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Marie Besse ancora presidente della Società di medicina farmaceutica

Marie Besse ancora presidente della Società di medicina farmaceuticaRoma, 10 mag. (askanews) – A Marie-Georges Besse è stato confermato il secondo mandato per la presidenza della Società italiana di medicina farmaceutica. Lei è stata la prima donna alla guida dell’organismo di rappresentanza, per il triennio 2020-23. Marie-Georges Besse dal 1 dicembre 2018 – si aggiunge in una nota – ricopre il ruolo di direttore medical affairs del gruppo Servier in Italia per tutte le aree terapeutiche dell’azienda.

La ricercatrice è membro di Simef da circa 25 anni e prima di essere eletta presidente, ha fatto parte del consiglio direttivo. Quella che è stata fatta è una “conferma più che meritata grazie alla sua lunga esperienza e competenza maturate nella ricerca e sviluppo farmaceutico – commenta Gilles Renacco, Presidente Gruppo Servier in Italia – Un grande attestato di stima che inorgoglisce tutto il Gruppo Servier. La Simef rappresenta un importante punto di riferimento per le autorità regolatorie, le associazioni scientifiche ed industriali nel campo delle scienze biomediche applicate alla ricerca ed allo sviluppo di nuove terapie al fine di sostenere la ricerca scientifica in Italia. Complimenti alla dottoressa Besse e buon lavoro alla nuova squadra di Presidenza”. Francese e laureata in biologia all’università di Aix-Marseille, Besse inizia la sua attività professionale nel settore della ricerca applicata all’immuno-diagnostica in Sanofi. Trascorre più di 20 anni presso l’istituto di ricerca Servier rivestendo ruoli di crescente responsabilità, sia in ambito locale sia internazionale, fino a ricoprire il ruolo di direttore delle operazione cliniche per l’Italia e, successivamente, anche per la Grecia. Besse poi matura una vasta e approfondita esperienza nel settore dello sviluppo dei farmaci dalla Fase I alla III, nonché degli studi Late Phase.

“Ringrazio tutti gli associati per aver creduto in me e per aver supportato la mia riconferma come presidente di questa società scientifica prestigiosa – ha spiegato Marie-Georges Besse – In questi tre anni la Simef si è impegnata molto per sostenere la ricerca scientifica in Italia per favorire la divulgazione delle conoscenze. Particolare attenzione è stata data alla formazione scientifica e professionale di tutti gli addetti ai lavori. Ora, con l’ingresso di SIMeF come Ente del Terzo Settore si apre un nuovo capitolo, che dobbiamo continuare a scrivere tutti insieme”. La Società italiana di medicina farmaceutica è un’associazione scientifica senza fini di lucro che promuove e coordina iniziative a carattere scientifico nel campo delle scienze biomediche applicate alla ricerca ed allo sviluppo di nuove terapie. Conta circa 1.000 soci appartenenti prevalentemente all’industria farmaceutica e a società di ricerca a contratto, attivi nell’area della ricerca e sviluppo dei farmaci e nelle discipline ad essa collegate.

Fondato per essere al servizio della salute, Servier è un gruppo globale governato da una fondazione che aspira ad avere un impatto sociale significativo, sia per i pazienti che per un mondo sostenibile. Grazie al suo modello di governance unico, può seguire appieno la sua vocazione con una visione a lungo termine: impegnarsi nel progresso terapeutico per rispondere alle esigenze dei pazienti. I 21.400 dipendenti del Gruppo sono impegnati in questa vocazione condivisa, fonte di ispirazione quotidiana. Da leader mondiale in cardiologia, Servier ha l’ambizione di diventare un’Azienda riconosciuta e innovativa, impegnata in oncologia, focalizzandosi sui tumori difficili da trattare. Per questo motivo il Gruppo destina oltre la metà del suo budget in R&D in quest’area terapeutica.

Le neuroscienze e l’area immuno-infiammatoria rappresentano il futuro motore di crescita. In questi settori, Servier si concentra su un numero limitato di patologie attraverso la medicina di precisione. Per promuovere l’accesso a cure di qualità per tutti a un costo inferiore, il Gruppo offre anche una gamma di farmaci generici che coprono la maggior parte delle patologie in Francia, Europa orientale, Brasile e Nigeria. Con sede centrale in Francia, Servier conta su una forte presenza geografica in oltre 150 Paesi e ha registrato un fatturato di 4,9 miliardi di euro nel 2022.

Covid, Gimbe: vaccino, richiami per anziani e fragili in stallo

Covid, Gimbe: vaccino, richiami per anziani e fragili in stalloRoma, 10 mag. (askanews) – Lo scorso 5 maggio, il Comitato tecnico dell’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) ha raccomandato la fine dello stato di emergenza internazionale recepita dal Direttore Generale Tedros Adhanom Ghebreyesus, che comunque ha ribadito che “resta il rischio di nuove varianti emergenti che possono causare nuove ondate di casi e morti. La cosa peggiore che i paesi possano fare ora è usare questa notizia per abbassare la guardia, per smantellare il sistema che hanno costruito e per lanciare alla gente il messaggio che il COVID non è più qualcosa di cui preoccuparsi”.

«Al tempo stesso l’OMS – dichiara Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione GIMBE – ha pubblicato infatti il quarto aggiornamento del piano strategico 2023-2025 di preparazione e risposta al COVID-19 che definisce le azioni per minimizzare l’impatto della pandemia sullo stato di salute delle popolazioni, oltre che sui sistemi sanitari». In particolare, tra gli approcci per raggiungere questi obiettivi l’OMS raccomanda di vaccinare le popolazioni a rischio al fine di ridurre l’incidenza di malattia grave e mortalità. «A un mese e mezzo dalla sospensione della pubblicazione del monitoraggio GIMBE sul COVID-19 – continua Cartabellotta – abbiamo ritenuto opportuno valutare l’avanzamento delle coperture vaccinali relative ai richiami con quarta e quinta dose, pur con la difficoltà di fornire dati precisi visto che entrambe le platee non vengono aggiornate ormai da molto tempo». Ecco i dati. Vaccini: quarta dose. La platea per il secondo richiamo (quarta dose), aggiornata al 17 settembre 2022, è di 19,1 milioni di persone: di queste, 12,5 milioni possono riceverlo subito, 0,6 non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni e 6 milioni l’hanno già ricevuto. Al 5 maggio sono state somministrate 6.003.913 quarte dosi, con una media mobile nell’ultima settimana di 164 somministrazioni al giorno.

In base alla platea ufficiale (n. 19.119.772 di cui 13.060.462 over 60, 3.990.080 fragili e immunocompromessi, 1.748.256 di personale sanitario e 320.974 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quarte dosi è del 31,4%, ovvero solo +0,1% nelle ultime 7 settimane (31,3% lo scorso 17 marzo). Si confermano nette differenze regionali in termini di coperture: dal 14,1% della Calabria al 45,8% del Piemonte. Vaccini: quinta dose. La platea per il terzo richiamo (quinta dose), aggiornata al 20 gennaio 2023, è di 3,1 milioni di persone: di queste, 2,5 milioni possono riceverlo subito, 0,1 milioni non sono eleggibili nell’immediato in quanto guarite da meno di 120 giorni e 0,5 milioni l’hanno già ricevuto. Al 5 maggio 2023, dopo oltre sei mesi dall’avvio della campagna, sono state somministrate 515.209 quinte dosi, con una media mobile nell’ultima settimana di 207 somministrazioni al giorno. In base alla platea ufficiale (n. 3.146.516 di cui 2.298.047 over 60, 731.224 fragili e immunocompromessi, 117.245 ospiti delle RSA che non ricadono nelle categorie precedenti), il tasso di copertura nazionale per le quinte dosi è del 16,4%, ovvero solo +0,7% nelle ultime 7 settimane (15,7% lo scorso 17 marzo). Nette le differenze regionali: dal 6,2% della Calabria al 31,3% del Piemonte. «I dati – conclude Cartabellotta – documentano che nelle ultime 7 settimane, contrariamente a quanto raccomandato dall’OMS oltre che dalle Circolari del Ministero della Salute, la somministrazione dei richiami per anziani e fragili è stata davvero esigua, con coperture che rimangono molto basse, in particolare nelle Regioni meridionali».

Pazienti oncologici da tutta Europa scendono in campo per la Winners Cup

Pazienti oncologici da tutta Europa scendono in campo per la Winners CupRoma, 10 mag. (askanews) – Un evento unico nel suo genere, capace di sublimare il valore dello sport, un linguaggio universale che unisce – abbattendo muri e barriere, sia fisiche che psicologiche – e rappresenta il miglior antidoto alla malattia. Così la Winners Cup, il torneo di calcio dedicato a squadre facenti riferimento a reparti di oncologia pediatrica, la cui quarta edizione si svolgerà sabato 13 maggio, tra le 9.00 e le 18.00, presso il “KONAMI Youth Development Centre in Memory of Giacinto Facchetti”, casa del settore giovanile dell’Inter, in via Camillo Sbarbaro 5/7, a Milano. I calciatori che scenderanno in campo sono ragazzi accomunati dalla passione per lo sport e dall’essere in cura, o essere stati in cura, per un tumore; uniti dall’essersi sentiti dire, un giorno, “hai un tumore maligno”, “dovrai fare la chemioterapia”. I partecipanti arriveranno da una trentina di centri di oncologia pediatrica europei e formeranno 16 squadre di 12 giocatori l’una, per un totale di circa 250 ragazzi e ragazze (è obbligatoria una quota rosa di almeno 4 atlete femmine per squadra) di età compresa tra 15 e 20 anni, pazienti in cura o fuori terapia da non più di tre anni.

Il tabellone prevede 6 squadre europee (Francia, Germania, Spagna, Grecia, Belgio, Olanda) e 10 italiane (che, nel dettaglio, saranno: quella di Milano – Monza, vincitrice dell’ultima edizione del 2019, prima della pandemia; quella di Bari – Lecce e quella di Catania – Palermo, e poi ancora Genova – Torino, Trento – Padova, Bologna – Rimini – Modena, Pisa – Firenze, Aviano – Udine – Trieste, Napoli – Perugia e, infine, Roma). L’evento comincerà già la sera di venerdì 12 maggio con l’accoglienza e la festa in hotel, per proseguire nella giornata di sabato con il torneo di calcio vero e proprio. Dulcis in fundo, domenica libera alla scoperta di Milano. Ideata da Andrea Ferrari, oncologo pediatra dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, in collaborazione con FC Internazionale Milano e Centro Sportivo Italiano – Comitato di Milano, la Winners Cup è alla quarta edizione. L’ultima, realizzata nel 2019, prima della pandemia, aveva attirato l’attenzione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che aveva conferito a uno dei ragazzi (in rappresentanza di tutti i partecipanti) il prestigioso attestato d’onore di “Alfiere della Repubblica”.

L’evento è organizzato da FC Internazionale Milano, con il contributo di RIA Money Transfer e il sostegno di AMI (Azionisti Minoranza Inter), dal Centro Sportivo Italiano – Comitato di Milano e dal Gruppo di Lavoro Adolescenti di AIEOP (Associazione Italiana di Ematologia e Oncologia Pediatrica), con il prezioso supporto dell’Associazione Bianca Garavaglia – che sostiene da anni la Pediatria Oncologica dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – e di FIAGOP (Federazione Italiana Associazioni Genitori e Guariti Oncoematologia Pediatrica). Essendo a tutti gli effetti un evento europeo, il torneo ha anche il patrocinio di SIOPE (the European Society for Paediatric Oncology).

Federfarma e Fondazione Veronesi a sostegno ricerca su tumori pediatrici

Federfarma e Fondazione Veronesi a sostegno ricerca su tumori pediatriciRoma, 9 mag. (askanews) – Dal 15 al 22 maggio 2023 si svolge la seconda edizione della campagna di raccolta fondi promossa da Federfarma nelle farmacie per sostenere la ricerca sui tumori pediatrici denominata “Il Futuro è dei bambini” a sostegno di Gold for kids, il progetto di Fondazione Umberto Veronesi ideato nel 2014 per finanziare la ricerca scientifica d’eccellenza nel campo dell’oncologia pediatrica e promuovere una corretta informazione scientifica. Le farmacie esporranno la locandina della campagna per sensibilizzare i cittadini ad effettuare una donazione, semplicemente inquadrando il QR code che rimanda alla pagina web del Progetto, sulla quale si può direttamente fare un’offerta. La donazione tramite QR code sarà possibile fino al 31 agosto 2023. Inoltre, nelle farmacie che hanno scelto di essere maggiormente coinvolte nell’iniziativa, i cittadini potranno versare un importo minimo di 3 euro nel box salvadanaio posto sul banco della farmacia e ricevere un braccialetto in tessuto color oro sul quale è impresso il claim della campagna “Il futuro è dei bambini”. Quest’anno il ricavato della raccolta sarà destinato a supportare la piattaforma di ricerca e cura “PALM” (Pediatric Acute Leukemia of Myeloid origin), una rete internazionale di istituti specializzati in campo oncoematologico coordinata dall’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. La piattaforma è dedicata allo studio e alla cura della leucemia mieloide acuta (LMA), un tumore del sangue molto aggressivo che in Italia colpisce circa 70 bambini ogni anno. La piattaforma “PALM” gestirà la prima sperimentazione clinica in Europa della terapia genica con cellule CAR-Natural Killer e lo sviluppo di nuove metodiche diagnostiche per la leucemia mieloide acuta. È un progetto molto importante, che permetterà di mettere a punto terapie innovative per i bambini malati di leucemia mieloide acuta e contribuirà, già nell’immediato, a ottimizzare il trattamento dei bambini italiani con diagnosi di LMA e dei pazienti pediatrici dei Paesi europei che adottano il protocollo internazionale per la cura di questa malattia ematologica rara. “Da anni Fondazione è fortemente impegnata nel sostegno all’oncologia pediatrica, perché in questi anni sono stati fatti grandi passi avanti ma c’è ancora molto da fare”, dichiara Monica Ramaioli, Direttore Generale di Fondazione Umberto Veronesi, sottolineando che “Federfarma e dunque le farmacie, grazie al loro ruolo di presidio sociosanitario sul territorio, rappresentano per Fondazione un alleato molto importante per garantire maggiori speranze di guarigione a bambini e adolescenti malati di tumore”. “Federfarma collabora con convinzione alla campagna promossa da Fondazione Umberto Veronesi, perché le farmacie credono fortemente nel valore della ricerca scientifica e i farmacisti, che ogni giorno si impegnano con professionalità a tutela della salute dei cittadini, hanno una naturale vocazione all’impegno sociale. Le farmacie sono capillarmente presenti su tutto il territorio e possono quindi sensibilizzare un gran numero di persone sull’importanza della ricerca per sperimentare cure sempre più efficaci contro i tumori pediatrici. Invito i cittadini ad essere generosi, per donare un futuro ai bambini affetti da tumore”, aggiunge il presidente nazionale Marco Cossolo.

Parte Sail Camp Ail, per la riabilitazione psicologica malati ematologici

Parte Sail Camp Ail, per la riabilitazione psicologica malati ematologiciRoma, 9 mag. (askanews) – Prende il via il 20 maggio prossimo Sail Camp, il progetto di riabilitazione psicologica rivolto ai pazienti onco-ematologici di tutta Italia prevalentemente attraverso la vela-terapia, promosso dalla sezione di Brescia dell’Associazione Italiana contro le Leucemie, i linfomi e il mieloma in collaborazione con AIL Nazionale. La diagnosi di una malattia onco-ematologica rappresenta uno degli eventi più impattanti e destabilizzanti che una persona possa sperimentare nell’arco della propria vita. Obiettivo principale di Sail Camp è favorire un processo di riabilitazione dei pazienti onco-ematologici in follow-up terapeutico, per tornare a stare bene nella quotidianità, rinforzando il senso di padronanza e autonomia. L’iniziativa si pone l’obiettivo di offrire uno spazio accogliente, protetto e strutturato per i pazienti che possa costituire un’occasione per tornare alla normalità secondo il proprio ritmo e le proprie modalità, un contesto in cui entrare in relazione con sé stessi e con il proprio vissuto e un’opportunità di confrontarsi con gli altri. Sail Camp verrà realizzato in modalità residenziale, ospitando i partecipanti presso l’Univela Hostel & Sailing Club di Campione del Garda. Ai pazienti ematologici di tutta Italia verranno proposte attività di carattere sportivo e laboratoriale, sarà organizzata un’uscita in barca a vela che consenta al paziente di riprendere metaforicamente il timone della propria vita e un percorso a piedi che gli permetta di rimettersi in cammino scegliendo il proprio personale ritmo di andatura. Verranno inoltre proposte alcune attività che costituiscono un’occasione per approfondire tematiche riguardanti l’educazione alimentare e alcuni spunti di riflessione guidati dal supporto di psicologi e educatori. Il gruppo sarà costituito da un massimo di otto partecipanti, coadiuvati dalla presenza di medici, infermieri e psicologi. Queste le date del programma: 20-21 maggio, 8-9 luglio, 29-30 luglio, 23-24 settembre.

Sanità, SITI: impiegare al meglio risorse SSN puntando su prevenzione

Sanità, SITI: impiegare al meglio risorse SSN puntando su prevenzioneRoma, 8 mag. (askanews) – Con le poche risorse di cui dispone il Servizio Sanitario Nazionale è necessario dare sempre di più impulso alla prevenzione delle malattie, incentivando vaccini e screening, ma anche sani stili di vita e corretta alimentazione. E’ la strada individuata dagli oltre 3.000 professionisti di Sanità Pubblica – provenienti da tutto il Mondo – che si sono riuniti nei giorni scorsi a Roma, per il 56° Congresso Nazionale della Società Italiana di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI), svolto in concomitanza con il Congresso Mondiale di Sanità Pubblica.

Da tempo la SItI lancia l’allarme sulle poche risorse disponibili nel SSN e, di conseguenza, sulla necessità di investire nella prevenzione delle malattie, e sulla promozione della salute, attività che trovano la loro sede naturale nei Dipartimenti di Prevenzione destinati a diventare centrali nel coordinamento delle iniziative con i distretti. La presidente della Società di Igiene, Roberta Siliquini, ha ricordato come gli attuali investimenti sulla Sanità in Italia siano i più bassi tra i Paesi Ocse e come, dopo il picco della spesa emergenziale dovuta alla pandemia, sia in atto un ridimensionamento e un contenimento della crescita della spesa sanitaria che proseguirà fino al 2024: “Il tema centrale però è sempre uno: la garanzia di tutte le attività preventive a livello del nostro Servizio Sanitario Nazionale. Il nostro Servizio potrà essere sostenibile solo se attueremo tutte quelle buone pratiche per ritardare o ridurre la morbosità di patologie infettive e cronico-degenerative. Quindi forte impulso va dato ai servizi della prevenzione, ai Dipartimenti della prevenzione, con le loro attività di prevenzione primaria, secondaria, screening, educazione alla salute, vaccinazione, educazione alimentare. E molto impulso va dato anche al ruolo centrale che i Distretti Sanitari dovranno avere nell’organizzazione delle cure primarie e secondarie, anche in connessione con il sistema sociale”.

Al fine di raggiungere l’obiettivo di offerta di servizi efficaci, efficienti, resilienti e accessibili è necessario attuare programmi strategici mirati ad assicurare l’equità sanitaria, e questo passa attraverso un’attenta analisi, strutturale e culturale, del contesto di riferimento. “I professionisti della sanità pubblica e l’igienisti i soci della nostra società scientifica si mettono a disposizione del Paese e di chi governa il Paese affinché i ruoli centrali nella programmazione nell’organizzazione e nella prevenzione vengano sostenuti da persone competenti e di elevata professionalità nel Management sanitario” ha concluso Siliquini.

Contro prurito e lesioni, ok Aifa a nuova cura per dermatite atopica

Contro prurito e lesioni, ok Aifa a nuova cura per dermatite atopicaRoma, 8 mag. (askanews) – E’ la più comune malattia infiammatoria della pelle, solo nel Lazio sono circa 500.000 le persone colpite da dermatite atopica, patologia invalidante molto diffusa in età pediatrica ma che colpisce sempre più gli adulti nel pieno della loro vita sociale e professionale. Oggi, grazie a un approccio sempre più multidisciplinare, ambulatori specializzati e terapie di nuova generazione, è possibile agire rapidamente sia sul prurito che sulle lesioni cutanee. E’ stata appena approvata da Aifa ed è già disponibile nella regione Lazio “Upadacitinib”, terapia innovativa che si assume una volta al giorno per via orale.

Spiega ad Askanews Ketty Peris, Professore Ordinario di Dermatologia e Venereologia, Direttore della Unità Operativa Complessa di Dermatologia dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore: “La dermatite atopica è una malattia infiammatoria cronica recidivante che è caratterizzata da lesioni rosse soprattutto sulle braccia ma anche sulle gambe e sul volto, molto spesso lesioni che sono intensamente pruriginose e che hanno un forte impatto sulla qualità di vita del paziente. Le nuove terapie sono molecole completamente diverse da quelle che avevamo a disposizione, un po’ più datate, sono terapie altamente efficaci in un breve periodo di tempo. Quindi sono farmaci davvero che nelle forme moderate severe di malattia fanno star bene il paziente nell’arco a volte anche di pochi giorni o un paio di settimane al massimo. Influisce su tutti gli aspetti della vita del paziente, perché la dermatite atopica si associa sempre ad un prurito molto intenso, a volte incoercibile e questo a sua volta ha un impatto enorme sulla vita del paziente perché non lo fa dormire non lo fa concentrare che sia studio che sia lavoro lo inibisce nelle sue attività sportive e sociali e quindi tutto questo conseguentemente viene diciamo tanto migliorato o azzerato quando parliamo di sintomi quindi il risvolto è su tutti gli aspetti della vita del paziente” “È un prurito che stimola anche le vie e le fibre nervose del dolore, che dà una sensazione di obbligatorietà, di costrizione e di non abbandono della persona – aggiunge Giovanni Pellacani, direttore della Clinica dermatologica del Policlinico Umberto I di Roma – e oltretutto è un prurito che si manifesta in modo intenso anche durante il sonno, le ore notturne, per cui il paziente non solo si può svegliare, ma continua a grattarsi anche di notte mentre dorme e quindi ha sempre questo senso di impellenza, di iperattività che chiaramente nel tempo altera anche l’atteggiamento psicologico”. Luca Bianchi, Responsabile della Unità di Dermatologia della Fondazione Policlinico Tor Vergata di Roma, chiarisce: “Questo nuovo farmaco è uno di questi nuovi farmaci definiti come piccole molecole che vanno ad agire bloccando le vie infiammatorie intracellulari. Sul sintomo del prurito è un farmaco estremamente celere: addirittura a uno o due giorni dall’inizio della terapia il paziente già trova giovamento. Ovviamente la risoluzione, il controllo della dermatite richiederà più tempo ma poter dire al paziente: lei potrà dormire , non dovrà grattarsi e già qualcosa che ha un ottimo riscontro”.

Fadoi e Carabinieri lanciano il progetto “Un Albero per la Salute”

Fadoi e Carabinieri lanciano il progetto “Un Albero per la Salute”Roma, 7 mag. (askanews) – Fadoi e Arma dei Carabinieri Raggruppamento Biodiversità lanciano a Milano, in occasione del 28° Congresso Nazionale della Società scientifica della Medicina Interna, il progetto “Un Albero per la Salute”. Il progetto nazionale prevede la donazione e la messa a dimora negli Ospedali italiani di giovani alberi da parte dei Carabinieri Raggruppamento Biodiversità in collaborazione con la Fadoi e rientra nell’ambito del progetto “Un albero per il futuro” dei Carabinieri della Biodiversità realizzato in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente.

Ogni pianta potrà essere geolocalizzata fotografando uno speciale cartellino e sarà possibile seguirne la crescita su un sito web, apprezzando anche il risparmio di anidride carbonica (CO2). La messa a dimora degli alberi donati dai Carabinieri Raggruppamento Biodiversità per l’anno 2023 sarà effettuata in 30 ospedali italiani nel corso di eventi dedicati che vedranno la presenza di medici Internisti Fadoi ed esperti del Raggruppamento Carabinieri Biodiversità appartenenti al Reparto territorialmente più prossimo. L’ospedale di riferimento per l’inaugurazione del progetto, che si terrà il prossimo 4 ottobre 2023, sarà l’Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina Gemelli-Isola Roma; i trenta restanti ospedali sul territorio nazionale presso cui sarà effettuata la messa a dimora in pari data sono da identificare e saranno comunicati in una seconda fase. La durata complessiva del progetto sarà di 3 anni.

“Come Fadoi – spiega il presidente Francesco Dentali – abbiamo nel nostro Statuto tra gli scopi istituzionali quello del miglioramento e la definizione dei percorsi assistenziali e delle iniziative di educazione sanitaria. L’educazione sanitaria non ha solo una finalità comunicativa, informativa ma consiste nell’intervenire precocemente sui comportamenti, abitudini, azioni riguardanti le condizioni sociali, economiche ed ambientali che hanno un impatto sulla salute del singolo e della comunità. Ed è proprio in quest’ottica come Fadoi riteniamo fondamentale sviluppare una maggiore consapevolezza dell’approccio olistico One Health secondo cui la salute delle persone e salute dell’ecosistema sono legate indissolubilmente e si influenzano reciprocamente. E proprio da queste basi che nasce il progetto ‘Un Albero per la Salute’ che con soddisfazione porteremo avanti insieme all’Arma dei Carabinieri Raggruppamento Biodiversità”.

Congresso mondiale WFPHA, focus su conflitti e sanità pubblica

Congresso mondiale WFPHA, focus su conflitti e sanità pubblicaRoma, 6 mag. (askanews) – Le guerre non hanno un impatto solo locale; gli effetti devastanti hanno ripercussioni a livello mondiale. Le conseguenze globali delle guerre, oltre all’immane dolore per la perdita di vite umane, determinano crisi alimentari ed energetiche, speculazioni finanziaria che allargano asce di povertà, come dimostrato dal recente conflitto in Ucraina.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riferito che quasi un quarto della popolazione mondiale, circa 1,8 miliardi di persone, risiede attualmente in regioni colpite da conflitti. Gli effetti negativi di tale circostanza sulla salute pubblica sono significativi. I conflitti provocano tassi di mortalità elevati, la rottura dei sistemi sociali ed economici, la scarsità di cibo, ripetute interruzioni dei servizi sanitari, il collasso delle catene di approvvigionamento medico, la fuga degli operatori sanitari e gravi focolai epidemici. Al 17° Congresso Mondiale di Sanità Pubblica (2-6 maggio, Roma), che vedrà la partecipazione della Prof.ssa Bettina Borisch, il direttore esecutivo del WFPHA, e del Dott. Wahid Majrooh, l’ex ministro afghano della Sanità pubblica, la guerra e i conflitti saranno un importante argomento di discussione durante una delle sessioni plenarie.

‘Oggi, in base al diritto umanitario internazionale, monitoriamo più di 110 conflitti armati. Alcuni di loro fanno notizia, altri no. Alcuni sono iniziati di recente, mentre altri durano da più di 50 anni. La guerra è un problema di salute pubblica causato dall’uomo e come tale è quindi prevenibile. La guerra e i conflitti armati hanno conseguenze devastanti per la salute fisica e mentale di tutte le persone coinvolte, per la vita sociale all’interno e nei dintorni delle regioni di guerra e per la salute dell’ambiente. La guerra sottrae risorse essenziali, spesso molto scarse e necessarie per la sopravvivenza. Inoltre, un gran numero di persone subisce l’impatto negativo degli effetti più ampi della guerra’, spiega la Prof.ssa Borisch, esperta di salute pubblica che ha proposto la sessione su guerra e salute globale. Le principali conseguenze dei conflitti armati:

– popolazione sfollata, che è parte integrante della guerra; – la guerra limita l’accesso all’acqua potabile, al cibo e ai servizi igienici, che sono alla base della salute pubblica; – durante i conflitti armati aumenta il rischio di malattie trasmissibili; – la guerra ha un impatto sulla salute delle donne e dei bambini: un recente studio ha rivelato che, nel 2017, almeno il 10% delle donne e il 16% dei bambini a livello globale erano sfollati a causa dei conflitti o vivevano pericolosamente vicino alle aree di conflitto, rendendoli suscettibili di aggressioni sessuali, matrimoni precoci, molestie, isolamento e sfruttamento. – Anche la salute mentale ne risente: le conseguenze psicologiche della guerra sono disastrose (il disturbo post-traumatico da stress (PTSD), l’ansia, la depressione e i disturbi somatoformi sono sempre più diffusi nelle situazioni di guerra e post-conflitto).

‘L’epigenetica ci ha insegnato che anche per le generazioni successive alla guerra le conseguenze sulla salute mentale sono presenti’, precisa il direttore esecutivo del WFPHA. L’impatto della guerra sulla sanità pubblica dell’Ucraina:

La guerra in Ucraina ha aumentato il bisogno di assistenza sanitaria, riducendo al contempo la capacità del sistema di fornire servizi, soprattutto nelle aree di conflitto attivo. In particolare, il sistema sanitario ucraino oggi deve far fronte a un numero crescente di pazienti feriti e politraumatizzati e a servizi sanitari che risentono della mancanza di manutenzione delle attrezzature mediche, della carenza di farmaci e forniture mediche e del personale insufficiente. La qualità delle cure varia da regione a regione.

Dato che la natura generale e l’impatto della guerra sulla salute e sul benessere delle società e dei sistemi sanitari sono abbastanza simili, il Dott. Wahid Majrooh fornisce un’analisi comparativa dei due contesti, di afghano e di quello ucraino.

‘Prima del conflitto il sistema sanitario ucraino era operativo e si trovava a un livello abbastanza buono, ma a causa del conflitto ci sono diversi impatti negativi di cui il sistema e le persone stanno soffrendo. C’è un’enorme divisione politica su come coordinare e soddisfare le esigenze sanitarie delle comunità e delle persone. Il rischio di una pandemia è ancora presente ma l’attenzione politica non sembra tenerne conto. In questa fase la priorità è la sicurezza, che prevale su altri bisogni umani compresa l’assistenza sanitaria. A differenza dell’Ucraina, in Afghanistan avevamo decenni di esperienza nella gestione delle emergenze sanitarie. La nostra esperienza sul campo ha dimostrato che la resilienza del capitale umano e la resilienza del sistema svolgono un ruolo cruciale. Ci vuole coraggio e un nuovo modo di pensare, di gestire le risorse e di offrire impegno più solidale’, spiega Majrooh.

L’OMS ha inviato all’Ucraina ingenti quantitativi di forniture mediche e ha stanziato 5,2 milioni di dollari dal suo Fondo di emergenza per rispondere alle urgenti necessità sanitarie del Paese. Ci sono molti altri programmi di donatori internazionali che mirano a raggiungere lo stesso obiettivo. Sono davvero in grado di risolvere tutti i problemi sopra citati?

‘La gente potrebbe dire che ci sono molte donazioni da parte di agenzie internazionali e Stati membri, ma il problema delle donazioni in un contesto del genere è che non sono allineate con l’agenda nazionale sulle politiche di salute pubblica e non colmano tutte le lacune. Ad esempio, in alcune aree, dove il conflitto è in corso, un numero enorme di donne e uomini è gravemente colpito dal punto di vista morale, psicologico. L’aiuto umanitario che si concentra sui bisogni urgenti (ad esempio, le malattie infettive, l’assistenza sanitaria d’emergenza e il trattamento delle vittime di guerra) non prende in considerazione le questioni sistematiche a lungo termine come l’assistenza mentale e l’assistenza alla maternità. Questo genera un sistema parallelo di risposte a quei bisogni e a medio termine tali elementi indeboliscono il sistema sanitario nazionale. Vengono create molte aspettative mentre il sistema statale non è in grado di sostenerle’, precisa il Dott. Majrooh.

L’ex ministro afghano della Sanità pubblica ritiene che, non essendoci previsioni ottimistiche sulla risoluzione del conflitto, le indicazioni di cui sopra inizieranno a peggiorare. Quanti anni ci vorranno perché la sanità ucraina riacquisti parametri qualitativi simili a quelli esistenti prima del conflitto?

‘Il problema del post-conflitto è la ricostruzione del sistema, compreso quello sanitario, perché non è solo il costo finanziario che conta, ma il tempo e il livello di fiducia che sono sfide davvero enormi da affrontare. Perché nelle nazioni che soffrono di conflitti prolungati, il tessuto sociale ne risente molto. Pertanto, se il conflitto continua, ci vorranno decenni prima che l’Ucraina risolva tutti questi problemi. Per esempio, noi abbiamo impiegato due decenni, ma non siamo ancora riusciti a soddisfare tutti i bisogni sanitari della nostra società’, stima il Dottor Majrooh.

Il documento costitutivo dell’OMS del 1948 afferma che: ‘La salute di tutti i popoli è una condizione fondamentale della pace e della sicurezza mondiale; essa dipende dalla più stretta cooperazione possibile tra gli individui e tra gli Stati’. Anche la Carta di Ottawa, a sua volta, considera la pace come il principale determinante della salute.

Quale ruolo devono svolgere i professionisti della salute pubblica nel contesto del conflitto armata?

Come suggerisce la Prof.ssa Bettina Borisch, i professionisti della salute pubblica devono svolgere un ruolo vitale in tempi di conflitto armato, sensibilizzando sulle conseguenze devastanti della guerra, sostenendo la pace e lavorando per prevenire i focolai di guerra e i loro esiti più gravi.

‘Le guerre sono evitabili e noi, come operatori della sanità pubblica, dobbiamo fare di tutto per raggiungere questo obiettivo. Il nostro compito migliore è quello di fare promozione per prevenire le malattie. Nel contesto della guerra e dei conflitti armati, dobbiamo agire contro le cause principali della guerra: l’iniquità, la povertà e l’iniqua distribuzione del potere, quindi è molto importante per gli operatori della sanità pubblica comprendere il contesto politico dei problemi che dobbiamo affrontare’, sottolinea la professoressa.

Sanità, Fadoi: 52% medici in burnout, 1 su 2 pensa di licenziarsi

Sanità, Fadoi: 52% medici in burnout, 1 su 2 pensa di licenziarsiRoma, 6 mag. (askanews) – Depressi, stressati e in perenne carenza di sonno per orari di lavoro che vanno ben oltre il lecito, carichi di lavoro impossibili da gestire. Il tutto aggravato da mancanza di riconoscimento del valore di quanto con competenza professionale si fa, un numero di pazienti per medici e posti letto che rende quasi impossibile instaurare un rapporto empatico con i pazienti e la burocrazia che rende tutto ancora più difficile. C’è questo e di più in quello che in gergo tecnico si definisce “Sindrome da burnout”, quell’insieme di sintomi determinati da uno stato di stress permanente con il quale devono vivere il proprio lavoro il 52% dei medici e il 45% degli infermieri che prestano la loro opera nei reparti ospedalieri di medicina interna. Quelli che da soli assorbono un quinto di tutti i ricoveri in Italia. Una minaccia per la loro salute ma anche per quella degli assistiti, visto che lavorare quando si è in burnout significa alzare di molto le possibilità di commettere un errore sanitario, che in Italia sarebbero circa 100mila l’anno.

A fornire la fotografia di medici e infermieri “sull’orlo di una crisi di nervi” è la survey condotta da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, su un campione rappresentativo di oltre duemila professionisti sanitari e presentata a Milano al 28° Congresso Nazionale della Federazione. In totale a dichiararsi in “burnout” è il 49,6% del campione ma la percentuale sale al 52% quando si parla di medici, per ridiscendere al 45% nel caso degli infermieri. E in entrambi i casi l’incidenza è più del doppio tra le donne, dove permane la difficoltà di coniugare il tempo di lavoro con quello assorbito dai figli e la famiglia in genere. Anche se poi c’è un inedito e positivo rovescio della medaglia, costituito dalla larga maggioranza di medici e infermieri ancora gratificati dal proprio lavoro e dal rapporto con i pazienti.

Ad influire sullo stato di stress cronico è anche il fattore età, visto che sotto i trent’anni la percentuale di chi è in burnout cala al 30,5%. Fatto è che proiettando i dati più che significativi delle medicine interne sull’universo mondo dei professionisti della nostra sanità pubblica abbiamo oltre 56mila medici e 125.500 infermieri che lavorano in burnout. E che per questo motivo incappano in qualche inevitabile errore. Uno studio condotto dalla Johns Hopkins University School of Medicine e dalla Mayo Clinic del Minnesota ha rilevato almeno un errore grave nel corso dell’anno nel 36% dei camici bianchi in burnout. Percentuale che proiettata sul totale dei nostri medici da un totale di oltre 20mila errori gravi. Discorso analogo per gli infermieri. Qui una serie di studi internazionali raccolti dalla Fnopi, la Federazione degli ordini infermieristici, stima siano addirittura il 57% gli errori clinici più o meno gravi commessi nell’arco di un anno. Dato che applicato sul numero degli infermieri pubblici operanti in Italia in burnout da altri 71.500 errori in fase di assistenza per un totale di almeno di 92mila, sicuramente qualcuno in più considerando che uno stesso operatore può essere incappato in più di un errore nel corso dell’anno.

Lavorare sotto stress fa male agli assistiti ma anche a chi ce l’ha. “L’influenza del burnout sulle malattie professionali è un fatto oramai acclarato dalla letteratura scientifica”, afferma Francesco Dentali, Presidente Fadoi. “Il rischio di infarto del miocardio e di altri eventi avversi coronarici è infatti circa due volte e mezzo superiore in chi è in burnout, mentre le minacce di aborto vanno dal 20% quando l’orario di lavoro non supera le 40 ore settimanali salendo via via al 35% quando si arriva a farne 70. Evento sempre meno raro con il cronico sottodimensionamento delle piante organiche ospedaliere”, aggiunge Dentali. Che lavorando a ritmi e condizioni spesso insostenibili si finisca alla fine per somatizzare lo dimostra il fatto che il 61% de medici testati da Fadoi conclude la sua giornata lavorativa sentendosi “emotivamente sfinito”. Percentuale che scende al 48,4% tra gli infermieri.

Quasi il 50% di medici e infermieri in burnout pensa di licenziarsi entro l’anno. E il problema si fa ancora più sentire quando si ricopre un ruolo di responsabilità. Tra i coordinatori infermieristici il 45% è infatti in burnout e la stessa percentuale pensa di licenziarsi entro l’anno, lasciando così ancora più sguarnita la trincea del pubblico, magari per andare a rinforzare quella del privato o di qualche altro Paese, dove le retribuzioni arrivano ad essere anche il doppio di quelle del nostro Ssn. Senso di frustrazione, sensazione di non riuscire ad andare avanti e senso di colpa per avere dovuto trascurare qualche paziente sono tra i sentimenti più ricorrenti tra i coordinatori infermieristici.

Percentuali appena più basse si rilavano tra i coordinatori medici, dove in burnout è il 31,8%, mentre la percentuale di chi pensa di licenziarsi entro l’anno è del 47,4%. Qui a sentirsi “emotivamente sfinito” è l’80% del campione, mentre il senso di frustrazione accompagna il 60% di loro e il 70% sente di non poter assolvere adeguatamente ai propri compiti. Percentuali simili a quelle rilevate per i medici in corsia, dove però scende al 53% la sensazione di trattare adeguatamente in modo troppo impersonale i propri pazienti.

Il risvolto positivo della medaglia: professionisti sanitari ancora motivati e gratificati dal loro lavoro.

La ricerca Fadoi contiene però anche un positivo e inedito rovescio della medaglia. Nonostante le difficili se non impossibili condizioni di lavoro e il risvolto che queste hanno su psiche e salute dei professionisti sanitari, tanto la stragrande maggioranza dei medici che quella degli infermieri “sente di aver affrontato efficacemente i problemi dei propri pazienti” e di “aver realizzato molte cose nel corso della propria attività lavorativa”. Mentre nello specifico l’84% dei camici i bianchi “crede di influenzare positivamente la vita delle altre persone con il proprio lavoro” e nel 73% dei casi si sente “rallegrata dopo aver lavorato con i propri pazienti”.

“E’ proprio da questo senso di attaccamento alla propria mission e dalla realizzazione di se in un lavoro che nonostante tutto e tutti salva vite e aggiunge qualità agli anni di ciascuno che bisogna ripartire se veramente si ha a cuore il destino della nostra sanità pubblica”, commenta Dentali. “E per farlo occorre rendere nuovamente attrattive tra i giovani tanto la professione medica che quelle infermieristica. Portando a un livello di dignità professionale retribuzioni che sono tra le più basse d’Europa, ma riqualificando anche formazione e condizioni lavorative”, conclude il Presidente Fadoi.

“Il lavoro sanitario ai tempi del burnout nuoce tanto alla salute dei cittadini che a quella di medici e infermieri”, commenta a sua volta il presidente della Fondazione Fadoi, Dario Manfellotto. “Un problema -prosegue- tanto più sentito nei reparti di medicina interna, che una anacronistica e vetusta classificazione ministeriale con il codice 26 definisce ancora a bassa intensità di cura, quando basta scorrere l’elenco delle cartelle cliniche per capire che i nostri sono pazienti complessi che necessitano di medio-alta intensità di cura”. “Un problema che sembra di natura burocratico-amministrativa m che in realtà si traduce in una sotto dotazione sia in termini di organico che di tecnologia”, conclude Manfellotto. Che chiede di “ridefinire gli standard di personale sanitario ancora vincolati a un vecchio decreto emesso da Donat Cattin”.