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Governo di Gaza: dal 7 ottobre sono morti 143 giornalisti

Governo di Gaza: dal 7 ottobre sono morti 143 giornalistiRoma, 11 mag. (askanews) – Sono 143 i giornalisti morti nella Striscia di Gaza dall’inizio del conflitto, il 7 ottobre scorso. Lo ha riferito oggi l’ufficio media del governo della Striscia di Gaza, controllato da Hamas, dopo la morte del giornalista Bahaa Okasha. Come precisa la Cnn, Okasha lavorava per l’emittente Al-Aqsa ed è morto insieme alla moglie e al figlio di 12 anni nell’attacco aereo lanciato la scorsa notte da Israele nel campo di Jabaliya, nel nord dell’enclave palestinese.

L’ostaggio oggi mostrato nel video da Hamas “è morto in un raid israeliano”

L’ostaggio oggi mostrato nel video da Hamas “è morto in un raid israeliano”Roma, 11 mag. (askanews) – Le brigate al Qassam, braccio armato di Hamas, hanno annunciato in un comunicato riportato da Al Jazeera che l’ostaggio israeliano ripreso nel breve video mostrato oggi è morto per le ferite riportate in un attacco aereo messo a segno da Israele più di un mese fa nella Striscia di Gaza. Nel filmato di 10 secondi diffuso oggi l’uomo si era identificato come Nadav Popplewell, 51 anni, rapito da Hamas il 7 ottobre scorso con la madre Channa Peri, rilasciata lo scorso novembre.

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu chiede un’indagine sulle fosse comuni a Gaza

Il Consiglio di sicurezza dell’Onu chiede un’indagine sulle fosse comuni a GazaRoma, 11 mag. (askanews) – Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha chiesto un’indagine indipendente sulle fosse comuni rinvenute nella Striscia di Gaza. “I membri del Consiglio di sicurezza hanno espresso profonda preoccupazione per le notizie di fosse comuni scoperte dentro e attorno alle strutture mediche Nasser e Al Shifa a Gaza, dove sono stati sepolti centinaia di corpi, tra cui donne, bambini e anziani – si legge in una nota – i membri del Consiglio di sicurezza hanno sottolineato la necessità di chiamare a rispondere delle violazioni del diritto internazionale e hanno chiesto che venga garantito agli inquirenti l’accesso senza ostacoli a tutti i luoghi delle fosse comuni a Gaza per condurre indagini immediate, indipendenti, approfondite, complete, trasparenti e imparziali per stabilirne le circostanze”.

L’Assemblea generale vota a favore della Palestina membro ONU

L’Assemblea generale vota a favore della Palestina membro ONUNew York, 10 mag. (askanews) – Con 143 voti a favore, 9 contrari e 25 astenuti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato una risoluzione che chiede al Consiglio di sicurezza dell’Onu di riconsiderare il voto a favore di uno stato palestinese membro a pieno diritto dell’Onu.


La risoluzione proposta oggi dal rappresentante degli Emirati Arabi ha ottenuto una ampissima maggioranza. L’Italia si è astenuta, mentre gli Stati Uniti hanno votato contro. La missione americana ha chiarito che l’Autorità Palestinese non soddisfa i criteri per l’adesione alle Nazioni Unite e che la risoluzione non risolve le preoccupazioni precedentemente sollevate sull’adesione. Gli Usa preferirebbero che lo stato nascesse da una negoziazione con Israele.

I russi avanzano di un chilometro in Ucraina a Kharkiv

I russi avanzano di un chilometro in Ucraina a KharkivRoma, 10 mag. (askanews) – Le forze russe sono avanzate di un chilometro nella regione nordorientale di Kharkiv, vicino a Vovchansk. Lo ha riferito oggi una fonte militare ucraina di alto rango a Reuters.


Secondo una fonte del comando militare ucraino, citata da Le Monde, l’esercito russo punta ad avanzare fino a 10 chilometri nella regione, nel tentativo di stabilire una zona cuscinetto per impedire all’Ucraina di colpire la regione russa di Belgorod, regolarmente bersaglio delle forze di Kiev. Le forze ucraine stanno combattendo per frenare l’avanzata di Mosca. Delle evacuazioni sono inoltre in corso a Vovchansk dove vivono circa 3 000 persone e nelle località vicine della regione di Kharkiv, per i “massicci bombardamenti”, secondo Tamaz Gambarachvili, capo dell’amministrazione militare della città di Kharkiv.

Spagna, Catalogna al voto, in gioco la governabilità a Madrid

Spagna, Catalogna al voto, in gioco la governabilità a MadridRoma, 10 mag. (askanews) – La Catalogna va al voto domenica dopo una campagna elettorale in cui l’attenzione è stata centrata su Madrid: al di là degli equilibri interni della regione, il verdetto principale riguarderà gli effetti che queste elezioni avranno sulla governabilità della Spagna – ovvero, se i socialisti di Pedro Sanchez finiranno per uscirne rafforzati, magari con un governatore in più.


Le minacciate dimissioni del premier hanno avuto una ricaduta favorevole nei sondaggi, con il Psoe che nelle ultime rilevazioni ha staccato ulteriormente la destra del Pp: e non pochi analisti hanno visto proprio nelle elezioni catalane il motivo principale dell’appello alla mobilitazione emotiva dell’elettorato progressista – al momento l’unico effetto pratico della mossa di Sanchez, che non ha dato luogo a nessuna iniziativa di tipo legislativo. Il Psc – peraltro già protagonista del “miracolo” sanchista alle ultime politiche – è in effetti dato favorito dai sondaggi, e potrebbe ripetere il successo delle scorse regionali: a guidarlo è un fedelissimo di Sanchez, l’ex ministro della Sanità Salvador Illa, al quale è stato affidato il ruolo di “pompiere” che spenga – o quanto meno sopisca – l’incendio dell’indipendentismo. Se poi riuscirà o meno a farsi eleggere presidente della Generalitat, resta però tutto da vedere.


IL REBUS DELLE ALLEANZE Come anche nei Paesi Baschi, gli assi destra-sinistra e indipendentismo-unionismo non coincidono: sondaggi alla mano, le possibilità principali di ottenere i 68 seggi necessari per la maggioranza assoluta sono due. La prima è un governo delle sinistre, che unirebbe Psc, gli indipendentisti di Erc e altre formazioni minori; una convivenza non facile ma che di fatto riproduce quella attualmente in corso a Madrid, con la differenza che il cambio della guardia alla Generalitat fra socialisti ed Esquerra diminuirebbe il potere negoziale di questi ultimi e confermerebbe la bontà della strategia di Sanchez. Unico neo: il Psoe non avrebbe più scuse per non mantenere la promesse in materia di finanziamenti e infrastrutture.


La seconda possibilità è la riedizione di un governo indipendentista, alternativa più difficile visti i numeri, ma con una differenza fondamentale rispetto all’esecutivo uscente: a guidarlo non sarebbe più Erc ma i conservatori di Junts – ovvero Carles Puigdemont, cui si spalancherebbero le porte di un clamoroso ritorno sulla scena con tutte le incognite politiche e legali del caso. Se infatti Erc ha sostanzialmente accettato che il sostegno sociale all’indipendenza continua, ma il clima politico non è quello adatto e dunque meglio seguire la strada negoziale, Puigdemont ha assunto un atteggiamento più bellicoso e la sua presenza alla Generalitat significherebbe per Sanchez una navigazione agitata per il resto della legislatura e un’incognita nei rapporti fra Barcellona e Madrid. Per questo stesso motivo, una terza ipotetica possibilità – una coalizione Psc-Junts per cui vi sarebbero i numeri – appare del tutto improbabile.


LA GOVERNABILITÀ A MADRID Sanchez non teme di perdere la guida dell’esecutivo: la sfiducia costruttiva gli garantisce la possibilità di governare in minoranza qualunque cosa accada – né gli alleati hanno alcun interesse a provocare la fine della legislatura, specie con la legge di amnistia ancora in ballo. Ma il suo obbiettivo è appunto rafforzare la maggioranza eterogenea che lo sostiene, il che passa appunto per il mantenimento dello status quo: conferma socialista, tenuta dell’indipendentismo negoziale e ridimensionamento di quello oggi meno incline ai compromessi (Erc e Junts, in una sostanziale inversione delle rispettive posizioni storiche). L’alternativa è una maggioranza meno solida, un percorso più accidentato e la tentazione di fare ricorso alle elezioni anticipate, con l’incognita del risultato: il miracolo dello scorso anno potrebbe anche non ripetersi. La scommessa di Sanchez quindi è quella di vedere Illa alla guida della Generalitat, e magari incassare l’annunciato ritiro di Puigdemont dalla politica in caso di mancata vittoria, che renderebbe il dossier dell’amnistia un po’ meno urgente. L’ELETTORATO Al di là dei calcoli dei partiti – che hanno tutti lanciato un appello al “voto utile” per ottimizzare i rapporti di forza con i possibili alleati – rimane il fatto che gli indecisi, a pochi giorni dal voto, sono ancora il 40% degli elettori. Un dato che in parte è destinato a tradursi in astensione, nel quadro di una generale fase di stanca dopo i fuochi d’artificio seguiti al 2017: visto che l’indipendenza per ora non è praticabile, si ritorna a un business as usual che non è particolarmente attrattivo. Un’altra parte dei voti però dovrà dirimere alcune questioni: ad esempio, l’ingresso o meno nel Parlamento regionale di Aliança Catalana, inedita formazione di un’ultradestra indipendentista che gioca sulla sicurezza e l’immigrazione come la controparte unionista di Vox, a cui spera di rubare qualche voto non “españolista”. AC è vicinissima alla soglia di sbarramento del 3% e se effettivamente entrasse i suoi seggi potrebbero essere decisivi per un governo indipendentista, sebbene sia Erc che Junts – quest’ultimo non senza qualche esitazione – si siano impegnati a non allearsi in modo diretto né indiretto. A destra, il destino di Ciutatans appare segnato e dovrebbe rimanere sotto il 3%, a tutto vantaggio del Pp e di Vox: i sondaggi danno il primo ancora in netto vantaggio, ma non si esclude la possibilità di un sorpasso interno che creerebbe qualche difficoltà al leader conservatore, Albero Nuñez Feijoó, e alla sua politica di moderazione – che nei fatti non si distingue granché da quella di Vox, e anzi un cattivo risultato potrebbe spingerlo su posizioni ancor più intransigenti: un problema non tanto per i rispettivi elettorati, indistinguibili, ma per l’effetto di mobilitazione della sinistra. Le urne si apriranno domenica alle 8 per chiudersi alle 20: alla stessa ora sono previsti gli exit poll, mentre i primi risultati ufficiali si avranno dalle 21.

La “Abu Ghraib” israeliana nella base di Sde Teiman raccontata dalla Cnn

La “Abu Ghraib” israeliana nella base di Sde Teiman raccontata dalla CnnRoma, 10 mag. (askanews) – Legati, bendati, tenuti con i pannoloni: tre fonti israeliane hanno raccontato alla Cnn gli abusi commessi sui palestinesi arrestati nel corso del conflitto nella Striscia di Gaza e detenuti nella base di Sde Teiman, nel deserto del Negev.


Una delle fonti è un israeliano che lavora nella struttura e che ha scattato due fotografie di una scena che, a suo dire, continua a perseguitarlo. Gli scatti mostrano file di uomini in tute grigie seduti su materassi sottilissimi, recintati da filo spinato. Tutti appaiono bendati, con la testa pesante sotto la luce dei riflettori. “Ci è stato detto che non potevano spostarsi. Dovrebbero stare seduti in posizione verticale. Non sono autorizzati a parlare. Non è permesso sbirciare sotto la benda”, ha detto la fonte. Alle guardie è stato detto di “urlare uskot” (zitti in arabo) e di “individuare le persone problematiche e punirle”. Le fonti hanno anche riferito di amputazioni eseguite a causa delle ferite riportate per le manette; di procedure mediche talvolta eseguite da medici poco qualificati tanto che la struttura è stata definita “un paradiso per gli stagisti”; e di un’aria impregnata dell’odore di ferite trascurate e lasciate marcire.


Stanto alle fonti, la struttura di Sde Teiman, situata a circa 29 chilometri dalla frontiera con Gaza, è divisa in due parti: recinti dove circa 70 detenuti palestinesi provenienti da Gaza sono posti sotto estrema contenzione fisica, e un ospedale da campo dove i detenuti feriti sono legati ai loro letti, con indosso i pannoloni, alimentati con le cannucce. “Li hanno spogliati di tutto ciò che somiglia a un essere umano”, ha detto una fonte che ha lavorato come medico presso l’ospedale da campo. “(I pestaggi) non sono avvenuti per raccogliere informazioni. Sono stati fatti per vendetta – ha detto un’altra fonte – è stata una punizione per ciò che loro hanno fatto il 7 ottobre e una punizione per il comportamento nel campo”.


La Cnn ha fatto sapere di aver chiesto il permesso all’esercito israeliano di accedere alla base di Sde Teiman, ricordando che il mese scorso, una troupe dell’emittente americana ha seguito una piccola protesta organizzata da attivisti israeliani davanti all’ingresso della struttura, per chiederne la chiusura. “Le forze di sicurezza israeliane hanno interrogato la troupe per circa 30 minuti, chiedendo di vedere il filmato realizzato dal fotoreporter della Cnn – ha raccontato – Israele spesso sottopone i reporter, anche quelli stranieri, alla censura militare su questioni di sicurezza”. (Foto generica di repertorio).

Borrell: diversi Paesi Ue riconosceranno lo Stato palestinese il 21 maggio

Borrell: diversi Paesi Ue riconosceranno lo Stato palestinese il 21 maggioRoma, 10 mag. (askanews) – Spagna, Irlanda e altri Paesi membri dell’Unione europea intendono riconoscere uno Stato palestinese il 21 maggio. Lo ha detto il capo della politica estera dell’Ue, Josep Borrell, prima del voto atteso oggi dell’Assemblea delle Nazioni Unite sulla proposta palestinese di diventare uno Stato membro a pieno titolo.


Il primo ministro spagnolo Pedro Sanchez ha dichiarato a marzo che Spagna e Irlanda, insieme a Slovenia e Malta, hanno concordato di compiere i primi passi verso il riconoscimento di uno Stato palestinese accanto a Israele, considerando la soluzione a due Stati essenziale per una pace duratura.

Trump: il disonesto Joe Biden sta con i terroristi di Hamas

Trump: il disonesto Joe Biden sta con i terroristi di HamasNew York, 9 mag. (askanews) – L’ex presidente Donald Trump ha usato la piattaforma di Truth Social per criticare la decisione del presidente americano Joe Biden di non inviare armi ad Israele se invaderà la città di Rafah nella Striscia di Gaza.


“Il disonesto Joe Biden, che lo sappia o no, ha appena detto che non invierà le armi da Israele proprio mentre combatte per sradicare i terroristi di Hamas a Gaza”, ha scritto Trump, aggiungendo: “Hamas ha ucciso migliaia di civili innocenti, compresi bambini, e tiene ancora in ostaggio gli americani, se gli ostaggi sono ancora vivi”. L’ex presidente ha accusato Biden di “stare dalla parte di questi terroristi” e ha ribadito che la guerra tra Israele e Hamas non sarebbe scoppiata se lui fosse stato al potere.

In Argentina sciopero generale contro Milei, il Paese è paralizzato

In Argentina sciopero generale contro Milei, il Paese è paralizzatoRoma, 9 mag. (askanews) – Lo sciopero generale di 24 ore indetto in Argentina indetto contro il governo dal principale sindacato del paese, la Confederazione Generale del Lavoro (CGT), sta paralizzando il paese. Strade deserte ad eccezione di quelle presidiate dai manifestanti, imprese e uffici chiusi e trasporti completamente bloccati. Molto alta l’adesione all’agitazione con scuole, ospedali, banche e imprese che vedono il loro normale funzionamento compromesso a causa delle difficoltà di spostamento degli abitanti del Paese.


La prova di forza dei lavoratori, appoggiata dall’altro centro sindacale del paese, la Centrale dei Lavoratori dell’Argentina e il suo ramo autonomo, è diretta contro le riforme liberiste portate avanti dal Governo di Javier Milei che hanno la loro misura di punta della cosidetta “legge omnibus” presentata dall’esecutivo al parlamento. La “legge omnibus” o Legge delle Basi e Punti di Partenza per la Libertà degli Argentini, in corso di elaborazione al Senato, consente la privatizzazione delle aziende pubbliche, conferisce poteri legislativi al presidente e introduce numerose riforme di vasta portata, come la riforma del lavoro, nuove tasse e una serie di misure per incoraggiare i grandi investimenti.