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Marr (Cremonini): nel I semestre ricavi oltre 1 mld, utile sale a 18,7 mln

Marr (Cremonini): nel I semestre ricavi oltre 1 mld, utile sale a 18,7 mlnMilano, 4 ago. (askanews) – Nei primi sei mesi del 2023 Marr, azienda di distribuzione di prodotti alimentari e non alla ristorazione, ha registrato ricavi per oltre un miliardo di euro, in crescita rispetto agli 874,3 milioni di euro dello stesso periodo dell’anno precedente. Alla fine dei primi sei mesi del 2023 l’utile netto, che risente di maggiori oneri finanziari netti per effetto dell’aumento del costo del denaro a partire dalla seconda metà del 2022, si è attestato a 18,7 milioni di euro dai 10,5 milioni del primo semestre 2022 (+78%).

L’azienda del gruppo Cremonini conferma il miglioramento della redditività operativa con il Mol consolidato del primo semestre 2023 pari a 53,4 milioni di euro rispetto ai 35 milioni del 2022, ma ancora sotto i 56,3 milioni del 2019. L’indebitamento finanziario netto al 30 giugno 2023 è salito a 250,1 milioni dai 270,6 milioni del 31 marzo 2023 e i 228,7 milioni della fine del primo semestre 2022. L’azienda specifica che tra il primo luglio 2022 e il 30 giugno 2023 ha investito 22,9 milioni, di cui 14,8 milioni relativi alla costruzione di una nuova filiale in Lombardia la cui attivazione è prevista nella prima metà del 2024.

Per quanto riguarda il resto dell’anno, l’andamento delle vendite ai clienti della ristorazione nel mese di luglio “è coerente con gli obiettivi di crescita per l’esercizio 2023 confermando il progressivo recupero di marginalità già evidenziatosi anche nel corso del primo semestre 2023”, spiega l’azienda. I risultati di luglio sono stati conseguiti in un contesto di consumi alimentari fuori casa che continua a beneficiare del positivo contributo del turismo straniero, in particolare nelle grandi città. Il focus ora è su attività per il recupero di redditività operativa, che si prevede, anche sulla base dell’andamento dei primi sette mesi, possano consentire di riapprossimarsi già nell’esercizio in corso ai livelli in valore assoluto di margine operativo lordo pre pandemia. Rimane inoltre forte l’attenzione al controllo dei livelli di assorbimento di capitale circolante commerciale al fine di attenuare il costo per il suo finanziamento.

Squeri (Steriltom): maltempo e dumping Cina minacce per industria pomodoro

Squeri (Steriltom): maltempo e dumping Cina minacce per industria pomodoroMilano, 4 ago. (askanews) – “I dati pubblicati dall’Anicav, che stimano una raccolta di pomodoro per il 2023 pari a 5,6 milioni di tonnellate, sono sicuramente un buon dato sulla carta anche se temo troppo ottimistico, almeno per il Nord Italia”. Lo dichiara in una nota Alessandro Squeri, direttore generale di Steriltom, azienda di produzione della polpa di pomodoro a livello europeo.

“Gli effetti delle ultime gravi grandinate che hanno colpito il nostro territorio, infatti, hanno fortemente ridotto gli ettari da raccogliere e le relative rese. Questo dato è vero soprattutto in Romagna dove ai danni ingenti causati dall’alluvione di maggio si sono aggiunte cinque grandinate. Ora tutti contiamo sulla bravura e l’esperienza dei nostri agricoltori, che possano almeno recuperare il salvabile, anche se di fronte a certe situazioni non resta molto da fare”. La campagna nel Nord Italia – aggiunge Squeri – è compromessa e temo perdite di oltre il 15% rispetto alle stime iniziali, con punte del 30% in certe aree”. “Ai danni già gravi del maltempo – prosegue – si aggiunge poi la minaccia derivante dalla concorrenza straniera, soprattutto cinese, che porta in Europa concentrato di pomodoro a prezzi fuori mercato. La produzione europea, e in particolare quella italiana, si è sempre contraddistinta per la sostenibilità e la sicurezza che offre al consumatore finale. Certo, i prodotti provenienti da alcuni Paesi extraeuropei costano meno, ma in cambio di livelli di pesticidi pericolosi, di danni ambientali, assenza di tracciabilità e controlli nella filiera e così via. Per non parlare poi dei temi etici come il rispetto delle popolazioni locali e i lavori forzati in campo riconosciuti in alcuni casi anche dall’Onu”.

“È evidente – continua Squeri – che di fronte al dumping di questi Stati l’industria da sola non ha molti mezzi di contrasto. Servirebbe un intervento a livello europeo che auspichiamo possa ridare al mercato interno maggiori tutele, e alle importazioni dai Paesi Terzi regole più stringenti soprattutto in termini etici e di sostenibilità, così come fatto di recente per esempio da Stati Uniti e Inghilterra”. “Come Steriltom – sottolinea Squeri – nonostante le difficoltà evidenti, ci stiamo organizzando per garantire le quantità prenotate dai nostri clienti storici, lavorando insieme ai nostri oltre 200 agricoltori e ai nostri 700 dipendenti, grazie ai quali, nel 2022, abbiamo lavorato oltre 420mila tonnellate di pomodoro con un fatturato di 155 milioni di euro”. Numeri che, conclude, “ci auguriamo di raggiungere e di superare anche per la campagna del 2023”.

Patto anti-inflazione: domani dichiarazione intenti ma senza industria

Patto anti-inflazione: domani dichiarazione intenti ma senza industriaMilano, 3 ago. (askanews) – Si va verso una dichiarazione congiunta con il mondo della grande distribuzione e del commercio e senza l’industria della trasformazione alimentare per il protocollo anti-inflazione promosso dal governo attraverso il Mimit. Domattina alle 9.30 è fissata una videocall per la firma della dichiarazione di intenti che dovrebbe portare entro il 10 settembre alla firma dell’accordo. Finalità di questo accordo è quella di arrivare a un trimestre di prezzi calmierati (dal primo ottobre al 31 dicembre) per una selezione di prodotti alimentari e di prima necessità.

Fin da subito il nodo al tavolo convocato al Mimit era stato quello della produzione, nodo che incontro dopo incontro è diventato insolubile fino alla rottura di oggi con Centromarca e Ibc (l’associazione delle industrie beni di consumo) che hanno giudicato il protocollo “non praticabile”. A lasciare intendere fin dall’inizio della giornata gli umori al tavolo, tornatosi a riunire oggi, è stata Federdistribuzione che ha parlato di “argomentazioni pretestuose e strumentali” da parte dell’industria dichiaratasi “indisponibile a sottoscrivere l’accordo”. Dal canto Federdistribuzione, attraverso il presidente, Carlo Alberto Buttarelli, aveva confermato la volontà “di continuare nella collaborazione con il governo, per ricercare comunque possibili forme che consentano di contrastare l’inflazione, a tutela di famiglie e consumi”.

Tuttavia, a ufficializzare lo strappo dell’industria alimentare è stata poche ore dopo la nota congiunta Centromarca-Ibc nella quale comunicavano di “ritenere non praticabile la sottoscrizione del protocollo” anti-inflazione promosso dal governo che impegnerebbe le organizzazioni a promuovere, presso le aziende associate, azioni per offrire prezzi calmierati su una selezione di articoli, compresi quelli rientranti nel cosiddetto carrello della spesa, e a “non aumentare il prezzo”. A stretto giro alla posizione di Centromarca e Ibc si è aggiunta quella dell’industria alimentare che fa capo ad Assica, Assitol, Assocarni, Assolatte, Italmopa e Unione italiana food. Queste ultime hanno respinto al mittente le accuse di Federdistribuzione e precisato che per “collaborare fattivamente con tutte le parti interessate” per calmierare i prezzi serve “il coinvolgimento di tutti gli operatori della filiera alimentare nel senso più ampio. Ci riferiamo a tutti coloro che, a vario e diverso titolo, contribuiscono a formare i costi di produzione a partire da materie prime, energia, packaging, logistica, e concorrono dunque a comporre il valore finale del prodotto”. A metà giornata era arrivato anche l’invito del ministro, Adolfo Urso a “sforzo comune”, in un tweet con cui commentava i dati Ocse sull’Italia dove “l’inflazione si è ridotta dal 7,6% di maggio al 6,4% di giugno”. Ma sul fronte consumi oggi è arrivata l’Istat con i dati sulle vendite al dettaglio, che a giugno sono risultate in calo dello 0,2% a valore e dello 0,7% a volume rispetto al mese precedente. Su base annua le vendite a valore sono cresciute del 3,6% ma a volume sono calate del 3,5%. E se rispetto a maggio diminuiscono le vendite dei beni non alimentari sia a valore che a volume (-0,7% in valore e -0,9% in volume), quelle dei beni alimentari crescono in valore (+0,3%) ma calano in volume (-0,2%).

Coldiretti: grano duro pagato il 20% in meno in un anno

Coldiretti: grano duro pagato il 20% in meno in un annoMilano, 3 ago. (askanews) – Il grano duro italiano quest’anno viene pagato oltre il 20% in meno rispetto allo scorso anno nonostante i raccolti siano stati decimati dal clima. A sostenerlo Coldiretti che, in occasione della riunione del tavolo di filiera grano-pasta convocato dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, ha sottolineato come i compensi non coprano i costi di produzione e mettano a rischio il futuro del “granaio Italia” in un momento segnato da grandi incertezze per la guerra ed il clima.

Coldiretti ribadisce l’esigenza di “aumentare la produzione italiana continuando a promuovere accordi di filiera per la stabilità del prezzo e la valorizzazione del grano nazionale ma anche nella ricerca, indispensabile per aumentare qualità e quantità ma anche per contrastare le mutate condizioni climatiche che stanno mettendo a dura prova il comparto produttivo”. La richiesta è poi per una “costante analisi dei prezzi e l’aumento dei controlli, in modo da garantire in ogni caso che il prezzo del grano duro copra i costi di produzione degli agricoltori, nel rispetto della legge contro le pratiche sleali. Una spinta può venire dall’avvio della commissione unica nazionale (Cun) grano duro ma anche dalla promozione della pasta 100% italiana sostenendo l’intera filiera”. Infine chiedono di contrastare le importazioni di grano canadese aumentate rispetto allo scorso anno, nel rispetto del principio di reciprocità nelle importazioni visto che il grano canadese è prodotto attraverso una pratica vietata in Italia come l’uso del glifosate in pre-raccolto come disseccante.

Industria alimentare: aumenti costi assorbiti il più possibile internamente

Industria alimentare: aumenti costi assorbiti il più possibile internamenteMilano, 3 ago. (askanews) – “Le nostre aziende associate hanno da sempre improntato la loro produzione alla massima efficienza e razionalizzazione dei processi ed hanno assorbito quanto più possibile le varie oscillazioni dei diversi costi sostenuti anche al fine di evitare che questi vengano scaricati a valle sul consumatore, come del resto dimostrano i prezzi alla produzione, vale a dire i prezzi di cessione alla distribuzione, che si attestano ben al di sotto del tasso di inflazione medio”. L’industria alimentare rappresentata da Assica, Assitol, Assocarni, Assolatte, Italmopa e Unione italiana food replica a a Federdistribuzione che ha parlato di “argomentazioni pretestuose e strumentali” per non sottoscrivere il protocollo anti-inflazione promosso dal governo attraverso il Mimit, chiedendo “senso di responsabilità verso le famiglie e abbassando, laddove possibile, i propri listini di vendita”.

Assica, Assitol, Assocarni, Assolatte, Italmopa e Unione italiana food si dicono “ben consapevoli che il tasso d’inflazione registrato in Italia in questi tempi sta mettendo in serio pericolo la capacità di spesa dei consumatori. Il calo della capacità di spesa comporta inevitabilmente una riduzione degli acquisti e quindi minor introiti per le aziende e minori profitti. Il consumatore – spiegano – rappresenta il punto di riferimento per eccellenza delle aziende associate e il motore primario dell’esercizio d’impresa”. Le associazioni in un comunicato congiunto ribadiscono di condividere “la necessità di supportare il consumatore italiano” e pur dicendosi “disponibili a collaborare fattivamente con tutte le parti interessate” per calmierare i prezzi, dicono di “non poter trascurare una serie di ragioni tutt’altro che pretestuose e strumentali, come si è affermato”.

La richiesta è che ci sia “il coinvolgimento di tutti gli operatori della filiera alimentare nel senso più ampio. Ci riferiamo a tutti coloro che, a vario e diverso titolo, contribuiscono a formare i costi di produzione (materie prime, energia, packaging, logistica etc.) e concorrono dunque a comporre il valore finale del prodotto”. “Le voci di costo che producono il prezzo finale di un bene hanno un ruolo decisivo sul valore del bene stesso e gli avvenimenti degli ultimi anni hanno reso spesso insostenibili i costi di produzione – ragionano – per cui un impegno sul valore del prodotto finito che non consideri l’incidenza di questi costi, sarebbe deprivato di una componente essenziale e quindi totalmente sbilanciato sugli attori della filiera a valle”. Oltretutto, concludono, “il settore del largo consumo è un ambito altamente competitivo come dimostrato del resto dalla pluralità delle azioni promozionali che vengono messe in essere continuativamente in tutti i punti vendita proprio per venir incontro ai consumatori”.

Centromarca-Ibc: il protocollo anti-inflazione è impraticabile

Centromarca-Ibc: il protocollo anti-inflazione è impraticabileMilano, 3 ago. (askanews) – Centromarca e l’associazoine delle Industrie di beni di consumo in una nota comunicano di aver “ritenuto non praticabile la sottoscrizione del protocollo” anti-inflazione promosso dal governo attraverso il Mimit che impegnerebbe le organizzazioni a promuovere, presso le aziende associate, azioni per offrire prezzi calmierati su una selezione di articoli, compresi quelli rientranti nel cosiddetto carrello della spesa, e a “non aumentare il prezzo” di tale selezione in un trimestre di riferimento (primo ottobre – 31 dicembre 2023) eventualmente prorogabile. “Pur non mettendo in dubbio la validità delle motivazioni che portano il governo, attraverso il Mimit, a promuovere interventi a sostegno del potere d’acquisto delle famiglie” le due realtà che riuniscono l’industria di marca e quella dei beni di largo consumo hanno deciso di non aderire ritenendo impraticabile l’iniziativa, “tenuto conto sia di aspetti sostanziali sia di valutazioni di carattere formale e giuridico”.

Tuttavia, hanno ribadito la volontà di continuare col dialogo al governo, al ministero delle Imprese e alle aziende della moderna distribuzione, con l’obiettivo di affrontare a un tavolo condiviso e in modo organico le inefficienze presenti nella filiera del largo consumo che si traducono in costi per il consumatore finale. E hanno, inoltre, auspicato una riduzione sensibile dell’iva sui beni di consumo, ulteriori tagli al cuneo fiscale e azioni che portino la concorrenza nei settori in cui non è presente. Nella nota le due associazioni spiegano nel dettaglio le ragioni che le hanno portate a non sottoscrivere il protocollo. Il primo punto sono i costi delle materie prime. La gran parte delle industrie è impegnata nella definizione di contratti di acquisto delle materie prime con prezzi che oscillano costantemente. A titolo di esempio, scrivono, Nomisma, per le commodity agricole, su base indice Fao, registra le seguenti variazioni tendenziali (giugno 2023 rispetto gennaio 2020): zucchero +74%, cereali +26%, carne +14%, lattiero caseari +12%, olii vegetali +6%. Rispetto a gennaio 2021 il costo del vetro è cresciuto dell’88%, la carta del 65%, il pet del 37%. I costi logistici si mantengono alti. La marginalità delle aziende si è deteriorata a causa del forte aumento del tasso di sconto. Il quadro complessivo non consente previsioni realistiche sulla dinamica dei conti economici e sulle linee delle politiche commerciali dei prossimi mesi. Un’azione di controllo dei prezzi, a prescindere da queste variabili e dalle differenti condizioni delle singole aziende, rischia di pregiudicare la tenuta del tessuto produttivo (soprattutto delle piccole e medie imprese) e la continuità dei fondamentali investimenti a presidio di qualità, sicurezza, sviluppo, occupazione e sostenibilità.

Il secondo punto, riguarda il graduale aumento dei prezzi per il consumatore finale che ha già generato una contrazione della marginalità. I bilanci industriali registrano riduzioni dei margini, a conferma del fatto che – consapevoli della debolezza del potere d’acquisto delle famiglie – i produttori di beni di largo consumo hanno fatto quanto era in loro potere per trasferire con gradualità a valle gli extracosti (materie prime, energia, imballaggi, trasporti) anche incamerando negli anni scorsi contrazioni significative dei profitti. Nell’alimentare i margini per unità di prodotto hanno registrato una riduzione del 41,6%. L’Osservatorio Congiunturale Centromarca – Ref Ricerche evidenzia che lo scorso anno il 43,5% dei manager delle aziende alimentari e non food ha riscontrato profitti in diminuzione e il 6,2% ha prodotto in perdita. Nel 2022 le tensioni al rialzo dei costi, già in atto nel 2021, si sono accentuate. Per la media dell’industria del largo consumo, secondo elaborazioni di Prometeia, l’incremento è stato del 15,4%, superiore al manifatturiero. L’industria ha trasferito solo parzialmente i costi sui prezzi: in media d’anno, nel 2022, i prezzi al consumo del largo consumo sono aumentati meno del 10% (8,8% per alimentare e bevande, 5,5% per il chimico casa e circa il 3% per gli articoli di igiene personale e prodotti di bellezza). L’impegno delle aziende industriali nel contenimento dei prezzi è confermato anche dal fatto che nel 2022, a fronte di un impatto dell’inflazione che ha determinato una crescita della spesa complessiva delle famiglie pari a 446 euro mensili (rispetto al 2021, dato Istat) l’impatto del carrello della spesa stimato da Nielsen è stato di 35 euro. Infine c’è anche un aspetto giuridico. Verifiche legali, spiegano, hanno appurato che la normativa Antitrust non consente a Centromarca e a Ibc di promuovere presso le aziende associate gli impegni oggetto del protocollo. Ogni industria, nel rispetto della legge, agisce in autonomia sia nel rapporto con fornitori e clienti sia nella definizione delle politiche commerciali. Un’intesa che “controlli” i prezzi (anche al ribasso) costituirebbe un potenziale cartello, sanzionabile da parte dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato. L’attuazione del contenuto del protocollo determinerebbe, inoltre, interferenze nelle relazioni di filiera e una distorsione della concorrenza tra le imprese, che competono tra loro sulla base di posizionamenti, margini e politiche di prezzo differenziate.

Salumi Fiorucci tornano in Europa: il 100% a Navigator e White Park Capital

Salumi Fiorucci tornano in Europa: il 100% a Navigator e White Park CapitalMilano, 3 ago. (askanews) – I salumi Fiorucci tornano in Europa passando dalla multinazionale messicana Sigma Alimentos alla tedesca Navigator group e alla irlandese White Park Capital. Il salumificio Cesare Fiorucci, fondato a Norcia nel 1850 e oggi con base a Pomezia, nel 2011 era stato acquisito dalla Campofrio Food, multinazionale con sede a Madrid, confluita poi nel 2015 nella multinazionale alimentare messicana Sigma Alimentos. Ora la Cesare Fiorucci confluisce al 100% sotto la Fiorucci Holding, una società veicolo controllata dalla tedesca Navigator group e dall’irlandese White Park Capital.

Navigator è un gruppo industriale diversificato specializzato nell’acquisizione di aziende europee al fine di migliorarne la redditività e garantire un futuro a lungo termine ai propri stakeholder. Navigator ha sede a Düsseldorf e gestisce un portafoglio diversificato di aziende in Germania, Svezia, Francia e Svizzera. White Park è un gruppo industriale basato a Dublino specializzato nella riorganizzazione e rilancio di rami d’azienda. Con l’acquisizione, spiega una nota, i nuovi soci mirano a rilanciare l’offerta e la distribuzione dei prodotti dello storico marchio Fiorucci nei canali di riferimento in Italia e all’estero in virtù di un importante piano di investimenti e di rilancio di lungo periodo. L’obiettivo è di riportare una azienda e un marchio che ha 170 anni di vita a una redditività e a una crescita adeguate al suo potenziale. Il piano di rilancio di lungo periodo prevede una prima fase di riorganizzazione a cui seguirà una fase di crescita supportata da rilevanti investimenti. Cesare Fiorucci viene quindi ricapitalizzata con rilevanti risorse finanziarie.

“Fiorucci ha saputo combinare in modo meraviglioso tradizione e innovazione diventando un marchio iconico in Italia. È un onore poter contribuire con la mia esperienza al continuo successo di Fiorucci”, ha dichiarato Claudio Rustioni, Amministratore Delegato di Fiorucci. Per Christian Muschick, amministratore delegato del Gruppo Navigator “Fiorucci è sinonimo di valori che ammiriamo: tradizione, bontà, gioia di vivere, qualità. Questo è un impegno strategico volto a rafforzare la nostra posizione nel settore alimentare”. “Fiorucci rappresenta un’attitudine italiana alla vita – sottolinea William Belford di White Park Capital – che può essere trasmessa solo in Italia e dall’Italia al resto del mondo”.

Inflazione, Scordamaglia: affidare a Ismea verifica costi di produzione

Inflazione, Scordamaglia: affidare a Ismea verifica costi di produzioneMilano, 3 ago. (askanews) – Per calmierare i prezzi e contrastare eventuali forme speculative occorre “partire da una seria e oggettiva analisi dei costi di produzione da affidare a un organismo terzo e qualificato, come Ismea”. A dirlo Luigi Scordamaglia, amministratore delegato di Filiera Italia che ha partecipato al tavolo ministeriale convocato dal ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, sulla filiera del grano e della pasta. Il riferimento è al trimestre anti-inflazione a cui lavora il Mimit d’intesa con la distribuzione, l’industria della trasformazione e i produttori di materie prime. “Una trasparenza nei prezzi aiuta, non limita il mercato – sottolineano da Filiera Italia – e passa anche attraverso una commissione unica nazionale (CUN) che superi commissioni locali troppo spesso soggette a pressioni e forzature strumentali”.

Durante l’incontro Scordamaglia ha ricordato che “abbiamo imparato tutti negli ultimi due anni che dipendere dall’estero per beni essenziali, quali cereali, grano, è pericoloso perché potrebbe mettere a rischio l’intera filiera e la sicurezza del Paese”. Nel 2022, infatti, 72 Paesi a livello globale hanno introdotto restrizioni al proprio export di prodotti agricoli e la Cina ha stoccato circa l’85% dello stock di grano globale. “L’obiettivo – prosegue Scordamaglia – non può quindi che essere aumentare strategicamente la produzione nazionale di grano duro attraverso l’unico strumento che lo consente e cioè i contratti di filiera che se adeguatamente implementati assicurano stabilità e garanzia di un prezzo trasparente e remunerativo per tutti”. “Sempre attraverso i contratti di filiera e la ricerca in partnership pubblico privata – ha aggiunto – è possibile una costante crescente valorizzazione, anche qualitativa, del grano italiano”. Infine Scordamaglia ha richiamato la necessità che “l’Italia, contrariamente a quanto fatto in passato, prenda una posizione chiara sulla proposta di riautorizzazione del glifosate chiedendo un divieto totale per tutta Europa e per i prodotti importati per qualsiasi uso in pre raccolta”. Uso vietato in Italia, ma consentito nel grano di importazione.

Presidente Consorzio Grana Padano Zaghini Cavaliere della Repubblica

Presidente Consorzio Grana Padano Zaghini Cavaliere della RepubblicaMilano, 3 ago. (askanews) – Il presidente del Consorzio del Grana Padano, Renato Zaghini è stato insignito dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, dell’onorificenza di cavaliere dell’ordine al merito della Repubblica Italiana.

“È un riconoscimento alle grandi capacità imprenditoriali e alle profonde qualità umane del presidente Zaghini, che da anni è ai vertici del Consorzio che tutela e valorizza il prodotto Dop più consumato nel mondo – ha commentato il direttore generale del Consorzio, Stefano Berni, a nome di tutto il mondo consortile – Ha assunto la presidenza in uno dei periodi più difficili non solo per l’economia e il settore agroalimentare, ma per l’intera umanità, scossa da epidemie e conflitti. E sta guidando la filiera con la determinazione, la lungimiranza e l’amore per i valori della sua terra e della sua Patria, elementi essenziali per il conferimento dell’onorificenza che gli è stata concessa”. Renato Zaghini è stato eletto presidente del Consorzio di tutela Grana Padano il 2 luglio del 2020 dal consiglio d’amministrazione votato ad aprile dell’assemblea generale del Consorzio, nel pieno della pandemia.

Sessantasette anni, sposato, ha due figli di 44 e 42 anni, che ora guidano l’azienda di famiglia, un allevamento di medie dimensioni di vacche da latte a Bagnolo San Vito, in provincia di Mantova. La vita di Zaghini si è presto divisa tra l’azienda zootecnica e il Caseificio Europeo, dove il padre lavorava come operaio. Conseguito il diploma da perito agrario, si è dedicato subito all’allevamento e ha trasmesso ai figli questa passione per la campagna, guidando così l’azienda alla quarta generazione. Ha ricoperto anche incarichi nella Coldiretti. Questo impegno insieme a quello nell’attività cooperativistica lo ha visto eletto nel 1997 alla presidenza del Caseificio Europeo società agricola cooperativa di Bagnolo San Vito, produttore di Grana Padano Dop, nel momento della gestione delle quote latte in Europa.

Anicav: Coldiretti confonde, Masaf acceleri iter su origine pomodoro

Anicav: Coldiretti confonde, Masaf acceleri iter su origine pomodoroMilano, 2 ago. (askanews) – L’Anicav, l’associazione nazionale dell’industria conserviera vegetale, replica a stretto giro alla Coldiretti, che, in occasione dell’avvio della campagna della raccolta del pomodoro, torna ad agitare il fantasma del pomodoro cinese sulle tavole italiane. “Il comparto della trasformazione del pomodoro è continuamente oggetto di attacchi e di una ‘certa’ comunicazione, il più delle volte strumentale, che si ripete ormai da anni con una precisa cadenza – scrive Anicav – Questo tipo di azione mette in discussione l’origine e la qualità dei prodotti confondendo i consumatori e inducendo a credere che non ci siano differenze tra i derivati del pomodoro e che tutto ciò che arriva sulle nostre tavole è di dubbia origine, danneggiando così l’immagine di un intero settore”.

Anicav, oggi, insieme alle Organizzazioni interprofessionali del pomodoro da industria del Nord e del Centro-Sud Italia ha inviato una lettera congiunta al ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, con cui “alla luce delle preoccupazioni da più parti espresse, al fine di salvaguardare e valorizzare un settore che rappresenta un’eccellenza italiana nel mondo, evidenzia la necessità di una maggiore attenzione del Masaf alle dinamiche commerciali 2023 del pomodoro e dei suoi derivati. In particolare, abbiamo sottolineato l’esigenza che l’Icqrf (l’Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione frodi dei prodotti agroalimentari che fa capo al Masaf), validi in tempi brevi, al fine di renderla operativa, la verifica della zona d’origine attraverso la caratterizzazione dei macro e microelementi minerali presenti nel pomodoro, sulla base del lavoro messo a punto dalla Stazione sperimentale delle Conserve alimentari, alla quale, come Anicav, abbiamo dato fin dall’inizio il nostro pieno appoggio”. La richiesta di accelerare sulla zona d’origine del pomodoro, si accompagna a un chiarimento sul dato diffuso da Coldiretti sulle importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina, che nel 2022 ci ha superati in termini di produzione del pomodoro da industria. Lo scorso anno infatti l’Italia ha prodotto 5,5 milioni di tonnellate di pomodoro da industria (erano 6 nel 2021) contro i 6,2 milioni della Cina (4,8 nel 2021) e i 9,9 degli Stati Uniti. Ma questo non ha nulla a che vedere con le importazioni di concentrato che avvengono in un regime transitorio, di cosiddetta temporanea importazione. “In Italia – spiega Anicav – le importazioni di concentrato di pomodoro provenienti da paesi terzi avvengono in regime di Tpa (Traffico di perfezionamento attivo) o temporanea importazione, per cui il concentrato entra temporaneamente nel territorio nazionale a scopo di perfezionamento (lavorazione, trasformazione o riparazione) per poi essere riesportato verso paesi extracomunitari, quindi verso un mercato di sbocco molto diverso da quello dei derivati prodotti in Italia da pomodoro 100% italiano”.

“Ribadiamo ancora una volta – conclude la nota – che il contrasto a ogni possibile pratica fraudolenta è da sempre uno dei principali obiettivi di tutte le nostre azioni, a tutela della nostra reputazione e, soprattutto, di tutti i consumatori”.