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Capo di Intel: non imporre troppe restrizioni a export chip in Cina

Capo di Intel: non imporre troppe restrizioni a export chip in CinaRoma, 4 giu. (askanews) – Il gigante dei chip Intel intende fornire quanti più chip possibile alla Cina. L’ha detto oggi il CEO Pat Gelsinger, secondo quanto riporta Nikkei Asia, avvertendo che restrizioni eccessivamente rigide sulle esportazioni statunitensi non farebbero altro che stimolare la principale economia asiatica a sviluppare i propri semiconduttori.


“Continuiamo a esportare tutti i nostri prodotti in Cina e continuiamo a rendere disponibili prodotti come Gaudi”, ha dichiarato martedì Gelsinger in una conferenza stampa alla fiera tecnologica Computex di Taipei. I chip Gaudi sono le unità di elaborazione grafica (GPU) di Intel utilizzate per il calcolo dell’intelligenza artificiale. Gli Stati uniti hanno messo in campo restrizioni sulle esportazioni di chip avanzati e di strumenti per la produzione di semiconduttori avanzati verso la Cina, sostenendo che questi possono essere utilizzati per attività contrarie alla sicurezza americana.


Gelsinger ha affermato che il vantaggio tecnologico di Intel rispetto ai rivali cinesi, che non hanno accesso allo strumento più avanzato, può dare al produttore di chip statunitense un vantaggio competitivo anche in Cina, dove non è disponibile la litografia ultravioletta estrema, o EUV, la tecnologia di produzione di chip più avanzata sul mercato, non è disponibile in Cina, ha affermato. “Di conseguenza, se continuiamo a scendere al di sotto dei 2 nanometri o oltre, ci sarà una maggiore attrattiva per i prodotti Intel nel mercato cinese. E credo che, di conseguenza, continueremo ad avere una buona opportunità di mercato”. Secondo Gelsinger, se gli Stati uniti reprimessero troppo fermamente il settore cinese dei chip, ci sarebbe il rischio di conseguenze negative, con la Cina che potrebbe investire fortemente per suscitare una produzione locale.

Presidente TSMC preannuncia aumento prezzi chip addestramento IA

Presidente TSMC preannuncia aumento prezzi chip addestramento IARoma, 4 giu. (askanews) – Il nuovo presidente di Taiwan Semiconductor Manufacturing Co. (TSMC), il principale produttore di chip a contratto del mondo, ha accennato alla possibilità di aumentare il prezzo dei servizi di produzione dei chip destinati all’intelligenza artificiale dell’azienda, e ha detto di aver già discusso l’argomento con il CEO di Nvidia, Jensen Huang. Lo riferisce oggi il Nikkei Asia.


C.C. Wei ha parlato con i giornalisti dopo l’assemblea generale annuale di TSMC a Hsinchu martedì, la sua prima conferenza stampa nel nuovo ruolo. “Mi sono lamentato con il CEO di Nvidia, Jensen Huang (…) per il fato che i suoi prodotti sono così costosi” ha detto Wei. “Penso – ha aggiunto – che quei prodotti siano davvero preziosi, ma sto pensando di mostrare

Giappone, governo ammette d’essere intervenuto per sostenere lo yen

Giappone, governo ammette d’essere intervenuto per sostenere lo yenRoma, 31 mag. (askanews) – Il Giappone ha confermato di essere intervenuto sul mercato dei cambi per sostenere la propria valuta contro il dollaro circa un mese fa. Il Ministero delle Finanze ha riportato oggi di aver acquistato 9.788 miliardi di yen (57,6 miliardi di euro) tra il 26 aprile e il 29 maggio.


L’importo supera l’intervento annuale record di 9.188 miliardi di yen (54,1 miliardidi euro) registrato nel 2022, secondo i dati del ministero. La valuta giapponese, dopo essere sceso sotto quota 160 rispetto al dollaro, è poi salito attorno a 153-157 yen per dollaro all’inizio del mese, suggerendo che ci fosse stato un intervento che, sul momento, il governo non ha confermato né negato.


I dati sul mercato monetario che, però, vengono diffusi dalla Banca del Giappone avevano indicato chein quelle due date vi erano state interessate da un intervento di acquisto di yen per un totale di circa 9mila miliardi. Oggi il dollaro valeva attorno ai 157 yen.


La valuta nipponica è sotto pressione dall’inizio del 2022 poiché la Banca del Giappone ha mantenuto una politica monetaria accomodante mentre altre banche centrali hanno aumentato i tassi di interesse a livelli record per combattere l’inflazione.

La guerra del K-pop fa scivolare in borsa i produttori dei BTS

La guerra del K-pop fa scivolare in borsa i produttori dei BTSRoma, 31 mag. (askanews) – In Corea del Sud la musica K-pop è una cosa seria, anche e soprattutto da un punto di vista economico. Il fenomeno che ha affascinato i teenager di tutto il mondo è una realtà finanziaria che ha un impatto importante sul Pil del paese e quello che accade nel settore ha una ricaduta. Oggi, per esempio, è alta sui giornali economici sudcoreani la vicenda che ha visto affrontarsi in tribunale Hybe – l’agenzia che è dietro la super boy band BTS – e la sua sub-label Ador, che produce il nuovo fenomeno K-pop, cioè la girl band NewJeans. Hybe ha perso e oggi in borsa ha subito uno schiaffo: a un certo punto perdeva il 5,4% con il titolo a 193.000 won (129,5 euro), per poi chiudere la giornata a 200.000 won (134,2 euro) con un -2% circa.


Sembrano solo questioni di percentuali, ma si muovono centinaia di milioni di euro. E, in questo caso, a smuovere il mercato è stata una sentenza negativa per Hybe emessa ieri (dopo la chiusura della piazza di Seoul) dal Tribunale distrettuale centrale. La causa vedeva affrontarsi Min Hee-jin, amministratrice delegata di Ador, contro la casa madre. Min è considerata la “madre” della girl band che sta sconvolgendo le gerarchie del K-pop. Ma Hybe – che controlla l’80% di Ador mentre Min ne ha il 18% – vuole destituirla. E la numero uno di Ador ha reagito chiedendo al tribunale un’ingiunzione per impedire alla casa madre di votare nell’assemblea straordinaria di oggi.


“Il CEO Min ha cercato di indebolire il controllo di Hybe su Ador rimuovendo NewJeans dal controllo di Hybe o facendo pressione su Hybe per vendere la sua quota in Ador, ed è chiaro che cercava modi per controllare completamente Ador,” secondo la sentenza del tribunale, ripresa da Nikkei Asia. Ma “Min non ha agito di conseguenza, e sebbene il comportamento di Min possa essere sleale, è difficile dire che si tratti di una violazione della fiducia”. Min è furiosa con Hybe perché, a suo dire, la casa madre e un’altra etichetta avrebbero clonato il suo gioiello, costituendo un’altra girl band, la Illit, con le medesime caratteristiche.


Nella società sudcoreana, tendenzialmente, i panni sporchi si lavano in famiglia e il fatto che la lite interna al gruppo sia diventata pubblica potrebbe diventare un problema rispetto agli investitori. Hybe ha confermato oggi di essersi attenuto alla sentenza e di non aver votato per destituire Min all’assemblea degli azionisti. Tuttavia gli azionisti della sublabel hanno votato per destituire due membri del consiglio e nominare tre nuovi membri — Kim Ju-young, Lee Kyung-jun e Lee Jae-sang — che attualmente ricoprono posizioni di alto livello nella società madre. I due membri destituiti sono vicini a Min, mentre i tre nuovi membri sono stati raccomandati da Hybe. Segno che la battaglia è ancora pienamente in corso.


Il conflitto sta minando la solidità di Hybe. In un mese le azioni della casa produttrice sono crolate di circa il 16%. Secondo uno studio di Citigroup, le quattro principali case di produzione del K-pop hanno registrato entrate da vendite e streaming per 1,3 miliardi di dollari e avevano una capitalizzazione di mercato complessiva superiore ai 6 miliardi di dollari. Tuttavia il mercato sta vivendo difficoltà, in parte dovute all’assenza dalle scene delle superstar BTS (impegnate nel servizio militare obbligatorio, che dura 18 mesi), in parte a causa del crollo delle vendite dei CD (che nella pur super-tecnologica società sudcoreana sono particolarmente apprezzati dalle fan e dai fan delle band). (Foto tratta dal profilo ufficiale Instagram delle NewJeans)

Cina, indice PMI deludente: a maggio in calo a 49,5 punti

Cina, indice PMI deludente: a maggio in calo a 49,5 puntiRoma, 31 mag. (askanews) – L’attività manifatturiera in Cina si è contratta nel mese maggio, interrompende le tendenze positive viste nei due mesi precedenti stessero guadagnando slancio. L’indice di riferimento del purchasing managers’ index (PMI) manifatturiero del paese ha registrato 49,5, secondo quanto annunciato oggi dall’Ufficio Nazionale di Statistica. La lettura è scesa dal 50,4 di aprile.


Il PMI manifatturiero è stato sopra la soglia dei 50 punti, che separa la crescita dalla contrazione, solo per tre mesi nell’ultimo anno, inclusi marzo e aprile, riflettendo un persistente pessimismo del mondo imprenditoriale, in una fase di grave difficoltà del settore immobiliare e di domanda interna piuttosto rarefatta. Tra i cinque sottoindici, l’indice dei nuovi ordini è sceso di 1,5 punti percentuali sotto il 50. L’indice dell’attività non manifatturiera è sceso di altri 0,1 punti a 51,1, dopo un calo di 1,8 ad aprile, trascinato verso il basso dai settori immobiliare e finanziario, mentre la lettura per l’industria delle costruzioni è diminuita di 1,9 rispetto al mese precedente a 54,4.


I dati ufficiali per i primi quattro mesi hanno mostrato che la debole domanda interna e i problemi immobiliari continuano a rappresentare sfide per l’obiettivo di crescita di Pechino di “circa il 5%” quest’anno. Poiché il settore immobiliare rappresenta circa un quarto della seconda economia mondiale e il calo dei prezzi delle case danneggia la fiducia dei consumatori, il governo è stato sotto pressione per uscire dalla prolungata crisi immobiliare. All’inizio di maggio, la banca centrale ha annunciato che istituirà un nuovo programma di prestiti per incoraggiare i governi locali a “digerire” l’eccesso di offerta abitativa e ha svelato una serie di misure politiche per gli acquirenti di case, tra cui l’abolizione di un tasso di interesse minimo sui mutui e l’allentamento dei requisiti di acconto.


Il Fondo Monetario Internazionale mercoledì ha aumentato le previsioni di crescita del PIL della Cina al 5% per il 2024 e al 4,5% per il 2025, entrambi di 0,4 punti percentuali più alti delle sue proiezioni di aprile, ma ha detto che sono necessarie politiche aggiuntive per sostenere il settore immobiliare in difficoltà.

Governo giapponese garantirà prestiti a produttore chip Rapidus

Governo giapponese garantirà prestiti a produttore chip RapidusRoma, 30 mag. (askanews) – Il governo giapponese porrà la sua garanzia per i prestiti ottenuti dal produttore di chip Rapidus, con l’obiettivo di sostenere la produzione di massa di semiconduttori avanzati. Lo scrive oggi il Nikkei.


Il ministero dell’Economia, del Commercio e dell’Industria nipponico presenterà un piano per un disegno di legge venerdì, con l’obiettivo di garantire prestiti a Rapidus, che sta cercando di produrre in massa chip avanzati nell’isola settentrionale di Hokkaido entro il 2027, con un budget stimato di 5mila miliardi di yen (29,3 miliardi di euro). Tokyo ha già impegnato un sussidio governativo di 920 miliardi di yen (5,4 miliardi di euro) per la startup di chip. Tuttavia, il produttore di chip ha avuto difficoltà ad ottenere prestiti dalle banche perché le istituzioni finanziarie sono riluttanti a concedere prestiti a Rapidus. Solo un piccolo numero di aziende, tra cui SoftBank e Toyota Motor, hanno investito un totale di 7,3 miliardi di yen (42,8 milioni di euro) nella venture.


Per raggiungere l’obiettivo di produrre in massa chip nel 2027, Rapidus deve avere gli strumenti necessari entro il 2025. La mancanza di finanziamenti dalle banche è considerata un ostacolo per la startup di chip nella produzione di prodotti all’avanguardia con una dimensione inferiore a 2 nanometri, attualmente non disponibili in Giappone.

Chiusa super-rete dei computer-zombie: a guidarla era hacker cinese

Chiusa super-rete dei computer-zombie: a guidarla era hacker cineseRoma, 30 mag. (askanews) – A Singapore è stato arrestato quello che è sospettato essere uno dei principali cybercriminali del mondo: un uomo di 35 anni identificato col nome di Wang Yunhe, cinese, avrebbe gestito – secondo l’accusa – per quasi un decennio un enorme “botnet” di computer-zombie grazie al quale avrebbe accumulato una fortuna.


Un “botnet” è una rete di dispositivi infettati da malware che, all’insaputa dei legittimi proprietari, finiscono per essere utilizzati per attività di cybercrimine. Wang – a dire dell’accusa – era il botmaster, cioè il gestore, di questa rete. Su di lui si era appuntata l’attenzione del FBI statunitense e di diversi altri paesi. Ma è stato in particolare il Dipartimento alla Giustizia a coordinare un’operazione, che ha visto coinvolti anche investigatori di Singapore e della polizia reale della Thailandia. Wang – che oltre alla cittadinanza cinese è anche possessore di un passaporto di St.Kitts e Nevis – è finito in manette il 24 maggio con l’accusa di essere colui che ha creato e gestito un servizio di proxy residenziale noto come “911 S5”, sigla che nasconde appunto un botnet. Dal 2014 al 2022 l’uomo, con altri complici, avrebbe creato e diffuso malware per infettare milioni di computer con sistema operativo Windows in tutto il mondo, di fatto asservendoli alla sua rete.


Questi dispositivi erano associati a oltre 19 milioni di indirizzi IP unici – di cui 613.841 situati negli Usa – il cui accesso veniva appaltato a cybercriminali dietro pagamento. Secondo la stima del Dipartimento alla Giustizia americano, lo schema avrebbe consentito a Wang di accumulare una fortuna stimata in quasi 100 milioni di dollari. “Questa operazione guidata dal Dipartimento di Giustizia ha riunito partner delle forze dell’ordine di tutto il mondo per smantellare 911 S5, un botnet che ha consentito attacchi informatici, frodi su larga scala, sfruttamento minorile, molestie, minacce di attentati e violazioni delle regole sulle esportazioni,” ha dichiarato il procuratore generale Usa Merrick Garland.


“Il botnet 911 S5 ha infettato computer in quasi 200 paesi e ha facilitato una serie di crimini informatici, tra cui frodi finanziarie, furti di identità e sfruttamento minorile”, ha aggiunto il direttore dell’FBI Christpher Wray. Secondo l’ipotesi di accusa, Wang avrebbe propagato il suo malware attraverso programmi di rete privata virtuale (VPN), come MaskVPN e DewVPN (modelli di distribuzione torrent che lui gestiva) e servizi pay-per-install, che incorporavano il suo malware con altri file di programmi, comprese versioni piratate di software con licenza o materiali protetti da copyright.


Wang gestiva e controllava circa 150 server dedicati in tutto il mondo, circa 76 dei quali affittati da fornitori di servizi online con sede negli Stati Uniti. Utilizzando i server dedicati, Wang distribuiva e gestiva applicazioni, comandava e controllava i dispositivi infetti, gestiva il suo servizio 911 S5 e forniva ai clienti paganti l’accesso agli indirizzi IP proxy associati ai dispositivi infetti. I cybercriminali avrebbero poi utilizzato gli indirizzi IP proxy acquistati da 911 S5 per nascondere i loro veri indirizzi IP e posizioni, e commettere anonimamente una vasta gamma di reati. Dal 2014, grazie a questo sistema, cybercriminali sarebbero riusciti a bypassare i sistemi di rilevamento delle frodi finanziarie e a rubare miliardi di dollari da istituzioni finanziarie, emittenti di carte di credito e programmi di prestito federali. Per esempio, alcuni “clienti” di 911 S5 avrebbero preso di mira i programmi di sussidi Usa attivati durante la pandemia Covid-19. Si stima che 560.000 richieste di indennità di disoccupazione fraudolente siano state originate da indirizzi IP compromessi, con una perdita confermata superiore a 5,9 miliardi di dollari per i fondi pubblici. Il software di interfaccia cliente 911 S5, ospitato su server con sede negli Stati Uniti, consentiva ai cybercriminali situati al di fuori degli Stati uniti di acquistare beni con carte di credito rubate o proventi derivanti da attività criminali, ed esportarli illegalmente al di fuori degli Stati uniti in violazione delle leggi sulle esportazioni. Wang avrebbe utilizzato i proventi illeciti per acquistare beni immobili negli Stati uniti, a St. Kitts e Nevis, in Cina, a Singapore, in Thailandia e negli Emirati Arabi Uniti. L’incriminazione identifica dozzine di beni e proprietà soggetti a confisca, tra cui una Ferrari F8 Spider S-A del 2022, una BMW i8, una BMW X7 M50d, una Rolls Royce, più di una dozzina di conti bancari nazionali e internazionali, oltre due dozzine di portafogli di criptovalute, diversi orologi di lusso, 21 proprietà residenziali o di investimento (tra Thailandia, Singapore, Emirati arabi uniti, St. Kitts e Nevis e Stati uniti) e 20 domini. L’FBI è arrivato a braccare Wang e il suo network in seguito a un’indagine su un sistema di riciclaggio di denaro e contrabbando, in cui i cybercriminali in Ghana e negli Stati uniti utilizzavano indirizzi IP compromessi acquistati da 911 S5 per effettuare ordini fraudolenti utilizzando carte di credito rubate sulla piattaforma di e-commerce del servizio Exchange dell’Esercito e dell’Aeronautica (AAFES), nota anche come ShopMyExchange. Wang è accusato di cospirazione per commettere frode informatica, frode informatica , cospirazione per commettere frode telematica e cospirazione per commettere riciclaggio di denaro. Se condannato per tutti i capi d’accusa, rischia una pena massima di 65 anni di prigione. Gli agenti hanno perquisito residenze, sequestrato beni per un valore di circa 30 milioni di dollari e identificato ulteriori proprietà confiscabili per un valore di ulteriori 30 milioni di dollari. L’operazione ha anche sequestrato 23 domini e oltre 70 server costituenti la backbone del servizio proxy residenziale di Wang e l’incarnazione recente del servizio. Sequestrando più domini legati allo storico 911 S5, oltre a diversi nuovi domini e servizi direttamente collegati a un tentativo di ricostituire il servizio sotto il nome di Clourouter.io, il governo ha posto termine alla carriera di Wang e ha chiuso le attuali backdoor malevole. Inoltre, l’Ufficio per il Controllo dei Beni Stranieri (OFAC) del Dipartimento del Tesoro ha emesso sanzioni finanziarie anche contro altri due cinesi – Liu Jingping Liu e Zheng Yanni, per le loro attività associate a 911 S5, e tre entità possedute o controllate da Wang.

ByteDance nega di aver considerato vendita TikTok negli Usa

ByteDance nega di aver considerato vendita TikTok negli UsaRoma, 30 mag. (askanews) – ByteDance, società cinese che controlla la piattaforma di brevi video TikTok, ha smentito oggi di considerare la possibilità di cedere le attività negli Usa in seguito alla minaccia di bando da parte dell’Amministrazione Biden. Lo riferisce il South China Morning Post.


Ieri il Washington Post ha sceritto che già nel 2022 esisteva un piano di questo tipo. Si tratta della terza smentita da parte di ByteDance, dopo che ha negato in precedenza articoli pubblicati dalla testata digitale Usa The Information e dal Wall Street Journal.


TikTok contesta il provvedimento del presidente Joe Biden denominato “divest-or-ban”, che obbligherebbe ByteDance a cedere TikTok Usa, altrimenti la piattaforma verrà bandita dagli Usa. ByteDance e TikTok hanno presentato una causa federale per bloccare la norma, appellandosi al Primo Emendamento della Costituzione Usa che protegge la libertà d’espressione. Un altra causa è stata depositata da un gruppo di “creator” digitali che operano su TikTok negli Usa.


Il governo cinese, dal canto suo, ha indicato che si opporrà fermamente a una vendita forzata di TikTok.

Sudcorea, divorzio d’oro nell’impero del conglomerato SK Group

Sudcorea, divorzio d’oro nell’impero del conglomerato SK GroupRoma, 30 mag. (askanews) – Una corte d’appello ha ordinato oggi al presidente del gruppo SK, Chey Tae-won, di pagare 1.380 miliardi di won (931 milioni si euro) di patrimonio all’ ex moglio, Roh So-young (figlia unica dell’ex presidente Roh Tae-woo), nel divorzio più costoso della storia sudcoreana. Lo riferisce l’agenzia di stampa Yonhap.


Chey del conglomerato (chaebol) SK, il secondo più grande della Corea del Sud, e Roh So-young, unica figlia dell’ex presidente, si erano sposati nel 1988 e hanno tre figli. Il capo di SK aveva annunciato il divorzio nel 2015, ammettendo di avere un’amante e di aver avuto un figlio, e ha chiesto una transazione di divorzio due anni dopo.


Dopo due anni di resistenza, Roh ha presentato una controcausa nel 2019, chiedendo la metà delle azioni SK possedute da Chey nella divisione patrimoniale. L’Alta Corte di Seoul ha ordinato a Chey di trasferire 1.380 miliardi di won di patrimonio all’ex moglie, oltre a ordinare il pagamento di 2 miliardi di won (1,35 milioni di euro) in alimenti.


Nel 2022 il primo grado aveva ordinato il trasferimento di 66,5 miliardi di won (44,8 milioni di euro) in divisione patrimoniale. Il tribunale aveva inizialmente stabilito che le azioni SK di Chey non erano soggette a divisione perché ereditate dal padre, ma la corte d’appello ha ribaltato la decisione, affermando che i “contributi di Roh all’aumento del valore e delle attività commerciali del gruppo SK dovrebbero essere riconosciuti”.


In questo senso, il tribunale ha preso in considerazione il ruolo avuto dal matrimonio con Roh nel successo della compagnia, grazie alla protezione del padre presidente della donna. “È stato determinato che l’ex presidente Roh ha servito come protettore o scudo per l’ex presidente del gruppo SK Chey Jong-hyun (padre di Tae-won), risultando in contributi intangibili alle attività di gestione di successo (del gruppo SK),” ha dichiarato la corte. La corte ha determinato che la proprietà combinata di Chey e Roh ammontava a un totale di 4mila miliardi di won (2,7 miliardi di euro), ordinando una divisione del 65% per Chey e del 35% per Roh. La corte ha ordinato a Chey di pagare la somma divisa in contanti. La corte ha anche sottolineato che Chey “non ha mostrato alcun sincero rimorso per il suo comportamento disonesto durante le procedure di divorzio e ha mostrato un atteggiamento che non rispettava la monogamia,” riferendosi alla sua relazione extraconiugale. Il tribunale inferiore aveva precedentemente stabilito che le partecipazioni azionarie di Chey nel gruppo SK erano state ereditate da suo padre e quindi non soggette a divisione patrimoniale.

Giappone, asset esterni netti record nel 2023: oltre 2.700 mld euro

Giappone, asset esterni netti record nel 2023: oltre 2.700 mld euroRoma, 29 mag. (askanews) – Gli asset esterni netti del Giappone hanno raggiunto il valore record di 471.310 miliardi di yen (2.763 miliardi di euro) nel 2023, ma si tratta in parte di un record dovuto al gioco dei cambi: la valuta nipponica ai livelli più bassi da oltre 30 anni ha fatto sì che il valore delle azioni, obbligazioni e altre partecipazioni estere siano lievitati in termini di yen. Lo rivelano i dati forrniti dal governo di Tokyo.


Gli attivi lordi giapponesi sono aumentati di 51.310 miliardi di yen (300,8 miliardi di euro), ovvero del 12,2% rispetto al 2022, registrando un record per il quinto anno consecutivo. Il Giappone è stato nel 2023 il più grande creditore del mondo per il 33mo anno consecutivo in termini di yen, davanti alla Germania e alla Cina, secondo il Fondo monetario internazionale . Il saldo netto tiene conto degli attivi esterni detenuti dal Giappone e delle passività del paese, ovvero degli attivi detenuti dagli investitori stranieri.


Gli attivi esterni detenuti dal governo giapponese, dalle aziende e dagli investitori individuali sono aumentati di 148.680 miliardi di yen (871,58 miliardi di euro), ovvero dell’11,1%, raggiungendo 1.488.340 miliardi di yen (8.724,8 miliardi di euro).La cifra segna il 15mo anno consecutivo in crescita, riflette un incremento di circa 76mila miliardi di yen (445,5 miliardi di euro) nel valore degli attivi esteri in termini di yen. Le passività estere del Giappone, nel frattempo, sono aumentate di 97.370 miliardi di yen (572,9 miliardi di euro), ovvero del 10,6%, raggiungendo 1.017.040 miliardi di yen (5.962 miliardi di euro), segnando il quinto anno consecutivo di aumento.