Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Un podcast multilingue per la Collezione Peggy Guggenheim

Un podcast multilingue per la Collezione Peggy GuggenheimVenezia, 28 nov. (askanews) – Un podcast multiculturale per raccontare quattro opere della Collezione Peggy Guggenheim di Venezia attraverso lo sguardo di persone con un passato migratorio chiamate ad avvicinarsi, con le loro storie e le loro voci a Boccioni, Kandinskij, Magritte e Mirò. È “C’era una volta”, progetto ideato dal museo in collaborazione con MILE, Museums and Innovation in Language Education dell’Università Ca’ Foscari e realizzato da studenti e studentesse provenienti dal Centro Provinciale Istruzione Adulti veneziano.

“È un progetto che funziona su vari livelli – ha detto ad askanews la direttrice della Collezione Guggenheim, Karole P.B. Vail – prima di tutto siamo sempre molto contenti di collaborare con l’università di Venezia, in particolare per un bellissimo progetto di inclusività. Credo che sia veramente molto bello e molto curioso poter imparare l’italiano nel museo, con il museo e con le sue opere”. Realizzato nell’ambito del programma di inclusione sociale “Io vado al museo”, il podcast è stato poi registrato, partendo dalle sensazioni suscitate dalle opere, negli studi di Radio Ca’ Foscari. “Sono venuti in museo – ci ha spiegato Michela Perrotta, coordinatrice dei programmi per scuole e il pubblico della Peggy Guggenheim – hanno osservato quattro opere d’arte e, partendo da queste quattro opere hanno inventato delle storie: le hanno raccontate, creando questo podcast, nelle loro lingue madri e ne è venuto fuori una cosa bellissima: quattro racconti plurilingue di quattro storie del tutto inventate quindi abbiamo fatto anche un esercizio di scrittura creativa, e queste storie possono essere ascoltate anche da altre persone straniere che si possono in qualche modo avvicinare alla Collezione Peggy Guggenheim grazie a questi racconti”.

Le storie sono state scritte e raccontate in italiano con incursioni nelle lingue madri dei narratori: albanese, arabo, azero, bangla, fiammingo, francese, inglese, italiano, pashto, portoghese, rumeno, spagnolo, tagalog, ucraino, urdu, ma anche napoletano e veneziano. “L’approccio che è stato adottato – ci ha detto Claudia Meneghetti, del MILE – Museums and Innovation in Language Education dell’Università Ca’ Foscari – è quello del translanguaging, che consiste nel portare dentro la classe, e in questo caso dentro il museo, una serie di pratiche che già accadono fuori nel mondo, ed è semplicemente l’utilizzo di tutte le lingue che conosciamo mentre comunichiamo”. Lingue che in un certo senso restituiscono anche una possibile voce del museo, popolato di opere di artisti che venivano da culture e Paesi diversi e che adesso negli occhi e nelle parole delle persone ritrovano una dimensione viva e presente. Realmente contemporanea.

”L’Espressionismo del suono”, la mostra personale di Antonella Benanzato

”L’Espressionismo del suono”, la mostra personale di Antonella BenanzatoRoma, 16 nov. (askanews) – Il suono come matrice e ricerca intrecciato al colore sono il substrato fondamentale delle opere di Antonella Benanzato, artista le cui opere sono in mostra nella personale dal titolo “L’Espressionismo del suono” che viene inaugurata il 18 novembre alle ore 18.30 allo Spazio Anna Breda Gallery in via San Fermo, 51 a Padova. Artista a tutto tondo, Benanzato oltre che pittrice informale, è anche musicista e compositrice. Le opere in mostra, la maggior parte inedite, rappresentano la sintesi di una ricerca tra musica colore e meditazione che da anni l’artista porta avanti in continua sperimentazione ed evoluzione. Antonella Benanzato ha esposto le sue opere in Italia, nelle principali capitali europee e negli Stati Uniti.

“La mia ricerca – racconta Antonella Benanzato – si muove in parallelo tra pittura, musica e stati non ordinari di coscienza, nel caso specifico la meditazione. Per me, da sempre, colore e musica sono tutt’uno. Ogni immagine, ogni colore per me ha un suono, ha una tonalità, una luce, una forma di movimento nello spazio…” Scrive ancora Antonella Benanzato spiegando la sua opera: “Il mio rapporto col colore e il suono è fondamento. Il colore attrae perché magnete di uno stato d’animo e di una particolare vibrazione mentale e sensoriale. La minore o maggiore sensibilità a un determinato spettro cromatico implica la sintonia di mente e corpo su una precisa frequenza e onda cerebrale. La musica e il suono viaggiano su di una gamma di vibrazioni e anche il colore stesso vibra. Ecco perché colore e musica riescono a influenzare la visione. In particolare, la musica nella sua combinazione di note è in grado di generare immagini che il cervello elabora. La pittura, quindi, è il tramite, il medium, attraverso il quale note musicali e colori varcano la dimensione percettiva più profonda. Nel dettaglio del colore infinitesimale si cela un microcosmo completo e indipendente simile, in qualche aspetto, a quello che interessa la struttura molecolare della materia e dell’atomo.Per dirla in termini semplicistici o forse azzardati, nel colore si potrebbe trovare traccia del nostro Dna mentale”.

Paolo Coltro nella sua introduzione al catalogo della mostra “Cromogonie – Ritratto del paesaggio interiore” che si è tenuta nel 2018, scrive: “Le tele sono grandi, grandi da non poter stare su un cavalletto. Così stanno per terra, come quasi tutto ciò che nasce, e sarà fisico questo movimento dell’esistere, dall’orizzontale fino ad essere in piedi e poi in alto. E’ un cammino lento e soprattutto simbolico, è la conquista della luce: prima elemento esterno che accarezza indistinta, poi via via catturata e intrappolata consapevolmente, parte di un corpo, circolazione sanguigna che lo rende vivo ai nostri sguardi. Non c’è, tutta quella luce, nella fase iniziale della nascita, ma la conquista man mano si annuncia, e l’artista apre strade a questa luce che sarà la voce finale, canto o urlo che sia. Queste tele ripercorrono la storia dell’evoluzione umana, la conquista della stazione eretta: in piedi diventano altro, raggiungono una personalità compiuta, agiscono. Su di noi”. E ancora: “Antonella Benanzato sovrappone ad uno strato primigenio di cementite (una base solida, niente increspature, niente flessibilità, quasi un muro) strati e strati di pittura, con colori ad olio. Un colore diverso ad ogni strato, che copre quello precedente. E’ un progetto sempre in divenire, possono passare settimane tra una mano e l’altra, e ogni volta l’aspetto è quello di un monocromo. Ma, sotto, si sta formando la miniera. Sarà anche tecnica, ma è un percorso cognitivo: prima di somma, poi di sottrazione. “All’inizio non so quale sarà il risultato finale», perché il lento crescere della creatività ha la sua esplosione nell’atto finale. Il quale atto finale è scavare, togliere, di fatto scoprire ciò che prima ad ogni passaggio si è celato. Ma perché la «scoperta», cioè la rivelazione, sia guidata dal pensiero occorre ben sapere quali siano le anime via via sovrapposte, e la loro forza e delicatezza, e la capacità di convivere e stare – finalmente sullo stesso piano – con altre anime. La pittrice toglie veli, in fondo è l’essenza di un transfert spirituale”.

Antonella Benanzato è pittrice astratta informale, musicista e giornalista professionista. Nella creazione dei suoi pezzi molto spesso di grandi dimensioni, Antonella impiega tecniche miste tra oli, pastelli ed inchiostri. Le sue tele sono caratterizzate da scrabbing come per intravedere cosa ci può essere sotto i muri passati e ripassati nel tempo.

Venezia, il catalogo come opera d’arte: una mostra al Teatrino

Venezia, il catalogo come opera d’arte: una mostra al TeatrinoVenezia, 14 nov. (askanews) – I libri e l’arte; i cataloghi che a loro volta si trasformano in opere; la relazione tra editoria e avanguardia. Il Teatrino di Palazzo Grassi ospita una mostra intitolata “How to put art in a book” e curata da Leonardo Sonnoli e Irene Bacchi, che dimostra come, negli ultimi sessant’anni, i mondi dell’arte e del design grafico si siano spesso incrociati e influenzati.

“Questa mostra di un po’ più di 50 opere, soprattutto libri – ha detto ad askanews il direttore di Palazzo Grassi, Bruno Racine – contiene dei pezzi quasi unici, ed è anche l’occasione per avere diversi punti di vista sui rapporti fra l’editoria e l’arte e anche di ammirare libri quelli di Yves Klein o Duchamp, che sono molto molto difficili da trovare”. Nel foyer del Teatrino, con allestimento di Massimo Curzi, si possono indagare le costanti intersezioni tra il catalogo e le opere, tra il libro e la sua valenza che va al di là dell’essere un oggetto solo editoriale.

“How to put art in a book – ha aggiunto la curatrice Irene Bacchi – è una selezione di 20 libri, sono dei cataloghi di mostra che, non in ordine cronologico hanno lo scopo di mostrare degli esempi di come poter inserire in maniera originale l’arta all’interno di un libro, quindi la nostra selezione è 20 modi originali di presentare un catalogo d’arte. Nel corso del tempo alcuni di questi sono diventati poi libri d’artista. Alla nostra selezione poi si aggiungono sei ospiti di cui due sono curatori, due designer e due artisti a completare una visione più generale di questa selezione di cataloghi”. Questi ospiti sono i curatori Luca Massimo Barbero e Salvatore Settis; i designer editoriali Irma Boom e Tony Brook e gli artisti AA Bronson e Taryn Simon, che nel proprio lavoro tengono in grande considerazione l’oggetto libro. Ciascuno di loro ha scelto una serie di titoli, per un totale di 37 volumi che vanno ad arricchire l’esposizione veneziana, aperta al pubblico fino a domenica 19 novembre.

The Demo Waro show: a Padova la bipersonale di Francesco De Molfetta e Waro

The Demo Waro show: a Padova la bipersonale di Francesco De Molfetta e WaroPadova, 14 nov. (askanews) – Il Neopop italiano declinato in una bipersonale che vede protagonisti due esponenti di rilievo nazionale e internazionale della corrente artistica post warholiana: Francesco De Molfetta in arte Demo (il maestro) e l’allievo e enfant prodige Waro. A Padova arriva The Demo Waro show, ed è come se due rockstar della pop-art contemporanea salissero sul palco della città del Santo imbracciando chitarre elettriche che fanno ricadere una pioggia di watt vivificante. I due artisti rappresentano, cronologicamente, una continuazione nella ricerca artistica del manufatto pop. Il vernissage è fissato per venerdì 17 novembre alle 18.30 presso la galleria Giorgio Chinea Art Cabinet.

Due approcci differenti per un unicuum concettuale. Maestro e allievo si misurano sulla stessa lunghezza d’onda appropriandosi, ciascuno secondo la propria sensibilità, di un percorso che li ha visti uniti in una proposta artistica originale. Da un’idea di Demo e Waro, Giorgio Chinea Canale realizza la sua prima azione pubblica come performer, il gallerista verrà quindi “controcurato” dai due artisti nella sua “Penultima Performance”. “Con l’arrivo di Demo e Waro alla Giorgio Chinea Art Cabinet di Padova – spiega il curatore e gallerista, Giorgio Chinea Canale – assistiamo al ritorno di un grande autore nazionale del Neopop italiano in città: Demo, un divo, un asso nella manica. Waro, invece, incarna la fresca novità, il prodigio, l’astro nascente. ‘The Demo Waro Show’ è probabilmente la mia bipersonale più ardita e iconica”.

Per Giorgio Chinea Canale e il suo Art Cabinet la parola d’ordine è gioco, leggerezza come antidoto a un presente che stravolge e immobilizza. Il Neopop, invece, è colore, energia, ironia dello sguardo e percezione di un futuro possibile. “Demo e Waro sono due rockstar dell’oggettualità polisemica e della scena pop più surreale. A Padova ho voluto portare la mia ricerca continua orientata dal mio gusto personale che si esplica nella mia poetica e nella mia personale linea curatoriale. Sempre attenta alle dinamiche dei mercati e alla ricerca dei veri talenti. Sono un gallerista, non un mercante ma soprattutto sono il mio primo collezionista”. Ottimista con un faro sempre acceso sulle nuove tendenze, Chinea Canale fa appello a un nuovo corso per Padova e per l’arte italiana in generale. Dopo il buio pandemico del 2020, la luce deve invadere e pervadere una città dalle innumerevoli bellezze e potenzialità. “Fare il gallerista a 35 anni in una città di provincia italiana è stata la cosa più difficile”, ammette Chiena. Il giovane gallerista ha, però, in serbo nel suo arco una freccia che scoccherà veloce a Cortina d’Ampezzo dove curerà una grande mostra Neopop per il Museo Rimoldi. “Sarà un grande ritorno – annuncia – sto chiamando tutti i più grandi nomi della scena Neopop nazionale per una grande collettiva: Il NeoPop è il mio feticcio totale, fuoco sacro e passione come curatore, come esteta e infine come gallerista”.

Biennale Musica, strumenti che allargano lo spettro del suono

Biennale Musica, strumenti che allargano lo spettro del suonoVenezia, 27 ott. (askanews) – Strumenti musicali inediti che si attivano da soli per generare quello che viene definito un “magma” musicale, prima che sulla scena arrivino dei performer in grado di dare un ordine, o per lo meno uno struttura, all’indistinto di quei suoni per ampliare lo spazio della musica e le sue possibilità. È lo spettacolo “Machines inside me” che Fabio Machiavelli ha presentato alla Biennale Musica nell’ambito del progetto College.

“L’inizio – ha spiegato Machiavelli ad askanews – è sempre un’idea musicale che io ho, sono diverse idee che io sto sviluppando negli anni, che mi sono accorto non era possibile sviluppare pienamente con degli strumenti ordinari o quelli più comunemente conosciuti, e anziché cercare di modificare quegli strumenti, a un certo punto ho deciso che il miglior compromesso era quello di andarmi a costruire degli strumenti personali che potessero produrre i tipi di sonorità e il tipo di controllo sul suono che serviva per i miei brani”. Il risultato è uno spazio sonoro complesso, a tratti disturbante nella sua stranezza, ma il più delle volte capace di trasmettere l’idea che il suono esiste, fa parte del mondo che abitiamo, della sua chimica profonda, in un certo senso. Il punto è la sua gestione da parte del compositore.

“L’obiettivo – ha aggiunto Machiavelli – è poter andare a controllare il suono in modi che di solito non è possibile. Questo perché solitamente gli strumenti sono costruiti per suonare all’interno della scala di note che produce il pianoforte. Quando provi ad andare al di fuori di questo schema diventa un po’ complicato e quindi chiedi uno sforzo ai performer. Costruendo gli strumenti è possibile semplificare la produzione di quei suoni che non sono all’interno di quei range specifici, di quelle scale specifiche”. Questo fa, in senso più largo e quando funziona al meglio, la Biennale di Venezia come istituzione: avvicina concetti culturali, ma anche politici ovviamente, che normalmente sono fuori dallo spettro percepito, li rende presenti, li rende reali. Ecco, questa misura di realtà che si concede a suoni – ma vale per moltissimi altri ambiti – inconsueti è il patrimonio da difendere, la partita da giocare perché la cultura possa incidere davvero su ciò che sta fuori dalle sale concerto o dagli spazi espositivi.

Venezia, in galleria Bastianello la mostra La ballata della vita

Venezia, in galleria Bastianello la mostra La ballata della vitaMilano, 22 ott. (askanews) – La galleria Marina Bastianello di Venezia ospita la mostra collettiva degli artisti Giacomo Bolzani, Beatrice Gelmetti e Paula Sunday intitolata “La ballata della vita” e curata da Francesco Liggieri, aperta fino all’11 novembre: una riflessione intima e globale sulla morte.

Ponendo l’attenzione e la domanda, in particolare, sulle motivazioni della scomparsa di questa parola dal vocabolario del quotidiano – pur essendo argomento onnipresente nella cronaca e nella comunicazione mediatica – soppiantata tuttavia da infiniti sinonimi, come protagonista di un esorcismo collettivo. Quello a cui abbiamo assistito negli ultimi decenni è un allontanamento progressivo della sua rappresentazione nella società Occidentale e della sua stessa idea nella vita sociale. Un atto a cui corrisponde, inevitabilmente, una minore consapevolezza della transitorietà e dell’impermanenza che ci accomuna, del valore stesso da dare al tempo e, in definitiva, alla vita stessa. La ricerca trae ispirazione dal libro apocrifo La vita di Adamo ed Eva, che racconta anche la morte del progenitore, e che prende forma in 12 opere; 12 come numero fondamentale nella Cabala e, nell’età degli esseri umani, un simbolo di cambiamento, della pubertà, della crescita, dell’evoluzione, attraversando passaggi della vita e immagini che parlano di fanciullezza, maturità e morte.

Il punto di partenza è il grande dipinto di Beatrice Gelmetti dal titolo summer power nap / 36 degrees che rappresenta l’immagine spensierata dell’essere bambini, la libertà di essere e vivere lontani dalle convenzioni sociali che opprimono l’età adulta. Paula Sunday rappresenta la maturità, fisica e intellettuale nel quadrittico composto dalle opere provenienti dai progetti Babilonia, S.O.B. (Solitude of Bodies) e in ultimo Diario di una doppia, ad uso singolo dove i temi della ricerca dell’artista sono uniti dalla figura del corpo femminile, strumento rivelatore di un’identità culturale e ideologia.

Il video di Giacomo Bolzani dal titolo Caravaggio era un maiale conduce alla fine del viaggio, a quel punto che si cerca di rimandare, a cui non guardare e che, si pensa, riguardi sempre gli altri e mai se stessi. Uscendo dallo spazio fisico della galleria, conclude idealmente il percorso il trittico di video ambientali di Bolzani, SENTRIES – sentinelle, Sulla possibilità di evadere e Mare d’inverno che il pubblico può visualizzare tramite QR code.

Banca Ifis accoglie appello MiC per restaurare Banksy veneziano

Banca Ifis accoglie appello MiC per restaurare Banksy venezianoVenezia, 18 ott. (askanews) – Banca Ifis ha accolto l’appello del sottosegretario alla Cultura, Vittorio Sgarbi, per restaurare il murales “Il Bambino migrante” realizzato da Banksy a Venezia. “La cultura – ha detto ha dichiarato Ernesto Furstenberg Fassio, presidente di Banca Ifis – è in grado di unire passato e futuro, creando un ponte che vive nel nostro presente. Questo ponte su Banksy, oggi, lo mettiamo noi di Banca Ifis. L’intervento di conservazione e di restauro di un’opera d’arte pubblica, così importante a livello mondiale, diventa ancor più importante per la conservazione del contenuto di comunicazione che l’artista vuole veicolare attraverso la propria opera d’arte. Così come Banksy ha creato un linguaggio nuovo che arriva dritto al cuore e alla mente dei ragazzi e di tutti noi, con metafore sul mondo in cui viviamo che sono forti e spiazzanti, attraverso l’espressione di questa arte straordinaria su suolo pubblico, noi abbiamo la responsabilità nella collaborazione tra istituzioni pubbliche e private di conservare arte e cultura a Venezia”.

“Il Bambino migrante” è una delle due sole opere di Bansky presente in Italia ed è stato realizzato dall’artista su una parete nelle vicinanze di Campo San Pantalon nel Sestiere Dorsoduro a Venezia, nella notte tra l’8 e il 9 maggio 2019. Il murales dell’artista inglese, uno dei maggiori esponenti della street art, si sta deteriorando per l’umidità, l’acqua alta e la salsedine. Condizioni che è probabile, data la sua pratica, che l’artista avesse previsto e considerato strutturali per la sua opera, ma il ministero della Cultura ritiene di avere titolo per intervenire.   Per Banca Ifis il restauro del murales di Banksy a Venezia è una delle molte iniziative a sostegno del mondo dell’arte e della cultura che per la banca sono due dei pilastri di Kaleidos, il Social Impact Lab fortemente voluto dallo stesso Fassio, per sviluppare iniziative a elevato impatto sociale in tre aree: comunità inclusive, per sostenere la crescita collettiva e la valorizzazione della diversità; cultura e territorio, per investire nella cultura come driver di sviluppo sostenibile e di inclusione; benessere delle persone, per sensibilizzare verso i temi della salute e della ricerca scientifica. Un progetto che prevede un piano di investimenti di 6 milioni di euro nel triennio 2022-24 e che ha già visto realizzate 25 iniziative sociali.

L’Arcadia di Giulio Paolini a Verona: lo spazio come filosofia

L’Arcadia di Giulio Paolini a Verona: lo spazio come filosofiaVerona, 18 ott. (askanews) – Giulio Paolini è uno di quegli artisti che ormai fanno scuola da soli, che sono diventati negli anni un mondo completo e spesso luminoso. Lo dimostra anche la mostra che, in occasione del progetto “Habitat” di ArtVerona, gli ha dedicato la Galleria d’Arte moderna della città veneta, intitolata “Et in Arcadia Ego”. Una grande sala che Paolini occupa con il suo linguaggio e la sua forma mentale, concentrandosi in particolare sul tema della mimesi. A curare l’esposizione, insieme al direttore di ArtVerona Stefano Raimondi, è stata Patrizia Nuzzo.

“Nel momento in cui si è detta la parola Habitat – ha detto la curatrice ad askanews – per me la scelta è andata subito su Giulio Paolini perché per antonomasia Paolini è l’artista che ha indagato in maniera profonda e autentica il concetto di spazio”. Geometrie, prospettive, giochi di riflessioni, filosofia, musica: il mondo di Paolini si dispone come una costellazione intorno all’installazione centrale, senza dimenticare, in una prospettiva che resta convintamente illuminista, il tema della leggerezza e del gioco. E per la Gam la mostra è anche l’occasione per dare forma più visibile a un metodo. “Attraverso questa mostra – ha aggiunto Nuzzo – siamo riusciti a concretizzare quello che per noi come istituzione pubblica è il vero concetto di fare cultura, cioè realizzare qualcosa con un artista storico, e spostare la conoscenza di qualche passo più avanti”.

La mostra veronese, che segna anche il ritorno di Paolini alla Gam dopo oltre 20 anni, resta aperta al pubblico fino al 3 marzo 2024.

Arte, tecnologia ed esseri umani: a Verona apre Spazio Vitale

Arte, tecnologia ed esseri umani: a Verona apre Spazio VitaleVerona, 17 ott. (askanews) – In occasione della fiera Art Verona ha aperto al pubblico nella città scaligera “Spazio Vitale”, luogo di cultura e confronto, di esposizioni e dialogo, che si vuole focalizzare su temi profondamente contemporanei. A presentarcelo il direttore artistico Domenico Quaranta. “Spazio Vitale – ha spiegato ad askanews – è un nuovo spazio che nasce a Verona e che intende dedicarsi alla riflessione critica sul rapporto tra tecnologia ed essere umano. Questa riflessione verrà sviluppata non solo con progetti espositivi, ma anche con momenti discorsivi, laboratori e occasioni di ricerca”.

A inaugurare lo spazio una mostra di arte digitale estremamente interessante, che racconta in modo critico il presente tanto quanto simula realtà alternative che partono da condizioni radicalmente diverse dalle nostre, con mondi possibili abitati da orchi o figure non umane. “Theo Triantafyllidis – ha aggiunto Quaranta – è un artista greco che lavora con un mezzo che lui chiama della live simulation: sostanzialmente le animazioni che vediamo non sono dei video, ma sono degli ambienti 3D all’interno dei quali una scena è monitorata da diverse videocamere che si muovono nello spazio. La mostra è intitolata Sisyphean Cycles perché l’intenzione di qui è stata quella di riunire all’interno di questo progetto quattro simulazioni che in modo diverso una dall’altra rappresentano appunto dei cicli di tortura infiniti, ma che possono produrre anche degli effetti positivi come il lavoro principale alle mie spalle, BugSim, che è sostanzialmente un microsistema monitorato dallo spettatore e da una figura aliena”.

È chiaro che l’arte contemporanea non è solo questo tipo di opere, ma è altrettanto chiaro che qualsiasi discorso che oggi vuole provare ad abbracciare tutta la scena non può prescindere dal confronto con esperienze come quella di Triantafyllidis e la nuova idea di “realtà” che veicolano, al di là di ogni considerazione legata al mercato.

La lezione seria e leggera di Bruno Munari da Eataly Art House

La lezione seria e leggera di Bruno Munari da Eataly Art HouseVerona, 16 ott. (askanews) – Sperimentare, inventare, cambiare le regole, senza mai prendersi troppo sul serio. Eataly Art House a Verona ospita una mostra di Bruno Munari, a 25 anni dalla morte, per raccontare la sua perdurante eredità artistica. E già ili titolo, come ci ha raccontato il curatore Alberto Salvadori, è una sorta di interpretazione: “La leggerezza dell’arte”. “La leggerezza – ha detto Salvadori ad askanews – è intesa come la capacità di arrivare in profondità in maniera soave, lieve e intelligente. Giocare, fare, non contemplare, ma essere attivi, essere parti definitive di un processo creativo”.

La mostra, che è curata anche da Luca Zaffarano, vuole indagare i processi creativi che sono alla base della poetica di Munari e lo fa offrendo un catalogo ampio della tante e diverse forme espressive che la hanno alimentata, rendendola unica e difficile da incasellare nelle definizioni. “Bruno Munari – ha aggiunto Salvadori – è un artista, ma è molto più che un artista, è una delle poche menti leonardesche del Novecento Italiano, è un designer, è un grafico, è un cineasta, è tutto, è un autore di libri per bambini, è colui che ci ha messo in mano degli oggetti che sono rimasti per generazioni e diventati quasi oggetti di culto”. Dinamismo, forme, luce, percezioni, trasportabilità: tutti elementi che la mostra di E.ART.H. ripropone nel loro divenire, accanto ovviamente agli oggetti di design e alla grafica. Per arrivare anche alla realizzazione del “Risotto Verde”, ispirato proprio a una ricetta di Munari nel libro “Da cosa nasce cosa”. Anche questa è una delle manifestazioni del talento dell’artista, che resta in mostra a Verona fino al 31 marzo 2024.

Contestualmente nello spazio di Eataly è aperto anche un nuovo progetto espositivo dedicato alla scena emergente italiana che accende un focus sulla produzione pittorica contemporanea attraverso l’opera di nove giovani artisti: “Première”, a cura di Luca Beatrice, con Giorgia Alchilarre, assistente alla curatela.