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Rapporto Coop, overworking e risparmio: così italiani difendono tenore vita

Rapporto Coop, overworking e risparmio: così italiani difendono tenore vitaMilano, 10 set. (askanews) – La parola chiave con cui gli italiani fanno i propri acquisti è il risparmio, di gran lunga il primo criterio di scelta sia che si tratti di un capo d’abbigliamento che di un’auto mentre la casa di proprietà resta un miraggio. E questo anche in un contesto di recupero dei redditi che spingono i consumi tornati, in termini reali, ai livelli pre-pandemia (+0,3% nel 2023 rispetto al 2019). A scattare la fotografia dei comportamenti d’acquisto degli italiani il “Rapporto Coop 2024 – Consumi e stili di vita degli italiani di oggi e di domani” redatto dall’Ufficio studi di Ancc-Coop (Associazione nazionale cooperative di consumatori-Coop).


Dietro questo timido recupero però c’è un prezzo pagato dagli italiani perchè per difendere il proprio tenore di vita nel 2023 sono stati costretti a lavorare un miliardo e mezzo di ore in più rispetto a cinque anni fa. L’overworking è infatti la leva principale che sono stati costretti a muovere per ottenere redditi reali di poco superiori a quelli di 5 anni fa. Se è vero infatti che il potere di acquisto nel nostro Paese ha recuperato i livelli pre-pandemia e che oggi più di ieri sono diminuiti gli italiani che hanno vissuto situazioni di disagio profondo (l’ammettevano 20 milioni di persone nel 2022 rispetto ai 12 milioni di oggi) e che le famiglie in difficoltà ad affrontare una spesa imprevista di 800 euro passano dal 45% del 2023 al 33%, restano comunque ampie le difficoltà sociali del Paese. E anche questa faticosa tenuta è avvenuta al prezzo di un aumento delle ore lavorate. Ma le differenze tra i settori economici sono alte. Ad esempio, i redditi per occupato dei lavoratori della sanità sono calati dell’8,5%, quelli dell’istruzione dell’11,2% mentre per altri come il settore costruzioni o l’ambito immobiliare i redditi sono cresciuti rispettivamente del 4,6% e del 6,4%. Forse anche per questo a precisa domanda il 75% degli intervistati non esita a dichiararsi insoddisfatto in primo luogo della propria retribuzione.


In questo contesto di difficoltà sociali ed economiche dove le compravendite di case nel corso di quest’anno sono calate del 2,1%, anche i prodotti tecnologici a partire dallo smartphone, fino all’altro ieri oggetto dei desideri, hanno perso buona parte della loro attrattività e le vendite a volume nell’ultimo anno scendono di oltre il 6% e proprio lo smartphone con i suoi accessori (-7,4% e quanto a numero di pezzi quasi un milione in meno anno su anno) insieme alle tv e ai pc registrano cali significativi (mentre crescono prodotti tech per la cucina e il beauty). Sostanzialmente una vita a basso impatto dove l’essenziale diventa centrale, il superfluo viene drasticamente ridotto. Tra i comportamenti emergenti in fatto di abitudini di consumo non stupisce trovare il tema del riparare oggetti piuttosto che sostituirli (il 26% con maggiore frequenza in prospettiva) e il ricorso ai prodotti di seconda mano (nelle prossime intenzioni di acquisto dichiarate dal 24%). Ed è così che si fa largo un ripensamento significativo della propria identità. Per l’85% del campione indagato dal Rapporto Coop piuttosto che la capacità economica e lo status sociale è proprio la dimensione personale e privata a caratterizzare la percezione di sé stessi, a partire dalla famiglia, dalla propria situazione affettiva e anche dal dispiegarsi delle proprie doti etiche e morali. Anzi, l’acquisto e il possesso di beni smettono di essere aspirazionali e sembrano perdere per buona parte degli italiani quegli attributi di gratificazione personale e di riconoscibilità sociale che pure hanno caratterizzato una lunga fase della nostra società degli ultimi decenni. Una indifferenza per gli acquisti (coloro che aumenteranno gli acquisti solo per il mero piacere di comprare sono meno di chi invece aumenterà questo approccio di consumo, -3 punti percentuali) e uno strisciante de-consumismo che relega i forzati del lusso in una trincea sempre più minoritaria e oramai appannaggio solo dei super ricchi.

Psa, Assosuini: comparto suinicolo è in una situazione tragica

Psa, Assosuini: comparto suinicolo è in una situazione tragicaRoma, 10 set. (askanews) – L’intero comparto suinicolo si trova in una “situazione tragica” a causa dell’inarrestabile avanzata della Peste Suina Africana (PSA). E’ necessario “decinghializzare l’area più esposta e risarcire tutti i danneggiati” perché se non si riuscisse a fermare la diffusione del virus, si verificherebbe “una catastrofe per un settore che in totale ha un valore economico pari a 20 miliardi di euro, di cui 2,1 miliardi sono legati proprio all’export e occupa 100.000 persone in tutti i segmenti della filiera”. E’ il nuovo appello lanciato da Assuini che chiede che “lo Stato non usi allevatori come scudi umani”.


Già oggi il diffondersi della Psa ha influito gravemente sull’export, “perché nessun Paese è disposto a rischiare di introdurla entro i propri confini”. Nonostante le restrizioni imposte negli ultimi anni, infatti, l’export verso Canada e USA ha segnato una crescita del 30% nei primi quattro mesi del 2024, per cui le vendite all’estero sono l’unica possibilità di crescita economica. “I prodotti della salumeria italiana sono infatti molto amati all’estero – spiega Assosuini – ecco perché è urgentissimo finanziare le operazioni di controllo dell’epidemia. È vero, sono costose, ma sicuramente meno gravose dell’esplosione della PSA nell’intera filiera del suino”. L’associazione suinicoltori italiani chiede quindi di “rispettare le regole e fare uno sforzo di responsabilità collettiva che coinvolga la filiera in tutte le sue componenti, senza però cercare adesso di usare gli allevatori come capro espiatorio per le responsabilità e le misure non prese fino a qui”.


Sotto accusa il fatto che “sia fortemente sbagliato e un tantino ipocrita scaricare tutte le colpe sugli allevatori. Certo – spiegano in una nota – qualcuno non ha rispettato le norme di biosicurezza, non ha denunciato in tempo i casi sospetti e probabilmente ha accelerato il processo. Ma da qui a dire, come qualche funzionario fa, che il 90% dei contagi dipenda dalla filiera, ne passa. Prima di tutto, l’allevamento zero in questa catena epidemica è quello dei cinghiali, il cui proprietario è lo Stato”. Infatti, senza il bacino incontrollato dei cinghiali, “i nostri allevamenti sarebbero privi di PSA. Quindi, dopo 60mila capi abbattuti, è ora che ci diciamo la verità: o decinghializziamo l’area più esposta e risarciamo tutti i danneggiati, oppure il comparto è finito. E chi non avrà fatto abbastanza se ne prenderà la responsabilità”.

Roma Baccalà pensa alla sesta edizione dedicata al Giubileo

Roma Baccalà pensa alla sesta edizione dedicata al GiubileoRoma, 10 set. (askanews) – Cala il sipario sulla quinta edizione di Roma Baccalà, l’evento culturale e gastronomico che celebra il baccalà e lo stoccafisso, svoltosi a Roma dal 5 all’8 settembre al Parco Schuster, e già si pensa alla sesta edizione, che sarà dedicata al Giubileo e al rapporto tra cibo e religione con un focus rivolto al cibo dei pellegrini


Per 4 giorni a Roma il baccalà si è messo in mostra con una offerta gastronomica che ha visto oltre venti differenti versioni di baccalà in vendita, incontri con ospiti, esperti, chef italiani e internazionali, showcooking, una serata speciale dedicata alla cucina norvegese, due incontri con la cucina portoghese, un’area dedicata alla cultura gastronomica della Regione Calabria. Organizzato da Luca Broncolo, presidente di Verso Aps e Antonella Bussotti, amministratrice di Un/Lab, Roma Baccalà 2024 è stato un viaggio nel gusto a più voci, dalla Norvegia al Giappone, passando per il Portogallo e approdando in Italia con la tradizione calabrese e i sapori di Roma. La kermesse romana è stata anche sede dell’incontro “Patrimoni culturali immateriali nel mondo. Il Forum mondiale della cucina della tradizione patrimonio UNESCO per i 150 anni dei rapporti diplomatici tra il Messico e l’Italia”.

Movimento biologico europeo: serve riforma ambiziosa Pac 2027

Movimento biologico europeo: serve riforma ambiziosa Pac 2027Roma, 10 set. (askanews) – La Politica agricola comune ha bisogno di una riforma ambiziosa per consentire una transizione agroecologica dell’agricoltura europea che permetta di andare verso sistemi agroalimentari sostenibili ma con soluzioni che funzionino per gli agricoltori, la natura e la società. A sottolinearlo è IFOAM Organics Europe, il movimento biologico europeo che da oggi si riunisce in un congresso interamente focalizzato sulla propria visione della Pac futura.


A inaugurare il congresso un discorso di István Nagy, ministro ungherese dell’Agricoltura. Jan Plagge, Ppresidente di IFOAM Organics Europe, ha ribadito che il settore agroalimentare “sta affrontando molteplici sfide, quindi la PAC deve subire un’ambiziosa riforma per rimanere rilevante e garantire sostenibilità ambientale e socioeconomica. La PAC post-2027 dovrebbe supportare sia gli agricoltori che vogliono esserlo sia quelli che sono già più ambiziosi dal punto di vista ambientale”. Per questo, la futura PAC dovrebbe “anche ricompensare adeguatamente gli agricoltori che già lavorano con la natura e fornire benefici per le funzioni degli ecosistemi: questo deve basarsi su un approccio che coinvolga l’intera azienda agricola”. “Poiché la nostra visione per la PAC post-2027 è in linea con il Dialogo strategico sul futuro delle raccomandazioni dell’agricoltura – ha detto – contiamo sulla Commissione, sul Consiglio e sul Parlamento per attuare questo ampio accordo tra le parti interessate sul fatto che è giunto il momento di una riforma fondamentale della PAC”.


L’approccio proposto dal movimento, come ha spiegato Thomas Fertl, membro del consiglio direttivo di IFOAM Organics Europe e rappresentante del settore agricolo, è in tre fasi, per garantire la proporzionalità tra il livello di ambizione ambientale di un’azienda agricola e i finanziamenti che riceve, in base ad aree chiave: protezione del suolo, impatto sull’acqua, clima e biodiversità. “La nostra visione fa incontrare due obiettivi: premiare gli agricoltori che sono già impegnati in metodi di produzione sostenibili e supportare altri agricoltori in una graduale transizione all’agroecologia”, ha detto.

Arriva corso per barista sostenibile, zero sprechi dietro bancone

Arriva corso per barista sostenibile, zero sprechi dietro banconeRoma, 10 set. (askanews) – Arriva il primo corso di formazione per barista sostenibile, organizzato da Caffè Milani nella sede dell’azienda, a Lipomo. Il corso, alla prima edizione e unico nel suo genere, inizierà il 7 ottobre e sarà incentrato sulla sostenibilità necessaria per rendere il proprio locale un luogo green e innovativo. Durante una giornata di lavori, il corso propone un vademecum di buone pratiche di sostenibilità al bar, idee e proposte gastronomiche sostenibili e tecniche di comunicazione della sostenibilità. Dall’analisi dell’impatto ambientale all’attività pratica da svolgere dietro al bancone, dalla realizzazione di un menù green alle modalità di comunicazione dei propri valori sui social media.


Al termine delle giornate i corsisti avranno sviluppato le competenze per sviluppare una coscienza ecologica che permetta di applicare i concetti cardine e le best practice in tutti gli aspetti della vita quotidiana e lavorativa; implementare soluzioni responsabili nella propria attività; analizzare la filiera del caffè; strutturare un menu stagionale sostenibile, dalla colazione, al light lunch, agli aperitivi riutilizzando e dando nuova vita anche a ingredienti di uso quotidiano. Barista Sostenibile è uno dei corsi dedicati alla formazione di Caffè Milani e della sua accademia, Altascuola Coffee Training, nelle 4 sedi di Lipomo (Como), Milano, Sassari e Cagliari. Dal 2018 Altascuola Coffee Training è una vera e propria accademia IIAC (Istituto Internazionale Assaggiatori Caffè), anche se la sua fondazione risale agli anni Novanta.

Coldiretti: subito campagna vaccinale contro Lingua Blu

Coldiretti: subito campagna vaccinale contro Lingua BluRoma, 10 set. (askanews) – Servono controlli serrati sulle importazioni di animali vivi dall’estero e una campagna vaccinale immediata contro la Lingua blu, che sta dilagando negli allevamenti italiani di pecore e di mucche con centinaia di focolai e migliaia di animali morti in Sardegna, ma anche in Piemonte, Lombardia e Calabria e in altre aree del paese.


Coldiretti chiede quindi l’avvio immediato di una campagna vaccinale per salvare le aziende e chiede un impegno alle istituzioni “per mettere in campo tutte le soluzioni necessarie a tutelare la filiera zootecnica, proprio a partire dal reperimento dei vaccini, mentre alcune regioni hanno diffuso ordinanze con disposizione di sicurezza per limitare la corsa dei contagi”. La lingua blu (blue tongue) è una malattia trasmessa ai ruminanti da un insetto, un moscerino del genere Culicoides. Non colpisce l’uomo e non infetta il latte e la carne ma può comunque causare la morte dell’animale. Il diffondersi della malattia porta al calo della produzione di latte e al blocco della movimentazione delle greggi e delle mandrie, con danni economici per le aziende.


In Sardegna, in particolare, si riscontrano centinaia di focolai confermati e molti altri in fase di accertamento. “È dunque indispensabile – spiega Coldiretti – che vengano messe in campo tutte le azioni necessarie per arginare l’epidemia e sostenere le aziende colpite, al fine di evitare ulteriori danni economici e salvaguardare il futuro della pastorizia nell’isola. Ma è pesante anche la situazione in Piemonte e Lombardia, oltre che in Calabria”. Per tutelare gli allevatori italiani “occorre anche effettuare controlli serrati sulle importazioni di animali vivi dall’estero – prosegue la confederazione agricola – poiché la lingua blu è arrivata nelle regioni settentrionali probabilmente dal Nord Europa, dove la malattia sta dilagando. Importante in tale ottica l’utilizzo delle stalle di sosta, oltre all’uso di repellenti per gli insetti”. Nel 2023 le importazioni in quantità di ovini e bovini vivi sono aumentate del 16%, secondo l’analisi Coldiretti su dati Istat.

Rinasce a Catania il ristorante più antico della città

Rinasce a Catania il ristorante più antico della cittàRoma, 10 set. (askanews) – Era il ristorante più antico di Catania, in un palazzo in stile Liberty vicino al teatro Bellini. Oggi nello stesso posto apre un nuovo ristorante che si ispira proprio alle atmosfere degli anni Venti dell’antico “Da Turi Finocchiaro”: si chiama Ménage e nasce dall’idea di tre giovani siciliani originari di Nicosia e appena rientrati in Sicilia dall’estero: Michele Smantello, Luigi Sutera e Giorgio Carlisi.


Una nuova apertura dall’atmosfera bohemien, con un cocktail bar e una ricercata cantina, tra affreschi liberty e un menù pensato per esaltare la brace. Ménage che aprirà il 12 settembre. “Abbiamo puntato tutto sulle nostre passioni e sulla voglia di fare qualcosa di bello nella nostra terra – raccontano – è finita l’epoca in cui per avere successo dovevi emigrare e restare tutta la vita lontano da casa. Adesso il futuro è qui. Viaggiare e fare esperienze all’estero è importantissimo, ma bisogna tornare, credere nelle proprie idee e investire in quest’isola.” Michele è il sommelier, con un passato tra i vini di lusso di ristoranti stellati e fine dining tra Australia e Londra; Luigi è il maestro dei cocktail, che dopo aver studiato e lavorato a Barcellona è pronto per gestire un bancone di alto livello, Giorgio, lo chef, con esperienze importanti a Saint Tropez e un percorso di studi all’Alma, gioca con i sapori e i piaceri della vita.


Tra travi e sculture lignee di ninfe, spiccano due affreschi del 1930, ad opera del pittore Giuseppe Barone. Al piano terra, il ristorante offre una cucina contemporanea. In arrivo nelle prossime settimane anche un menù degustazione interamente dedicato al “fire dining” con la brace protagonista. Salendo le scale si arriva invece al lounge bar con una carta di signature cocktail accompagnati da tapas.

Agrintesa avvia rivoluzione digitale in ogni stabilimento

Agrintesa avvia rivoluzione digitale in ogni stabilimentoRoma, 10 set. (askanews) – Agrintesa, cooperativa leader nazionale del comparto ortofrutticolo e vitivinicolo, ha avviato una rivoluzione digitale insieme al partner tecnologico VEM sistemi, a partire dalla revisione e dal potenziamento dell’architettura informatica e di rete della “casa madre”, il sito produttivo e amministrativo di Faenza (Ravenna), a cui hanno fatto seguito gli stabilimenti di Castelfranco Emilia (Modena) e Zevio (Verona).


Lo scopo è aumentare le performance dei sistemi informatici per migliorare la produttività e la qualità del lavoro delle proprie strutture ma anche incrementare la sicurezza per rispondere sempre più rapidamente ed efficacemente alle minacce sul fronte della cyber-sicurezza. “La forte crescita della Cooperativa negli ultimi anni, insieme alle numerose acquisizioni, hanno portato Agrintesa ad avere una compagine sociale riunita sotto un unico brand ma frammentata dal punto di vista dell’infrastruttura tecnologica, con modalità di lavoro e procedure differenti nelle diverse realtà – ha spiega Alessandro Collina, Direttore ICT di Agrintesa – Era quindi necessaria una revisione completa del gestionale aziendale per centralizzare e normalizzare l’operatività, ottenere una progressiva standardizzazione del modus operandi degli stabilimenti e accentrare alcune delle strutture di controllo e gestione”.


Il percorso intrapreso ha rivoluzionato l’apparato tecnologico della struttura dotandola di nuove e più performanti soluzioni che hanno reso più solida e resistente agli incidenti l’infrastruttura digitale aumentandone, al contempo, la capacità di trasmissione dati e la portata: la rete wi-fi, infatti, è stata estesa coprendo tutti i punti necessari, individuati da un’approfondita analisi prima dell’avvio dei lavori. Successivamente sono stati messi in campo interventi anche negli stabilimenti di Castelfranco Emilia (MO), nodo fondamentale per la lavorazione della ciliegia IGP di Vignola, e di Zevio (VR), specializzato nel prodotto biologico.

Canapa, Copagri: Ddl sicurezza mette a rischio filiera innovativa

Canapa, Copagri: Ddl sicurezza mette a rischio filiera innovativaRoma, 10 set. (askanews) – “L’intervento di stampo prettamente ideologico sulla canapa previsto nel cosiddetto ‘Ddl sicurezza’ rischia di tagliare irrimediabilmente le gambe a una filiera innovativa e in grande ascesa, che vale diverse centinaia di milioni di euro e che impiega circa 10mila lavoratori, con una fortissima incidenza di giovani imprenditori”. Lo ha ribadito il presidente della Copagri Tommaso Battista intervenendo ieri alla conferenza stampa “Salviamo la canapa industriale italiana”, organizzata alla Camera alla vigilia del voto in aula sul Ddl con disposizioni in materia di sicurezza pubblica.


“La canapa è una coltura resistente e a crescita rapida, che non necessita di trattamenti chimici – ha spiegato Battista – e ha un ridotto impatto ambientale e una bassa esigenza idrica, oltre a essere caratterizzata da una notevole efficacia nella fitodepurazione e nel contrasto al consumo di suolo; una coltura che, rispondendo in pieno agli obiettivi comunitari in materia di sostenibilità, tutela dell’ambiente e della biodiversità, andrebbe tutelata e promossa e non affossata”, ha osservato il presidente, ad avviso del quale “con il testo all’esame di Montecitorio si azzera completamente una filiera di eccellenza del Made in Italy, che contrariamente a quanto si vuole strumentalmente lasciar intendere, non ha nulla da spartire con le sostanze stupefacenti”. “Il rischio concreto – ha continuato Battista – è la perdita di importanti fette di mercato a discapito della produzione straniera, con una conseguente delocalizzazione e minore competitività internazionale, per una pianta che può vantare un non indifferente ritorno in termini economici, rappresentando una rilevante fonte di integrazione e di diversificazione del reddito dei produttori agricoli; la canapa, infatti, garantisce fino a 30mila euro per ettaro, anche grazie alla sua notevole rilevanza per i tanti nuovi mercati della bioeconomia”.


“Reiteriamo pertanto il nostro accorato appello a tutti i parlamentari a valutare nel dettaglio le nefaste ricadute di una simile iniziativa legislativa, ragionando sull’opportunità, più volte caldeggiata dalla Copagri, di organizzare un confronto con tutti gli attori di una filiera – ha proseguito il presidente – che vanta una tradizione secolare nel Belpaese, il quale fino alla metà del secolo scorso era tra i maggiori produttori di canapa al mondo. Basterebbe riconvocare il Tavolo nazionale di filiera della canapa, insediatosi nell’ormai lontano 2021, ma mai più riunitosi, per fare i dovuti e necessari approfondimenti sulla materia e per portare avanti – ha concluso – il ragionamento avviato anni fa e finalizzato all’approvazione di un piano di settore”.

L’olio Sabina prima Dop tutelata con contrassegno del Poligrafico

L’olio Sabina prima Dop tutelata con contrassegno del PoligraficoMilano, 9 set. (askanews) – Mentre proliferano i casi di contraffazione dell’olio extravergine d’oliva, anche in concomitanza con l’aumento dei prezzi, produttori e consorzi di tutela corrono ai ripari dotandosi di sistemi di controllo, certificazione e tracciabilità. E’ il caso della Dop Olio Sabina che a partire dalla prossima campagna produttiva adotterà il contrassegno di sicurezza dell’Istituto poligraffico e Zecca dello Stato. Di fatto sarà il primo olio a denominazione di origine protetta ad ottenere il contrassegno, seguendo l’esempio dell’olio di Roma Igp.


L’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, il consorzio di tutela della Dop e l’Organismo di certificazione agroqualità hanno, infatti, firmato un accordo per l’adozione della soluzione di sicurezza e tracciabilità del Poligrafico, specificamente progettata per il settore agroalimentare. Il contrassegno presenta una grafica esclusiva e include elementi di sicurezza avanzati, simili a quelli utilizzati per la produzione delle banconote. Ogni contrassegno, che riporta il logo della Dop, è numerato univocamente e dotato di un QR code attraverso il quale, con uno smartphone, è possibile accedere alla piattaforma Ipzs dedicata alla promozione della qualità certificata, tracciabilità e contrasto alla contraffazione, un sistema che nel tutelare l’autenticità del made in Italy protegge il consumatore dalle frodi. “Il contrassegno scelto dall’Olio Sabina Dop rappresenta un passo significativo verso la trasparenza e la sicurezza per il consumatore, garantendo l’origine e il controllo della qualità del prodotto – ha affermato Francesco Soro, amministratore delegato dell’Istituto poligrafico e Zecca dello Stato – Il Poligrafico continua così a svolgere la sua missione di garante della fede pubblica, estendendo il proprio impegno alla tutela della salute dei cittadini, anche nel settore olivicolo, strategicamente importante per la promozione delle eccellenze italiane”. Per Alessandro Donati, presidente del Consorzio Sabina Dop, “questa scelta rappresenta un segnale importante per il nostro territorio e per i consumatori, rafforzando la fiducia verso il nostro prodotto”. “Il contrassegno – ha aggiunto Enrico De Micheli, amministratore delegato di Agroqualità – garantisce al consumatore che il prodotto che acquista sia conforme agli standard Dop. Grazie a questa innovazione, stiamo portando avanti uno strumento di informazione e protezione del territorio”.