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Spirit, in 2023 distilleria veneta Castagner supera 16 mln fatturato

Spirit, in 2023 distilleria veneta Castagner supera 16 mln fatturatoMilano, 10 ago. (askanews) – La distilleria veneta Castagner chiude il 2023 con un fatturato che supera i 16 milioni di euro (erano 13,6 nel 2021 e poco più di 15 nel 2022). La grappa vale ancora il 70% del fatturato ma un buon 30% è rappresentato oggi dalla valorizzazione dei sottoprodotti destinati all’industria farmaceutica, cosmetica, alimentare e ai mangimifici, che negli ultimi due anni hanno registrato un +55%.

“Con la farina da buccia d’uva realizziamo biocombustibile per l’autoconsumo e l’eccedenza viene venduta ai mangimifici per la produzione di cibo per animali, i vinaccioli vergini (estratti prima della fermentazione delle uve bianche) per le loro straordinarie proprietà vengono utilizzati nell’industria farmaceutica e cosmetica, mentre i vinaccioli da uve rosse, dopo la distillazione, sono venduti agli oleifici che ricavano l’olio di semi d’uva” ha spiegato il fondatore della Distilleria di Vazzola (Treviso), Roberto Castagner, sottolineando che “questi business sono cresciuti, negli ultimi due anni, di un milione di euro”. “Realizzare un’autentica economia circolare è per noi doveroso non solo per contrastare l’emergenza climatica, ma anche per limitare l’impatto degli aumenti delle materie prime sul consumatore finale” ha evidenziato Castagner, ricordando anche che “sul piano dell’efficientamento energetico oggi siamo in grado di coprire il 25% del nostro fabbisogno di energia elettrica grazie all’installazione di impianti fotovoltaici che saranno ulteriormente implementati nel 2024 per arrivare a coprire il 35/40% di quanto consumiamo”.

Oltre alla valorizzazione delle materie residue, la distilleria ha studiato soluzioni per immettere sul mercato delle bottiglie più leggere e quindi più sostenibili, portandole da 800 a 600 grammi con un risparmio del 30% di vetro, e riuscendo a preservare l’aspetto estetico, elemento molto importante nel settore dei distillati. Malgrado il mercato della grappa abbia registrato una flessione del 2,9%, il brand Castagner è cresciuto del 3%. “Le prospettive più interessanti – precisa il capostipite dell’azienda nonché mastro distillatore – sono rappresentate dai mercati esteri dove la grappa invecchiata sta iniziando ad essere apprezzata al pari del cognac e dove, nei prossimi cinque anni, prevediamo di triplicare il fatturato”.

Masi Agricola: ricavi giù del 10% nel I semestre, utile scivola a 1,8 mln

Masi Agricola: ricavi giù del 10% nel I semestre, utile scivola a 1,8 mlnMilano, 4 ago. (askanews) – Ricavi in calo del 10,4% (8,4% a cambi costanti) per Masi Agricola, nel primo semestre di quest’anno. Il loro valore si è attestato a 33,1 milioni di euro contro i 36,9 dello stesso periodo di un anno prima. In calo anche l’utile netto che ha toccato gli 1,8 milioni di euro dai 4,1 di un anno prima. L’Ebitda, nello stesso periodo, è passato invece da 8,449 milioni a 5,509. A tal proposito l’azienda vitivinicola dell’Amarone ricorda che nell’ultimo esercizio pre-Covid (2019) il primo semestre aveva chiuso con un Ebitda inferiore, a 5,492 milioni.

L’indebitamento finanziario netto è salito a 21,4 milioni dai 7,7 del 31 dicembre 2022 e dai 4 del 30 giugno 2022. Esaminando l’andamento dei ricavi, l’azienda fa notare che, considerata l’incomparabilità del periodo Covid (2020 e 2021) e l’eccezionalità dell’esercizio 2022, il raffronto tra le vendite del primo semestre del 2019, pari a 29,726 milioni di euro, con il dato registrato nel trimestre chiuso al 30 giugno 2023 evidenza una crescita dell’11%, anche per effetto degli incrementi dei listini di vendita praticati nel frattempo. Si tratta, sottolineano, della seconda migliore performance dalla quotazione all’Egm a oggi con riferimento ai ricavi dei primi sei mesi. Nel semestre analizzato continua, pur se in visibile rallentamento, l’andamento positivo dell’horeca, mentre il retail presenta in generale andamenti negativi. In crescita il canale Duty Free & Travel Retail.

“Registriamo un netto cambiamento, iniziato peraltro alla fine dello scorso anno, nell’attitudine della clientela, soprattutto estera, rispetto agli approvvigionamenti nel segno di una crescente prudenza e di un ritorno al ‘just in time’ – commenta Sandro Boscaini, presidente di Masi Agricola – Come era prevedibile, ora il trend è l’alleggerimento delle scorte per fronteggiare sia l’aumento dei tassi di interesse, sia un consumo visibilmente rallentato. Fenomeni di contesto e pertanto non controllabili, come la pressione inflativa che pesa sulle famiglie e una certa preoccupazione generalizzata, anche per la persistenza di problematiche geopolitiche, uniti alle condizioni meteo abbastanza avverse al turismo e non solo, ci portano a essere cauti nelle aspettative per il secondo semestre. Ma non cambia la strategia: posizionamento premium, contatto sempre più diretto con il consumatore finale e omnicanalità distributiva”. Gli svariati elementi di contesto che rendono “estremamente difficile l’attività previsionale” (il conflitto ucraino, gli incrementi inflativi e dei tassi di interesse) si uniscono a un luglio con “ordinativi inferiori all’anno precedente”. Ragini per cui l’azienda continuerà a “tenere monitorati i trend di settore, peraltro sostanzialmente sintonici con quelli della Società, e continua a dialogare con gli operatori di mercato per mantenere reattività gestionale”.

Per quanto riguarda la produzione le temperature sopra alla media e la piovosità inferiore alla media nell’inverno 2022-2023 hanno comportato condizioni ideali per l’appassimento delle uve destinate alla produzione di Amarone. Infatti la pigiatura, effettuata a febbraio, ha confermato un’ottima qualità del prodotto. La primavera è stata caratterizzata, soprattutto nella seconda metà, da precipitazioni piovose estremamente frequenti, contribuendo inizialmente alla positività delle fasi fenologiche e all’abbondanza delle uve, ma agevolando al contempo la diffusione di agenti patogeni. Gli ultimi giorni di luglio, tuttavia, sono stati interessati da grandinate diffuse ed estremamente violente, in particolare in Friuli, Valdobbiadene, Lago di Garda. In tali aree si sono registrati danni anche in alcuni vigneti del gruppo. Per le denominazioni di maggiore pregio sono state attivate le coperture assicurative in essere. Fortunatamente non si sono verificati sinistri rilevanti nei nostri vigneti in Valpolicella. A livello di settore viticolo generale è possibile che le riduzioni di quantità di uve potenzialmente vendemmiabili negli areali interessati dalle grandinate generino prospetticamente un incremento dei costi delle uve e dei vini sfusi.

Marr (Cremonini): nel I semestre ricavi oltre 1 mld, utile sale a 18,7 mln

Marr (Cremonini): nel I semestre ricavi oltre 1 mld, utile sale a 18,7 mlnMilano, 4 ago. (askanews) – Nei primi sei mesi del 2023 Marr, azienda di distribuzione di prodotti alimentari e non alla ristorazione, ha registrato ricavi per oltre un miliardo di euro, in crescita rispetto agli 874,3 milioni di euro dello stesso periodo dell’anno precedente. Alla fine dei primi sei mesi del 2023 l’utile netto, che risente di maggiori oneri finanziari netti per effetto dell’aumento del costo del denaro a partire dalla seconda metà del 2022, si è attestato a 18,7 milioni di euro dai 10,5 milioni del primo semestre 2022 (+78%).

L’azienda del gruppo Cremonini conferma il miglioramento della redditività operativa con il Mol consolidato del primo semestre 2023 pari a 53,4 milioni di euro rispetto ai 35 milioni del 2022, ma ancora sotto i 56,3 milioni del 2019. L’indebitamento finanziario netto al 30 giugno 2023 è salito a 250,1 milioni dai 270,6 milioni del 31 marzo 2023 e i 228,7 milioni della fine del primo semestre 2022. L’azienda specifica che tra il primo luglio 2022 e il 30 giugno 2023 ha investito 22,9 milioni, di cui 14,8 milioni relativi alla costruzione di una nuova filiale in Lombardia la cui attivazione è prevista nella prima metà del 2024.

Per quanto riguarda il resto dell’anno, l’andamento delle vendite ai clienti della ristorazione nel mese di luglio “è coerente con gli obiettivi di crescita per l’esercizio 2023 confermando il progressivo recupero di marginalità già evidenziatosi anche nel corso del primo semestre 2023”, spiega l’azienda. I risultati di luglio sono stati conseguiti in un contesto di consumi alimentari fuori casa che continua a beneficiare del positivo contributo del turismo straniero, in particolare nelle grandi città. Il focus ora è su attività per il recupero di redditività operativa, che si prevede, anche sulla base dell’andamento dei primi sette mesi, possano consentire di riapprossimarsi già nell’esercizio in corso ai livelli in valore assoluto di margine operativo lordo pre pandemia. Rimane inoltre forte l’attenzione al controllo dei livelli di assorbimento di capitale circolante commerciale al fine di attenuare il costo per il suo finanziamento.

Squeri (Steriltom): maltempo e dumping Cina minacce per industria pomodoro

Squeri (Steriltom): maltempo e dumping Cina minacce per industria pomodoroMilano, 4 ago. (askanews) – “I dati pubblicati dall’Anicav, che stimano una raccolta di pomodoro per il 2023 pari a 5,6 milioni di tonnellate, sono sicuramente un buon dato sulla carta anche se temo troppo ottimistico, almeno per il Nord Italia”. Lo dichiara in una nota Alessandro Squeri, direttore generale di Steriltom, azienda di produzione della polpa di pomodoro a livello europeo.

“Gli effetti delle ultime gravi grandinate che hanno colpito il nostro territorio, infatti, hanno fortemente ridotto gli ettari da raccogliere e le relative rese. Questo dato è vero soprattutto in Romagna dove ai danni ingenti causati dall’alluvione di maggio si sono aggiunte cinque grandinate. Ora tutti contiamo sulla bravura e l’esperienza dei nostri agricoltori, che possano almeno recuperare il salvabile, anche se di fronte a certe situazioni non resta molto da fare”. La campagna nel Nord Italia – aggiunge Squeri – è compromessa e temo perdite di oltre il 15% rispetto alle stime iniziali, con punte del 30% in certe aree”. “Ai danni già gravi del maltempo – prosegue – si aggiunge poi la minaccia derivante dalla concorrenza straniera, soprattutto cinese, che porta in Europa concentrato di pomodoro a prezzi fuori mercato. La produzione europea, e in particolare quella italiana, si è sempre contraddistinta per la sostenibilità e la sicurezza che offre al consumatore finale. Certo, i prodotti provenienti da alcuni Paesi extraeuropei costano meno, ma in cambio di livelli di pesticidi pericolosi, di danni ambientali, assenza di tracciabilità e controlli nella filiera e così via. Per non parlare poi dei temi etici come il rispetto delle popolazioni locali e i lavori forzati in campo riconosciuti in alcuni casi anche dall’Onu”.

“È evidente – continua Squeri – che di fronte al dumping di questi Stati l’industria da sola non ha molti mezzi di contrasto. Servirebbe un intervento a livello europeo che auspichiamo possa ridare al mercato interno maggiori tutele, e alle importazioni dai Paesi Terzi regole più stringenti soprattutto in termini etici e di sostenibilità, così come fatto di recente per esempio da Stati Uniti e Inghilterra”. “Come Steriltom – sottolinea Squeri – nonostante le difficoltà evidenti, ci stiamo organizzando per garantire le quantità prenotate dai nostri clienti storici, lavorando insieme ai nostri oltre 200 agricoltori e ai nostri 700 dipendenti, grazie ai quali, nel 2022, abbiamo lavorato oltre 420mila tonnellate di pomodoro con un fatturato di 155 milioni di euro”. Numeri che, conclude, “ci auguriamo di raggiungere e di superare anche per la campagna del 2023”.

Patto anti-inflazione: domani dichiarazione intenti ma senza industria

Patto anti-inflazione: domani dichiarazione intenti ma senza industriaMilano, 3 ago. (askanews) – Si va verso una dichiarazione congiunta con il mondo della grande distribuzione e del commercio e senza l’industria della trasformazione alimentare per il protocollo anti-inflazione promosso dal governo attraverso il Mimit. Domattina alle 9.30 è fissata una videocall per la firma della dichiarazione di intenti che dovrebbe portare entro il 10 settembre alla firma dell’accordo. Finalità di questo accordo è quella di arrivare a un trimestre di prezzi calmierati (dal primo ottobre al 31 dicembre) per una selezione di prodotti alimentari e di prima necessità.

Fin da subito il nodo al tavolo convocato al Mimit era stato quello della produzione, nodo che incontro dopo incontro è diventato insolubile fino alla rottura di oggi con Centromarca e Ibc (l’associazione delle industrie beni di consumo) che hanno giudicato il protocollo “non praticabile”. A lasciare intendere fin dall’inizio della giornata gli umori al tavolo, tornatosi a riunire oggi, è stata Federdistribuzione che ha parlato di “argomentazioni pretestuose e strumentali” da parte dell’industria dichiaratasi “indisponibile a sottoscrivere l’accordo”. Dal canto Federdistribuzione, attraverso il presidente, Carlo Alberto Buttarelli, aveva confermato la volontà “di continuare nella collaborazione con il governo, per ricercare comunque possibili forme che consentano di contrastare l’inflazione, a tutela di famiglie e consumi”.

Tuttavia, a ufficializzare lo strappo dell’industria alimentare è stata poche ore dopo la nota congiunta Centromarca-Ibc nella quale comunicavano di “ritenere non praticabile la sottoscrizione del protocollo” anti-inflazione promosso dal governo che impegnerebbe le organizzazioni a promuovere, presso le aziende associate, azioni per offrire prezzi calmierati su una selezione di articoli, compresi quelli rientranti nel cosiddetto carrello della spesa, e a “non aumentare il prezzo”. A stretto giro alla posizione di Centromarca e Ibc si è aggiunta quella dell’industria alimentare che fa capo ad Assica, Assitol, Assocarni, Assolatte, Italmopa e Unione italiana food. Queste ultime hanno respinto al mittente le accuse di Federdistribuzione e precisato che per “collaborare fattivamente con tutte le parti interessate” per calmierare i prezzi serve “il coinvolgimento di tutti gli operatori della filiera alimentare nel senso più ampio. Ci riferiamo a tutti coloro che, a vario e diverso titolo, contribuiscono a formare i costi di produzione a partire da materie prime, energia, packaging, logistica, e concorrono dunque a comporre il valore finale del prodotto”. A metà giornata era arrivato anche l’invito del ministro, Adolfo Urso a “sforzo comune”, in un tweet con cui commentava i dati Ocse sull’Italia dove “l’inflazione si è ridotta dal 7,6% di maggio al 6,4% di giugno”. Ma sul fronte consumi oggi è arrivata l’Istat con i dati sulle vendite al dettaglio, che a giugno sono risultate in calo dello 0,2% a valore e dello 0,7% a volume rispetto al mese precedente. Su base annua le vendite a valore sono cresciute del 3,6% ma a volume sono calate del 3,5%. E se rispetto a maggio diminuiscono le vendite dei beni non alimentari sia a valore che a volume (-0,7% in valore e -0,9% in volume), quelle dei beni alimentari crescono in valore (+0,3%) ma calano in volume (-0,2%).

Coldiretti: grano duro pagato il 20% in meno in un anno

Coldiretti: grano duro pagato il 20% in meno in un annoMilano, 3 ago. (askanews) – Il grano duro italiano quest’anno viene pagato oltre il 20% in meno rispetto allo scorso anno nonostante i raccolti siano stati decimati dal clima. A sostenerlo Coldiretti che, in occasione della riunione del tavolo di filiera grano-pasta convocato dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha sottolineato come i compensi non coprano i costi di produzione e mettano a rischio il futuro del “granaio Italia” in un momento segnato da grandi incertezze per la guerra ed il clima.

Coldiretti ribadisce l’esigenza di “aumentare la produzione italiana continuando a promuovere accordi di filiera per la stabilità del prezzo e la valorizzazione del grano nazionale ma anche nella ricerca, indispensabile per aumentare qualità e quantità ma anche per contrastare le mutate condizioni climatiche che stanno mettendo a dura prova il comparto produttivo”. La richiesta è poi per una “costante analisi dei prezzi e l’aumento dei controlli, in modo da garantire in ogni caso che il prezzo del grano duro copra i costi di produzione degli agricoltori, nel rispetto della legge contro le pratiche sleali. Una spinta può venire dall’avvio della commissione unica nazionale (Cun) grano duro ma anche dalla promozione della pasta 100% italiana sostenendo l’intera filiera”. Infine chiedono di contrastare le importazioni di grano canadese aumentate rispetto allo scorso anno, nel rispetto del principio di reciprocità nelle importazioni visto che il grano canadese è prodotto attraverso una pratica vietata in Italia come l’uso del glifosate in pre-raccolto come disseccante.

Industria alimentare: aumenti costi assorbiti il più possibile internamente

Industria alimentare: aumenti costi assorbiti il più possibile internamenteMilano, 3 ago. (askanews) – “Le nostre aziende associate hanno da sempre improntato la loro produzione alla massima efficienza e razionalizzazione dei processi ed hanno assorbito quanto più possibile le varie oscillazioni dei diversi costi sostenuti anche al fine di evitare che questi vengano scaricati a valle sul consumatore, come del resto dimostrano i prezzi alla produzione, vale a dire i prezzi di cessione alla distribuzione, che si attestano ben al di sotto del tasso di inflazione medio”. L’industria alimentare rappresentata da Assica, Assitol, Assocarni, Assolatte, Italmopa e Unione italiana food replica a a Federdistribuzione che ha parlato di “argomentazioni pretestuose e strumentali” per non sottoscrivere il protocollo anti-inflazione promosso dal governo attraverso il Mimit, chiedendo “senso di responsabilità verso le famiglie e abbassando, laddove possibile, i propri listini di vendita”.

Assica, Assitol, Assocarni, Assolatte, Italmopa e Unione italiana food si dicono “ben consapevoli che il tasso d’inflazione registrato in Italia in questi tempi sta mettendo in serio pericolo la capacità di spesa dei consumatori. Il calo della capacità di spesa comporta inevitabilmente una riduzione degli acquisti e quindi minor introiti per le aziende e minori profitti. Il consumatore – spiegano – rappresenta il punto di riferimento per eccellenza delle aziende associate e il motore primario dell’esercizio d’impresa”. Le associazioni in un comunicato congiunto ribadiscono di condividere “la necessità di supportare il consumatore italiano” e pur dicendosi “disponibili a collaborare fattivamente con tutte le parti interessate” per calmierare i prezzi, dicono di “non poter trascurare una serie di ragioni tutt’altro che pretestuose e strumentali, come si è affermato”.

La richiesta è che ci sia “il coinvolgimento di tutti gli operatori della filiera alimentare nel senso più ampio. Ci riferiamo a tutti coloro che, a vario e diverso titolo, contribuiscono a formare i costi di produzione (materie prime, energia, packaging, logistica etc.) e concorrono dunque a comporre il valore finale del prodotto”. “Le voci di costo che producono il prezzo finale di un bene hanno un ruolo decisivo sul valore del bene stesso e gli avvenimenti degli ultimi anni hanno reso spesso insostenibili i costi di produzione – ragionano – per cui un impegno sul valore del prodotto finito che non consideri l’incidenza di questi costi, sarebbe deprivato di una componente essenziale e quindi totalmente sbilanciato sugli attori della filiera a valle”. Oltretutto, concludono, “il settore del largo consumo è un ambito altamente competitivo come dimostrato del resto dalla pluralità delle azioni promozionali che vengono messe in essere continuativamente in tutti i punti vendita proprio per venir incontro ai consumatori”.

Centromarca-Ibc: il protocollo anti-inflazione è impraticabile

Centromarca-Ibc: il protocollo anti-inflazione è impraticabileMilano, 3 ago. (askanews) – Centromarca e l’associazoine delle Industrie di beni di consumo in una nota comunicano di aver “ritenuto non praticabile la sottoscrizione del protocollo” anti-inflazione promosso dal governo attraverso il Mimit che impegnerebbe le organizzazioni a promuovere, presso le aziende associate, azioni per offrire prezzi calmierati su una selezione di articoli, compresi quelli rientranti nel cosiddetto carrello della spesa, e a “non aumentare il prezzo” di tale selezione in un trimestre di riferimento (primo ottobre – 31 dicembre 2023) eventualmente prorogabile. “Pur non mettendo in dubbio la validità delle motivazioni che portano il governo, attraverso il Mimit, a promuovere interventi a sostegno del potere d’acquisto delle famiglie” le due realtà che riuniscono l’industria di marca e quella dei beni di largo consumo hanno deciso di non aderire ritenendo impraticabile l’iniziativa, “tenuto conto sia di aspetti sostanziali sia di valutazioni di carattere formale e giuridico”.

Tuttavia, hanno ribadito la volontà di continuare col dialogo al governo, al ministero delle Imprese e alle aziende della moderna distribuzione, con l’obiettivo di affrontare a un tavolo condiviso e in modo organico le inefficienze presenti nella filiera del largo consumo che si traducono in costi per il consumatore finale. E hanno, inoltre, auspicato una riduzione sensibile dell’iva sui beni di consumo, ulteriori tagli al cuneo fiscale e azioni che portino la concorrenza nei settori in cui non è presente. Nella nota le due associazioni spiegano nel dettaglio le ragioni che le hanno portate a non sottoscrivere il protocollo. Il primo punto sono i costi delle materie prime. La gran parte delle industrie è impegnata nella definizione di contratti di acquisto delle materie prime con prezzi che oscillano costantemente. A titolo di esempio, scrivono, Nomisma, per le commodity agricole, su base indice Fao, registra le seguenti variazioni tendenziali (giugno 2023 rispetto gennaio 2020): zucchero +74%, cereali +26%, carne +14%, lattiero caseari +12%, olii vegetali +6%. Rispetto a gennaio 2021 il costo del vetro è cresciuto dell’88%, la carta del 65%, il pet del 37%. I costi logistici si mantengono alti. La marginalità delle aziende si è deteriorata a causa del forte aumento del tasso di sconto. Il quadro complessivo non consente previsioni realistiche sulla dinamica dei conti economici e sulle linee delle politiche commerciali dei prossimi mesi. Un’azione di controllo dei prezzi, a prescindere da queste variabili e dalle differenti condizioni delle singole aziende, rischia di pregiudicare la tenuta del tessuto produttivo (soprattutto delle piccole e medie imprese) e la continuità dei fondamentali investimenti a presidio di qualità, sicurezza, sviluppo, occupazione e sostenibilità.

Il secondo punto, riguarda il graduale aumento dei prezzi per il consumatore finale che ha già generato una contrazione della marginalità. I bilanci industriali registrano riduzioni dei margini, a conferma del fatto che – consapevoli della debolezza del potere d’acquisto delle famiglie – i produttori di beni di largo consumo hanno fatto quanto era in loro potere per trasferire con gradualità a valle gli extracosti (materie prime, energia, imballaggi, trasporti) anche incamerando negli anni scorsi contrazioni significative dei profitti. Nell’alimentare i margini per unità di prodotto hanno registrato una riduzione del 41,6%. L’Osservatorio Congiunturale Centromarca – Ref Ricerche evidenzia che lo scorso anno il 43,5% dei manager delle aziende alimentari e non food ha riscontrato profitti in diminuzione e il 6,2% ha prodotto in perdita. Nel 2022 le tensioni al rialzo dei costi, già in atto nel 2021, si sono accentuate. Per la media dell’industria del largo consumo, secondo elaborazioni di Prometeia, l’incremento è stato del 15,4%, superiore al manifatturiero. L’industria ha trasferito solo parzialmente i costi sui prezzi: in media d’anno, nel 2022, i prezzi al consumo del largo consumo sono aumentati meno del 10% (8,8% per alimentare e bevande, 5,5% per il chimico casa e circa il 3% per gli articoli di igiene personale e prodotti di bellezza). L’impegno delle aziende industriali nel contenimento dei prezzi è confermato anche dal fatto che nel 2022, a fronte di un impatto dell’inflazione che ha determinato una crescita della spesa complessiva delle famiglie pari a 446 euro mensili (rispetto al 2021, dato Istat) l’impatto del carrello della spesa stimato da Nielsen è stato di 35 euro. Infine c’è anche un aspetto giuridico. Verifiche legali, spiegano, hanno appurato che la normativa Antitrust non consente a Centromarca e a Ibc di promuovere presso le aziende associate gli impegni oggetto del protocollo. Ogni industria, nel rispetto della legge, agisce in autonomia sia nel rapporto con fornitori e clienti sia nella definizione delle politiche commerciali. Un’intesa che “controlli” i prezzi (anche al ribasso) costituirebbe un potenziale cartello, sanzionabile da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. L’attuazione del contenuto del protocollo determinerebbe, inoltre, interferenze nelle relazioni di filiera e una distorsione della concorrenza tra le imprese, che competono tra loro sulla base di posizionamenti, margini e politiche di prezzo differenziate.

Salumi Fiorucci tornano in Europa: il 100% a Navigator e White Park Capital

Salumi Fiorucci tornano in Europa: il 100% a Navigator e White Park CapitalMilano, 3 ago. (askanews) – I salumi Fiorucci tornano in Europa passando dalla multinazionale messicana Sigma Alimentos alla tedesca Navigator group e alla irlandese White Park Capital. Il salumificio Cesare Fiorucci, fondato a Norcia nel 1850 e oggi con base a Pomezia, nel 2011 era stato acquisito dalla Campofrio Food, multinazionale con sede a Madrid, confluita poi nel 2015 nella multinazionale alimentare messicana Sigma Alimentos. Ora la Cesare Fiorucci confluisce al 100% sotto la Fiorucci Holding, una società veicolo controllata dalla tedesca Navigator group e dall’irlandese White Park Capital.

Navigator è un gruppo industriale diversificato specializzato nell’acquisizione di aziende europee al fine di migliorarne la redditività e garantire un futuro a lungo termine ai propri stakeholder. Navigator ha sede a Düsseldorf e gestisce un portafoglio diversificato di aziende in Germania, Svezia, Francia e Svizzera. White Park è un gruppo industriale basato a Dublino specializzato nella riorganizzazione e rilancio di rami d’azienda. Con l’acquisizione, spiega una nota, i nuovi soci mirano a rilanciare l’offerta e la distribuzione dei prodotti dello storico marchio Fiorucci nei canali di riferimento in Italia e all’estero in virtù di un importante piano di investimenti e di rilancio di lungo periodo. L’obiettivo è di riportare una azienda e un marchio che ha 170 anni di vita a una redditività e a una crescita adeguate al suo potenziale. Il piano di rilancio di lungo periodo prevede una prima fase di riorganizzazione a cui seguirà una fase di crescita supportata da rilevanti investimenti. Cesare Fiorucci viene quindi ricapitalizzata con rilevanti risorse finanziarie.

“Fiorucci ha saputo combinare in modo meraviglioso tradizione e innovazione diventando un marchio iconico in Italia. È un onore poter contribuire con la mia esperienza al continuo successo di Fiorucci”, ha dichiarato Claudio Rustioni, Amministratore Delegato di Fiorucci. Per Christian Muschick, amministratore delegato del Gruppo Navigator “Fiorucci è sinonimo di valori che ammiriamo: tradizione, bontà, gioia di vivere, qualità. Questo è un impegno strategico volto a rafforzare la nostra posizione nel settore alimentare”. “Fiorucci rappresenta un’attitudine italiana alla vita – sottolinea William Belford di White Park Capital – che può essere trasmessa solo in Italia e dall’Italia al resto del mondo”.

Inflazione, Scordamaglia: affidare a Ismea verifica costi di produzione

Inflazione, Scordamaglia: affidare a Ismea verifica costi di produzioneMilano, 3 ago. (askanews) – Per calmierare i prezzi e contrastare eventuali forme speculative occorre “partire da una seria e oggettiva analisi dei costi di produzione da affidare a un organismo terzo e qualificato, come Ismea”. A dirlo Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia che ha partecipato al tavolo ministeriale convocato dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, sulla filiera del grano e della pasta. Il riferimento è al trimestre anti-inflazione a cui lavora il Mimit d’intesa con la distribuzione, l’industria della trasformazione e i produttori di materie prime. “Una trasparenza nei prezzi aiuta, non limita il mercato – sottolineano da Filiera Italia – e passa anche attraverso una commissione unica nazionale (CUN) che superi commissioni locali troppo spesso soggette a pressioni e forzature strumentali”.

Durante l’incontro Scordamaglia ha ricordato che “abbiamo imparato tutti negli ultimi due anni che dipendere dall’estero per beni essenziali, quali cereali, grano, è pericoloso perché potrebbe mettere a rischio l’intera filiera e la sicurezza del Paese”. Nel 2022, infatti, 72 Paesi a livello globale hanno introdotto restrizioni al proprio export di prodotti agricoli e la Cina ha stoccato circa l’85% dello stock di grano globale. “L’obiettivo – prosegue Scordamaglia – non può quindi che essere aumentare strategicamente la produzione nazionale di grano duro attraverso l’unico strumento che lo consente e cioè i contratti di filiera che se adeguatamente implementati assicurano stabilità e garanzia di un prezzo trasparente e remunerativo per tutti”. “Sempre attraverso i contratti di filiera e la ricerca in partnership pubblico privata – ha aggiunto – è possibile una costante crescente valorizzazione, anche qualitativa, del grano italiano”. Infine Scordamaglia ha richiamato la necessità che “l’Italia, contrariamente a quanto fatto in passato, prenda una posizione chiara sulla proposta di riautorizzazione del glifosate chiedendo un divieto totale per tutta Europa e per i prodotti importati per qualsiasi uso in pre raccolta”. Uso vietato in Italia, ma consentito nel grano di importazione.