Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Ipercolesterolemia e malattie cardiovascolari: un legame ad alto rischio

Ipercolesterolemia e malattie cardiovascolari: un legame ad alto rischio


Ipercolesterolemia e malattie cardiovascolari: un legame ad alto rischio – askanews.it



Ipercolesterolemia e malattie cardiovascolari: un legame ad alto rischio – askanews.it



















Roma, 23 mar. (askanews) – Silenzioso e, in alcuni casi, sottovalutato, l’aumento dei livelli di colesterolo nel sangue è il nemico numero uno delle coronarie e dei vasi sanguigni. La prevalenza dell’ipercolesterolemia si attesta al 30 per cento della popolazione adulta, con un trend in preoccupante crescita. Educare, informare e fare una buona prevenzione sono alcune tra le priorità della Siprec (Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare) alla vigilia della Seconda Giornata Italiana della Prevenzione Cardiovascolare, in programma a maggio.

“La definizione di ipercolesterolemia in senso generico può apparire oggi obsoleta – afferma Massimo Volpe, Presidente SIPREC e Professore di Cardiologia presso l’Università La Sapienza di Roma – poiché si fa ancora riferimento a una visione legata ai valori del colesterolo totale. In realtà, dal punto di vista clinico interessa soprattutto il valore del colesterolo Ldl, il cosiddetto “cattivo”, e i limiti considerati normali di questo valore sono diversi da persona a persona” in relazione al profilo di rischio cardiovascolare individuale. Il colesterolo è un grasso che non “viaggia” nel sangue ma viene trasportato dalle lipoproteine ed è un componente fondamentale delle membrane cellulari. Le lipoproteine ad alta densità, Hdl, rappresentano il cosiddetto colesterolo “buono”. Le lipoproteine a bassa densità, Ldl, formano il colesterolo “cattivo”, poiché nel loro tragitto verso i tessuti possono depositarsi sulle arterie e sui vasi, contribuendo alla formazione di placche aterosclerotiche rendendole tra l’altro più vulnerabili e mettendo a serio rischio la salute cardiovascolare. “Sono diversi i fattori alla base dell’ipercolesterolemia: un ruolo importante è legato alla genetica e alla familiarità – continua l’esperto – ma altrettanto importante è la componente ambientale, determinata dall’interazione tra patrimonio genetico e tutto quello che proviene da stili di vita e alimentazione. Da non sottovalutare, infine, la correlazione con il sistema ormonale, specie nelle donne in fase di climaterio e menopausa”. Tutte queste componenti, presenti in misura diversa, possono contribuire a determinare il rischio di patologie cardiovascolari, come infarti e forme gravi di angina a livello coronarico. Il rischio è inoltre significativo per le malattie che coinvolgono il sistema vascolare, come ictus e ischemie, ostruzione delle arterie, comprese le arterie addominali, problemi nella circolazione cerebrale. “Eventi come infarti o ictus possono essere ridotti se si attivano strategie di prevenzione e percorsi terapeutici ad hoc per i pazienti a rischio – afferma il professor Volpe – oggi non ci si accontenta più di un ‘effetto cosmetico’ dei farmaci. Le cure devono ridurre drasticamente la morbilità e la mortalità. Proprio in questa direzione vanno i trattamenti a base di statine che agiscono sul metabolismo cellulare del colesterolo”. “C’è ancora tanto da fare sulla percezione dei rischi legati all’ipercolesterolemia – conclude il Presidente della SIPREC – Per questa ragione la nostra attività si concentra molto sull’educazione e la corretta informazione. Una buona prevenzione è fondamentale non solo per tutti i cittadini ma anche per la sostenibilità futura del Servizio Sanitario Nazionale. Aggiungo che sarebbe auspicabile prevedere screening periodici dei livelli di colesterolemia sulla popolazione, in collaborazione con il territorio e le farmacie. Può bastare un semplice prelievo anche di poche gocce di sangue per intercettare una persona ad alto rischio ed arginare in tempo il rischio di incorrere in patologie cardiovascolari gravi”.

Italiani sempre più allergici. Colpa anche del cambiamento climatico

Italiani sempre più allergici. Colpa anche del cambiamento climatico


Italiani sempre più allergici. Colpa anche del cambiamento climatico – askanews.it



Italiani sempre più allergici. Colpa anche del cambiamento climatico – askanews.it


















Roma, 23 mar. (askanews) – Entro la metà di questo secolo, gli esperti stimano che oltre il 50% della popolazione sarà allergica e non si profilano miglioramenti nello scenario futuro. Esordisce così Lorenzo Cecchi, Presidente AAIITO (Associazione Allergologi e Immunologi Territoriali e Ospedalieri), nel suo intervento all’evento stampa di Assosalute, Associazione nazionale farmaci di automedicazione, parte di Federchimica, intitolato: “Allergie respiratorie e clima: cosa sta cambiando e cosa sapere”. “Attualmente, secondo l’Accademia Europea di Allergologia e Immunologia Clinica (EAACI), sono 100 milioni i cittadini europei che soffrono di rinite allergica e 70 milioni di asma”, prosegue, “due malattie spesso associate, tanto che possiamo affermare che oltre il 90% degli asmatici ha anche la rinite e metà delle persone che hanno la rinite hanno l’asma in diverse gravità”.

Poiché le allergie respiratorie sono provocate da allergeni che entrano in contatto con l’organismo attraverso l’aria respirata, la correlazione tra inquinamento atmosferico/smog e aumento delle patologie allergiche è immediata: “Ciò è dovuto alla sinergia dannosa tra inquinanti, pollini e allergeni. Gli inquinanti, da un lato, danneggiano la mucosa e facilitano la maggiore penetrazione dei pollini e, dall’altro, aumentano l’allergenicità degli stessi”, sottolinea l’esperto. A questo si aggiungono gli effetti dei cambiamenti climatici, in particolare l’aumento della temperatura, che influisce, anticipando le stagioni di fioritura delle piante, come betulla e cipresso, e prolungando, ad esempio, quella delle graminacee e della parietaria. “L’inquinamento”, commenta Cecchi, “contribuisce al danneggiamento della cosiddetta ‘barriera epiteliale’, un muro fatto di mattoni dove al di sotto si trova il sistema immunitario, come se fosse uno scudo che filtra ciò che arriva dall’esterno, limitando il numero di sostanze che entrano in contatto col sistema immunitario. Le sostanze che l’uomo ha introdotto nell’ambiente negli ultimi 60-70 anni, circa 350.000, provocano la sconnessione di questi mattoni e la conseguente penetrazione di allergeni, sostanze inquinanti, irritanti e microorganismi, inclusi i batteri. Alcuni di questi ultimi abitano sopra la barriera epiteliale e contribuiscono all’equilibrio con il sistema immunitario. Il danneggiamento della barriera epiteliale provoca e alimenta l’infiammazione, che è la fonte di malattie allergiche ma anche di altre malattie croniche.” Per evitare questa “sconnessione” del muro e queste eccessive infiltrazioni, è necessario, ribadisce Cecchi, impegnarsi per ridurre le sostanze che generano inquinamento outdoor e indoor. Nonostante sia indiscutibile la predisposizione genetica alle allergie respiratorie, è possibile anche affermare, proprio a causa dell’ambiente circostante, che si può diventare allergici. A corroborare questa tesi, “la cosiddetta ipotesi igienica, secondo cui le persone in contatto con gli agenti patogeni hanno meno probabilità di essere allergici, come ampiamente studiato nei bambini che nascono in contesti rurali rispetto ai loro coetanei che vivono in città”. “In pratica”, spiega il medico, “nell’ambiente rurale si mantiene maggiormente l’equilibrio tra batteri dell’ambiente e il nostro sistema immunitario, equilibrio che si è realizzato in milioni di anni di convivenza. Questo spiega perché nel mondo occidentale ci sono più malattie allergiche rispetto ad altri Paesi meno sviluppati”. Sono i bambini i più esposti alle allergie respiratorie, al contrario di altre allergie: “Oltre 1 su 3 presenta almeno un episodio di respiro affannoso acuto prima dei 3 anni di età e, spesso, nella forma di respiro sibilante o wheezing: questo perché i bambini vengono esposti a quegli stimoli ambientali che rappresentano i fattori di rischio per l’insorgenza di malattie allergiche nella fase di sviluppo del loro sistema immunitario”. Anche per gli adulti, però, è fondamentale la prevenzione attraverso l’adozione di uno stile di vita sano, ricco di antiossidanti, e attraverso l’informazione, rimanendo aggiornati sui sistemi di previsione e quelli di monitoraggio ambientale, sia per i pollini che per gli inquinanti, su siti ufficiali. Più delicato è il discorso sull’attività sportiva: “anche se le cure di oggi oramai permettono di svolgere qualsiasi tipo di attività fisica, vi sono alcuni tipi di sport che richiedono maggiore attenzione, come il ciclismo, che espone lo sportivo ad alte concentrazioni di pollini”. Attenzione, poi, per gli allergici, sia adulti che bambini, anche agli allergeni indoor, come gli acari della polvere e la forfora degli animali da compagnia: “utilizzare”, suggerisce il Dottore, “per materassi e cuscini fodere anti-acari, lavare gli animali una volta alla settimana e tenerli lontano da divani, mobili imbottiti, camere da letto”.

Iss: mamme attente ma bimbi 0-2 esposti a fumo passivo e device

Iss: mamme attente ma bimbi 0-2 esposti a fumo passivo e device


Iss: mamme attente ma bimbi 0-2 esposti a fumo passivo e device – askanews.it



Iss: mamme attente ma bimbi 0-2 esposti a fumo passivo e device – askanews.it



















Roma, 23 mar. (askanews) – La maggioranza delle mamme, oltre 9 su 10, ha riferito di non aver fumato durante la gravidanza e oltre 8 su 10 di non aver consumato bevande alcoliche. Tuttavia, sono ancora troppi i bambini (38%) potenzialmente esposti a fumo passivo a causa della presenza di almeno un genitore e/o altra persona convivente fumatrice. Inoltre, se è vero che più del 90% delle mamme ha assunto acido folico in gravidanza, è altrettanto vero che solo un terzo (32,1%) lo ha fatto in maniera appropriata a partire da un mese prima del concepimento. Ancora: tra gli 11 e i 15 mesi, oltre la metà dei piccoli è esposta già a schermi, tra TV, computer, tablet o cellulari; nella stessa fascia d’età, oltre un terzo delle mamme trova difficile farli stare, in auto, nel seggiolino ben allacciati. Sono questi alcuni dei risultati, presentati oggi presso l’Istituto Superiore di Sanità, del Sistema di Sorveglianza 0-2 anni sui principali determinanti di salute del bambino – Sorveglianza Bambini 0-2 anni – promosso dal Ministero della Salute e coordinato dall’ISS, realizzato in collaborazione con le Regioni.

“Investire nelle prime epoche della vita significa favorire ricadute positive lungo tutto l’arco dell’esistenza, non solo nel singolo ma nell’intera comunità, sia in termini di salute che di sviluppo di competenze cognitive e sociali e di accesso a percorsi educativi e professionali – afferma Giovanni Capelli, Direttore del Centro Nazionale per la Prevenzione delle Malattie e la Promozione della Salute dell’ISS – I risultati dell’edizione 2022 della Sorveglianza mostrano che i comportamenti favorevoli al pieno sviluppo psico-fisico dei bambini non sono sempre garantiti ed evidenziano differenze territoriali e socio-economiche meritevoli di attenzione in un’ottica di salute pubblica”. Dalla Sorveglianza – che ha coinvolto un totale di oltre 35.000 mamme intervistate nei Centri Vaccinali delle Regioni partecipanti – viene fuori che due terzi delle mamme (66,7%) è consapevole di dover mettere a dormire il proprio bambino a pancia in su per prevenire la morte improvvisa in culla e che tre quarti delle mamme (76,1%) intende vaccinare i propri figli ricorrendo sia alle vaccinazioni obbligatorie che a quelle raccomandate. Il 13% dei bambini non è mai stato allattato e sono ancora pochi quelli allattati in maniera esclusiva per il tempo raccomandato dall’OMS: il 46,7% nella fascia d’età 2-3 mesi che si riducono al 30% nella fascia 4-5 mesi.

Troppi i bambini che passano del tempo davanti a TV, computer, tablet o cellulari già a partire dai primi mesi di vita: il 22,1% nella fascia 2-5 mesi, percentuale che cresce all’aumentare dell’età fino ad arrivare al 58,1% tra i bambini di 11-15 mesi. La quota di bambini a cui non sono stati letti libri nella settimana precedente l’intervista risulta pari al 58,3% nella fascia d’età 2-5 mesi, e al 32,6% tra i bambini di 11-15 mesi. Il 12,4% delle mamme di bambini di 0-2 anni ha riferito di essersi rivolta a pediatra o pronto soccorso per incidenti occorsi al bambino. Il 19,3% delle mamme di bambini di 2-5 mesi riferisce di avere difficoltà nel farli stare seduti e allacciati al seggiolino, quota che sale al 34,4% tra le mamme di bambini di 11-15 mesi.

Schillaci: stipendi più alti e chance di carriera per gli infermieri

Schillaci: stipendi più alti e chance di carriera per gli infermieri


Schillaci: stipendi più alti e chance di carriera per gli infermieri – askanews.it



Schillaci: stipendi più alti e chance di carriera per gli infermieri – askanews.it



















Roma, 21 mar. (askanews) – “La carenza di personale è un tema prioritario”, perché “veniamo da decenni di definanziamento della sanità, di cui hanno fatto le spese in modo drammatico anche gli infermieri, che nel sistema dell’assistenza hanno un ruolo centrale, insostituibile. Da parte del Governo c’è la massima attenzione e la volontà di dare risposte chiare in tempi brevi”. Lo dice il ministro della Salute Orazio Schillaci in un’intervista appena pubblicata su Nursind Sanità (www.nursindsanita.it). Secondo Schillaci per rendere più attrattiva la professione infermieristica bisogna da una parte rivalutare “il trattamento economico” e dall’altra valorizzarla “dentro una rete assistenziale potenziata, che permetta anche una migliore organizzazione del lavoro”. Lo scopo è rendere quest’ultimo “più gestibile, senza più turni massacranti e con il rischio che questi possano ripercuotersi sulla qualità dell’assistenza”. “Anche per quanto riguarda gli infermieri – prosegue il ministro – è importante programmare bene gli accessi ai percorsi di studio, avendo come punto di riferimento il fabbisogno del personale, con attenzione all’offerta universitaria e alla formazione specialistica. Allo stesso tempo, non trascuriamo l’importanza delle prospettive di carriera”. Il ministro si è soffermato poi sul tema caldo delle aggressioni ai sanitari “in particolare nei Pronto soccorso” definendole “inaccettabili” e aggiungendo: “Il lavoro portato avanti dal Tavolo dedicato ai Ps e dall’Osservatorio nazionale sulla sicurezza dei professionisti della sanità ci consentirà di avere un quadro più chiaro per intervenire a tutela della loro incolumità”. A proposito del Pnrr e dell’assistenza territoriale, infine, Schillaci spiega: “L’obiettivo è avere una rete territoriale moderna, fortemente integrata e in grado di garantire a tutti equità di accesso alle cure. È evidente che occorre accompagnare questo processo con investimenti sul personale. Siamo al lavoro per potenziare gli organici e, se serve – conclude -, saremo pronti ad agire ulteriormente sui vincoli di spesa per consentire alle Regioni di rafforzare i loro servizi sanitari”.

Giornata Sindrome Down, più di 800 bambini seguiti al Bambino Gesù

Giornata Sindrome Down, più di 800 bambini seguiti al Bambino Gesù


Giornata Sindrome Down, più di 800 bambini seguiti al Bambino Gesù – askanews.it



Giornata Sindrome Down, più di 800 bambini seguiti al Bambino Gesù – askanews.it



















Roma, 21 mar. (askanews) – Sono più di 800 i bambini e ragazzi seguito presso il Centro dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù dedicato alla sindrome di Down (o Trisomia 21), una condizione che interessa circa 40.000 persone solo in Italia, 1 bambino ogni 1.200 nati. In occasione della Giornata Mondiale del 21 marzo, l’Ospedale sottolinea l’importanza di un approccio multidisciplinare imperniato sulla centralità del bambino con sindrome di Down e di appositi percorsi clinici di transizione dall’età pediatrica a quella adulta. Dalla ricerca, nel frattempo, arrivano nuove prospettive di cura per i casi di regressione, una manifestazione della Trisomia 21 che comporta la perdita rapida e anomala delle abilità di pensiero, di socializzazione e delle abilità necessarie per condurre le attività quotidiane. Il Centro dedicato del Bambino Gesù segue attualmente più di 800 bambini e ragazzi con sindrome di Down provenienti da tutte le Regioni d’Italia, prevalentemente da quelle centro-meridionali. Il servizio offre, in regime di day hospital e ambulatoriale, un percorso dedicato clinico-diagnostico effettuato da un team multispecialistico per fornire una assistenza “centrata sulla persona” e per facilitare le famiglie, effettuando tutti i controlli e le cure specialistiche coordinati sempre dalla stessa équipe. La sindrome di Down interessa circa 40.000 persone solo in Italia, 1 bambino ogni 1.200 nati. Si tratta di una sindrome che, a oggi, non ha una cura che consenta di guarire. Ma i progressi della medicina degli ultimi anni e una presa in carico precoce possono garantire, oggi, delle prospettive e una qualità della vita inimmaginabili fine a poco tempo fa.

L’Istituto Bambino Gesù per la salute del bambino e dell’adolescente ha dedicato ai bambini con sindrome di Down un numero speciale di quasi 100 pagine del magazine digitale “A scuola di salute”. Dalle cause, alle comorbidità passando per il linguaggio “corretto” da usare. Le raccomandazioni della guida sono ispirate anche a quelle elaborate dalla Accademia Americana di Pediatria, adottate da tutti i Centri dedicati all’assistenza delle persone con sindrome di Down, per assicurare le cure migliori a questi bambini. La continuità assistenziale è fondamentale per garantire una buona qualità di vita alle persone con sindrome di Down e alle loro famiglie. Superati i 18 anni di età le persone con sindrome di Down e le loro famiglie, seguito fino a quel momento da appositi Centri pediatrici, si ritrovano spesso a girovagare da uno specialista all’altro, senza avere più un punto di riferimento. Per questo il Bambino Gesù lo scorso ottobre ha siglato un accordo di collaborazione con il Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS al fine di assicurare loro una continuità di cure e tutta l’assistenza – a volte molto complessa – di cui hanno bisogno nella transizione dall’età pediatrica a quella adulta.

Negli ultimi decenni è cresciuto l’interesse e la consapevolezza verso una nuova entità clinica, definita regressione (URDS-unexplained regression in Down syndrome), in alcuni pazienti con la sindrome di Down (SD). La regressione è una perdita rapida e anomala delle abilità di pensiero, di socializzazione e delle abilità necessarie per condurre le attività quotidiane. Può anche associarsi alla comparsa di comportamenti dannosi. Dal 2017, un gruppo internazionale di clinici specializzati ha creato un database contenente dati sui sintomi, sulle indagini mediche e sulla gestione clinica, di pazienti con regressione e controlli appaiati per età e per sesso. Il Bambino Gesù ha partecipato a uno studio in collaborazione con altri centri americani che si occupano della cura delle persone con sindrome di Down che ha coinvolto 51 pazienti con regressione. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista scientifica American Journal of medical genetics.

Lo studio ha dimostrato come le caratteristiche diagnostiche differivano nettamente tra i casi di regressione e il gruppo di controllo. Rispetto al gruppo di controllo controlli, i pazienti con regressione avevano un numero di disturbi psichici quattro volte superiore, un numero di fattori di stress sei volte superiore e un numero di sintomi depressivi sette volte superiore. Per quanto riguarda la gestione clinica sono stati confrontati i tassi di miglioramento con la terapia elettroconvulsiva, con la somministrazione di Immunoglobuline endovena (IVIG) e altre terapie. Il trattamento con IVIG è stato significativamente associato ad un più alto tasso di miglioramento clinico.

«I dati dimostrano che la regressione è trattabile con diverse forme di gestione clinica e ha un decorso variabile – spiega la dottoressa Diletta Valentini, responsabile del Centro sindrome di Down del Bambino Gesù – Il nostro studio pone le basi per ricerche future, come lo sviluppo di misure dei risultati oggettive e standardizzate, e la creazione di una linea guida per la gestione clinica della regressione».