a livello nazionale per ciascuno Stato membro, aiuteranno l’Ue a combattere la resistenza di alcuni microrganismi ai farmaci, tenendo conto delle specificità nazionali senza compromettere la salute e la sicurezza dei pazienti; permetteranno anche di monitorare meglio le infezioni e il consumo di antibiotici nei prossimi anni e di calibrare di conseguenza l’elaborazione delle politiche. La raccomandazione conferma inoltre la leadership internazionale dell’Ue in materia di resistenza antimicrobica e chiede alla Commissione e agli Stati membri di includere tale tema nell’accordo sulle pandemie in fase di negoziazione. E invita inoltre a mantenere la resistenza antimicrobica in cima all’agenda del G7 e del G20.

Strumenti diagnostici sofisticati e nuove terapie contro tumori cutanei

Strumenti diagnostici sofisticati e nuove terapie contro tumori cutaneiRoma, 13 giu. (askanews) – “Le conoscenze che abbiamo oggi permettono una corretta diagnosi e gestione dei tumori della pelle, la cui incidenza purtroppo è in continuo aumento. Dettagli sempre nuovi sulla loro patogenesi e presentazione clinica hanno portato allo sviluppo di nuove terapie e tecniche diagnostiche per garantire ai pazienti una diagnosi precoce e una corretta gestione. Ma la prevenzione rimane sempre l’arma principale. E in questo scenario il dermatologo svolge un ruolo determinante: diventa non solo il medico in grado di saper riconoscere queste patologie, ma anche di prevenirle”. Così Massimiliano Scalvenzi, Direttore della scuola di specializzazione in Dermatologia e Venereologia Università di Napoli Federico II e socio SIDeMaST, Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse, presieduta dal Prof. Giuseppe Argenziano e riunita in Congresso a Napoli alla Mostra D’Oltremare fino al 16 giugno.

Melanoma e “non-melanoma skin cancer”, in primis il carcinoma basocellulare e il carcinoma spinocellulare, sono le patologie sotto la lente della dermatologia oncologica. Una branca della dermatologia che si occupa di prevenzione, diagnosi precoce e trattamento dei tumori della pelle la cui incidenza è costantemente in aumento: il carcinoma basocellulare è diventato il primo tumore in Italia per incidenza, poiché colpisce 150 persone su 100.000 ogni anno, il melanoma fino a 10 persone su 100.000, con un tasso di mortalità di 5-6 persone su 100.000 ogni anno. Ma oggi il panorama di opzioni diagnostiche si è ampliato notevolmente, partendo dal semplice esame clinico all’uso del dermatoscopio, uno strumento essenziale nella pratica clinica dermatologica. Inoltre, le tecniche di diagnosi non invasiva a disposizione dei dermatologi sono diventate sempre più sofisticate e precise, tra queste la microscopia confocale in vivo e la Line-field Confocal Optical Coherence Tomography che permettono di diagnosticare la natura benigna o maligna di una lesione cutanea con un’accuratezza simile a quella di un esame istologico ma senza il trauma dovuto alle tecniche chirurgiche. Il panorama della prevenzione si è poi arricchito di strumenti in grado di avere una visione accurata di tutte le lesioni cutanee dei pazienti per poter monitorare nel tempo il loro andamento e/o l’eventuale sviluppo. Tra questi ricordiamo il total body mapping e il total body tridimensionale, la cosiddetta Tac dei nei. Grazie ai progressi della medicina, nell’armamentario terapeutico dei dermatologi ci sono inoltre nuovi farmaci che permettono la gestione di carcinomi cutanei inoperabili e melanomi in stadi avanzati. Nuove conoscenze sulla patogenesi di questi tumori hanno infatti permesso lo sviluppo di terapie sempre più mirate che hanno superato la chemioterapia tradizionale, offrendo, quindi, eccellenti risultati in termini di efficacia, con ottimi dati anche per quanto riguarda il profilo di sicurezza: “Oggi – prosegue il Prof. Scalvenzi – abbiamo un ampio ventaglio di opzioni terapeutiche, che spaziano dall’immunoterapia fino alle cosiddette “targeted therapies” che permettono una gestione ottimale di tumori cutanei avanzati, anche metastatici, garantendo ai pazienti una buona qualità di vita assieme ad ottimi risultati in termini di prognosi. Sempre nell’ambito della terapia, la gestione multidisciplinare tra dermatologo, oncologo e chirurgo plastico si è dimostrata spesso l’arma vincente, superando il limite delle conoscenze e abilità del singolo specialista e dimostrando la collaborazione come strategia ottimale per poter seguire il paziente nel suo percorso diagnostico-terapeutico. L’esame clinico dermatologico annuale, con follow-up più ravvicinati in caso di bisogno, rimane comunque l’arma vincente al fine di una corretta prevenzione a cui tutti dovrebbero sottoporsi”.

Cosa possiamo fare per ridurre il rischio di tumori cutanei? La dott.ssa Alessia Villani, Ricercatrice della Clinica Dermatologica dell’Università degli Studi di Napoli Federico II e membro della SIDeMaST afferma che se da un lato esiste la predisposizione genetica su cui si può intervenire, dall’altro abbiamo molte abitudini del vivere quotidiano che possono essere corrette, adottando in particolare l’abitudine a far uso della fotoprotezione. L’esposizione solare incontrollata è infatti un fattore di rischio per tutti i tipi di tumori della pelle, e una corretta fotoprotezione è sicuramente alla base di una giusta prevenzione: “Anche in questo ambito – conferma Villani – grazie alle molteplici ricerche in ambito dermatologico e cosmetologico, sono stati sviluppati numerosissimi filtri solari che hanno permesso di realizzare tanti prodotti diversi che offrono ai pazienti una vasta scelta di opzioni. I filtri chimici e fisici rimangono comunque quelli maggiormente utilizzati. Quello che è cambiato, però, è stata l’aggiunta di eventuali fattori protettivi (nicotinammide, vitamine, etc.), la disponibilità di vari livelli di fotoprotezione, nonché l’arricchimento dell’offerta sia con numerose formulazioni e metodi di somministrazione (spray, creme, resistenza all’acqua, etc.) sia con prodotti specifici per tutti i tipi di pelle (foto danneggiata, acneica, rosaceiforme, etc.). Tutto questo ha permesso di arrivare ad avere un solare su misura per ogni paziente. Anche qui, quindi, il ruolo del dermatologo nel corretto inquadramento del solare da utilizzare è diventato prioritario”.

Dermatologi medici sentinella per benessere pazienti e contro stigma

Dermatologi medici sentinella per benessere pazienti e contro stigmaNapoli, 13 giu. (askanews) – “La cute è il nostro epitelio di confine: separa gli organi interni dall’ambiente esterno e molto spesso ospita le prime manifestazioni di patologie internistiche. Il dermatologo, dunque, svolge spesso la funzione di sentinella e di regista. Interagisce infatti con l’ematologo quando a partire dal prurito diffuso diagnostica un linfoma, con il gastroenterologo quando il paziente con psoriasi o idrosadenite suppurativa mostra i segni di una patologia infiammatoria cronica intestinale. E ancora, con il reumatologo in caso di artrite reumatoide e anche con lo psichiatra quando il paziente presenta lesioni autoindotte. Il dermatologo è quindi sempre di più un professionista al passo con i tempi, proiettato verso il lavoro di équipe e attento al miglioramento dello stato di salute e benessere globale dei pazienti. Ecco perché l’errata e obsoleta considerazione di medico ‘superficiale’ va ormai sovvertita”.

Con queste parole Serena Lembo, Professore Associato dell’Università degli Studi di Salerno e Presidente, unitamente al team della Dermatologia dell’Università Federico II di Napoli, del 97° Congresso Nazionale SIDeMaST, Società Italiana di Dermatologia e Malattie Sessualmente Trasmesse presieduta dal Prof. Giuseppe Argenziano, apre le porte alla kermesse dei dermatologi italiani inaugurata oggi a Napoli alla Mostra d’Oltremare. Quattro giorni di lavori, fino al 16 giugno, sulle principali tematiche scientifiche della dermatologia e sulle nuove terapie per contrastare le patologie cutanee. Ma anche un’occasione per “inaugurare” una nuova stagione della dermatologia italiana: “L’obiettivo della SIDeMaST – sottolinea il neo presidente Argenziano, Ordinario di Dermatologia dell’Università della Campania L. Vanvitelli di Napoli – è quello di riavvicinare la Società alle esigenze dei dermatologi. Vogliamo una Società Scientifica che sia una casa comune per tutte le anime della dermatologia italiana. Dermatologi accademici, ospedalieri, del territorio e di libera professione devono sentirsi rappresentati da una Società forte che funga non solo da fonte di aggiornamento professionale costante, ma anche da punto di riferimento istituzionale per chi si occupa tutti i giorni della salute della pelle”.

Mission dei dermatologi, sottolinea la Presidente del Congresso Serena Lembo, è anche quella di rinsaldare l’alleanza medico-paziente, sostenendo le persone nel combattere lo stigma sociale che spesso accompagna le malattie della pelle: “Quando si affrontano patologie che, essendo visibili a tutti, provocano una sorta di stigmatizzazione sociale che impatta negativamente sulla qualità di vita delle persone, la relazione medico paziente diventa cruciale. Questo è infatti un passo fondamentale per la riuscita del percorso diagnostico-terapeutico. Oggi i dermatologi – prosegue Lembo – sono molto attenti alla qualità della comunicazione con il paziente, alla disponibilità all’ascolto, all’empatia e all’accoglienza. Anche nel caso di patologie che non compromettono la funzionalità o il benessere fisico ma che alterano la percezione del paziente all’interno di un gruppo (es. la vitiligine o l’alopecia areata), il paziente ha bisogno di sentirsi accolto, compreso e supportato, prima di intraprendere ogni terapia, proprio come accade per pazienti cardiopatici od oncologici”. A dare un supporto alla comunità scientifica ci sono anche terapie sempre più innovative, a partire da quelle contro il melanoma, e non solo: “Nel corso degli ultimi anni – spiega Ketty Peris, Ordinario di Dermatologia dell’Università Cattolica di Roma, Past President SIDeMaST – abbiamo assistito ad un cambiamento epocale nell’approccio terapeutico di molte patologie dermatologiche immuno-mediate come la psoriasi, la dermatite atopica e l’idrosadenite suppurativa. Un analogo ed eccellente progresso è stato ottenuto nel campo dei tumori cutanei sia melanoma che tumori non-melanoma. I farmaci oggi a disposizione sono in grado di offrire un notevole e rapido beneficio clinico in un’elevata percentuale di pazienti e migliorarne la qualità di vita. La sfida di oggi è quella di poter garantire sempre più una medicina personalizzata e quindi basata sulle caratteristiche genetiche e cliniche del singolo individuo”.

Berlusconi, leucemia mielomonocitica cronica in 80% casi colpisce anziani

Berlusconi, leucemia mielomonocitica cronica in 80% casi colpisce anzianiRoma, 12 giu. (askanews) – “Il tipo di leucemia diagnosticata a Silvio Berlusconi è considerata rara. Si stima infatti colpisca ogni anno circa 4 persone ogni 100mila. Si chiama leucemia mielomonocitica cronica ed è la più frequente tra le sindromi mielodisplastico-mieloproliferative. Circa l’80% dei pazienti colpiti ha più di 70 anni al momento della diagnosi e la prognosi infausta in età avanzata è strettamente legata all’insorgenza di complicanze, come infezioni e sanguinamenti”. A spiegare le caratteristiche della malattia di cui era affetto Silvio Berlusconi è Umberto Vitolo, responsabile studi clinici emalotologici presso l’Istituto di Candiolo – Fondazione del Piemonte per l’oncologia IRCCS. “La leucemia mielomonocitica cronica è caratterizzata dall’aumento dei monociti, una componente dei globuli bianchi prodotta dal midollo osseo, e dall’insufficiente presenza di altri elementi del sangue, come globuli rossi e piastrine- spiega l’esperto -. Non posso esprimermi su Berlusconi, di cui non conosco nei dettagli la storia clinica, ma nei soggetti anziani con leucemia mielomonocitica cronica può essere comune l’insorgenza di complicanze che possono compromettere le condizioni del paziente. Sono ad esempio più frequenti le infezioni, a cui poi si unisce anche una minor capacità di rispondere alla terapia antibiotica, o possono verificarsi sanguinamenti”.

Anche se quindi ogni caso a sé, l’età del paziente può giocare un ruolo importante. “Ci sono comunque forme croniche della leucemia mielomonocitica cronica che possiamo definire ‘tranquille’, che non richiedono una terapia immediata ma solo l’osservazione clinica – afferma Vitolo -. Esistono anche terapie blande, ci sono farmaci ipometilanti che sembrano funzionare discretamente nel bloccare la progressione della malattia. E poi sono in corso di sperimentazione una serie di nuovi trattamenti che sembra abbiano un buon tasso di risposta da parte dei pazienti. La terapia più efficace rimane il trapianto di midollo osseo, oggi possibile nei pazient fino ai 75 anni d’età. Ma per pazienti dell’età di Berlusconi, gli over 70, o con co-morbilità rimane una strada difficilmente percorribile”.

Tornano le zanzare, l’allarme Oms sulle malattie trasmesse dalle punture

Tornano le zanzare, l’allarme Oms sulle malattie trasmesse dalle puntureRoma, 12 giu. (askanews) – Torna la bella stagione e tornano, puntuali, le zanzare. Ma non solo. L’Oms ha lanciato un allarme a livello mondiale. “Oggi metà popolazione mondiale è a rischio Dengue. L’incidenza delle infezioni causate da arbovirus – come Dengue, Zika e Chikungunya – è cresciuta notevolmente in tutto il mondo negli ultimi decenni. Circa la metà della popolazione mondiale è ora a rischio di Dengue, con un numero stimato in 100-400 milioni di infezioni che si verificano ogni anno”. E’ il quadro tracciato dall’Organizzazione mondiale della sanità che ha fornito un aggiornamento sulla situazione di queste malattie che si diffondono dalle zanzare alle persone e “stanno causando un numero crescente di focolai in tutto il mondo, con il cambiamento climatico, la deforestazione e l’urbanizzazione che sono alcuni dei principali fattori di rischio”. Fattori di rischio “che consentono alle zanzare di adattarsi meglio ai nuovi ambienti e di diffondere ulteriormente a livello geografico il rischio di infezione, anche nella regione europea”. “Iniziano a svegliarsi -spiega Gérard Duvallet, entomologo dell’Università francese di Montpellier- quando ci sono 15 gradi, poi, non appena le temperature si alzano fino ai 20/25 gradi, sono, diciamo così, in piena forma”. Questo vuol dire che, con l’inizio della primavera, si avvia quel processo che, a breve, porterà nelle nostre case il fastidioso insetto: “Fastidiose sono in particolare le zanzare femmine -continua Duvallet. Sono solo loro a pungerci, mentre i maschi si nutrono esclusivamente con le piante. Il nostro sangue serve loro per sviluppare poi le uova e quindi per riprodursi. Ci iniettano due sostanze: la prima per facilitare l’aspirazione, mentre la seconda contiene un principio attivo che danneggia i tessuti umani. Ciò per non farci sentire dolore e quindi per impedire che la nostra reazione immediata possa ucciderle”.

Il 90% degli italiani, preoccupata per il suo ritorno, ritiene che l’insetto sia presente nel proprio Comune di residenza, mentre il 69,3% sostiene di avere la sensazione che, negli ultimi tre anni, la percentuale di diffusione sia decisamente aumentata. Il risultato di un sondaggio, commissionato su un campione di duemila intervistati da un’azienda leader nella produzione di zanzariere, fotografa un rapporto che, a giusta ragione, può definirsi complesso: “Abbiamo voluto fare luce su uno dei problemi che affliggono i cittadini durante i mesi primaverili ed estivi”, afferma Marco Marcantoni, Ceo di Sharknet. “La conferma è che si tratta di una questione che sta a cuore praticamente a tutti. L’84,7% degli intervistati va anche oltre e si dimostra consapevole dei rischi sanitari e del fatto che una puntura può veicolare patogeni. La malattia del West Nile è infine la più conosciuta, mentre la zanzara tigre è quella più temuta”. La zanzara tigre, appunto. Una presenza che è conseguenza dei cambiamenti climatici, cambiamenti che presto potrebbero portare altre spiacevoli sorprese. Secondo recenti studi scientifici, pubblicati su Biology Letters, l’avanzare degli insetti, che portano la malaria, corre a ritmi sostenuti e non escluso che presto potrebbe raggiungere anche il Vecchio Continente: “Nessun allarme, per carità. Ma -continua Marcantoni- è una questione da non sottovalutare. Per l’Africa innanzitutto, che paga un prezzo salatissimo, ma anche per il resto del mondo. Il riscaldamento globale, lo dicono diverse ricerche autorevoli, moltiplica i vettori e quindi la diffusione di nuove e vecchie malattie. Dal virus Zika alla febbre Dengue, fino al ritorno del colera”.

Come difendersi allora? “La prima regola -riflette Marcantoni- è evitare ristagni d’acqua perché è lì che le zanzare depongono le proprie uova. Vasi e sottovasi bisogna curarli con attenzione. Poi, occorre eseguire periodiche disinfestazioni. Esistono tuttavia dei rimedi anche nella fase successiva, quando gli insetti sono, diciamo così, appena nati. La citronella è un ottimo rimedio, come indossare abiti dal colore giusto. Le zanzare sono attirate nell’ordine dal nero, dal rosso, dal grigio e dal blu. Verde e giallo sono invece le tinte che maggiormente difendono l’uomo dalle punture. Inutile dire che proteggersi significa anche impedire il loro ingresso in casa. Le nostre zanzariere plissettate, uniche al mondo, rappresentano una barriera ideale. Le abbiamo esportate in 50 Paesi del mondo, rendendo la nostra azienda un’eccellenza del made in Italy”.

Studio, Sepsi nei neonati: ancora alta la mortalità nel mondo

Studio, Sepsi nei neonati: ancora alta la mortalità nel mondoRoma, 9 giu. (askanews) – Uno studio osservazionale condotto a livello globale tra il 2018 e il 2020 ha dimostrato che molti neonati muoiono perché gli antibiotici usati per curare la sepsi stanno perdendo la loro efficacia. Lo studio ha coinvolto più di 3200 neonati affetti da sepsi in 19 ospedali di 11 diversi Paesi del mondo. Per l’Europa, l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù ha partecipato come struttura di controllo in termini di qualità rispetto ai Paesi in via di sviluppo inclusi nella ricerca, dove è stata rilevata un’elevata mortalità tra i neonati con emocolture positive (in media quasi 1 su 5) e un alto livello di resistenza agli antibiotici. Grazie allo studio, sono stati raccolti dati importanti e sviluppati nuovi strumenti che aiuteranno a migliorare il trattamento dei neonati con sepsi. I risultati della ricerca sono stati pubblicati in un articolo su PLOS Medicine, a cui ha contribuito un gruppo di oltre 80 ricercatori provenienti da quattro diversi continenti.

Lo studio è stato condotto dalla Global Antibiotic Research and Development Partnership (GARDP), in collaborazione con l’Università St George’s di Londra; Penta – Child Health Research, una rete di ricerca scientifica indipendente che si occupa di salute materno-infantile, con sede a Padova; il Medical Research Council Clinical Trials Unit dell’University College London, il cui gruppo di ricerca ha guidato l’analisi dei dati; e infine, l’Università di Anversa. “Questo studio è stato fondamentale per comprendere meglio il tipo di infezioni che colpiscono i neonati negli ospedali, i germi che le causano, i trattamenti utilizzati e il motivo per cui si registra un così alto numero di decessi. Ci ha fornito informazioni preziose che ci aiuteranno a progettare meglio gli studi clinici e, in ultima analisi, a migliorare le cure e i risultati clinici dei neonati con sepsi”, ha dichiarato Manica Balasegaram, direttore esecutivo di GARDP. La sepsi è un’infezione del sangue potenzialmente letale, che ogni anno colpisce 3 milioni di bambini in tutto il mondo. Sono 214.000 i neonati che ogni anno muoiono a causa di sepsi resistente agli antibiotici, soprattutto nei Paesi a basso e medio reddito. I neonati sono tra i pazienti più a rischio di sviluppare infezioni gravi, poiché il loro sistema immunitario è ancora poco sviluppato. Il tasso di mortalità nei 19 ospedali coinvolti nello studio è stato molto variabile, oscillando tra l’1,6% e il 27,3%, con numeri nettamente più elevati nei Paesi a basso e medio reddito. Allo studio hanno partecipato gli specialisti degli ospedali di Bangladesh, Brasile, Cina, Grecia, India, Italia, Kenya, Sudafrica, Thailandia, Vietnam e Uganda.

“Lo studio ha messo in luce la cruda realtà delle infezioni resistenti agli antibiotici, soprattutto negli ospedali dei Paesi meno sviluppati, dove spesso mancano infermieri, letti e spazio. Il rischio di infezioni è molto alto e la maggior parte delle infezioni è resistente agli antibiotici. Se un antibiotico non funziona, spesso il bambino muore. Questa situazione deve cambiare con urgenza. Abbiamo bisogno di antibiotici che coprano tutte le infezioni batteriche”, ha dichiarato Sithembiso Velaphi, primario di pediatria presso il Chris Hani Baragwanath Academic Hospital di Johannesburg, Sudafrica. Lo studio ha rivelato inoltre un’ampia e preoccupante differenza nei trattamenti. Negli ospedali che hanno preso parte allo studio sono state rilevate oltre 200 diverse combinazioni di antibiotici in uso, con frequenti cambi di antibiotici nel corso della terapia per far fronte all’elevata resistenza ai trattamenti Per questa stessa ragione, molti medici si sono visti costretti ad usare antibiotici come i carbapenemi, classificati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come antibiotici “Watch”, cioè da preferirsi solo per casi specifici e limitati, poiché è importante preservarne l’uso. Tuttavia, spesso i carbapenemi sono risultati essere gli unici antibiotici in grado di curare l’infezione. Infine, antibiotici di ultima linea sono stati prescritti nel 15% dei neonati con sepsi che hanno preso parte allo studio. Il batterio più comune è risultato essere il Klebsiella pneumoniae, solitamente acquisito all’interno dell’ambiente ospedaliero.

Malattia delle arterie delle gambe: in Italia oltre 3000 amputazioni

Malattia delle arterie delle gambe: in Italia oltre 3000 amputazioniRoma, 9 giu. (askanews) – Molto spesso inizia con uno strano formicolio a una gamba. Poi subentra il dolore, intenso, che costringe a fermarsi dopo pochi metri di cammino, fino alla formazione di lesioni che non guariscono. Questa è la catena di eventi che porta all’ischemia critica degli arti inferiori, lo stadio più avanzato dell’arteriopatia periferica, patologia caratterizzata dalla riduzione dell’afflusso di sangue alle arterie. Nei casi più gravi si può arrivare all’amputazione, misura estrema a cui purtroppo in Italia si ricorre più frequentemente di quanto si dovrebbe. Nel nostro Paese, infatti, vengono eseguite ogni anno 3.382 amputazioni (dati PNE 2021), la metà delle quali possono essere prevenute ricorrendo a procedure mini-invasive e ai nuovi farmaci ipolipemizzanti, sotto prescritti (solo il 10% dei pazienti li riceve), per la scarsa informazione dei medici e per il complesso il sistema di prescrizione. I temi saranno al centro della seconda edizione del meeting “Rome Peripheral Interventions” che si terrà a Roma il 9 e 10 giugno 2023. Lo scopo dell’evento è quello di fornire i più recenti aggiornamenti sulle evidenze cliniche e sulle possibilità attuali e future nel trattamento endovascolare delle patologie extra-coronariche. Patrocinato dalla Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE), dall’Associazione Italiana di Neuroradiologia Diagnostica e Interventistica (Ainr) e dalla Società Italiana di Chirurgia Vascolare ed Endovascolare (Sicve), il congegno riunirà clinici e interventisti e, grazie alla presentazione di dati clinici aggiornati e di live case, avrà lo scopo di migliorare la qualità della pratica quotidiana con un approccio multidisciplinare.

“L’arteriopatia periferica si sviluppa quando le arterie si ostruiscono e non sono più in grado di portare con normale regolarità tutto il nutrimento di cui avrebbe bisogno il nostro organismo – spiega Giovanni Esposito, professore ordinario di Cardiologia e direttore della UOC di Cardiologia, Emodinamica e Utic dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II di Napoli e presidente della Società Italiana di Cardiologia Interventistica (GISE) -. L’ostruzione delle arterie è causata dalla presenza di placche aterosclerotiche che progressivamente ostacolano il regolare flusso di sangue”. Si stima che l’arteriopatia periferica colpisca 200 milioni di persone nel mondo, di cui 40 milioni solo in Europa. In Italia la prevalenza della malattia si attesta intorno al 10% nelle persone con più di 40 anni con un trend in aumento fino al 23% nei prossimi anni. La patologia, che spesso si verifica con l’avanzare dell’età, è più frequente nei soggetti diabetici. Particolarmente a rischio sono anche i soggetti fumatori o con un passato da fumatori, per i quali il rischio di sviluppare questo tipo di patologia è quattro volte superiore rispetto agli altri. “La prevenzione dell’arteriopatia periferica si basa su uno stretto controllo dei fattori di rischio: per questo occorre seguire una dieta equilibrata, a ridotto contentuo di zuccheri e grassi, smettere di fumare e praticare regolarmente esercizio fisico – specifica Esposito -. Per i pazienti diabetici, in particolare, è molto importante evitare traumatismi agli arti perché essi aumentano le probabilità di ulcerazioni, piaghe e infezioni”. Anche se i sintomi dell’arteriopatia periferica sono difficili da ignorare, molto spesso vengono confusi con i disturbi correlati all’invecchiamento. Capita quindi che ci si rivolga al medico quando la malattia è già avanzata fino a richiedere l’amputazione dell’arto colpito da patologia. “In Italia, purtroppo, si ricorre spesso a questa soluzione estrema che, oltre a impattare significativamente sulla qualità della vita, è associata un rischio rilevante di mortalità – sottolinea Esposito -. Ci sono infatti due importantissime opzioni terapeutiche che, in buona parte dei casi, ci aiutano a evitare l’amputazione dell’arto”. La prima è la terapia farmacologica che si basa su molecole che rendono più fluido il sangue. “Gli antiaggreganti piastrinici – spiega l’esperto – i farmaci che dilatano le arterie. Un ruolo fondamentale è giocato dai farmaci anti-colesterolo, specialmente quelli di nuova generazione, in grado di ridurre del 30% il rischio di amputazione. Gli interventi di rivascolarizzazione mediante angioplastica consentono, poi, la riapertura ‘meccanica’ delle arterie come si fa sulle coronarie”. Purtroppo però in Italia i farmaci ipolipemizzanti di nuova generazione sono sottoprescritti, per la scarsa informazione dei medici e per una serie di ragioni organizzative che rendono complesso il sistema di prescrizione. “Grandi differenze – sottolinea Esposito – ci sono anche nel ricorso a procedure di rivascolarizzazione “salva-arto”, in particolar modo quelle mini-invasive”. L’insufficiente utilizzo di queste procedure si traduce così in un maggior numero di amputazioni e, di conseguenza, in un maggior carico di disabilità e un più alto rischio di mortalità precoce.

Ricerca, nanotrasportatori selettivi per contrastare tumori aggressivi

Ricerca, nanotrasportatori selettivi per contrastare tumori aggressiviRoma, 8 giu. (askanews) – Un gruppo di ricercatori dell’Università di Trieste, in collaborazione con altri istituti internazionali tra cui China Pharmaceutical University e Aix Marseille University, ha progettato, sintetizzato e testato due nanoparticelle capaci di trasportare all’interno della cellula in modo selettivo terapie a base di acido nucleico in grado di contrastare la progressione di tumori molto aggressivi. Il lavoro è stato pubblicato su PNAS.

Le terapie moderne basate sul trasporto e sul rilascio di acidi nucleici – macromolecole di due tipi (DNA e RNA) in grado di trasportare o modificare l’informazione genetica all’interno delle cellule – sono un importante campo di ricerca per contrastare malattie molto gravi, come tumori aggressivi e metastatici e malattie genetiche rare. Affinché queste molecole terapeutiche raggiungano la cellula devono però essere “mascherate” perché altrimenti verrebbero riconosciute come agenti esterni e attaccate dal nostro sistema immunitario. I ricercatori dell’Università di Trieste hanno quindi cercato un modo per “ingannare” la cellula creando due diversi tipi di vettori che utilizzano nanomateriali autoassemblanti: dei “mattoncini” che, ravvicinati, riescono a organizzarsi autonomamente attorno a questi acidi nucleici, nasconderli e trasportarli dentro le cellule in modo selettivo, come una sorta di cavallo di Troia. Inoltre, i ricercatori hanno realizzato due nanoparticelle con caratteristiche diverse tra loro, l’una specifica per le terapie a base di RNA, l’altra per quelle a base di DNA. E’ un risultato molto importante perché queste molecole hanno meccanismi e caratteristiche diverse ed è necessario, affinché svolgano la loro funzione terapeutica in modo efficace, che il vettore sia costruito sulla base del modo con cui ciascuna di esse penetra nella cellula.

“Strumenti tailor-made che soddisfino requisiti specifici per diverse applicazioni sono di grande importanza nella ricerca biomedica – sottolinea Sabrina Pricl, professoressa di ingegneria chimica e responsabile scientifico del team Molecular Biology and Nanotechnology Laboratory (MolBNL@UniTS), presso l’Università degli studi di Trieste – con questo studio siamo riusciti per la prima volta a creare due nanoparticelle estremamente selettive. Abbiamo studiato e capito come gli acidi nucleici a base RNA e DNA entrano nella cellula e creato il trasportatore “su misura” per ciascuna di esse, testandone l’efficacia sia in vitro che in vivo e verificandone una grande capacità terapeutica. E’ un importante traguardo per una medicina sempre più personalizzata”. I prossimi passi nello sviluppo di questo filone di ricerca sono molteplici e riguarderanno soprattutto il portare a una dimensione industriale la produzione delle nanoparticelle, che richiede il soddisfacimento di una complessa serie di requisiti imposti dalla prassi relativa alla produzione di materiali per uso farmaceutico e la loro successiva possibilità di essere portati finalmente alla fase clinica di verifica. Rispetto a questo ultimo punto, è già stata dimostrata in questo studio l’efficacia e la non tossicità delle nanoparticelle. Aggiunge Sabrina Pricl, professoressa di ingegneria chimica e responsabile scientifico del team Molecular Biology and Nanotechnology Laboratory dell’Università degli studi di Trieste: “Anche se, quando si tratta di nuove molecole di uso farmaceutico, è sempre molto difficile fare previsioni e non bisogna creare false illusioni, queste nanoparticelle sono promettenti per un ingresso nella pratica clinica in tempi rapidi. Vi sono due condizioni che favoriscono questa prospettiva: da una parte, un sistema di nanoparticelle è stato recentemente approvato velocemente in quanto farmaco orfano per una malattia genetica rara, la malattia di Fabry; dall’altra una richiesta ufficiale di sensibilizzazione verso una maggior regolamentazione e un miglioramento dell’iter approvativo dei sistemi nanotecnologici in campo terapeutico è stata consegnata alla Commissione Europea dall’ Azione COST “Cancer nanomedicine: from the bench to the bedside”, di cui sono chair, congiuntamente ad altri enti che includono, tra l’altro, associazioni di pazienti e enti di sorveglianza/vigilanza sui farmaci”.