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Tutti pazzi per l’agricoltura multifunzionale (85%) e i suoi servizi

Tutti pazzi per l’agricoltura multifunzionale (85%) e i suoi serviziRoma, 22 giu. (askanews) – Per gli italiani, chi garantisce maggiormente la sicurezza dei prodotti alimentari sono i produttori/coltivatori (77%) e il mercato contadino (64%). In particolare, è proprio il mercato contadino a rappresentare il canale di acquisto prediletto per i prodotti agricoli (69%), per i quali viene apprezzata la qualità alimentare (41%) e soprattutto il rapporto qualità/prezzo (39%, ben +13% rispetto alla precedente rilevazione). Alla domanda se la presenza dei mercati contadini è favorita dalle amministrazioni comunali, il 45% risponde in modo affermativo: l’87% degli intervistati dichiara che sarebbe importante averli nei quartieri di residenza o a una distanza prossima. È quanto afferma il XIII Rapporto “Gli italiani e l’agricoltura”, con focus su I Mercati contadini realizzato da Fondazione UniVerde e Noto Sondaggi, in collaborazione con Coldiretti e Fondazione Campagna Amica, presentato questa mattina a Palazzo Rospigliosi, sede nazionale di Coldiretti, in occasione del convegno “Agricoltura e risorse idriche: le sfide dell’emergenza climatica”, trasmesso in diretta streaming su Radio Radicale.

L’incontro è stato aperto da Vincenzo Gesmundo (Segretario Generale Coldiretti): “La legge di orientamento fortemente voluta dalla Coldiretti ha rappresentato una svolta storica per l’agricoltura italiana aprendo nuove opportunità di reddito e lavoro per le imprese e per il Paese nel segno della sostenibilità e del legame con il territorio” ha affermato nell’evidenziare “la crescita delle nuove attività che vanno oggi dalla trasformazione aziendale dei prodotti alla vendita diretta, dalle fattorie didattiche agli agriasilo, ma anche alle attività ricreative, l’agricoltura sociale la sistemazione di parchi, giardini, strade, l’agribenessere e la cura del paesaggio o la produzione di energie rinnovabili, in una filiera agroalimentare che vale oggi dal campo alla tavola 580 miliardi”. Alfonso Pecoraro Scanio (Presidente della Fondazione UniVerde e promotore della campagna #NoFakeFood): “Dal XIII Rapporto è evidente che gli italiani ritengono importante il ruolo degli agricoltori rispetto alla tutela e alla buona conservazione dell’ambiente, soprattutto in termini di manutenzione del territorio contro frane e alluvioni, coltivazione di cibo biologico e come presidio contro il fenomeno della cementificazione. Proprio dalla riforma che ho firmato nel maggio 2001, sono nate quelle realtà che oggi rappresentano le nuove forze di rilancio del Paese. Parliamo dell’universo degli agriturismi, agriasilo, fattorie didattiche, farmer market e altri nuovi servizi che hanno preso vita anche grazie all’azione di una nuova generazione di giovani agricoltori innovativi ed ecodigital. Tuttavia, come pone in evidenza il Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo Sviluppo delle Risorse Idriche (WWDR) 2023, la minore disponibilità di acqua per l’irrigazione dovuta alla crescente domanda urbana apre un ventaglio di criticità. Per accelerare l’attuazione dell’economia circolare, necessaria nel settore idrico e agroalimentare, è fondamentale l’impegno attivo di attori di diversi settori verso le transizioni ecologica e digitale”.

Ettore Prandini (Presidente Coldiretti): “L’Italia può oggi contare sull’agricoltura più green d’Europa con 5450 specialità ottenute secondo regole tradizionali protratte nel tempo per almeno 25 anni censite dalle Regioni, 320 specialità Dop/Igp riconosciute a livello comunitario e 415 vini Doc/Docg, la leadership nel biologico con circa 86mila aziende agricole biologiche ma nel Belpaese ci sono 504 varietà iscritte al registro viti contro le 278 dei cugini francesi e su 533 varietà di olive contro le 70 spagnole con ben 40mila aziende agricole impegnare nel custodire semi o piante a rischio” ha affermato nel sottolineare che “si tratta di un patrimonio che va difeso anche garantendo che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri, garantendo che dietro gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un analogo percorso di qualità che riguarda l’ambiente, il lavoro e la salute”. Il convegno è stato promosso da Fondazione UniVerde e Coldiretti con il supporto di UNESCO WWAP – World Water Assessment Programme, in collaborazione con Noto Sondaggi, Fondazione Campagna Amica, ANBI – Associazione Nazionale Consorzi di gestione e tutela del territorio e acque irrigue e il magazine Innovazione.PA, con GMT, Menowatt Ge, EPM, AVR federata Anima Confindustria, Almaviva in qualità di Event partners e con Radio Radicale, Askanews, Italpress, La Notizia, TeleAmbiente, Opera2030, SOS Terra Onlus quali Media partners.

Antonio Noto, Direttore di Noto Sondaggi, ha presentato i dati del XIII Rapporto secondo cui l’85% degli italiani conosce e considera l’agricoltura multifunzionale un importante settore di sviluppo dell’economia italiana. Tuttavia gli italiani chiedono di incentivare l’attenzione riservata all’agricoltura da parte delle Istituzioni e valorizzare gli agricoltori e il loro lavoro. Il 71%, inoltre, ritiene i prodotti agricoli italiani più saporiti, più genuini (68%) e più controllati (67%) rispetto a quelli provenienti dagli altri Paesi. I dati dell’indagine evidenziano inoltre la tendenza secondo cui per i prodotti agroalimentari made in Italy all’estero è necessaria una certificazione che ne garantisca l’origine (confermato dall’87% degli italiani): stando al giudizio del campione, non sarebbero infatti sufficientemente tutelati (66%). Tra le varie opzioni spicca la scelta dell’agriturismo come meta di soggiorno e ristorazione, motivata dal desiderio di contatto con la natura (59%) e graditissimi sono i servizi offerti tra cui: agriturismo con ospitalità per dormire (88%), vendita diretta di prodotti (87%), agro asili (86%). La stragrande maggioranza degli italiani (ben l’87%) ritiene importante, per il rilancio del turismo, la presenza di agriturismi lungo il percorso della via Francigena e dei cammini d’Italia. In un messaggio, Gian Marco Centinaio (Vicepresidente del Senato della Repubblica) ha sottolineato: “L’agricoltura, in particolare quella italiana, è in prima fila nel combattere gli effetti del cambiamento climatico. E la gestione dell’acqua rappresenta in questo quadro una priorità. L’esperienza e la conoscenza del territorio, unite a un utilizzo sapiente delle nuove tecnologie, possono fare da guida alle Istituzioni e agli altri settori economici per ottenere risultati più efficaci. Importante è anche la condivisione di know how e strumenti avanzati a livello internazionale, come ho potuto verificare anche recentemente confrontandomi con il ministro dell’Agricoltura di Taiwan, nel corso del mio viaggio sull’isola”.

Francesco Lollobrigida (Ministro dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste), in un messaggio video, ha evidenziato: “Il Governo ha investito fin dal primo momento per affermare azioni concrete sul fronte del cambiamento climatico. Per far fronte alle conseguenze della siccità abbiamo approvato un decreto con semplificazioni per realizzare infrastrutture idriche, vasche di raccolta di acque, impianti di desalinizzazione. Con la Legge di bilancio abbiamo destinato 225 milioni di euro per lo sviluppo di progetti innovativi che sostengano la produttività nei settori dell’agricoltura, della pesca, dell’acquacoltura attraverso la diffusione di nuove tecnologie, rafforzando le produzioni e migliorando anche la gestione della risorsa idrica. Puntiamo sulle Tecniche di evoluzione assistita, di cui abbiamo autorizzato la sperimentazione in campo con un emendamento al Dl. Siccità, cosa ben diversa da degenerazioni come gli Ogm, per avere colture produttive più resistenti al cambiamento climatico e a parità di consumo del suolo. Dopo la recente alluvione che ha colpito l’Emilia-Romagna e il Centro Italia, il Consiglio dei Ministri ha dato il via libera a una serie di misure tra cui, per il settore agricolo, indennizzi alle imprese danneggiate. Il nostro obiettivo è superare la logica emergenziale con una strategia di lungo termine: presidio del territorio, tutela del paesaggio, conservazione della biodiversità e la cura di ciò che la terra ci offre, sono elementi legati a doppio filo alle attività agricole, di allevamento e di pesca”. Maria Elisabetta Alberti Casellati (Ministro per le riforme istituzionali e la semplificazione normativa): “Oggi nessuna regione italiana, nessuna comunità, nessuno di noi può considerarsi esente dal rischio di fenomeni climatici di intensità estrema. Servono pertanto risposte urgenti e adeguate alle caratteristiche peculiari di ciascun territorio, dalla realizzazione di dighe più efficienti a un uso complessivo dell’acqua più responsabile, garantendone il recupero e il riutilizzo, oltre che una distribuzione equa e una riserva minima costante. Sono orgogliosa dell’azione intrapresa dal Governo in questi primi mesi dal suo insediamento. A marzo il Presidente Meloni ha istituito una Cabina di Regia per monitorare la crisi idrica. A ciò si è aggiunta l’istituzione di un ‘Commissario straordinario nazionale per l’adozione di interventi urgenti connessi al fenomeno della scarsità idrica’, incarico affidato al Dott. Nicola Dell’Acqua. Si tratta di passi importanti e concreti per affrontare non soltanto i problemi più urgenti, per i quali sono stati già stanziati, tra l’altro, oltre 100 milioni di euro, ma anche per impostare gli interventi in maniera strategica, in un’ottica di prevenzione e gestione, oltre che emergenziale. Servono procedure snelle per fornire risposte concrete e urgenti ai territori e interventi di potenziamento e adeguamento delle infrastrutture. In qualità di Ministro delle Riforme Istituzionali e la Semplificazione Normativa, sono impegnata a promuovere cambiamenti strutturali e normativi volti a garantire un quadro di riferimento chiaro e stabile, a beneficio dei cittadini e delle imprese”. La candidatura “La cucina italiana tra sostenibilità e diversità bioculturale”, e la sua eventuale iscrizione, per la larga maggioranza degli italiani (68%) favoriranno la difesa e la valorizzazione dell’agricoltura. Una maggiore conferma delle necessità di salvaguardia dell’elemento culturale, proviene dal giudizio sui piatti italiani all’estero: in occasione di viaggi in Europa o nel mondo, per turismo o lavoro, il 60% afferma di aver trovato piatti, ricette o prodotti alimentari italiani taroccati o stravolti. Apprezzata e valutata positivamente dalla maggioranza degli intervistati anche la campagna #NoFakeFood, realizzata da Fondazione UniVerde, Opera2030.org, SOS Terra Onlus in collaborazione con molti content creators per difendere i prodotti agroalimentari italiani da agropirateria e Italian sounding: fenomeni diffusi che sottraggono miliardi di euro all’export italiano, con quantitativi di cibi contraffatti che superano in valore quello degli originali. Ecco perché occorre investire sulla diffusione di tutte le tecnologie che garantiscono tracciabilità e sicurezza. Con il coordinamento di Gianni Todini (Direttore di Askanews), al panel su “Agricoltura e cambiamento climatico” sono intervenuti anche Maurizio Martina (Vicedirettore Generale della FAO) e Stefano Vaccari (Direttore Generale CREA). Appare chiaro che il cambiamento climatico avrà impatti negativi su tutte le dimensioni della sicurezza alimentare. Lo sviluppo agricolo sostenibile è il fulcro per aumentare l’efficienza nella gestione delle risorse idriche ed energetiche, rafforzare i mezzi di sussistenza rurali, promuovere l’equità e il benessere sociale: la via per raggiungere questi obiettivi è l’adozione di un approccio sistemico. Proprio la FAO ha sviluppato un quadro economico per la valutazione dell’uso dell’acqua riciclata proveniente dalle aree urbane in quelle destinate all’agricoltura irrigua, come parte di un processo di pianificazione globale nelle strategie di allocazione delle risorse idriche, presentando un utilizzo economicamente più efficiente e sostenibile dell’acqua. Tale strategia viene evidenziata nel Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche (WWDR) 2023 con focus su “Partenariati e cooperazione per l’acqua”, la cui traduzione ufficiale in italiano è stata presentata in videomessaggio da Michela Miletto (Direttore di UNESCO World Water Assessment Programme, WWAP). Le evidenze scientifiche della crisi idrica sono ineccepibili, ecco perché vanno sempre più posti al centro del dibattito i temi della giustizia e dell’equità nella gestione delle risorse idriche, rafforzando i partenariati in tutte le dimensioni della sostenibilità. La traduzione ufficiale del WWDR2023, sostenuta da partner virtuosi, e frutto della collaborazione tra la Fondazione UniVerde e l’UNESCO WWAP con il supporto dell’IISPA, si rinnova ormai dal 2018 ed ha notevolmente contribuito alla diffusione di una maggiore informazione e a un più alto grado di sensibilizzazione intorno al tema dell’acqua a tutti i livelli, permettendo all’Italia di elevarsi verso le prime posizioni al mondo per numero di download del Documento e di stimolare i necessari interventi di Istituzioni e imprese, a favore della tutela della risorsa idrica e per il conseguimento dell’Obiettivo di Sviluppo Sostenibile 6 dell’Agenda 2030. Il volume è stato tradotto in italiano grazie al supporto di Menowatt Ge, GMT, EPM, AVR federata Anima Confindustria. A seguire si è svolto il panel “La corretta gestione delle risorse idriche” con gli interventi di Silvano Pecora (in rappresentanza del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica), Andrea Guerrini (Componente del Collegio ARERA e Presidente WAREG, European Water Regulators), Francesco Vincenzi (Presidente ANBI), Maurizio Montalto (Presidente IISPA). La gestione equa, efficiente e sostenibile dell’acqua riconosce la risorsa idrica come bene sociale ed economico, la cui quantità e qualità determinano la natura stessa del suo utilizzo. La complessità delle relazioni tra acqua e utenti, economie ed ecosistemi, richiede una gestione integrata che tenga conto delle sinergie, degli usi e del valore intrinseco della risorsa quale Bene comune universale. È dunque necessario costruire capacità, adattabilità e resilienza per la sua pianificazione e corretta gestione. Cinque le best practice per la corretta gestione delle risorse idriche presentate al convegno: Emanuele Giglio (Responsabile reparto R&D di GMT): “GMT invita i propri dipendenti, sia nei propri uffici sia nelle rispettive abitazioni, oltre che ad un uso cosciente della risorsa idrica anche al corretto utilizzo di sistemi di risparmio come limitatori di flusso d’acqua nei rubinetti e scarico WC con doppio flusso. In ambito aziendale GMT ha effettuato degli interventi per l’implementazione di sistemi di micro irrigazione in agricoltura comportando risparmi di acqua superiori al 30%”. Adriano Maroni (Fondatore di Menowatt Ge): “L’attenzione alle tematiche del clima e dell’efficienza energetica è da sempre il fondamento delle nostre attività. Oggi, sempre di più, i nostri sistemi sono tarati per controllare e gestire le risorse che sono fondamentali per noi umani. Il metering e il controllo delle perdite saranno il centro di sviluppo del nostro futuro”. Carmine Esposito (Consigliere delegato di EPM): “La nostra mission, come quella di tante altre aziende impegnate nel settore dell’energy e facility management, è anche quella di tutelare il Bene comune acqua, risorsa di pubblica utilità che purtroppo scarseggia. Il processo di valorizzazione riguarda anche e soprattutto la tutela del bene e sta anche nell’evitarne gli sprechi, come ad esempio nel settore agricolo. Dobbiamo avviare una grande campagna di sensibilizzazione ed informazione dei cittadini per mettere all’ordine del giorno questo tema così attuale ed urgente”. Alessandro Durante (Segretario Generale AVR – Associazione italiana costruttori Valvole e Rubinetteria federata Anima Confindustria): “Limitare le perdite idriche è una priorità assoluta, oggi più che mai. A tale scopo è fondamentale investire in infrastrutture moderne e ben mantenute per ridurre le perdite durante il trasporto e la distribuzione dell’acqua. Proprio qui, un anno fa, abbiamo ipotizzato di realizzare una serie di linee guida per supportare i Comuni italiani nella realizzazione di bandi per il Pnrr dedicati all’efficientamento delle infrastrutture idriche, e così abbiamo fatto. Oggi presentiamo uno strumento concreto per aiutare le nostre amministrazioni locali a mettere in campo un reale cambiamento”. Massimiliano Evangelista (Sales Strategic Lead Ambiente e Territorio di Almaviva): “I cambiamenti climatici portano gravi danni al nostro ecosistema che deve affrontare, da un lato, la water scarcity e, dall’altro, eventi meteo estremi. Acqua e territorio rappresentano le principali infrastrutture economiche della società e devono essere tutelati. È necessario creare un ecosistema digitale per il monitoraggio della disponibilità di acqua al fine di razionalizzarne il fabbisogno umano, animale, industriale e soprattutto agricolo, che richiede il 60% del totale. Sensoristica IoT, Remote Sensing, Web GIS, Intelligenza Artificiale, Big Data, Analytics, Digital Twin sono gli asset tecnologici necessari per abilitare la gestione virtuosa della risorsa idrica, tutelare i cittadini e salvaguardare il territorio. La soluzione Almaviva supporta le decisioni tramite individuazione delle zone a rischio e delle aree da attenzionare, simulazioni, analisi di scenario e gestione emergenze, early warning per il monitoraggio in tempo reale”.

Arredo, Mediobanca: Italia terzo paese al mondo, superata la Germania

Arredo, Mediobanca: Italia terzo paese al mondo, superata la Germania


Arredo, Mediobanca: Italia terzo paese al mondo, superata la Germania


Arredo, Mediobanca: Italia terzo paese al mondo, superata la Germania






























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Milano, 6 giu. (askanews) – L’Italia nell’arredo supera la Germania e si colloca al terzo posto per fatturato, dopo Cina e Stati Uniti. E’ quanto emerge dall’ultimo report dell’Area Studi di Mediobanca sul settore.

Nel 2022 la Cina, pur mostrando segni di rallentamento, mantiene la leadership coprendo il 37,1% della produzione mondiale. Seguono, molto distanti, gli Stati Uniti (13,6%) e appunto l’Italia che, con una market share del 4,5%, supera la Germania (4,3%) nel ranking globale. L’Italia è il secondo esportatore di arredo della Ue-27 dopo la Polonia e quarto nel panorama mondiale, dopo Polonia, Vietnam e Cina: quest’ultima domina la classifica con il 34,1% delle esportazioni complessive. L’Ue-27 costituisce il principale sbocco commerciale del nostro Paese rappresentando il 45,9% delle esportazioni italiane di arredo. Segue l’Europa non Ue (16,4%).

Le maggiori aziende italiane del settore dell’arredo chiudono il 2022 con una crescita del 18%, trainata dall’export (+20%). A livello mondiale, il 2022 vede un incremento a doppia cifra del giro d’affari (+12%) a circa 530 miliardi di euro dai 470 miliardi registrati nel 2021 (+14% sul 2020). Data l’incertezza economica, per l’anno in corso si stima invece una crescita globale più contenuta pari al 5%.

Made in Italy, Federalimentare: Ddl iniziativa di alto valore

Made in Italy, Federalimentare: Ddl iniziativa di alto valoreRoma, 1 giu. (askanews) – “Il disegno di legge approvato ieri dal Consiglio dei ministri, che introduce disposizioni per la valorizzazione, la promozione e la tutela del Made in Italy, è un’iniziativa dall’alto valore sociale ed economico mirata allo sviluppo del Paese, al quale l’industria alimentare può dare un grande contributo”. Lo ha dichiarato in una nota il presidente di Federalimentare, Paolo Mascarino.

“Di grande importanza – sottolinea Mascarino – è l’istituzione del Fondo sovrano a sostegno delle filiere strategiche, al quale potranno ricorrere anche le imprese alimentari, in particolare per l’export, che ha ancora ampi margini di crescita”. “Un altro aspetto di grande rilievo – osserva Mascarino – sono le misure intraprese a tutela dei nostri prodotti e della nostra cultura alimentare, tra le quali la promozione del NutrInform Battery, l’alternativa con solide basi scientifiche alle etichette semaforiche discriminatorie proposte da altri Paesi; la certificazione di qualità a favore della ristorazione italiana all’estero; il sostegno all’imprenditoria femminile, il fondo per la protezione delle certificazioni IIGG e il sostegno al sistema fieristico nazionale, che auspichiamo includa le due grandi fiere dell’alimentare, Cibus e Tuttofood”. “Trasformare materie prime in prodotti dal gusto straordinario, unici e inimitabili – prosegue il presidente di Federalimentare – non è una competenza che si può acquistare sul mercato. I tre articoli dedicati alla formazione (liceo del Made in Italy, trasferimento delle competenze e Fondazione su imprese e competenze) consentiranno di trasferire alle nuove generazioni il saper fare dei nostri imprenditori, un vero e proprio vantaggio competitivo da valorizzare e tutelare”.

“Il settore industriale alimentare – conclude Mascarino – vuole continuare a dare un contributo importante allo sviluppo del Paese. L’Italia ha bisogno di una grande alleanza per la crescita che coinvolga pubblico e privato, e questo disegno di legge è un passo concreto in questa direzione”.

Urso: “Gli investitori stranieri sono a frotte qui in Italia”

Urso: “Gli investitori stranieri sono a frotte qui in Italia”Roma, 27 mag. (askanews) – Con la sua “filiera corta”, che “era un’anomalia”, ora “il modello italiano” si ritrova ad essere “diventato il modello in Europa e nel resto del mondo”, dati i problemi che sono insorti nelle catene di approvvigionamento globali, prima con le strozzature, poi con le tensioni geopolitiche. Ora tutti vogliono accorciare le catene di approvvigionamenti “e per questo gli investitori stranieri sono a frotte qui in Italia”, ha affermato il ministro di Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso durante il Festival dell’economia a Trento.

Kantar: Gucci, Enel e Kinder sul podio dei brand italiani più prestigiosi

Kantar: Gucci, Enel e Kinder sul podio dei brand italiani più prestigiosiMilano, 25 mag. (askanews) – Gucci prima per il quinto anno consecutivo, poi Enel e Kinder. E’ questo il podio della classifica Most valuable italian brand di quest’anno di Kantar BrandZ, che conferma le marche di lusso come dominanti nella top ten con Prada, Ferrari e Fendi. Dal quarto posto in poi infatti troviamo Ferrari che inverte la posizione con Tim rispetto all’anno scorso, poi Prada, Fendi, Eni e al nono posto torna un marchio Ferrero con Nutella e infine le assicurazioni Generali.

In tutti i primi 40 brand italiani per Kantar BrandZ raggiungono un valore complessivo di 110,5 miliardi di dollari. Va specificato che nel 2023 il ranking è stato esteso da 30 a 40 brand, in modo da avere una visione più ampia del variegato panorama italiano. Il valore totale dei Top 30 è diminuito del 19% rispetto allo scorso anno, arrivando a 104,6 miliardi di dollari, a causa della combinazione tra l’impatto finanziario delle forze macroeconomiche e la normalizzazione successiva ai due anni di crescita durante la pandemia. I brand top 30 valgono ora il 2% in più rispetto a prima del Covid (2020) e il loro valore rimane il quarto più alto nel ranking di BrandZ Europa. La proporzione di total brand value derivante dal business realizzato fuori dai confini nazionali (70%) è al quarto posto tra i mercati mondiali. All’interno di questa classifica sono dieci i brand del lusso italiano, pari al 40% del valore totale. Dodici invece i brand che fanno parte della categoria food & beverage con il 19% di share.

I “new comer” tra la 30esima e la 40esima posizione includono due brand di crociere, Costa Crociere e MSC Crociere, duramente colpite in questi anni dalla pandemia e ora tornati, insieme a cinque brand del food & beverage: San Pellegrino, Levissima, Peroni, Giovanni Rana e Aia. Si aggiungono inoltre due brand del lusso Valentino e Dolce & Gabbana e la compagnia assicurativa UnipolSai. La costante resilienza e la fama globale dei top brand italiani mostra chiaramente il ruolo cruciale che la brand equity, la percezione della forza dei brand da parte dei consumatori, ha nel sostenere il loro value durante tempi difficili. I 20 brand del ranking con valori di equity più alti evidenziano un valore due volte superiore a quello degli altri 20.

Questo è confermato dalla misurazione Kantar del Demand power, indice della capacità di un brand di guidare la predisposizione dei propri consumatori a comprare. I top 10 brand italiani performano tutti significativamente sopra la media, con TIM, Nutella e Generali con livelli perfino il doppio di questa, Eni tripli e Enel 4.6 volte maggiori. Il promettente futuro dei brand italiani viene dalle analisi del demand power dei brand che stanno al di fuori della Top 40. Questi “local jewels” includono Tachipirina, con un livello tre volte superiore alla media. Sono stati di fatto in grado di far sentire i consumatori supportati in modo eccellente durante la pandemia, offrendo un’ampia scelta di prodotti e servizi attraverso diversi canali. Ichnusa registra un valore di Demand Power doppio rispetto alla media, così come Illy, che ha continuato il suo processo di innovazione restando relevant e puntando sulle sue diversità, seppur mantenendo una spiccata Italian legacy.

Ecommerce, 9 su 10 comprano sui marketplace ma meno del 50% aziende li usa

Ecommerce, 9 su 10 comprano sui marketplace ma meno del 50% aziende li usaMilano, 25 mag. (askanews) – Il 91% dei consumatori compra sui marketplace, ma meno della metà delle aziende che vende sul web li usa per commercializzare i suoi prodotti. La logistica, inoltre, rappresenta, ancora una volta, il tallone d’achille del commercio digitale. E’ quanto emerge dalla ricerca “Esigenze e politiche delle imprese in termini di servizi e logistica”, realizzata da Yocabè, l’azienda che aiuta i brand a vendere sui marketplace e Confcommercio Roma in collaborazione con l’istituto di ricerca Format Research.

La ricerca intercetta due target diversi: da un lato, prende in esame le imprese italiane dei settori moda, casa e arredo, elettronica di consumo, salute e bellezza, sport e tempo libero, giochi per bambini, alimentare, con l’obiettivo di rilevare le politiche dell’ecommerce, dall’altro, attraverso un’indagine ai consumatori, analizza il comportamento degli utenti nei confronti degli acquisti online. Oltre 80mila imprese utilizzano l’ecommerce come canale di vendita. Ma se il 53,6% delle imprese usa il proprio sito per vendere online, solo il 46,4% del totale è presente sui marketplace e, delle aziende che attualmente non utilizzano piattaforme di marketplace, soltanto il 9,1% pianifica di farlo in futuro. Il 20,5% delle imprese presenti sui marketplace li ha scelti come unico canale di vendita online, mentre il 25,9% preferisce una combinazione di marketplace e sito proprietario. Amazon (62,9%), eBay (38,4%) e Zalando (8,5%) le piattaforme preferite dalle imprese.

Guardando i comportamenti d’acqsuito dei consumatori, circa il 60% solitamente compra sul web o sui social network almeno una volta al mese. Gli eshopper abituali – almeno una volta a settimana – sono il 24,7%. La fetta maggiore di consumatori (59,9%) invece acquista in media una volta al mese e solo il 15,4% una o due volte l’anno. In cima alla classifica delle categorie di prodotto più acquistate online nell’ultimo anno, abbigliamento e calzature (62,1%), strumenti elettronici (60,1%) e articoli per la casa (52,1%). Seguono abbigliamento e accessori sportivi (50,1%), profumi e cosmetici (44,4%) e integratori (41,6%). Il 91% di questi utilizza abitualmente le piattaforme marketplace come canale di acquisto e solo in una misura minore del 40% il sito di un negozio fisico o di un brand. I fattori di attrazione verso i marketplace per i consumatori sono principalmente l’esattezza dell’indicazione dei tempi di spedizione e la sicurezza di acquistare tramite un brand conosciuto. Ma anche l’economicità o la gratuità delle spese di spedizione e dei resi rappresentano dei punti a favore dei marketplace. Le piattaforme preferite dai consumatori sono Amazon, che con il 95% supera ampiamente tutti i competitor, eBay (41,6%) e Zalando (39,0%). La preferenza si orienta invece sull’ecommerce di un negozio qualora siano presenti aspetti come spedizione e reso gratuiti (65,3 e 60,1%), maggiore semplicità della procedura dei resi e indicazione del giorno di consegna (50,5%). Tornando alle imprese, in netta prevalenza (82,9%), quelle che scelgono di gestire in proprio il magazzino e di avvalersi di corrieri dei fornitori per i trasporti e sono queste a esprimere il maggior grado di soddisfazione – con il 78% che si dice molto o abbastanza soddisfatto. Solo il 7,9% si rivolge a un fornitore globale, il 6,7% affida la gestione del magazzino ai fornitori e utilizza i corrieri del fornitore, il 2,5% esclusivamente ai marketplace. Sono le imprese che si affidano completamente a un fornitore globale o ai marketplace quelle che esprimono il maggior grado di insoddisfazione, rispettivamente con il 41,3% e il 38,6%, e solo il 13,8% dichiara di essere molto soddisfatto. “In Italia parliamo prevalentemente del sistema di logistica Fba di Amazon – spiega il founder e Ceo di Yocabè, Vito Perrone – I cambiamenti di policy su costi e approccio allo stoccaggio di Amazon degli ultimi anni, inoltre, potrebbero aver influenzato negativamente l’esperienza dei venditori che si affidano a Fba”.

A occuparsi di tutto questo si trovano diverse figure professionali, che cambiano a seconda delle dimensioni dell’azienda: il titolare nelle imprese più piccole (45,2%), il responsabile operativo nelle medie (31,6%) e il logistic manager nelle grandi (41,1%). In ogni caso, quasi un terzo delle imprese del campione ha riscontrato criticità nella gestione della logistica ecommerce: al primo posto per i costi (44,3%) e poi per la gestione dei resi (19,9%), seguiti da rispetto dei tempi di consegna (15,1%), burocrazia (11,4%), gestione operatività (11,4%), customer service (10,5%) e, infine, integrazione tecnologica e sostenibilità (5,9 e 3,9%). Soprattutto, il settore bellezza risente dei costi (58,6%), la gestione dei resi pesa di più nello sport e tempo libero (31,1%) e così il rispetto dei tempi di consegna (28,6%). Le imprese che hanno incontrato maggiori criticità logistiche sono quelle che affidano la gestione del magazzino ai fornitori e utilizzano i corrieri del fornitore (71,1%). Costi di logistica (50%) e gestione dei resi (20,6%) sono le principali criticità per le imprese che gestiscono in proprio il magazzino e utilizzano i corrieri del fornitore; costi (48%) e rispetto dei tempi di consegna (41%) per le imprese che affidano la gestione del magazzino e i trasporti ai fornitori; quelle che affidano tutto il ciclo a un fornitore globale, invece, sono in difficoltà soprattutto con rispetto dei tempi di consegna (46,7%) e costi (37%). Infine, per le imprese che si affidano esclusivamente ai marketplace, ai primi posti gestione dei resi (54,8%) e poi, anche in questo caso, costi (45,2%). I costi rappresentano dunque il principale elemento di criticità, trasversale alle varie categorie prese in esame, e a pesare sono soprattutto quelli relativi alla gestione dei resi (35,2%) e di spedizione (24,5%). I costi di stoccaggio, movimentazione della merce nel magazzino, ingresso e imballaggio della merce non sono altrettanto impattanti.

Il 44,7% delle imprese commercia online anche con l’estero, soprattutto nei comparti giocattoli (60,3%), casa e arredo (52,1%) e moda (50,8%). L’internazionalizzazione del business, con le relative complessità logistiche, tocca invece meno di tutti gli altri settori quello alimentare (17,3%). Per le imprese che commerciano online con l’estero, costi di spedizione (55,1%) e aspetti fiscali per paesi extra Ue (51,7%) sono le principali problematiche logistiche riscontrate. Da non trascurare anche logistica delle spedizioni e resi.

L’export italiano per la prima volta supera quota 50% del fatturato

L’export italiano per la prima volta supera quota 50% del fatturatoMilano, 23 mag. (askanews) – E’ la fotografia di un’industria manifatturiera italiana sostanzialmente in buona salute, quella che emerge dal 103esimo “Rapporto Analisi dei settori industriali” di Intesa Sanpaolo redatto in collaborazione con Prometeia. Per fine 2023 si prevede un un livello di fatturato stabile a prezzi costanti (+0,4% tendenziale) che consolida i significativi progressi del biennio precedente (+9,1% la crescita media annua nel 2021-22). Ma un dato particolarmente importante è la quota di fatturato generata dall’export che nel 2023 per la prima volta supererà la soglia del 50 per cento, grazie alla capacità delle imprese di servire nicchie a elevato valore aggiunto. A prezzi correnti il fatturato complessivo segna poi un altro record: quota 1.160 miliardi a fine 2022, e in prospettiva il superamento di 1.170 miliardi di euro a fine anno, 260 miliardi di euro in più rispetto al 2019.

In prospettiva – si legge nel Rapporto – la distensione del contesto operativo interno e internazionale, grazie anche al rientro dell’inflazione, permetterà al manifatturiero italiano di crescere nei prossimi anni a ritmi più vivaci di quelli degli ultimi decenni: 1,3% medio annuo nel 2024-27 a prezzi costanti e 2% a prezzi correnti. Sul fronte interno, l’aspettativa è che i fondi del Pnrr sostengano il ciclo degli investimenti, controbilanciando l’andamento meno brillante dei consumi, penalizzati dall’ erosione dei redditi reali imposta dall’inflazione, soprattutto nel 2023 e, nel medio termine, dai cambiamenti nelle abitudini di spesa, conseguenti anche al progressivo invecchiamento della popolazione.

Fra i settori più dinamici nel 2023 e nel medio termine si trovano Elettrotecnica, Meccanica, Elettronica e Autoveicoli e moto. Seguono i settori che più di altri saranno in grado di cogliere le opportunità di crescita sui mercati esteri: Sistema moda, Farmaceutica e Largo consumo. In fisiologico rallentamento i Prodotti e materiali da costruzione e gli intermedi chimici, sensibili alla domanda edilizia, e i settori produttori di beni destinati all’ambiente domestico, Mobili ed Elettrodomestici. Il Rapporto mette in evidenza anche alcune criticità che potrebbero essere penalizzanti per l’andamento della nostra industria manifatturiera; prima fra le altre il gap generazionale e l’invecchiamento non solo dei vertici aziendali, ma in proporzione di tutta la forza lavoro. Nel 2022 la quota di occupati under 40 nell’industria manifatturiera italiana è infatti scesa al 34,8%, dal 51,1% del 2008, la percentuale più bassa fra le grandi manifatture europee, e a fronte di una media UE27 del 39,6%. Il progressivo invecchiamento della forza lavoro è visibile in tutti i settori, con picchi più intensi nel Sistema moda, nei Prodotti e materiali da costruzione e nei Mobili. Se proiettato verso un orizzonte di medio termine, questo fenomeno potrebbe incidere in maniera significativa sulla capacità delle imprese di realizzare un corretto passaggio di competenze, a fronte di un processo di transizione digitale e ambientale che, tra l’altro, impone di accelerare sulla formazione ICT e nelle materie STEM, dove l’Italia ha ancora notevoli lacune da colmare con i concorrenti europei. A livello di figure apicali il fenomeno dell’invecchiamento delle risorse umane è ancora più delicato evidenziando un ritardo sul passaggio generazionale ai vertici che si traduce in debolezza. L’analisi di un campione rappresentativo di circa 82mila imprese manifatturiere ha messo in luce come, al 2022, solo il 20,5% delle realtà abbia almeno un amministratore under 40 all’interno del board.

Dal punto di vista finanziario, infine, il rapporto indica che i tassi di crescita più modesti e costi di approvvigionamento ancora penalizzanti incideranno sui margini unitari nel 2023, ma l’Ebitda si confermerà su livelli storicamente elevati. Pur a fronte di una dispersione delle performance, tra settori e all’interno dei settori, le imprese manifatturiere italiane possiedono infatti al loro interno le risorse necessarie per affrontare le sfide dell’orizzonte previsivo. L’analisi dei bilanci internazionali conferma poi un significativo processo di convergenza tra l’industria italiana e i competitor europei di Germania, Francia e Spagna, in termini di rafforzamento della redditività, della patrimonializzazione e degli equilibri finanziari. (nella foto: Gregorio De Felice, Chief Economist e Responsabile Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo)

Competere.EU: l’Italia corre più dei competitor

Competere.EU: l’Italia corre più dei competitorMilano, 23 mag. (askanews) – L’Italia corre più dei Paesi competitor; e la sua resilienza economica è spiegata anche da ragioni strutturali, e non solo da fattori congiunturali. A fronte di questa solidità è necessaria una una strategia di comunicazione per scardinare i falsi miti che tendono a screditare l’Italia agli occhi di molti investitori internazionali e attrarre investimenti. E’ quanto emerge dal position paper di Competere.EU, think tank che svolge analisi e attività di advocacy per promuovere il commercio globale che collabora con istituzioni e governi internazionali, aziende e associazioni di settore.

“La resilienza dell’Italia è anche il frutto di una struttura produttiva meno dipendente dalle catene del valore globali, in particolare quelle più colpite nell’ultimo biennio, ma anche di una ricostruzione del sistema produttivo che è stata forgiata dalle crisi vissute negli ultimi quindici anni, a partire da quella finanziaria internazionale del 2008, e che ha consentito la sopravvivenza delle imprese più solide – sottolinea il segretario generale di Competere.EU Roberto Race – Non tenerne adeguatamente conto può portare le istituzioni internazionali e le agenzie di rating a sottostimare la capacità dell’Italia e a venire poi smentite dai dati effettivi dell’economia reale”. “Nelle ultime settimane – spiega Race- si è discusso molto della valutazione del rating sovrano da parte delle principali agenzie internazionali, una valutazione che ha un impatto decisivo sulla credibilità del Paese e sull’attenzione che può generare presso gli investitori internazionali. Normalmente questo momento cruciale era molto temuto; questa volta, però, è diverso perché la situazione economica dell’Italia è migliore di quanto non lo fosse in passato – afferma Race, che è anche uno dei rappresentanti italiani del B20, il business forum delle “Confindustrie” del G20 – Nella fase di ripresa post-pandemica il nostro Paese, infatti, sta mostrando una buona capacità di recupero, evidenziando anche una maggiore resilienza rispetto a quanto osservato negli altri principali competitor europei, in primis Francia e Germania. I principali previsori internazionali sono stati costretti a rivedere frequentemente al rialzo le stime di crescita dell’Italia, che ha saputo gestire le difficoltà di un contesto internazionale caratterizzato da un’estrema incertezza, da importanti strozzature delle catene globali del valore, da problemi legati alle forniture di gas, oltre che da questioni più strettamente geopolitiche conseguenti al conflitto russo-ucraino”.

Nelle scorse settimane -evidenzia l’analisi – sia il Fondo Monetario Internazionale sia la Commissione Europea, che non sono mai stati molto morbidi col nostro Paese, hanno corretto le precedenti valutazioni sulla crescita del pil italiano, innalzandole. In particolare, la Commissione Europea ha stimato una variazione del pil dell’1,2% per il 2023 – andando anche oltre le previsioni del governo pubblicate nel Def di aprile – e migliorandole rispetto allo 0,6% di febbraio e, addirittura, allo 0,3% previsto in autunno. I numeri di contabilità nazionale- è scritto nel position paper – “descrivono un dato di fatto incontrovertibile: una crescita nell’ultimo biennio che ha più che compensato la caduta del 2020, un forte sostegno degli investimenti, non solo in costruzioni. Per meglio interpretare questi andamenti è necessaria una lettura integrale che unisca a fattori di natura congiunturale anche elementi più strutturali.” A fronte di questi dati – sottolinea il paper è dunque “fondamentale scardinare falsi miti che tendono a screditare l’Italia agli occhi di molti investitori internazionali e limitano l’attrazione degli investimenti dipingendo un’immagine distorta dell’Italia”.

“Le leadership industriali e le caratteristiche uniche della nostra economia- spiega Race- impongono di lavorare insieme come ‘sistema paese’ per scardinare certi falsi miti che tendono a screditare l’Italia agli occhi di molti investitori internazionali. Una strategia di comunicazione efficace, precisa e capillare finalizzata a fare conoscere meglio l’Italia fuori dai confini nazionali, aiuterebbe a migliorare la reputazione e a render giustizia al nostro Paese. Una campagna che accenda i riflettori sui punti di forza e che sia da sprone anche ad Invitalia per fare ancora di più rispetto a quanto fatto negli ultimi anni”. “Qualcosa che vada al di là dei classici road show messi in campo negli anni dal Dipartimento del Tesoro del MEF per vendere il nostro debito pubblico – spiega Race – Potrebbe essere realizzata dal Governo, in collaborazione con le associazioni di categoria come, tra le altre, Abi, Confindustria, Ance, Confcommercio, Coldiretti e Confagricoltura e le principali istituzioni finanziarie, a partire da Intesa Sanpaolo, Unicredit e Generali. Un’iniziativa di questo tipo, infine, contribuirebbe a portare in Italia nuovi investitori esteri che rappresentano una risorsa importante, in grado di rafforzare la qualità del tessuto produttivo e il posizionamento della nostra industria lungo le filiere globali internazionali”. (nella foto: Roberto Race, segretario generale di Competere.EU )

Made in Italy, nasce Slow Fiber: rete Slow Food con 16 aziende tessili

Made in Italy, nasce Slow Fiber: rete Slow Food con 16 aziende tessiliRoma, 10 mag. (askanews) – Compriamo troppo e sprechiamo più che mai: non solo in campo alimentare con il cibo che dovrebbe nutrirci e invece non arriva nemmeno sulle nostre tavole, ma anche nel settore dell’abbigliamento e dell’arredamento, nell’ambito di quella che ormai viene definita a ragione fast fashion.

È questa la presa di coscienza che sta dietro l’incontro tra Slow Food Italia e alcune note realtà del tessile del territorio nazionale che, con coraggio e spirito critico, hanno creato Slow Fiber, un movimento la cui voce, oggi più che mai, squarcia il panorama di un sistema di produzione nocivo e inarrestabile in cui da troppo tempo siamo intrappolati, come consumatori e come imprenditori. Figlio dell’associazione Slow Food, che da anni è impegnata a promuovere un cibo buono, pulito e giusto per tutti, Slow Fiber propone lo stesso percorso e gli stessi valori nell’ambito del vestire e dell’arredamento, e quindi di rapporto con il corpo e con il bello, inteso anche come etico, giusto e misurato.

Secondo il report della Commissione Europea dal titolo Textiles and the environment in a circular economy: the role of design in Europe’s circular economy, la produzione e il consumo di prodotti tessili continua ad aumentare, così come il loro impatto sul clima, sul consumo di acqua e di energia e sull’ambiente. La produzione mondiale di questi prodotti è quasi raddoppiata tra il 2000 e il 2015 e il consumo di capi di abbigliamento dovrebbe aumentare del 63 % entro il 2030, passando dagli attuali 62 milioni di tonnellate a 102 milioni di tonnellate. Nell’Unione europea il consumo di prodotti tessili rappresenta attualmente in media il quarto maggiore impatto negativo sull’ambiente e sui cambiamenti climatici e il terzo per quanto riguarda l’uso dell’acqua e del suolo dalla prospettiva globale del ciclo di vita. Ogni anno nell’UE vengono buttati via circa 5,8 milioni di tonnellate di prodotti tessili, ogni europeo acquista ventisei chili di vestiti all’anno e ne butta via undici dopo averli indossati appena 7-8 volte mentre solo il 13% di essi viene riutilizzato o riciclato. I dati parlano chiaro, bisogna ripensare la moda e il mondo del tessile in un’ottica di sostenibilità. Slow Fiber si pone l’obiettivo di divulgare la conoscenza dell’impatto che i prodotti tessili hanno sull’ambiente, sui lavoratori della filiera e sulla salute dei consumatori per diffondere una nuova etica e cultura del vestire e dell’arredare. In quest’ottica, il proposito di Slow Fiber è anche quello di ampliare il network, coinvolgendo e invitando aziende italiane e internazionali a unirsi alla rete per ampliare la portata dell’impatto di questo cambiamento rendendolo corale, forte e immediato.

Come spiega Dario Casalini fondatore di Slow Fiber: “Negli ultimi decenni il modello del fast fashion ha imposto una coincidenza tra nuovo e bello. Capi che vengono prodotti in grandi quantità e bassa qualità e creano rifiuti. L’idea è invece quella di recuperare un concetto di bellezza che abbia anche dei valori etici perché essere sostenibili significa avere un atteggiamento intellettualmente onesto e quindi prendere in considerazione tutto il sistema.” Le aziende fondatrici del network si sono autoregolamentate attraverso Il Manifesto di Slow Fiber insieme alla creazione di specifici requisiti, KPI qualitativi che quantitativi e una tassonomia propria a marchio Slow Fiber costruita sulla base degli indicatori globali di eticità, sostenibilità e responsabilità sociale (ESG, SDGs e GRI). Questa autovalutazione ha una doppia funzione: allineare tutte le aziende del network a intraprendere o a rafforzare i propri percorsi di sostenibilità e a supportare i nuovi aderenti nella realizzazione di percorsi chiari, trasparenti, misurabili.

“È necessario un atto di volontà per ripensare il nostro posto nel mondo, per abbandonare un pensiero e un linguaggio predatori, a favore di una consapevole umiltà: quella che si prova di fronte a maestosi spettacoli naturali, di fronte ad un’intensa percezione di bellezza che ci fa presagire un senso di “giustezza” – sottolinea Barbara Nappini, presidente di Slow Food Italia -. Slow Fiber ha deciso di sostenere Slow Food abbracciandone i valori del buono, pulito e giusto: perché la bellezza senza etica è marketing. Quando invece la bellezza implica l’etica è “bene”, e si rifà all’ideale greco del “Kalos Kai Agathos” bello e buono perché, come sostiene il filosofo e saggista bulgaro Todorov, l’esigenza di assoluto si riflette nella scoperta della bellezza”. La forza di Slow Fiber risiede nella rete delle aziende del tessile italiano che attraverso il proprio operare dimostrano che è possibile creare prodotti tessili, per il vestire e l’arredare, che siano non solo belli, ma sani per chi li usa, puliti perché l’impatto ambientale dei processi produttivi è ridotto, giusti perché rispettano i diritti e la dignità dei lavoratori coinvolti nella loro realizzazione e valorizzano competenze e saperi tradizionali e sono in grado di durare nel tempo, contrapponendosi al concetto di fast-use e fast-fashion.

Le aziende del tessile italiano che aderiscono già a questi requisiti sono: Oscalito, l’Opificio, Quagliotti, Remmert, Pettinatura Di Verrone, Tintoria 2000, Angelo Vasino Spa, Olcese Ferrari, Tintoria Felli, Manifattura Tessile Di Nole, Holding Moda, Lane Cardate, Italfil, Pattern, Maglificio Maggia, Vitale Barberis Canonico.

Aziende intergenerazionali che vantano una storia importante nel settore della produzione vestiaria e dell’arredamento, che a oggi impiegano più di 1000 persone e raggiungono un fatturato complessivo di oltre 500 milioni di euro. “Come per Slow Food, anche con Slow Fiber vogliamo proporre una rivoluzione, un cambiamento di paradigma della produzione, del consumo e, quindi, della percezione del tessile, e per farlo non potevamo scegliere partner migliore”, afferma Dario Casalini, e prosegue: “L’impegno è di farlo con il medesimo rigore scientifico e la medesima attenzione. L’augurio è quello di arrivare, senza fretta, molto lontano, seguendo i passi che Slow Food ha fatto in questi ultimi decenni”.

L’idea di Slow Fiber nasce con l’obiettivo di recuperare la consapevolezza di come vengono fatti i prodotti, operando affinché avvenga un cambiamento verso la sostenibilità dell’ambiente e delle persone. Slow Fiber vuole essere la risposta al fast fashion e, attraverso il loro processi produttivi, vogliono rappresentare un cambiamento positivo grazie alla creazione di prodotti belli, buoni, sani, giusti, puliti e durevoli. La nuova rete Slow Fiber è nata dall’incontro tra Slow Food Italia e aziende italiane virtuose del tessile. Queste realtà imprenditoriali a vocazione internazionale vantano una storia importante in tutta la filiera produttiva della moda e dell’arredamento e ad oggi impiegano più di 1000 persone, raggiungendo un fatturato complessivo aggregato di oltre 550 milioni di euro. Queste primi sedici aziende che aderiscono già ai requisiti richiesti, sono: Oscalito, l’Opificio, Quagliotti, Remmert, Pettinatura Di Verrone, Tintoria 2000, Angelo Vasino Spa, Olcese Ferrari, Tintoria Felli, Manifattura Tessile Di Nole, Holding Moda, Lane Cardate, Italfil, Pattern, Maglificio Maggia, Vitale Barberis Canonico.

Bialetti cederà a Illa le pentole Aeternum per 5,3 mln

Bialetti cederà a Illa le pentole Aeternum per 5,3 mlnMilano, 3 mag. (askanews) – Bialetti cederà a Illa il ramo d’azienda delle pentole a marchio Aeternum. In una prima fase l’azienda di caffettiere bresciana, conferirà il ramo d’azienda in una newco, che successivamente verrà ceduta a Illa o a una società da essa designata. L’accordo quadro prevede che Illa, quotata su Euronext Growth Milan, paghi a Bialetti come corrispettivo per la cessione 3,8 milioni alla data di esecuzione (20 luglio 2023), e un ulteriore ammontare pari a massimo 1,5 milioni a titolo di earn-out, al raggiungimento di specifici target in termini di ricavi ed Ebitda complessivamente realizzati da Bialetti, NewCo e Illa nel corso dell’esercizio 2023 a fronte della commercializzazione dei prodotti a marchio Aeternum, Junior e Morenita.

“L’operazione risulta fondamentale per il completamento del percorso di rilancio della nostra azienda. Dotare Illa di un ulteriore marchio di prestigio, molto conosciuto nel settore, aumenterà la quota di mercato impattando in maniera positiva sul fatturato aziendale per il fatto che, quello del ramo, nel corso degli ultimi tre anni, si è attestato ad un valore compreso tra i 12 e i 16 milioni di euro – ha commentato l’amministratore delegato di Illa, Pierpaolo Marziali – siamo convinti che questa operazione metterà Illa nelle condizioni di considerare definitivamente superata la crisi derivante dalla perdita del cliente storico Ikea”. “Aeternum – continua Marziali – è destinata a diventare il fiore all’occhiello della nostra produzione, su cui contiamo di investire per sostenere ed espandere il nostro business globale ipotizzando, in prospettiva, di estendere questo marchio anche ad altre tipologie di prodotto. Il tutto avrà ripercussioni importanti anche nell’efficientamento dell’impianto produttivo che, nel futuro, sarà impegnato anche nella produzione di linee di prodotto con il nuovo brand, creando delle sinergie importanti ed aprendo le porte a nuovi canali di vendita che ad oggi non potevano essere presidiati dal ramo”. Al 31 dicembre 2022, Aeternum ha generato ricavi netti per 12,3 milioni. Sulla base delle risultanze contabili di Bialetti, l’Ebitda è stato pari ad 2,2 milioni di euro.