Morte Emilio Rigamonti, il cordoglio dell’azienda: perdiamo un pilastroMilano, 31 mag. (askanews) – L’amministratore delegato di Rigamonti, Claudio Palladi, assieme ai dipendenti e a Jbs esprime sentito rammarico per la scomparsa del fondatore dell’azienda, Emilio Rigamonti, deceduto oggi a Sondrio.
“Oggi perdiamo un pilastro dell’azienda. La sua intuizione e il suo impegno – ha detto Palladi – hanno reso Rigamonti leader nel mondo e la bresaola della Valtellina Igp un prodotto conosciuto e consumato in tutto il pianeta. Ci legava una profonda stima, sul piano professionale e soprattutto umano. Avevamo festeggiato insieme di recente i suoi 92 anni. La sua è stata una presenza costante e discreta”. “Ha sempre sentito l’azienda come propria – ha concluso Palladi – abbiamo lavorato fianco a fianco e ci siamo confrontati fino all’ultimo, anche dopo l’acquisizione da parte di JBS, della quale era pienamente soddisfatto. Sentiremo profondamente la sua mancanza”. Emilio Rigamonti aveva preso insieme al fratello Giovanni le redini dell’attività di macelleria e salumeria di famiglia nel 1913, aprendo alla fine degli anni Cinquanta il primo stabilimento produttivo a Montagna in Valtellina, che ancora oggi è sede della società, e in seguito gli impianti a Poggiridenti (negli anni 70) e a Mazzo in Valtellina nel 1986.
Eumetra: carrello della spesa più vuoto per millennial e famiglie con figliMilano, 31 mag. (askanews) – La “razionalizzazione” è il filo conduttore della spesa degli italiani. In particolare, tra i due segmenti più rilevanti per il futuro del Paese, millennials (54%) e famiglie con figli (61%) vedono oggi il proprio carrello più vuoto rispetto a un anno fa. E’ quanto evidenzia l’istituto di ricerca sociale e di marketing Eumetra.
“Inflazione, costi dell’energia e scenari economici internazionali incerti – commenta Matteo Lucchi, amministratore delegato di Eumetra – hanno modificato le abitudini di spesa degli italiani preoccupati soprattutto dall’incremento delle spese per la casa (oltre il 50% dei Millennials e delle famiglie con figli), dalle visite mediche che hanno rinviato (oltre 3 famiglie con figli su 10) e dalla perdita del lavoro per il 15% dei millennials. Questo scenario porta circa il 40% di giovani e famiglie con figli a comprare al supermercato marche in promozione o meno costose. Le famiglie con figli in particolare (4 su 10) hanno percepito un aumento dei prezzi di oltre il 20%”. Rispetto a un anno fa, nonostante i rincari, gli italiani dichiarano di acquistare molta più frutta, verdura fresca e carne, meno liquori, vino e, nel caso delle famiglie con figli, anche meno pesce fresco. La gastronomia fresca è, invece, un reparto che i millennial sostengono di frequentare di più rispetto a 12 mesi fa, a differenza delle famiglie con figli.
In questo contesto, anche i dati Eumetra confermano che a trarre un “beneficio” di questa situazione è la marca del distributore. Il 37% delle famiglie con figli e il 35% dei millennials coinvolti nell’indagine, infatti, dichiarano di comprare più prodotti a marchio del distributore rispetto a un anno fa, a scapito dei prodotti di marca che oggi il 10% delle famiglie con figli non compra più. La marca del distributore è ritenuta più conveniente dalle famiglie con figli, sia perché costa meno, ma anche perché viene considerata capace di sostituire i prodotti di marche più note. “Esiste una correlazione – ha aggiunto Lucchi – tra la percezione del nostro futuro familiare, lavorativo o reddituale e come spendiamo ‘oggi’: il carrello della spesa di questo fine settimana dipende da come ci vediamo tra sei mesi-un anno. Sono certamente le famiglie con figli che oggi soffrono i maggior timori relativi al proprio futuro. La dimensione dell’essere genitori impatta significativamente sul carrello della spesa. Questo offre un’indicazione molto utile per le aziende della Gdo: analizzare il sentiment verso il futuro e tracciare come evolve la struttura familiare dei propri clienti, dice molto su come organizzare lo scaffale domani”.
Altro driver di scelta per la spesa sono le promozioni e in questo il voltantino si conferma un evergreeen. Oltre il 60% dei millennials e il 65% delle famiglie con figli si informa abitualmente sulle promozioni di un punto vendita attraverso il volantino cartaceo che trova direttamente al supermercato. La ricerca Eumetra sul mondo della grande distribuzione evidenzia, inoltre, che anche i volantini a domicilio mantengono la loro forza (utilizzati dal 49% dei millennials e dal 58% delle famiglie con figli). Non solo, il volantino porta il consumatore direttamente all’acquisto: il 30% di millennials e famiglie con figli dichiarano oggi di acquistare un prodotto perché lo ha visto sul volantino promozionale.
Giornata del latte, 65% del prodotto nazionale raccolto da cooperativeMilano, 31 mag. (askanews) – “Oggi il settore lattiero caseario rappresenta il primo comparto dell’agroalimentare nazionale con ricavi che hanno toccato nel 2021 quasi 17 miliardi di euro e in questo panorama le oltre 600 cooperative ricoprono un ruolo di rilevanza strategica. Grazie al lavoro di oltre 17.000 stalle associate, vengono raccolti quasi 8,5 milioni di tonnellate di latte l’anno, oltre il 65% del latte prodotto in Italia”. È quanto sottolinea Giovanni Guarneri, coordinatore del settore lattiero caseario di Alleanza delle Cooperative, in occasione del World milk day, istituito il primo Giugno dalla Fao nel 2001 con il duplice scopo di valorizzare il prodotto e le sue proprietà nutrizionali ma anche l’indotto socioeconomico.
La filiera lattiero casearia è responsabile del 10,8% del fatturato totale dell’industria agroalimentare nazionale con ricavi che sfiorano i 17 miliardi di euro e una bilancia commerciale positiva pari a 493 milioni di euro (Fonte: ISMEA, Ottobre 2022). In questo panorama articolato, dove intervengono a più livelli diversi attori, il sistema lattiero caseario cooperativo garantisce, attraverso la raccolta e la trasformazione del latte, 15.000 posti di lavoro e un reddito a centinaia di migliaia di famiglie oltre a contribuire al mantenimento degli ecosistemi antropici, specie nelle aree montane o svantaggiate più a rischio di spopolamento. La cooperazione lattiero casearia da anni è anche impegnata nella valorizzazione del latte e dei suoi derivati, attraverso progetti come “Think milk, taste Europe, be smart”, promosso dal settore lattiero caseario dell’Alleanza delle Cooperative, realizzato da Confcooperative e cofinanziato dalla Commissione Europea, per aumentare il grado di consapevolezza dei consumatori e dei media nei confronti del latte e dei suoi derivati (formaggi e yogurt), proponendo un’informazione corretta.
Heineken Italia: la sfida della sostenibilità si vince nei birrificiMilano, 30 mag. (askanews) – Quando un prodotto come la birra è fatto per il 95% di acqua, parlare di riduzione dei consumi idrici sembra quasi un controsenso. Per Heineken Italia, però, il risparmio idrico, al pari della riduzione delle emissioni di Co2 è diventata una sfida quotidiana. “La sostenibilità da oltre 10 anni per noi è importante e oggi è ancora più centrale nella nostra strategia. Nel 2022 abbiamo ridotto i consumi di 500mila ettolitri di acqua durante il processo di produzione – ha detto l’amministratore delegato di Heineken Italia, Wietse Mutters, presentando il nuovo rapporto di sostenibilità – Ma stiamo accelerando ancora: abbiamo investito in tecnologica e conoscenza e nel primo quadrimestre di quest’anno sono stati risparmiati già 700mila ettolitri con l’obiettivo entro il 2023 di arrivare 3,2 milioni di ettolitri in meno”, a fronte di un aumento della produzione di birra di 100 mila ettolitri.
Quella della sostenibilità per Heineken Italia è una sfida che inizia sul territorio, nei quattro stabilimenti produttivi lungo lo Stivale – Pollein in Val d’Aosta, Comun Nuovo nella Bergamasca, Assemini in Sardegna e Massafra in Puglia – dove quotidianamente si costruisce l’obiettivo della net zero emission al 2030 attraverso team di lavoro dedicati che individuano criticità e propongono interventi mirati. Come nel caso dello stabilimento di Massafra, nel Tarantino un’area soggetta a stress idrico: “A Massafra dove l’acqua non è abbondante – ha spiegato l’ad – abbiamo tanti strumenti per ridurre ma anche per compensare il consumo di acqua”, uno su tutti l’installazione dei compressori a vite al posto delle pompe da vuoto ad anello liquido che ha consentito un risparmio di 2.250 kWh di energia elettrica e 7.900 ettolitri di acqua. Oltretutto quello di Massafra è il terzo birrificio al mondo per produzione di energia solare grazie a 13mila pannelli solari installati. Oltre al consumo idrico, Heineken Italia lavora anche sul fronte della decarbonizzazione. “E’ un percorso che è iniziato oltre 10 anni fa – ha detto Leo Gasparri, Sustainability manager Heineken Italia – ad oggi abbiamo ridotto del 59% le emissioni per ettolitro di birra prodotto, in valore assoluto parliamo del -44%. Però dobbiamo arrivare a zero e per farlo dobbiamo lavorare sui birrifici, riducendo il bisogno di energia e cambiando il modo in cui questi birrifici si approvvigionano di energia. Per produrre birra serve il 70% di energia termica e il 30% energia elettrica: dal 2015 l’energia elettrica provienie solo da fonti rinnovabili certificate, ora dobbiamo lavorare sull’energia termica”. Sul fronte delle emissioni nel 2022 la riduzione è stata del 6%, pari a 1.600 tonnellate di CO2, “la quantità di CO2 che assorbirebbe un bosco grande come l’isola di Ponza”.
Proprio nell’ambito di questo percorso intrapreso dai singoli stabilimenti, “da fine 2023 – ha sottolineato Gasparri – nello stabilimento di Assemini sarà attivo un waste water treatment plants, un impianto di trattamento delle acque reflue che non solo le tratta ma riesce a produrre biogas dando energia green al birrificio, che riuscirà a coprire il 7% del fabbisogno totale”. Questo impianto rientra in un investimento complessivo di 73 milioni avviato prima del Covid su Assemini, una sfida “dal momento che investire in Sardegna non è facilissimo perchè banalmente è un’isola, non c’è la rete del gas – ha fatto presente Alfredo Pratolongo, il direttore della Comunicazione e affari istituzionali di Heineken Italia – Quindi voler fare dei miglioramenti in ambito ambientale avendo fatto la promessa di produrre birra Ichnusa solo in Sardegna è un vanto ma è anche impegnativo”. La sostenibilità non riguarda solo la produzione. “Abbiamo anche l’obiettivo di arrivare al 2040 carbon neutral su tutta la value chain – ha ricordato Gasparri – quindi sono tante le aree su cui abbiamo già iniziato a lavorare come il packaging”. Qui con l’introduzione di confezioni “neck through” (ossia con il collo della bottiglia non ricoperto di carta), in un anno, si è potuto risparmiare oltre il 25% di cartone per ogni singolo prodotto pari 113 tonnellate di cartone, sono state ridotte le dimensioni delle etichette e attraverso l’efficientamento della logistica nel 2022 sono stati evitati i movimenti di 640 camion.
“E’ un salto enorme quello della net zero emission al 2030 – ha osservato Pratolongo – non ci sono ancora neanche tutte le tecnologie ma per noi è un impegno che ci siamo assunti. Le grosse aziende hanno questo ruolo: definire la direzione e farlo in anticipo rispetto alle prescrizioni di legge o agli obiettivi internazionali”. La strategia della sostenibilità, tuttavia, non riguarda solo l’ambiente. Accanto alla sicurezza dei lavoratori – negli ultimi 5 anni il tasso di infortuni sul totale delle persone si è mantenuto sotto lo 0,7% – e all’impegno nell’ambito della diversity, equity e inclusion, Heineken infatti da tempo si è fatta promotrice di campagne per un consumo moderato di alcol. Ora alla comunicazione affianca anche un progetto “educativo” che nel 2022 ha visto coinvolti i futuri operatori del mondo horeca. Infatti attraverso Responsibility in education, nato su iniziativa di Fondazione Birra Moretti, in partnership con Aspi, l’associazione dei sommelier, e Regione Lombardia già lo scorso anno sono stati coinvolti 750 studenti, e ora punta a crescere, coinvolgendo 2.100 studenti entro il 2023. “Avere una birra zero alcol a marchio Heineken – ha sottolineato Pratolongo – dà molta credibilità al ruolo dell’azienda. In Italia siamo stati pionieri nel 2004 con una campagna di una azienda birraria interamente dedicata al consumo responsabile. Ora affrontiamo il tema non solo con la comunicazione ma anche con la formazione”.
Mutti: fatturato 2022 a 563 mln (+16%), aumento costi erode Ebitda (-7%)Milano, 29 mag. (askanews) – Il gruppo Mutti ha chiuso il 2022 con un fatturato complessivo di 563 milioni di euro, in crescita del 16% rispetto al 2021. Anche a volume l’azienda di trasformazione del pomodoro ha registrato un aumento delle vendite passando dalle 324,1 mila tonnellate del 2021 alle 335 mila del 2022. Tuttavia l’incremento dei costi registrato durante l’anno ha eroso i margini con l’Ebitda che è sceso a 44,7 milioni dai 48 di un anno prima, il 7% in meno. La posizione finanziaria netta poi si è attestata a -123 milioni di euro dai -34 dei 12 mesi precedenti, come risultato degli aumenti di costi che l’azienda ha dovuto sostenere nel corso dell’anno.
Il 2022, infatti, è stato un anno segnato dall’aumento dei costi dell’energia elettrica, del gas e delle materie prime, spiega l’azienda, con un picco che ha coinciso con l’estate, periodo di massima attività per la campagna di trasformazione del pomodoro. In particolare, rispetto all’anno precedente, il costo dell’energia è aumentato del 147% e quello del gas del 217%, al netto dei significativi contributi governativi ricevuti, mentre vetro e latta, materiali utilizzati dall’azienda per il packaging, sono aumentati rispettivamente per oltre il 40% e oltre il 60%. A fronte di ciò, “c’è stato solo un aumento dei prezzi a scaffale pari a poche decine di centesimi di euro che ha portato inevitabilmente a una penalizzazione a livello di volumi prodotti”. Tuttavia i risultati hanno consentito a Mutti di mantenere pressochè stabile la quota di mercato in Italia, pari al 33,7% (la somma delle quote di mercato dei tre competitor più forti, spiega una nota, non arriva a coprire la quota di Mutti) e di accrescere quella in Europa dove è passata dal 14,1% al 15%. In particolare il 2022 è stato l’anno in cui l’export per la prima volta anche a valore ha superato il mercato domestico: la quota di fatturato registrata all’estero, infatti, è stata pari al 51% pari a 286 milioni di euro. Anche a volume, per il secondo anno consecutivo, c’è stato un aumento delle tonnellate vendute all’estero, pari a 190,4 mila, rispetto alle 144,6 mila vendute in Italia. Sono sette i Paesi in Europa in cui Mutti oggi è leader di mercato: Francia, Svezia, Danimarca, Norvegia, Finlandia, Slovenia e Italia. In Germania si consolida come seconda marca. Fuori dal perimetro europeo, invece, prosegue la crescita in Australia e Usa.
I risultati del 2022, sottolinea l’azienda, sono anche frutto di investimenti industriali per 32 milioni di euro, destinati a interventi e attività ulteriormente migliorative degli indici di qualità, efficienza e sicurezza del gruppo. “I gravi fattori esogeni, dalla siccità agli aumenti di materie prime ed energia, che hanno caratterizzato il 2022 non hanno intaccato il nostro percorso di crescita – ha dichiarato Francesco Mutti, amministratore delegato dell’omonima azienda – Siamo quindi pronti a far fronte a un 2023 che si prospetta altrettanto complesso e sfidante. Più in generale dovremmo riflettere, a livello Paese e in modo radicale e radicato, su quella che sarà la nostra politica idrica dei prossimi anni. Dobbiamo assolutamente pensare non solo in una logica di presente ma anche per il futuro. Pensare, quindi, alla costruzione di progetti che facciano sì che l’acqua che continua a cadere venga trattenuta e non sprecata. È evidente, da tempo, che l’emergenza idrica sia un tema che non può più essere sottovalutato, soprattutto perché le soluzioni al problema non sono immediate. Occorre mettere questo argomento al centro dell’agenda pubblica e privata, da subito”.
Cara scatoletta di tonno: prezzi spingono fatturato 2022 a 1,55 mld (+12%)Milano, 26 mag. (askanews) – L’aumento dei costi delle materie prime e l’inflazione, che erode il potere d’acquisto dei consumatori, non hanno risparmiato il settore dell’industria conserviera ittica italiana. Parliamo di un comparto da 1.500 addetti che ha un prodotto simbolo su tutti, il tonno in scatola, un alimento che ci ha accompagnato a tavola nei lunghi mesi della pandemia e che ora risente, come molti settori, della congiuntura economica.
Lo scorso anno, secondo le elaborazioni dell’Associazione nazionale conservieri ittici, la produzione nazionale di tonno in scatola è scesa a 77.411 tonnellate, il 7,7% in meno sul 2021 e il volume del prodotto totale disponibile per il mercato italiano ha toccato le 150.660 tonnellate (-5% sul 2021). Gli acquisti domestici di tonno in scatola, tuttavia, secondo il rapporto Ismea-NielsenIQ sul 2022, hanno tenuto (+0,1% in volume sul 2021) malgrado l’aumento del prezzo medio del 7%. Da qui un aumento più marcato a valore del mercato, cresciuto di quasi un 12% rispetto all’anno prima, a 1,55 miliardi di euro. Che, se si allarga lo sguardo a tutto il comparto, che oltre al tonno, comprende anche sgombri, acciughe e sardine in scatola, salgono – è una stima – 1,875 miliardi (+5,33% sul 2021). “I fatturati sono aumentati ma i volumi no. C’è stato un leggero calo dei volumi complessivi rispetto al 2021 ma è un assestamento fisiologico dopo il boom del Covid”, ci ha detto Simone Legnani, presidente di Ancit. Si consumano più pasti fuori casa e si è un po’ sgonfiato l’effetto dispensa che aveva caratterizzato i periodi del lockdown, spiega Legnani che aggiunge: “Oggi possiamo dire che i consumi sono tornati leggermente sopra il pre-Covid. Dall’altra parte, invece, i fatturati sono aumentati per effetto dell’inflazione”. Legnani imputa questo risultato all’aumento dei costi delle materie prime, che per il comparto oscilla tra il 20 e il 30%: “Ci siamo trovati investiti da una serie di aumenti, partiamo dalle confezioni: noi utilizziamo vetro, metallo e carta, prodotti da aziende molto energivore che hanno chiesto aumenti dei prezzi. In più c’è stata la perturbazione dell’olio di girasole che non è un olio usato direttamente dal nostro settore, però ha concorso all’aumento dei prezzi del settore oli, incluso quindi l’olio d’oliva” che è quello utilizzato nel 90% dei casi della produzione italiana di tonno in scatola. C’è poi l’effetto del super dollaro a partire dalla metà del 2022: “Noi acquistiamo il tonno all’estero, pagandolo in dollari, il fatto che il dollaro si sia apprezzato sull’euro per noi ha avuto un grosso impatto – spiega ancora Legnani – Ora una parte di questi costi è stata assorbita dalle aziende ma si sono erosi i margini anche perchè la gdo ha cercato di resistere, rifiutando rialzi a listino. L’anno scorso siamo riusciti a tamponare, mantenendo i volumi, aumentando il fatturato ma perdendo in marginalità”. Anche le esportazioni hanno subito un arresto riportando un calo del 4,5% a quota 31.824 tonnellate e un conseguente incremento delle importazioni arrivate a 100.613 tonnellate (+7,86%).
Al consumatore, come si diceva, tutto questo quanto è costato un 7% in più di media: “Rispetto all’aumento dei costi del 30% che ha registrato l’industria sta a significare che più della metà di questi aumenti è stata assorbita dalle aziende, poi una parte è stata riversata sul consumatore e una parte, minima, sulla grande distribuzione”, afferma Legnani. E anche per il 2023 Ancit non vede grandi schiarite all’orizzonte. “Quello che ci preoccupa è che per quanto riguarda il nostro settore non c’è una prospettiva radiosa: l’olio d’oliva costava intorno ai 4 euro oggi ci sono previsioni che parlano di 7 euro al chilo, fino a 9, per noi che produciamo il tonno con olio d’oliva è un problema”. Non solo anche “il prezzo del tonno non scende” e questo, spiega Legnani, è una diretta conseguenza del cambiamento climatico. “Ormai si fa fatica a pescare i tonni perché il riscaldamento dell’acqua spinge il pesce a cercare acque sempre più fredde e le nostre reti non riescono ad arrivare così in profondità”. Conseguenza diretta della scarsità della materia prima è l’aumento del prezzo. “Se sono un po’ rientrati i costi degli imballaggi perchè i costi energetici sono scesi, nel 2023 non ci sono molti sorrisi tra i nostri associati – constata il presidente dell’Ancit – Oggi siamo abbastanza preoccupati perché il rischio è che il consumatore scelga prodotti che arrivano dall’estero con olio di girasole, magari attratto dalla promozione. Si potrebbe innescare la classica spirale per cui i margini delle aziende si riducono e non possono sostenere promozioni, investimenti e, di conseguenza, anche la capacità di sostenere momenti di difficoltà si riduce”. A tal proposito, il settore chiede anche un aiuto alle istituzioni, in materia di aiuti di Stato “de minimis”, per le industrie che trasformano e commercializzano prodotti ittici. “Dobbiamo poter beneficiare degli stessi massimali previsti per le altre imprese, a partire dal quadro temporaneo di aiuti alle imprese concesse a seguito dell’aggressione della Russia all’Ucraina” è la richiesta che arriva dall’Ancit che ritiene “ingiusta” questa penalizzazione per il comparto.
A Venezia apre Ca’ Select: una porta sul mondo per l’aperitivo venezianoMilano, 24 mag. (askanews) – “Venezia è una porta aperta verso il mondo che può sicuramente dare a Select un impulso particolare”. Le parole del ceo del gruppo Montenegro, Marco Ferrari, raccontano lo spirito con cui il gruppo ha inaugurato a Venezia, all’interno di un ex laboratorio industriale, nel sestiere di Cannaregio, Ca’Select uno spazio che già nel nome racconta il legame di questo aperitivo, a tutti gli effetti rientrante nella categoria dei bitter, con la città lagunare. Perchè l’obiettivo di questo investimento, nelle intenzioni del gruppo, è quello di valorizzare il Select, ingrediente essenziale dello spritz veneziano, e la sua città di origine.
“Ca’ Select ha come obiettivo quello di portare a Venezia il cuore, l’essenza dell’aperitivo Select un legame che dura da più di 100 anni – ci ha detto inaugurando un progetto nato tre anni fa e che ha dovuto superare i burrascosi anni della pandemia per vedere la luce – Nel 1920 i Fratelli Pilla hanno scelto Venezia per creare questo elisir, una scelta non casuale quella di questa città, crocevia tra Occidente e Oriente ma anche centro di scambio delle più preziose erbe e spezie che compongono il nostro aperitivo”. Select nasce infatti nel sestiere di Castello, cuore storico della città di Venezia, dall’esperienza liquoristica della distilleria Fratelli Pilla e sembra debba il suo nome al Vate, Gabriele D’Annunzio, che lo aveva battezzato Selectus poi abbreviato in Select. Dal 1988 poi il marchio è entrato a far parte del gruppo Montenegro entrando, come ha sottolineato Ferrari, “insieme ad Amaro Montenegro e Vecchia Romagna tra i marchi che noi stiamo spingendo, su cui stiamo investendo particolarmente per la crescita internazionale del nostro gruppo”.
A Ca’ Select il rosso del bitter scalda l’ambiente e domina sul legno delle travi a soffitto e il seminato veneziano dei pavimenti, tutti materiali e maestranze a chilometro zero: i suoi 700 metri quadrati sono suddivisi in quattro aree: la zona bar-mixology, l’area eventi, un percorso espositivo analogico e digitale curato da Studio Fludd e l’area produttiva. Sì perchè nel retro di questo spazio dall’estate partirà la macerazione di ginepro e rabarbaro (almeno inizialmente), due delle trenta spezie che si utilizzano per il Select. L’inaugurazione dello spazio è stata anche la “premier” della Select Spritz Week, al debutto a Venezia dal 25 al 28 maggio. Un palinsesto di eventi ed esperienze diffuse che consentirà a turisti e visitatori di scoprire la città lagunare attraverso uno dei suoi simboli, lo spritz veneziano appunto, quello dove il prosecco “spruzzato” con un po’ di acqua gassata o soda (il nome deriva infatti dal tedesco spritzen a ricordare l’abitudine austriaca di allungare i vini, considerati troppo forti del nord est, con dell’acqua) e “sporcato” col rosso del Select.
“Il concetto di Select spritz week nasce l’anno scorso all’interno del gruppo Montenegro con l’obiettivo di promuovere, e raccontare l’autentico spritz veneziano non solo agli italiani ma anche in giro per il mondo – ci ha detto il ceo – oltre che agli eventi di Venezia, infatti, la Spritz week vivrà in giro per il mondo nelle principali città, da Londra, Parigi, New York e con diverse attivazioni anche in quel caso con l’obiettivo di promuovere l’autentico spritz veneziano”. Per la sezione spirits di Montenegro infatti l’estero rappresenta un mercato importante arrivato a superare il 30% sul fatturato nell’ultimo bilancio, chiusosi il 30 aprile scorso. “La nostra è una azienda al 100% italiana che negli ultimi 7 anni ha quasi raddoppiato il fatturato con una forte crescita sia italiana ma anche all’estero – ha rimarcato Ferrari – Solo nel 2014 l’estero valeva il 4%”.
I 100 anni di Rigoni di Asiago: “Continueremo a essere una grande famiglia”Milano, 24 mag. (askanews) – “Oggi è un giorno speciale e per me, in particolare, rappresenta una grande emozione trovarmi qui a festeggiare i cento anni di Rigoni di Asiago. Abbiamo fatto tanta strada e siamo arrivati fin qui con un grande obiettivo: creare prodotti di alta qualità e bontà, nel rispetto di uno stile di vita che tenga conto del benessere di tutti. Sono stati cento anni di impegno, di scelte mirate, talvolta non facili, puntando però sempre all’eccellenza”. Andrea Rigoni, ad e presidente di Rigoni di Asiago festeggia il secolo di vita dell’azienda di famiglia. Un’azienda che prese il via dalla “straordinaria nonna Elisa” e che oggi ha un fatturato di quasi 130 milioni di euro, di cui oltre 75 arrivano dal’Italia e il resto, oltre 50, dall’estero.
Per questo anniversario la famiglia Rigoni ha voluto organizzare un evento presso il Palazzo del turismo di Asiago, terra che ha dato i natali all’azienda. Qui negli anni ’20, sull’Altopiano, nonna Elisa trasformò la sua attività di apicoltrice, svolta fino ad allora a livello amatoriale, in un vero e proprio lavoro, coinvolgendo tutta la famiglia. Oggi sono i suoi nipoti Andrea e Luigi, quest’ultimo direttore di produzione, a portare avanti l’azienda, fortemente radicata sul territorio dove continua ancora oggi a operare. “Quella che sembrava una piccola avventura, cento anni fa, è diventata una grande fucina di progetti, di voglia di continuare a fare e di fare bene – ha ricordato Andrea Rigoni – Abbiamo conservato la tradizione del nostro territorio, innovandola per camminare al passo con i tempi, ma senza mai tradirne i valori. La nostra azienda è una grande famiglia e continueremo ad esserlo, perché è con questo spirito che affronteremo le nuove sfide e il nostro cammino”.
Il gruppo Rigoni di Asiago oggi conta 231 dipendenti (di cui 145 dipendenti in Rigoni di Asiago Italia). Dopo la fondazione da parte di nonna Elisa nel 1923, alla guida c’è la terza generazione della famiglia. Con Fiordifrutta, l’azienda veneta è leader nel mercato italiano a valore ed occupa la posizione di secondo player di mercato con Mielbio e Nocciolata. La presenza sul mercato italiano avviene soprattutto attraverso la grande distribuzione, una presenza capillare che garantisce il 95% del fatturato, a cui si affiancano il canale Horeca e quello dei punti vendita al dettaglio. Per celebrare questo secolo di vita è stato anche emesso un nuovo francobollo con una tiratura di duecentocinquanta mila esemplari da 1,2 euro su cui sono raffigurati i prodotti più rappresentativi dell’azienda.
Ristorazione autostradale ad Aspi: ribasso prezzi di vendita colpo feraleMilano, 23 mag. (askanews) – Ad aprile Aigrim, l’associazione imprese della grande ristorazione multilocalizzate, aveva richiesto ad Aspi, Autostrade per l’Italia, la sospensione temporanea del meccanismo che prevede l’allineamento dei prezzi di vendita dei “prodotti paniere” al ‘prezzo medio di mercato’, la cui rilevazione avviene sulla base dei prezzi di vendita praticati da bar e ristoranti extra rete autostradale situati nella zona esterna limitrofa alle aree di servizio in autostrada. Di fatto dunque un adeguamento al ribasso dei prezzi di vendita.
“La richiesta avanzataci da Aspi, per il tramite dell’ente incaricato del monitoraggio Scenari, di allineare i prezzi attraverso il meccanismo del ‘prezzo di mercato medio’ qualora esaudita rappresenterebbe un colpo ferale per un settore, quello della ristorazione autostradale, che già oggi vive un momento di profonda crisi – dichiara Cristian Biasoni, presidente di Aigrim – Si creerebbe infatti una situazione paradossale nella quale da un lato i concessionari beneficiano dell’adeguamento al rialzo dei canoni all’inflazione, dall’altro viene richiesto alle catene di ristorazione di tenere bloccati i prezzi di vendita o addirittura di adeguarli al ribasso con un effetto deleterio sui margini. In un contesto di mercato inflativo a doppia cifra questa dinamica non è più sostenibile economicamente dalle catene”. Quello del prezzo medio di mercato “è un benchmark del tutto erroneo da adottare poiché mette a confronto esercizi commerciali che sono espressione di mercati differenti, caratterizzati da strutture di costi (tra cui spiccano i canoni di affitto da pagare alle concessionarie autostradali) livello di investimenti e canali completamente incomparabili – continua Biasoni – Infatti, la differente e peculiare struttura di costi e di attività delle aree di servizio rende del tutto imparagonabile il mercato dei nostri Associati con i mercati esterni all’autostrada. Ci lamentiamo che i prezzi in autostrada sono alti, ma forse non tutti sanno che i canoni che le catene di ristorazione devono pagare alle concessionarie autostradali sono mediamente pari al 20% dei ricavi con punte di molto superiori su tratte come Autobrennero”.
La struttura dei costi di gestione degli associati Aigrim e quella di chi invece opera in mercati contigui all’autostrada sono imparagonabili secondo l’associazione: il servizio erogato dalle catene di ristorazione prevede infatti l’apertura dei punti vendita 24 ore al giorno per tutti i giorni dell’anno e la gestione di un intero building di importanti dimensioni, compresi i servizi igienici per i viaggiatori, siano essi clienti o meno. Ne derivano pertanto elevati costi del lavoro e importanti costi gestionali, che rimangono tali anche in fasce orarie giornaliere e in periodi dell’anno contraddistinti da ricavi di modesta entità. La richiesta di adeguamento prezzi avanzata da Aspi alle catene di ristorazione attraverso il meccanismo del prezzo medio di mercato arriva quando è in corso un confronto avviato da Aigrim con il ministero dei Trasporti finalizzato a trovare le misure di intervento necessarie per salvaguardare un settore importante e che dà oggi occupazione a oltre 25.000 addetti.
Zootecnia, oltre 1.000 scienziati hanno aderito a Dichiarazione DublinoMilano, 23 mag. (askanews) – Sono un migliaio gli scienziati di tutto il mondo che hanno sottoscritto la Dichiarazione di Dublino, il documento elaborato dal Vertice internazionale sul ruolo della carne nella società a fine ottobre 2022 che ha l’obiettivo di raccogliere letteratura scientifica sui benefici nutrizionali, economici e ambientali della produzione di carne. Gli atti ufficiali della Dichiarazione sono ora pubblicati su Animal Frontiers, la rivista ufficiale dell’American society of animal science, della Federazione europea di scienze animali e dell’American meat science association.
“In un contesto in cui il dibattito intorno alla produzione e al consumo di carne è sempre più polarizzato, la Dichiarazione di Dublino assume un valore eccezionale – dice Giuseppe Pulina, presidente di Carni Sostenibili, l’organizzazione che promuove il consumo consapevole e la produzione sostenibile di carne, e fra gli scienziati firmatari del progetto – mai come oggi un approccio che privilegi il dato e l’indagine scientifica su quello ideologico non solo è auspicabile ma necessario per tutelare la salute dei cittadini e favorire l’operato dei decisori”. In primo luogo, sul piano della salute, ma anche sul piano economico e ambientale, le ricerche che hanno contribuito alla Dichiarazione di Dublino dimostrano l’urgenza di un approccio scientificamente fondato al consumo e alla produzione di carne. Sono centinaia ormai, infatti, le voci dal mondo scientifico che spingono perché si riconosca il ruolo svolto dalla carne nell’alimentazione. “Un passo importante – conclude Pulina – che serve ad arricchire una discussione spesso penalizzata da fake news e mancanza di informazioni oggettive”.
Le attività della Dichiarazione si sono inserite in un momento in cui il settore zootecnico mondiale deve affrontare una doppia sfida senza precedenti. Da una parte c’è un appello per aumentare la disponibilità di alimenti di origine animale (carne, latticini, uova e pesce) per aiutare a soddisfare i bisogni nutrizionali di circa tre miliardi di persone a rischio di carenze nutrizionali; dall’altra, i sistemi di produzione animale presentano diverse sfide per quanto riguarda la biodiversità, i cambiamenti climatici e i flussi di nutrienti, nonché la salute e il benessere degli animali. Le sfide di approvvigionamento e sostenibilità crescono in modo esponenziale e l’avanzamento di soluzioni basate su prove scientifiche diventa sempre più urgente.