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Banca centrale cinese taglia coefficiente riserva obbligatoria banche

Banca centrale cinese taglia coefficiente riserva obbligatoria bancheRoma, 14 set. (askanews) – La banca centrale cinese ha annunciato oggi un nuovo taglio alla quantità di contante che le banche devono detenere come riserva. Si tratta di un’ulteriore mossa di Pechino per cercare di sostenere la crescita.

La Banca popolare di Cina (Bpoc) ha dichiarato che taglierà il coefficiente di riserva obbligatoria per i depositi in yuan di 0,25 punti percentuali, al 7,4%, a partire da venerdì. Così l’istituto di emissione punta a “consolidare le basi della ripresa economica e mantenere ampia liquidità”. L’annuncio del taglio è arrivato poco prima che la Cina pubblicasse gli indicatori economici di agosto venerdì.

Lo scandalo del “Jimmy Savile giapponese” che uccide il J-pop

Lo scandalo del “Jimmy Savile giapponese” che uccide il J-popRoma, 14 set. (askanews) – L’industria dell’intrattenimento giapponese si trova di fronte a uno scandalo che rischia di affossarla, in un momento in cui il J-pop è stato ampiamente sopravanzato dalla versione sudcoreana K-pop: Johnny & Associates, la più grande agenzia di talent nipponici, ha dovuto ammettere che il fondatore – Johnny Kitagawa – ha abusato sessualmente di ex dipendenti per qualcosa come 50 anni, spesso da quando questi performer erano ancora dei ragazzini.

L’effetto è stato devastante sul business della compagnia. Le scuse tra le lacrime e le dimissioni della presidente Julie Keiko Fujishima – nipote di Johnny e di fatto ancora proprietaria dell’agenzia – non sono riuscite a calmare le acque e nei giorni scorsi una serie di sponsor – a partire dai produttori di birra Asahi Group, Kirin Holdings, passando per la Japan Airlines – hanno annunciato il ritiro dai contratti. Altri – come l’assicuratore Tokyo Marine, la Suntory e la birra Sapporo – sono in via di riconsiderazione. Johnny & Associates ha annunciato che per un anno intende rinunciare alle sue commissioni per le pubblicità e per le apparizioni televisive dei performer che fanno parte della sua scuderia. “Faremo il possibile per riconquistare la fiducia che abbiamo perduto”, recita in un comunicato sul sito internet l’agenzia, che ha creato un comitato formato da tre ex giudici per determinare i risarcimenti da offrire alle vittime degli abusi.

Non sarà tuttavia semplice ricostruire la fiducia, in un paese in cui le relazioni sono determinate in maniera decisiva dalla reputazione. E, in sei mesi di scandalo, di ricostruzioni, di testimonianze, di articoli, rispetto ai quali la compagnia ha reagito con ritardo, le cose si sono molto ingarbugliate per l’agenzia. A partire da quel documentario diffuso il 7 marzo scorso dalla BBC e intitolato “Predator – The Secret Scandal of J-pop”, in cui si accusa Johnny Kitagawa di abusi sessuali, partendo anche da vecchie vicende che si erano chiuse nei tribunali con un nulla di fatto. Da allora si sono aperte le cascate. Si sono susseguite dolorose confessioni, accuse, che hanno distrutto l’immagine dell’uomo che ha dato un contributo fondamentale a costruire il fenomeno J-pop (e di conseguenza anche il modello su cui si basa oggi il K-pop). Johnny (Hiromu) Kitagawa, figlio di un monaco buddista giapponese trapiantato a Los Angeles e nato nel 1931, divenne famoso in Giappone negli anni ’50 come leader dei “Johnnies”, sostanzialmente la prima boy-band della storia nipponica. Ma il suo successo fu con la scoperta nel 1968 il lancio dei “Four Leaves”, anch’essa una boy-band. Nei decenni tutti alcuni dei più importanti successi nazionali e internazionali J-pop, a partire dai famosi SMAP, portano il suo marchio di fabbrica di Johnny & Associates, l’agenzia fondata nel 1962, che ha un giro d’affari attorno ai 20 milioni di euro annui.

In realtà, Johnny è stato a lungo chiacchierato. Nel 1999 la rivista Shukan Bunshun raccontò di abusi sessuali perpetrati nei confronti di alcuni dei suoi performer. Ne partì una causa civile per diffamazione contro il giornale, che fu assolto, di fatto con un’indiretta ammissione che in realtà la fama di predatore dell’ex cantante non fosse immeritata. La morte di Johnny nel 2019, però, silenziò per un po’ rumors. Lo scandalo partito da marzo, tuttavia, ha riportato con prepotenza in primo piano la questione degli abusi nel mondo dello spettacolo giapponese. Junya Hiramoto, un ex idol che si dichiara abusato da Johnny, ha fondato un’”Associazione delle vittime degli assalti sessuali di Johnny” e promette di fornire un rapporto sulle violenze e di presentare una class-action davanti alla giustizia statunitense. E’ intervenuta persino l’Onu, attraverso il Gruppo di lavoro sugli affari e i diritti umani, che da luglio ha avviato un’indagine e ha definito “profondamente disturbanti” le accuse di abusi piovute sull’agenzia.

A capo dell’agenzia, da alcuni giorni, è stato collocato come presidente Noriyuki Higashiyama, un attore famoso che lavora per l’agenzia dal 1979. Una mossa che non sembra destinata a imprimere una svolta positiva per l’agenzia. Ma, al di là del caso specifico, la vicenda di Johnny ha aperto uno squarcio su un mondo in cui l’omertà l’ha fatta a lungo da padrona. In un articolo per Newsweek Japan di diversi anni fa, all’epoca delle prime rivelazioni su Johnny, David McNeill si sentì rispondere da uno dei principali produttori della Tv giapponese: “Come produttore a me non interessa nulla di queste voci di scandali sessuali: cosa vuole che importi a noi che facciamo i programmi?” Una visione di corto respiro e che oggi ha come conseguenza una perdita di credibilità della televisione nipponica. Il Japan Times nel 2019 scisse, a corredo di un sondaggio che mostrava un declino della fedeltà al mezzo televisivo soprattutto tra i giovani, che “i media stanno tagliandosi da soli la gola”. E, non a caso, ormai il fenomeno J-pop è residuale: la rivoluzione K-pop ha ormai investito in pieno il Sol levante e le ragazze giapponesi pendono dalle labbra e dagli ancheggiamenti di efebici ragazzi sudcoreani, a partire dai globalmente noti BTS. Anche se, pure a Seoul, non è che le cose sul fronte dello sfruttamento sessuale, nell’ampio ambito del mondo dello spettacolo, vadano molto meglio.

Allarme in Cina: mancano talenti per sviluppare l’IA

Allarme in Cina: mancano talenti per sviluppare l’IARoma, 14 set. (askanews) – Nella grande corsa allo sviluppo dell’intelligenza artificiale (IA), la Cina, che pure sta facendo passi da gigante, si trova ad affrontare una carenza di milioni di talenti. Lo racconta oggi Nikkei Asia in un ampio resoconto.

“Insieme alle grandi aziende tecnologiche, startup, società finanziarie e altri sono alla ricerca di talenti superiori nell’intelligenza artificiale”, ha affermato a Nikkei Angus Chen, capo del personale AI presso la società di reclutamento ManGo Associates con sede a Shanghai. “Molti candidati ricevono offerte da più aziende e alcuni hanno deciso di rivolgersi a un’altra azienda anche dopo che abbiamo trascorso mesi a prepararci per metterli in contatto con una particolare azienda”. In questa situazione di mercato, a giovarsene sono prevalentemente titolari di master o dottorati sulla trentina, i cui curriculum includono periodi presso aziende specializzate in modelli linguistici di grandi dimensioni, che sono alla base dell’intelligenza artificiale generativa. I lavoratori qualificati nel settore dell’IA possono guadagnare molto e Chen ha affermato che alcune “reclute” hanno ricevuto offerte per oltre 3 milioni di yuan (383mila euro) all’anno.

Dopo che, il mese scorso, le autorità cinesi hanno emesso le normative e rilasciato le prime autorizzazioni alla commercializzazione di piattaforme IA, è partita una grande gara dei giganti tech a mettere a disposizione i propri modelli linguistici di grandi dimensioni. Baidu ha reso disponibile il 31 agosto il suo Ernie Bot, SenseTimes il suo SenseChat. Poi sono arrivati anche Tencent e Alibaba. Mentre, invece, i concorrenti Usa, a partire da ChatGPT di OpenAI e Bard di Google, sono ancora bloccati nella Repubblica popolare. Questa corsa a rilasciare chatbot, però sta surriscaldando il mondo del lavoro specializzato del settore. Secondo la piattaforma di ricerca di lavoro Liepin, consultata da Nikkei Asia, le offerte di lavoro nella categoria di generazione di contenuti AI, compresi quelli per ingegneri di algoritmi, sono aumentate di 2,3 volte nella prima metà del 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.

La retribuzione media annua per tali offerte di lavoro ha superato i 400.000 yuan, quasi raddoppiando la media di 220.000 yuan osservata nel settore dei veicoli a nuova energia. “La generazione di contenuti basati sull’intelligenza artificiale – ha spiegato Liepin – si sta espandendo rapidamente e la domanda di talenti continuerà a crescere in futuro”. La carenza di personale non viene però come un fulmine a ciel sereno. Già nel 2020 il ministero delle Risorse umane del governo di Pechino aveva quantificato il deficit di personale nel settore dell’IA in 5 milioni di unità. Sostanzialmente, l’offerta di professionisti qualificati nell’IA soddisfarrebbe solo il 10% della domanda. E, se non si intensificheranno gli sforzi di formazione, il deficit potrebbe superare i 10 milioni nel 2025.

Qualcosa tuttavia si muove. Wang Haifeng, responsabile tecnologico di Baidu, ha dichiarato a gennaio che negli ultimi anni si è verificata una carenza di talenti nell’intelligenza artificiale compresa tra 5 e 8 milioni, ma l’azienda ne ha formati oltre 3 milioni attraverso vari sforzi di cooperazione. Secondo un rapporto pubblicato a maggio da McKinsey & Co, però, la Cina è si potrebbe ritrovare a corto di 4 milioni di talenti nel campo dell’intelligenza artificiale nel 2030. “Oltre il 2030, la nostra ricerca – ha scritto ancora la società di consulenza – suggerisce che il calo del tasso di natalità ridurrà ulteriormente la disponibilità di talenti nell’intelligenza artificiale, poiché meno studenti entreranno nei programmi universitari”.

A Yokohama sorgerà super-parco a tema rivale di Tokyo Disneyland

A Yokohama sorgerà super-parco a tema rivale di Tokyo DisneylandRoma, 14 set. (askanews) – Lo sviluppatore immobiliare giapponese Mitsubishi Estate – parte dello storico conglomerato (“keiretsu”) Mitsubishi – costruirà un grande parco a tema, che supererà per dimensioni Tokyo Disneyland, nella città di Yokohama. Lo ha deliberato l’autorità municipale della città nipponica.

L’amministrazione di Yokohama ha annunciato di aver selezionato il colosso immobiliare per riqualificare parte di un pezzo di terreno nel distretto di Kamiseya della città, precedentemente utilizzato come sito militare statunitense. Il parco dovrebbe aprire i battenti 2031, con la prospettiva di ospitare all’inizio almeno 12 milioni di visitatori all’anno, fino ad arrivare a 15 milioni quando le strutture saranno a regime.

L’area interessata è di circa 706.500 m2, dei quali 514mila saranno dedicati al parco a tema vero e proprio e gli altri a strutture, al verde pubblico, ecc. Tokyo Disneyland è ampio poco più di 460mila m2. Il parco a tema conterrà “contenuti giapponesi, realizzati con tecnologia giapponese all’avanguardia” e sarà “di livello mondiale”, recita l’informativa divulgata dalla città di Yokohama. Nell’area sarà presente anche una zona che ospiterà GREENxEXPO 2027, dedicata alla sostenibilità e all’agricoltura biologica.

Nell’informativa di Yokohama non ci sono cenni ai costi dell’operazione, ma viste le dimensioni e i precedenti si parla certamente di miliardi di euro. La città, dal canto suo, per l’expo agricola del 2027 ha stanziato 76,6 miliardi di yen (484 milioni di euro). Il terreno che ospiterà il mega impianto è tornato nella disponibilità del comune di Yokohama da circa un decennio, dopo essere stato a lungo sede di una postazione radio militare statunitense.

Auto elettrica, Pechino accusa l’Ue di “concorrenza sleale”

Auto elettrica, Pechino accusa l’Ue di “concorrenza sleale”Roma, 14 set. (askanews) – Un nuovo fronte di conflitto commerciale è ormai aperto tra l’Europa e Pechino. Dopo che ieri la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha annunciato, nella formale sede del discorso sullo stato dell’Unione di fronte all’Europarlamento, l’apertura di un’indagine sui veicoli elettrici cinesi, la Cina ha risposto oggi per le rime per bocca di un portavoce del ministero del Commercio, esprimendo “grande preoccupazione e insoddisfazione” e bollando come “atto protezionistico” e “concorrenza sleale” la mossa di Bruxelles.

“La Cina esprime grande preoccupazione e forte insoddisfazione e ritiene che le misure investigative proposte dall’Ue servano in realtà a proteggere la propria industria in nome di una forma di concorrenza leale. Si tratta di un puro atto protezionistico che interromperà e distorcerà gravemente la catena dell’industria automobilistica globale e la catena di fornitura, compresa l’Ue, e avrà un impatto negativo sulle relazioni economiche e commerciali tra Cina e Ue”, ha detto il portavoce del ministero. “Negli ultimi anni, l’industria cinese dei veicoli elettrici si è sviluppata rapidamente e la sua competitività ha continuato a migliorare. Questo è il risultato di un’incessante innovazione tecnologica e della costruzione di una catena industriale e di una catena di fornitura complete. E’ un vantaggio competitivo conquistato attraverso il duro lavoro e il suo impegno”, ha rivendicato il portavoce cinese. Questo lavoro – ha proseguito – “è stato apprezzato dai consumatori, inclusi quelli dell’Unione europea, e accolto favorevolmente dagli utenti globali, oltre a dare un grande contributo alla risposta globale al cambiamento climatico e alla trasformazione verde, inclusa quella dell’Unione europea”.

Von der Leyen ieri ha attaccato Pechino per la sua politica di sovvenzioni all’industria dell’auto elettrica. Il settore dei veicoli elettrici, ha detto la numero uno dell’esecutivo europeo, “è essenziale per l’economia pulita, che racchiude un enorme potenziale per l’Europa. Ma i mercati globali sono ora inondati di auto elettriche cinesi a basso costo, il cui prezzo è mantenuto artificialmente basso da massicci sussidi pubblici. Questo – ha sottolineato – costituisce una distorsione del nostro mercato. E così come non le accettiamo al nostro interno, noi non accettiamo distorsioni che vengano dall’esterno. Oggi vi annuncio quindi che la Commissione avvierà un’indagine anti-sovvenzioni sui veicoli elettrici provenienti dalla Cina”. E ha aggiunto: “L’Europa è aperta alla concorrenza, non a una corsa al ribasso. Dobbiamo difenderci dalle pratiche sleali”. La Commissione avrà fino a 13 mesi per valutare se imporre tariffe superiori a quella solita del 10% dell’Ue per le automobili. Si tratta del caso di più alto profilo contro la Cina, da quando un’indagine dell’Ue sui pannelli solari cinesi ha evitato per un soffio una guerra commerciale un decennio fa.

L’indagine riguarderà tutte le auto elettriche provenienti dalla Cina, inclusi marchi non cinesi prodotti nella Repubblica popolare come Tesla, Renault e BMW. E’ insolita la procedura annunciata da von der Leyen, perché è stata presentata d’iniziativa dalla stessa Commissione, piuttosto che in risposta a un reclamo dell’industria. I produttori cinesi di veicoli elettrici, dal leader di mercato BYD ai rivali più piccoli Xpeng e Nio, stanno intensificando gli sforzi per espandersi all’estero. Le esportazioni di auto cinesi sono aumentate del 31% ad agosto, secondo i dati della China Passenger Car Association (CPCA). La Commissione europea ha affermato che la quota cinese di veicoli elettrici venduti in Europa è salita all’8% e potrebbe raggiungere il 15% nel 2025, sottolineando che i prezzi sono in genere inferiori del 20% ai modelli fabbricati nell’Ue.

Un quadro pesante per l’industria dell’auto europea. Ma Pechino sostiene che, invece, possa esservi cooperazione piuttosto che conflitto nel settore dell’auto elettrica tra Europa e Cina. “L’industria automobilistica cinese ed europea dispongono di ampi spazi per la cooperazione e gli interessi comuni”, ha affermato il portavoce. “Le aziende automobilistiche dell’Ue – ha proseguito – investono e operano in Cina da molti anni e il mercato cinese è diventato il più grande mercato estero per molte aziende automobilistiche dell’Ue. La Cina ha sempre mantenuto un atteggiamento aperto e cooperativo e accoglie con favore le aziende automobilistiche dell’Ue affinché espandano ulteriormente gli investimenti in Cina, compresi gli investimenti nei veicoli elettrici”. Di fronte a un atteggiamento “peotezionistico”, però, Pechino minaccia di reagire. “La Cina – ha spiegato il portavoce – esorta l’Ue a partire dalla situazione generale di mantenimento della stabilità delle catene industriali e di fornitura globali e del partenariato strategico globale Cina-Ue; a condurre un dialogo e una consultazione; a creare un ambiente di mercato equo, non discriminatorio e prevedibile per il comune sviluppo dell’industria dei veicoli elettrici Cina-Ue; a opporsi congiuntamente alla dottrina della protezione commerciale e a impegnarsi congiuntamente negli sforzi globali per affrontare il cambiamento climatico e raggiungere la neutralità del carbonio. Ma la Cina presterà molta attenzione alle tendenze protezionistiche dell’Ue e alle azioni di follow-up e tutelerà fermamente i diritti e gli interessi legittimi delle aziende cinesi”.

SoftBank, IPO Arm per Masayoshi Son potrebbe essere una rivincita

SoftBank, IPO Arm per Masayoshi Son potrebbe essere una rivincitaRoma, 13 set. (askanews) – Masayoshi Son, il vulcanico fondatore di SoftBank, si frega le mani in attesa che l’offerta pubblica iniziale (IPO) del produttore di chip Arm – i cui prodotti sono praticamente in tutti gli smartphone del mondo – possa riportarlo ai tempi in cui era considerato un finanziere dal tocco magico.

Arm, che quoterà questa settimana sul Nasdaq 95,5 milioni di azioni, è un’azienda britannica con quasi 6mila dipendenti che nel 2016 è stata acquisita dal gruppo di Son per 32 miliardi di dollari. SoftBank punta a rastrellare tra i 4,5 e i 5,2 miliardi di dollari. Sebbene la quotazione di Arm non raggingerà i livelli di euforia visti con l’IPO del concorrente Nvidia, si tratterebbe di un bel risultato, perché porterebbe il valore di mercato di Arm ai 52 miliardi di dollari, anche se solo un mese fa – quando SoftBank ha acquisito dal veicolo d’investimento consociato Vision Fund il 25 per cento – la stessa compagnia era stata valutata 64 miliardi di dollari.

Alcuni investitori tech di prima grandezza – come Apple, Google, Nvidia, Intel e TSMC – hanno concordato l’acquisto fino a 735 milioni di dollari di azioni Arm al prezzo di collocazione, secondo quanto ha riportato nei giorni scorsi il Financial Times. Son è un outsider nel mondo legato a grandi famiglie e strutture rigide (i conglomerati “keiretsu”) dell’economia giapponese. E’ nato in Giappone nel 1957, secondo di quattro figli di genitori di etnia coreana – come tradisce il suo cognome – che vivevano in una casa abusiva e dovevano sbarcare il lunario allevando polli e maiali.

Sottoposti alle odiose discriminazioni contro i cosiddetti coreani “zainichi”, però, i Son riuscirono a guadagnare bene (anche mettendo in piedi un commercio di sake) e questo consentì al giovane Masayoshi di fare buone scuole, fino a spostarsi a 16 anni in California, a San Francisco, e a frequentare la prestigiosa Università di California a Berkeley, dove studiò economia. Era il posto dove stare in quel momento. Il suo primo grande successo fu la realizzazione di un traduttore automatico che vendette alla compagnia giapponese Sharp per circa 1,5 milioni di dollari.

Quando tornò in Giappone, Son rinunciò all’utilizzo di un cognome giapponese (che i genitori gli avevano imposto per non incorrere in discriminazioni) e tornò a quello originario, in un atto di orgoglio che è considerato un modello da molti giovani zainichi. La fondazione della SoftBank risale al 1981, come software house, con uno spin-off come operatore di telefonia mobile, ancora operante. Oggi la casa d’investimento porta il nome di SoftBank Group Corp. Lo stile d’affari di Son è considerato spregiudicato, in linea con un carattere che non le manda a dire. Tra le grandi scommesse l’acquisto nel 1995 di una quota di Yahoo! (che lo portò temporaneamente a essere l’uomo più ricco del mondo) e nel 1999 di una parte di Alibaba, quando ancora la stella di Jack Ma era di là da sorgere (e oggi pare pure tramontata). Altre grandi scommesse di Son sono state l’acquisto dell’operatore telefonico Usa Sprint, l’ingresso in Deutsche Telekom, il fondo d’investimento Vision Fund da 100 miliardi di dollari per intervenire nei mercati a più elevato valore tecnologico. Ma proprio da questo settore sono venuti i principali dolori per Masayoshi Son, il cui Vision Fund nel 2022 ha dovuto dichiarare perdite per oltre 27 miliardi di dollari, con una valutazione del portafoglio in caduta. I flop più rumorosi sono stati probabilmente quelli legati agli investimenti in WeWork, in Wirecard (processore di pagamenti tedesco fallito), oltre che il crack della family bank Greensill Capital. “Non addurrò scuse, è stata una dura lezione”, ha commentato Son dopo il caso WeWork. L’IPO di Arm è considerata la più grande quotazione di quest’anno per il Nasdaq e si sta rivelando popolare, avendo ricevuto richieste 10 volte superiori e spingendo SoftBank a prendere in considerazione l’aumento del prezzo. Ma il responso finale sul fatto che Son sia tornato a essere la gallina dalle uova d’oro lo darà solo il mercato.

Cina nega di aver emanato norme contro l’uso di iPhone

Cina nega di aver emanato norme contro l’uso di iPhoneRoma, 13 set. (askanews) – Pechino ha negato oggi di aver emanato norme che vietino l’uso degli iPhone, dopo che diversi media internazionali nei giorni scorsi hanno rivelato che diversi enti pubblici cinesi hanno vietato l’utilizzo per servizio degli smartphone della Apple ai propri dipendenti.

“La Cina non ha emanato leggi, regolamenti e documenti politici che proibiscano l’acquisto e l’uso di smartphone di marche straniere, incluso l’iPhone”, ha detto oggi la portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning nella quotidiana conferenza stampa. Il Wall Street Journal una settimana fa ha rivelato per primo che documenti interni a enti locali hanno indicato ai dipendenti di non utilizzare gli iPhone per servizio (ma questo non impedisce l’uso personale).

Intanto uno dei principali concorrenti della casa americana, Huawei, ha lanciato il proprio primo smartphone 5G, che monta un processore considerato fino a oggi impossibile da realizzare per il marchio cinese, anche a causa delle restrizioni imposte dagli Usa alla fornitura di apparecchiature e materiali in questo settore. Queste notizie hanno trascinato giù anche le azioni Apple, che proprio ieri ha lanciato il suo nuovo iPhone 15, l’apparecchio più all’avanguardia del produttore Usa.

La Cina è il terzo mercato più grande del colosso tecnologico fondato da Steve Jobs e ha rappresentato il 18% delle sue entrate totali lo scorso anno. È anche il luogo in cui viene assemblata la maggior parte dei prodotti Apple, in particolare negli stabilimentidi Foxconn.

Cina presenta piano per l’integrazione economica di Taiwan

Cina presenta piano per l’integrazione economica di TaiwanRoma, 13 set. (askanews) – La Cina ha presentato un piano per trasformare la provincia di Fujian in un’area pilota di sviluppo per l’integrazione di Taiwan nell’economia continentale. Si tratta di un passaggio che pare alludere alla volontà d’inserire l’isola in un processo di riunificazione pacifica, che viene a quattro mesi dalle elezioni presidenziali cruciali a Taipei.

Secondo quanto ha riferito oggi il South China Morning Post, ieri le autorità cinesi hanno reso pubbliche misure dettagliate per trasformare la provincia del sud-est della Cina continentale in un’area-pilota per lo sviluppo integrato attraverso lo Stretto di Taiwan in un documento di 21 articoli. La mossa è intesa ad “approfondire lo sviluppo integrato delle due sponde dello Stretto in tutti i campi e a promuovere il processo di riunificazione pacifica”, secondo il piano, pubblicato congiuntamente martedì dal Comitato Centrale del Partito comunista cinese e dal Consiglio di Stato, il governo di Pechino.

La provincia costiera dovrà diventare, secondo il piano, la “porta d’accesso” preferenziale verso la terraferma per i residenti e le aziende di Taiwan, facilitando ulteriormente gli scambi reciproci interpersonali, il commercio e gli investimenti. L’intenzione è quella di creare circoli abitativi interconnessi tra la città portuale continentale di Xiamen e Quemoy – chiamata anche Kinmen – che si trova a meno di 5 km di distanza a Taiwan, così come tra la capitale della provincia del Fujian, Fuzhou, e Matsu, che sono separate da circa 20 km.

Il Fujian, sulla costa occidentale dello stretto, è geograficamente e culturalmente la parte del continente più vicina a Taiwan, che Pechino ha promesso di portare sotto il suo controllo, se necessario con la forza. Secondo il nuovo piano, i visitatori provenienti da Taiwan non avranno più bisogno di registrarsi per la residenza temporanea nel Fujian e saranno incoraggiati a stabilirsi nella provincia, acquistare case e prendere parte al sistema di assistenza sociale della terraferma.

Il piano inoltre incoraggia l’iscrizione di un maggior numero di studenti taiwanesi alle università e agli istituti di ricerca del Fujian, nonché opportunità di lavoro e un ambiente imprenditoriale migliore per i lavoratori e le aziende dell’isola. Verrà attivato un sostegno a vari tipi di imprese per assumere più personale dall’isola e misure speciali per facilitare l’accesso al mercato, afferma il documento. Prevista anche una collaborazione nel settore dell’informazione.

Cina, carcere a vita per l’ex numero uno delle assicurazioni

Cina, carcere a vita per l’ex numero uno delle assicurazioniRoma, 13 set. (askanews) – L’ex zar delle assicurazioni cinesi Wang Bin, ex presidente di China Life Insurance, è stato condannato a morte con due anni di sospensione della pena, dopo i quali la pena sarà commutata in ergastolo. Lo segnala la BBC.

Wang è solo l’ultimo degli alti esponenti dell’exonomia cinese a finire nelle maglie della dura campagna anti-corruzione voluta dal presidente cinese Xi Jinping. Il tribunale di Jinan, nella provincia orientale dello Shandong, ha ritenuto Wang colpevole di aver accettato tangenti per 325 milioni di yuan (41,5 milioni di euro).

Wang, che era il capo della cellula del Partito comunista nell’azienda statale, è stato anche condannato a un anno di prigione per aver nascosto illegalmente 54,2 milioni di yuan (circa 7 milioni di euro) in depositi all’estero. L’ex capo di China Life Insurance è solo l’ultimo degli alti papaveri del settore finanziario a finire nella rete. Nel 2021 Lai Xiaomin, l’ex presidente di Huarong, una delle più grandi società di gestione patrimoniale controllata dallo stato cinese, è stato giustiziato dopo essere stato giudicato colpevole di corruzione e bigamia.

Lo stesso anno, l’ex presidente della China Development Bank Hu Huaibang è stato condannato all’ergastolo in un caso di corruzione da 85,5 milioni di yuan (circa 11 milioni di euro). E’ invece finito fuori dai radar da febbraio Bao Fan, uno dei banchieri miliardari di più alto profilo del paese e amministratore delegato di China Renaissance Holdings, che avrebbe “collaborato a un’indagine condotta da alcune autorità”.

A marzo inoltre è stata avviata un’indagine sul capo del partito della Banca di Cina, Liu Liange, il quale è sospettato di “gravi violazioni della disciplina e della legge”, una formula solitamente utilizzata per alludere alla corruzione. Un mese dopo le autorità cinesi hanno dichiarato che star indagando su Li Xiaopeng, l’ex presidente della società di gestione patrimoniale di proprietà statale China Everbright Group. E Fan Yifei, vice governatore della banca centrale , è stato arrestato per sospetta corruzione a giugno e sta affrontando un’indagine penale.

Giappone conclude primo ciclo rilascio acqua trattata Fukushima

Giappone conclude primo ciclo rilascio acqua trattata FukushimaRoma, 11 set. (askanews) – Il primo ciclo di scarico dell’acqua trattata dalla centrale nucleare di Fukushima, teatro nel 2011 di uno degli incidenti atomici più gravi della storia, è stato completato: circa 7.800 tonnellate di acqua trattata sono state scaricate in mare dalla centrale nucleare distrutta di Fukushima Dai-ichi, tra le polemiche provenienti dalla Cina e le preoccupazioni dei residenti della zona. Lo riferisce l’agenzia di stampa Kyodo.

La Tokyo Electric Power Company (Tepco) ha iniziato lo scarico dell’acqua il 24 agosto, sotto il monitoraggio del governo giapponese e dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. La decisione è stata assunta perché l’acqua trattata, risultante dal raffreddamento del combustibile nucleare fuso, si è avvicinato al limite della capacità di stoccaggio dell’impianto, TEPCO ha deciso di rilasciare circa 31.200 tonnellate di quest’acqua in quattro cicli durante l’anno fiscale in corso, che si concluderà a marzo 2024. La TEPCO, insieme al Ministero dell’Ambiente, all’Agenzia per la Pesca e al governo della prefettura di Fukushima, ha analizzato i livelli di trizio nell’ambiente attorno alla centrale elettrica dall’inizio dello scarico il mese scorso e ha dichiarato di non aver rilevato finora anomalie.

TEPCO prevede di rilasciare altre 7.800 tonnellate al più presto alla fine di questo mese, in attesa dei controlli sui livelli di concentrazione di trizio e delle ispezioni degli impianti di smaltimento delle acque. Lo smaltimento dell’acqua trattata è un passaggio obbligato per procedere allo smantellamento della centrale nucleare, che è stata gravemente danneggiata da un catastrofico terremoto e tsunami nel 2011, secondo TEPCO e il governo.

Di fronte alla decisione di scaricare in mare l’acqua, però, la Cina ha protestato energicamente arrivando a imporre un divieto d’importazione di prodotti ittici nipponici. L’acqua trattata è stata scaricata nell’oceano a 1 km dall’impianto tramite un tunnel sottomarino dopo essere stata sottoposta a un processo di trattamento in cui la maggior parte dei radionuclidi, tranne il trizio, è stata rimossa. Il trizio rimanente viene quindi diluito a un 40esimo della concentrazione consentita dagli standard di sicurezza giapponesi.