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Congresso Ppe a Bucarest approva Manifesto politico per 5 anni

Congresso Ppe a Bucarest approva Manifesto politico per 5 anniBucarest, 6 mar. (askanews) – Il congresso del Ppe ha approvato per alzata di mano, stasera a Bucarest, il nuovo Manifesto del Partito per le elezioni europee, con la visione dell’Europa e delle priorità da seguire per i prossimi cinque anni. Non c’è stato alcun voto contrario, e dunque l’approvazione, ha proclamato il presidente del Ppe, Manfred Weber, è stata unanime.


Il Manifesto del Ppe contiene una forte svolta a favore dell’Europa della Sicurezza e della Difesa, chiedendo di creare un vero e proprio “Mercato unico della Difesa”, di sostituire l’Alto Rappresentante per la Politica estera Ue con un “ministro degli Esteri europeo” e di istituire un “Consiglio europeo della Sicurezza”, che oltre ai leader dei Ventisette includa anche quelli del Regno Unito, dell’Islanda e della Norvegia. Sulla politica d’immigrazione e asilo, il Ppe prospetta la possibilità di trattenere o trasferire i richiedenti asilo in paesi terzi “sicuri”, invece di ammetterli sul territorio degli Stati membri, affermando il principio secondo cui chi ha diritto alla protezione internazionale non ha però il diritto di scegliere il paese in cui andare, e insistendo sul fatto che devono essere respinti alle frontiere e rimpatriati i migranti irregolari.


Una larga parte del documento è dedicata al Green Deal europeo, di cui il Ppe rivendica l’importanza, ma chiedendo di rivederne alcuni aspetti (soprattutto in relazione agli interessi degli agricoltori e alla necessità di ridurre gli oneri burocratici). Inoltre, il manifesto chiede di rendere il Green Deal compatibile con il mantenimento della competitività dell’economia europea, e soprattutto di sostenere anche finanziariamente l’Industria nella sua attuazione. Infine, il manifesto chiede l’ammissione nello spazio di Schengen della Bulgaria e della Romania, che stanno ancora attendendo il sì unanime degli altri Stati membri, pur rispettando le condizioni stabilite per entrarvi. I delegati del Ppe austriaco, che non erano d’accordo su questo punto, sono usciti dalla sala del Congresso per evitare di votarlo.

Attacco a nave mercantile a largo dello Yemen: dispersi e feriti gravi tra i membri dell’equipaggio

Attacco a nave mercantile a largo dello Yemen: dispersi e feriti gravi tra i membri dell’equipaggioRoma, 6 mar. (askanews) – Tre membri dell’equipaggio della nave True Confidence, battente bandiera delle Barbados, sono scomparsi e altri quattro sono rimasti gravemente ustionati dopo che la nave è stata danneggiata al largo dello Yemen questa mattina. Lo afferma una fonte marittima.


Un’agenzia di monitoraggio britannica ha riferito in precedenza che una nave mercantile era stata danneggiata in un attacco a sud dello Yemen e le forze della coalizione la stavano sostenendo.L’armatore della nave ha detto che è stata colpita da un missile che si presume provenisse dagli Houthi dello Yemen. La stessa fonte ha detto che la nave sembrava essere stata abbandonata.


L’agenzia britannica Maritime Trade Operations (Ukmto) ha affermato di aver ricevuto una segnalazione di un incidente a 54 miglia nautiche a sud-ovest della città portuale di Aden, nello Yemen. Un funzionario della difesa Usa ha riferito che è stato visto del fumo provenire dal True Confidence e anche una scialuppa di salvataggio in acqua vicino alla nave.(foto di repertorio)


 

Missile russo sul corteo prima dell’incontro con Mitsotakis esplode a 150 metri da Zelensky. Ci sono morti e feriti

Missile russo sul corteo prima dell’incontro con Mitsotakis esplode a 150 metri da Zelensky. Ci sono morti e feritiMilano, 6 mar. (askanews) – La Russia ha lanciato un attacco missilistico sul corteo del presidente ucraino Volodymyr Zelensky a Odessa, riferisce il quotidiano greco Protothema. Il giornale fa riferimento a fonti anonime del governo greco. Si presume che l’attacco sia stato effettuato mentre il corteo di Zelensky era con la delegazione greca. La pubblicazione afferma che nessuno della delegazione greca è rimasto ferito. L’esplosione è avvenuta alle 11.43 poco prima dell’incontro Mitsotakis-Zelensky, a 150 metri da dove si trovava la missione greca, che comprendeva otto persone oltre al primo ministro e alla sua sicurezza. Zelensky poi è apparso in pubblico e ha commentato l’attacco missilistico. Ha spiegato che ci sono morti e feriti. “Abbiamo visto questo attacco oggi. Vedete con chi abbiamo a che fare? A loro non importa dove colpire. So che ci sono state delle vittime oggi, non conosco ancora tutti i dettagli, ma so che ci sono morti, ci sono feriti,” ha detto secondo i media ucraini.


L’incontro tra Kyriakos Mitsotakis e Volodymyr Zelenskiy si è svolto regolarmente; è durato 45 minuti. “Stiamo tutti bene”, ha detto a Protothema Stavros Papastavrou, parte della missione greca, organizzata in condizioni di estrema segretezza e che comprende, oltre al primo ministro, 8 persone e la loro sicurezza. In particolare, Anna Maria Boura, direttrice dell’ufficio diplomatico del Primo Ministro, Kyra Kapi, direttrice delle comunicazioni, Aristotelia Peloni, consigliere per gli affari internazionali e i media, e Alexandros Marakis, responsabile dell’ufficio stampa, nonché Dimitris Papamitsos e Alexis Papachristos, fotografo personale e cameraman personale rispettivamente di Mitsotakis. Secondo fonti di stampa ucraina era in vigore un’allerta aerea per la zona di Odessa, mentre gli attacchi di droni russi avevano colpito la città nella notte.

Usa2024, la repubblicana Nikki Haley lascia la corsa alla Casa Bianca (e Biden apre le porte ai suoi elettori)

Usa2024, la repubblicana Nikki Haley lascia la corsa alla Casa Bianca (e Biden apre le porte ai suoi elettori)New York, 6 mar. (askanews) – L’ex ambasciatrice delle Nazioni Unite Nikki Haley ha annunciato in un discorso pubblico in Sud Carolina l’interruzione della corsa alla Casa Bianca.


“È giunto il momento di sospendere la mia campagna. Ho detto che volevo che gli americani facessero sentire la loro voce. L’ho fatto. Non ho rimpianti”, ha detto la Haley in apertura del suo discorso, aggiungendo che anche se non dovesse più ricandidarsi userà la sua voce per “le cose in cui credo”. La Haley lascia, ma avendo dalla sua un primato importante: è la prima donna ad aver ottenuto vittorie alle primarie repubblicane per la presidenza. La sfidante di Trump ha conquistato ieri il Vermont e la scorsa settimana anche Washington D.C., togliendo all’ex presidente la soddisfazione dell’en plein.


Come anticipato in mattinata dal Wall Street Journal, la Haley non ha dato il suo endorsement a Donald Trump, vincitore del Super Tuesday e prossimo ad ottenere la nomina repubblicana. Lo ha però sfidato a guadagnarsi i voti di chi ha preferito lei, all’ala MAGA del partito. “Spetta ora a Donald Trump guadagnare i voti di coloro che, nel nostro partito e al di fuori di esso, non lo hanno sostenuto, e spero che lo faccia”, ha detto l’ex ambasciatrice all’Onu, insistendo che la strategia del possibile candidato deve essere quella di “coinvolgere le persone nella propria causa, non nell’allontanarle” e questo dipende da lui. La Haley si è congratulata con Trump dicendo che gli augura ogni bene, ma ha anche precisato che “auguro ogni bene a chiunque possa diventare presidente dell’America”.


Usa2024/*Usa2024, Biden apre ad elettori Haley: C’è posto nella mia campagna Nikki Haley ha avuto coraggio di dire la verità su Donald Trump Dopo l’annuncio del ritiro, il presidente americano Joe Biden, ha aperto le porte agli elettori di Nikki Haley. “Ci vuole molto coraggio per candidarsi alla presidenza – questo è particolarmente vero nel Partito Repubblicano di oggi, dove così pochi osano dire la verità su Donald Trump”, ha detto il presidente Biden, lodando Nikki Haley per aver detto la verità su Donald Trump, “sul caos che lo segue sempre, sulla sua incapacità di distinguere il bene dallo sbagliato, sul suo inchinarsi davanti a Vladimir Putin”. Biden ha poi aggiunto: “Donald Trump ha chiarito che non vuole i sostenitori di Nikki Haley. Voglio essere chiaro: c’è posto per loro nella mia campagna”. Pur riconoscendo i disaccordi politici con la Haley, il presidente ha sottolineato che su “questioni fondamentali” come il sostegno alla NATO e il mantenimento della democrazia si è trovato terreno comune. Biden ha approfittato per ribadire che quelle del 2024 “non sono elezioni normali. E la posta in gioco per l’America non potrebbe essere più alta”.

L’appello di Yulia Navalnaya ai russi: usate le elezioni contro Putin (con la “presenza di protesta”)

L’appello di Yulia Navalnaya ai russi: usate le elezioni contro Putin (con la “presenza di protesta”)Roma, 6 mar. (askanews) – La vedova di Aleksey Navalny, Yulia, ha pubblicato un video in cui invita i russi a realizzare, domenica 17 marzo, l’azione di protesta proposta dal marito per il giorno conclusivo delle presidenziali in Russia: andare ai seggi alle ore 12, a votare o anche solo a farsi vedere, in segno di contestazione contro Vladimir Putin.


“Aleksey sognava un meraviglioso futuro per la Russia”, dichiara Navalnaya, che intende portare avanti la missione del marito, mentre “chi sta al Cremlino ha il culto del passato: guerra, missili, e omicidi”. Putin, argomenta la moglie dell’oppositore russo morto in carcere il 16 febbraio, “si disegnerà il risultato che vuole”, ma le elezioni possono essere usate contro di lui “Aleksey ha fatto in tempo a dirci come farlo”. Il 17 marzo “bisogna arrivare ai seggi alle 12, potete votare per qualunque candidato eccetto Putin, potete rovinare la scheda, scrivere in grande: Navalny, e anche se non vedete senso nel votare basta che andiate al seggio, fate presenza e poi tornate a casa. E anche se vi hanno costretto a votare prima, non importa, andate a dare un’occhiata”.“Se andiamo tutti assieme la nostra voce risuonerà molto più forte”, aggiunge la vedova di Navalny, “in ogni caso non saranno elezioni: Putin in ongi caso non sarà un presidente legittimo né per noi né per il resto del mondo. Ma ci potremo vedere, e vedere che siamo tanti, e forti”.


 

Usa2024, Super Tuesday: Biden e Trump verso un nuovo duello a novembre

Usa2024, Super Tuesday: Biden e Trump verso un nuovo duello a novembreRoma, 6 mar. (askanews) – L’ufficializzazione delle candidature per la corsa alla Casa Bianca si fa sempre più vicina. E se per Joe Biden appare una pura formalità, che si scontra soltanto con il voto di protesta degli arabo-americani democratici sul conflitto in Medio Oriente, per l’ex presidente Donald Trump la nomination repubblicana ha ricevuto un deciso impulso dal Super Tuesday, dove ha conquistato 14 dei 15 stati in palio, avvicinandosi al traguardo di 1.215 delegati necessari. L’unica sfidante, Nikki Haley, gli ha rubato l’occasione dell’en plein vincendo a sorpresa il Vermont.


Ma il Super Tuesday è stato, senza ombra di dubbio, dominato da Biden e Trump che hanno raccolto un gran numero di delegati nelle primarie che si sono tenute in 15 stati più il caucus delle Samoa americane (unica sconfitta di Biden, che ha ceduto per 51 voti su 91 i quattro delegati assegnati al “sorpreso” Jason Palmer). Si è votato in Maine, Alaska, Alabama, Arkansas, Minnesota, Colorado, Tennessee, Oklahoma, Massachusetts, Texas, California, Utah (dove non ci sono ancora risultati ufficiali per i GOP), Virgina, Vermont e North Carolina. Biden e Trump hanno conquistato anche i due stati con il numero più alto di delegati, California (169) e Texas (161). Da segnalare la bassissima affluenza, addirittura all’8% in California.


Ad oggi in campo repubblicano Trump ha ottenuto 961 delegati, contro gli 86 di Haley. Per Biden si contano 1.501 delegati (la soglia per la nomination ufficiale è 1.968 su 3.934). E il conteggio per l’ufficializzazione riprenderà già martedì prossimo quando si terrà una nuova serie di primarie, anche in Georgia e Mississipi. Donald Trump, che ha lasciato la Casa Bianca da perdente, si sta avvicinando all’appuntamento di novembre con sempre più assi nella manica: dai rinvii dei numerosi processi a suo carico a dopo il voto, alla crescita nei sondaggi, all’assenza di un vero rivale in casa repubblicana. Il miliardario ha festeggiato la vittoria al Super Tuesday dal resort di Mar-a-Lago, in Florida, dove ha parlato di “una notte fantastica, un giorno fantastico” senza nominare Haley o accennare a lei: “Lo chiamano Super Tuesday per un motivo”, ha detto aggiungendo che “faremo qualcosa che francamente nessuno ha mai fatto da molto tempo”. E tornando poi sui temi a lui cari, come quello dell’immigrazione, per cui ha parlato di “un’invasione”.


Biden, l’unico che ormai può fermare l’avanzata di Trump, ha sostenuto l’importanza di evitare una rielezione del tycoon: “Questa è una (opportunità) che capita una volta ogni generazione per noi di essere in grado di resistere e affrontare l’estrema divisione e violenza dei repubblicani” e “se perdiamo queste elezioni, tornerete con Donald Trump”. “Il modo in cui parla, il modo in cui ha agito, il modo in cui ha affrontato la comunità afroamericana, penso, sia stato vergognoso”, ha aggiunto. “I risultati di stasera lasciano al popolo americano una scelta chiara: continueremo ad andare avanti o permetteremo a Donald Trump di trascinarci indietro nel caos, nella divisione e nell’oscurità che hanno definito il suo mandato?”, ha domandato Biden in un comunicato, chiamando i suoi elettori a sostenerlo da qui a novembre, facendo crescere il suo indice di gradimento che resta basso.


E, spina nel fianco del presidente, resta il voto di protesta, “uncommitted”, degli elettori che non perdonano a Biden il sostegno a Israele nell’offensiva a Gaza. Un elemento da non sottovalutare in vista del voto di novembre, che si prevede sul filo di lana e molto serrato, deciso forse da decine di migliaia di voti negli stati chiave. La scorsa settimana in Michigan, più di 100.000 democratici hanno votato “uncommitted” e ieri in Minnesota sono stati circa 45mila, il 20%. (di Daniela Mogavero)

Medio Oriente, negoziati in stallo: spunta l’ipotesi di una tregua di pochi giorni

Medio Oriente, negoziati in stallo: spunta l’ipotesi di una tregua di pochi giorniRoma, 6 mar. (askanews) – I negoziati per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas sono in una fase di stallo, dopo due giorni di colloqui al Cairo, in Egitto, tra il movimento palestinese e i mediatori internazionali, disertati da Israele. Appare sempre più difficile, dunque, raggiungere l’obiettivo di una pausa nei combattimenti prima dell’inizio del mese sacro di Ramadan, il 10 marzo. Hamas, che ha confermato che nessun passo in avanti è stato compiuto durante gli ultimi incontri sulla proposta di tregua di sei settimane, ha comunque deciso di tenere la sua delegazione negoziale nella capitale egiziana per continuare a trattare. Mentre secondo il Wall Street Journal, i mediatori di Egitto, Qatar e Stati Uniti avrebbero proposto una tregua a breve termine della durata di pochi giorni, per guadagnare tempo e costruire fiducia tra Israele e il gruppo palestinese al governo a Gaza.


L’egiziano Al-Qahera News, vicino ai servizi di intelligence del paese, ha affermato che “i negoziati sono difficili ma stanno continuando”. Secondo funzionari che hanno familiarità con i colloqui, negli ultimi due giorni i mediatori internazionali hanno esercitato pressioni su Hamas affinché producesse un elenco di ostaggi da rilasciare come primo passo verso un accordo di cessate il fuoco graduale con Israele. Lo Stato ebraico in particolare avrebbe chiesto ad Hamas di presentare un elenco di 40 anziani, malati e donne in ostaggio da rilasciare con l’inizio del Ramadan. Fonti diplomatiche a Washington hanno spiegato che non è chiaro cosa abbia impedito al gruppo palestinese di produrre questo elenco, sottolineando che simili incertezze hanno finito per far crollare l’ultima speranza di tregua entro pochi giorni.Così, gli Stati Uniti hanno suggerito che, di fatto, sia stato Hamas a ostacolare i colloqui. “Non ci sono scuse, dobbiamo portare più aiuti a Gaza. Il cessate il fuoco è nelle mani di Hamas in questo momento”, ha detto ieri il presidente Joe Biden ai giornalisti. Una posizione confermata anche dal segretario di Stato Antony Blinken. “Spetta ad Hamas decidere se è disposto a impegnarsi”, ha precisato. “Abbiamo l’opportunità per un cessate il fuoco immediato che può riportare a casa gli ostaggi, che può aumentare drasticamente la quantità di aiuti umanitari che arrivano ai palestinesi che ne hanno così disperatamente bisogno, e può creare le condizioni per una soluzione duratura”, ha commentato ancora Blinken.


Ma il movimento palestinese ha respinto le accuse al mittente. Il gruppo ritiene di aver mostrato la “flessibilità richiesta” durante i colloqui. Viceversa, secondo Hamas, sarebbe stato Israele a rifiutarsi di soddisfare le richieste del gruppo per un cessate il fuoco permanente, il ritiro delle truppe dalla Striscia di Gaza, il ritorno degli sfollati di Gaza alle loro case nel nord e per “provvedimenti per i bisogni delle persone” nell’enclave palestinese. Resterebbe, comunque, la disponibilità a proseguire i colloqui. “Continueremo a negoziare attraverso i nostri fraterni mediatori per raggiungere un accordo che soddisfi le richieste e gli interessi del nostro popolo”, ha spiegato Hamas in una dichiarazione alla stampa. Un alto funzionario del gruppo, Osama Hamdan, ha poi ribadito le richieste del gruppo: un cessate il fuoco permanente, piuttosto che una pausa di sei settimane, e un “ritiro completo” delle forze israeliane. “La sicurezza e l’incolumità del nostro popolo potranno essere raggiunte solo con un cessate il fuoco permanente, con la fine dell’aggressione e con il ritiro da ogni centimetro della Striscia di Gaza”, ha detto Hamdan.A questo proposito, secondo l’Associated Press, Hamas avrebbe presentato una proposta che i mediatori discuteranno con Israele nei prossimi giorni. Secondo quanto riferito, inoltre, gli stessi mediatori avrebbero in programma un incontro con la delegazione del movimento palestinese già oggi al Cairo. Resta però il nodo degli ostaggi. Quando gli è stato chiesto se Hamas avesse una lista delle persone sequestrate, ancora in vita e da rilasciare, Hamdan ha risposto che la questione non sarebbe rilevante ai fini dei colloqui ed ha accusato Israele di utilizzarla come scusa per evitare di impegnarsi nei negoziati.


Intanto, gli Stati Uniti hanno rivisto e corretto la loro bozza di risoluzione da sottoporre al voto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, al fine di sostenere “un cessate il fuoco immediato di circa sei settimane a Gaza insieme al rilascio di tutti gli ostaggi non appena le parti saranno d’accordo”. La terza revisione del testo – proposto per la prima volta dagli Stati Uniti due settimane fa – riflette ora le schiette osservazioni della vicepresidente Kamala Harris, che ha chiesto a Israele di fare di più per alleviare la “catastrofe umanitaria” a Gaza.Nella loro ultima bozza, gli Usa sostengono un cessate il fuoco temporaneo per “intensificare gli sforzi diplomatici e di altro tipo volti a creare le condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità e una pace duratura”. Le prime bozze della risoluzione statunitense richiedevano invece un “cessate il fuoco temporaneo a Gaza non appena possibile”, una formulazione respinta dalla maggior parte degli altri membri del Consiglio di Sicurezza.


Di questa mattina è inoltre una dichiarazione congiunta dell’Australia e dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico, o Asean, che chiede “un cessate il fuoco umanitario immediato e duraturo” a Gaza, dopo giorni di dispute diplomatiche sul testo, inizialmente bloccato da Singapore per un passaggio sulla “fame” usata come arma a Gaza, particolarmente invisa a Israele. “Condanniamo gli attacchi contro tutti i civili e le infrastrutture civili, che portano ad un ulteriore deterioramento della crisi umanitaria a Gaza, compreso l’accesso limitato al cibo, all’acqua e ad altri bisogni fondamentali”, si legge nella dichiarazione rilasciata al termine di un vertice di tre giorni a Melbourne, che chiede inoltre l’immediato rilascio di tutti gli ostaggi.(di Corrado Accaputo) 

M.O., negoziati in stallo: spunta ipotesi tregua di pochi giorni

M.O., negoziati in stallo: spunta ipotesi tregua di pochi giorniRoma, 6 mar. (askanews) – I negoziati per un cessate il fuoco tra Israele e Hamas sono in una fase di stallo, dopo due giorni di colloqui al Cairo, in Egitto, tra il movimento palestinese e i mediatori internazionali, disertati da Israele. Appare sempre più difficile, dunque, raggiungere l’obiettivo di una pausa nei combattimenti prima dell’inizio del mese sacro di Ramadan, il 10 marzo. Hamas, che ha confermato che nessun passo in avanti è stato compiuto durante gli ultimi incontri sulla proposta di tregua di sei settimane, ha comunque deciso di tenere la sua delegazione negoziale nella capitale egiziana per continuare a trattare. Mentre secondo il Wall Street Journal, i mediatori di Egitto, Qatar e Stati Uniti avrebbero proposto una tregua a breve termine della durata di pochi giorni, per guadagnare tempo e costruire fiducia tra Israele e il gruppo palestinese al governo a Gaza.


L’egiziano Al-Qahera News, vicino ai servizi di intelligence del paese, ha affermato che “i negoziati sono difficili ma stanno continuando”. Secondo funzionari che hanno familiarità con i colloqui, negli ultimi due giorni i mediatori internazionali hanno esercitato pressioni su Hamas affinché producesse un elenco di ostaggi da rilasciare come primo passo verso un accordo di cessate il fuoco graduale con Israele. Lo Stato ebraico in particolare avrebbe chiesto ad Hamas di presentare un elenco di 40 anziani, malati e donne in ostaggio da rilasciare con l’inizio del Ramadan. Fonti diplomatiche a Washington hanno spiegato che non è chiaro cosa abbia impedito al gruppo palestinese di produrre questo elenco, sottolineando che simili incertezze hanno finito per far crollare l’ultima speranza di tregua entro pochi giorni. Così, gli Stati Uniti hanno suggerito che, di fatto, sia stato Hamas a ostacolare i colloqui. “Non ci sono scuse, dobbiamo portare più aiuti a Gaza. Il cessate il fuoco è nelle mani di Hamas in questo momento”, ha detto ieri il presidente Joe Biden ai giornalisti. Una posizione confermata anche dal segretario di Stato Antony Blinken. “Spetta ad Hamas decidere se è disposto a impegnarsi”, ha precisato. “Abbiamo l’opportunità per un cessate il fuoco immediato che può riportare a casa gli ostaggi, che può aumentare drasticamente la quantità di aiuti umanitari che arrivano ai palestinesi che ne hanno così disperatamente bisogno, e può creare le condizioni per una soluzione duratura”, ha commentato ancora Blinken.


Ma il movimento palestinese ha respinto le accuse al mittente. Il gruppo ritiene di aver mostrato la “flessibilità richiesta” durante i colloqui. Viceversa, secondo Hamas, sarebbe stato Israele a rifiutarsi di soddisfare le richieste del gruppo per un cessate il fuoco permanente, il ritiro delle truppe dalla Striscia di Gaza, il ritorno degli sfollati di Gaza alle loro case nel nord e per “provvedimenti per i bisogni delle persone” nell’enclave palestinese. Resterebbe, comunque, la disponibilità a proseguire i colloqui. “Continueremo a negoziare attraverso i nostri fraterni mediatori per raggiungere un accordo che soddisfi le richieste e gli interessi del nostro popolo”, ha spiegato Hamas in una dichiarazione alla stampa. Un alto funzionario del gruppo, Osama Hamdan, ha poi ribadito le richieste del gruppo: un cessate il fuoco permanente, piuttosto che una pausa di sei settimane, e un “ritiro completo” delle forze israeliane. “La sicurezza e l’incolumità del nostro popolo potranno essere raggiunte solo con un cessate il fuoco permanente, con la fine dell’aggressione e con il ritiro da ogni centimetro della Striscia di Gaza”, ha detto Hamdan. A questo proposito, secondo l’Associated Press, Hamas avrebbe presentato una proposta che i mediatori discuteranno con Israele nei prossimi giorni. Secondo quanto riferito, inoltre, gli stessi mediatori avrebbero in programma un incontro con la delegazione del movimento palestinese già oggi al Cairo. Resta però il nodo degli ostaggi. Quando gli è stato chiesto se Hamas avesse una lista delle persone sequestrate, ancora in vita e da rilasciare, Hamdan ha risposto che la questione non sarebbe rilevante ai fini dei colloqui ed ha accusato Israele di utilizzarla come scusa per evitare di impegnarsi nei negoziati.


Intanto, gli Stati Uniti hanno rivisto e corretto la loro bozza di risoluzione da sottoporre al voto del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, al fine di sostenere “un cessate il fuoco immediato di circa sei settimane a Gaza insieme al rilascio di tutti gli ostaggi non appena le parti saranno d’accordo”. La terza revisione del testo – proposto per la prima volta dagli Stati Uniti due settimane fa – riflette ora le schiette osservazioni della vicepresidente Kamala Harris, che ha chiesto a Israele di fare di più per alleviare la “catastrofe umanitaria” a Gaza. Nella loro ultima bozza, gli Usa sostengono un cessate il fuoco temporaneo per “intensificare gli sforzi diplomatici e di altro tipo volti a creare le condizioni per una cessazione sostenibile delle ostilità e una pace duratura”. Le prime bozze della risoluzione statunitense richiedevano invece un “cessate il fuoco temporaneo a Gaza non appena possibile”, una formulazione respinta dalla maggior parte degli altri membri del Consiglio di Sicurezza.


Di questa mattina è inoltre una dichiarazione congiunta dell’Australia e dell’Associazione delle nazioni del Sud-Est asiatico, o Asean, che chiede “un cessate il fuoco umanitario immediato e duraturo” a Gaza, dopo giorni di dispute diplomatiche sul testo, inizialmente bloccato da Singapore per un passaggio sulla “fame” usata come arma a Gaza, particolarmente invisa a Israele. “Condanniamo gli attacchi contro tutti i civili e le infrastrutture civili, che portano ad un ulteriore deterioramento della crisi umanitaria a Gaza, compreso l’accesso limitato al cibo, all’acqua e ad altri bisogni fondamentali”, si legge nella dichiarazione rilasciata al termine di un vertice di tre giorni a Melbourne, che chiede inoltre l’immediato rilascio di tutti gli ostaggi.

Super Tuesday: Biden e Trump verso nuovo duello a novembre

Super Tuesday: Biden e Trump verso nuovo duello a novembreRoma, 6 mar. (askanews) – L’ufficializzazione delle candidature per la corsa alla Casa Bianca si fa sempre più vicina. E se per Joe Biden appare una pura formalità, che si scontra soltanto con il voto di protesta degli arabo-americani democratici sul conflitto in Medio Oriente, per l’ex presidente Donald Trump la nomination repubblicana ha ricevuto un deciso impulso dal Super Tuesday, dove ha conquistato 14 dei 15 stati in palio, avvicinandosi al traguardo di 1.215 delegati necessari. L’unica sfidante, Nikki Haley, gli ha rubato l’occasione dell’en plein vincendo a sorpresa il Vermont.


Ma il Super Tuesday è stato, senza ombra di dubbio, dominato da Biden e Trump che hanno raccolto un gran numero di delegati nelle primarie che si sono tenute in 15 stati più il caucus delle Samoa americane (unica sconfitta di Biden, che ha ceduto per 51 voti su 91 i quattro delegati assegnati al “sorpreso” Jason Palmer). Si è votato in Maine, Alaska, Alabama, Arkansas, Minnesota, Colorado, Tennessee, Oklahoma, Massachusetts, Texas, California, Utah (dove non ci sono ancora risultati ufficiali per i GOP), Virgina, Vermont e North Carolina. Biden e Trump hanno conquistato anche i due stati con il numero più alto di delegati, California (169) e Texas (161). Da segnalare la bassissima affluenza, addirittura all’8% in California.


Ad oggi in campo repubblicano Trump ha ottenuto 961 delegati, contro gli 86 di Haley. Per Biden si contano 1.501 delegati (la soglia per la nomination ufficiale è 1.968 su 3.934). E il conteggio per l’ufficializzazione riprenderà già martedì prossimo quando si terrà una nuova serie di primarie, anche in Georgia e Mississipi. Donald Trump, che ha lasciato la Casa Bianca da perdente, si sta avvicinando all’appuntamento di novembre con sempre più assi nella manica: dai rinvii dei numerosi processi a suo carico a dopo il voto, alla crescita nei sondaggi, all’assenza di un vero rivale in casa repubblicana. Il miliardario ha festeggiato la vittoria al Super Tuesday dal resort di Mar-a-Lago, in Florida, dove ha parlato di “una notte fantastica, un giorno fantastico” senza nominare Haley o accennare a lei: “Lo chiamano Super Tuesday per un motivo”, ha detto aggiungendo che “faremo qualcosa che francamente nessuno ha mai fatto da molto tempo”. E tornando poi sui temi a lui cari, come quello dell’immigrazione, per cui ha parlato di “un’invasione”.


Biden, l’unico che ormai può fermare l’avanzata di Trump, ha sostenuto l’importanza di evitare una rielezione del tycoon: “Questa è una (opportunità) che capita una volta ogni generazione per noi di essere in grado di resistere e affrontare l’estrema divisione e violenza dei repubblicani” e “se perdiamo queste elezioni, tornerete con Donald Trump”. “Il modo in cui parla, il modo in cui ha agito, il modo in cui ha affrontato la comunità afroamericana, penso, sia stato vergognoso”, ha aggiunto. “I risultati di stasera lasciano al popolo americano una scelta chiara: continueremo ad andare avanti o permetteremo a Donald Trump di trascinarci indietro nel caos, nella divisione e nell’oscurità che hanno definito il suo mandato?”, ha domandato Biden in un comunicato, chiamando i suoi elettori a sostenerlo da qui a novembre, facendo crescere il suo indice di gradimento che resta basso.


E, spina nel fianco del presidente, resta il voto di protesta, “uncommitted”, degli elettori che non perdonano a Biden il sostegno a Israele nell’offensiva a Gaza. Un elemento da non sottovalutare in vista del voto di novembre, che si prevede sul filo di lana e molto serrato, deciso forse da decine di migliaia di voti negli stati chiave. La scorsa settimana in Michigan, più di 100.000 democratici hanno votato “uncommitted” e ieri in Minnesota sono stati circa 45mila, il 20%.

Difesa, il nuovo piano Ue per aumentare la capacità industriale

Difesa, il nuovo piano Ue per aumentare la capacità industrialeBruxelles, 5 mar. (askanews) – “Due anni fa, presentando la ‘Bussola strategica’ dell’Ue, dissi “l’Europa è in pericolo’. Purtroppo avevo ragione. L’Europa era in pericolo, ed  è ancora più in pericolo oggi. La pace non è più scontata, purtroppo. La guerra è ai nostri confini. La guerra di aggressione della Russia ha suscitato un grande senso di urgenza per rafforzare le nostre capacità industriali della difesa”. 


L’Alto Rappresentante per la Politica estera comune dell’Ue, Josep Borrell, lo ha affermato in modo chiarissimo: non possiamo più affidarci alla normalità a cui eravamo abituati, alla pace certa, sotto l’ombrello americano.  Borrell ha parlato oggi a Bruxelles, durante la conferenza stampa di presentazione di due nuove iniziative della Commissione europea: la nuova  “Strategia europea per l’industria della difesa” (Edis) , e la  proposta legislativa per un Programma europeo per l’industria della difesa (Edip) , con l’obiettivo di convincere gli Stati membri a investire in questo settore di più, meglio, insieme e in una dimensione europea, superando la frammentazione attuale. 


La guerra in Ucraina, alle nostre porte, ha cambiato tutto; ora l’Europa deve tornare a pensare a una vera e propria difesa comune, come alle sue origini, quando la Ced (Comunità europea di Difesa) sembrava la seconda tappa naturale dell’integrazione europea appena avviata, dopo la Comunità del Carbone e dell’Acciaio: il Trattato Ced era già stato firmato dai sei paesi fondatori, ma in Francia, nell’agosto del 1954, il Parlamento bocciò la ratifica, e il progetto rimase là, accantonato per 70 anni.    Oggi la guerra è tornata nel cuore dell’Europa, alle nostre porte, la minaccia esistenziale è tornata, bisogna preparare, rafforzare e coordinare al meglio le capacità di difesa degli Stati membri. Non attraverso un esercito europeo, non ancora almeno; ma con una forte accelerazione della produzione di armamenti e altri dispositivi militari, e con l’ottimizzazione e standardizzazione di questa capacità  produttiva  per avere il massimo dell’efficacia, della sinergia e degli effetti di scala.  Il piano presentato oggi prevede uno stanziamento Ue da 1,5 miliardi di euro, da investire tra il 2025 e il 2027 in un programma congiunto per l’industria europea della difesa. Non molto, in effetti, rispetto a esigenze così importanti. E non è ancora il momento di parlare di un nuovo strumento di debito comune, come è stato per il NextGenerationEu e per il programma Sure.   Vengono comunque fissati degli obiettivi indicativi per gli Stati membri, che sono invitati a procurarsi entro il 2030 almeno il 40% dei loro armamenti e dispositivi militari effettuando acquisti in comune con gli altri Stati membri (nel 2022 la percentuale di questi appalti congiunti è stata appena del 18%), e a comprare sul mercato interno dell’Ue almeno il 35% delle loro forniture. 


Quella in Ucraina, ha ricordato Borrell, “all’inizio era una guerra fatta con le scorte” di armamenti. Ora è diventata  “una guerra di produzione industriale. Dura da due anni, non sembra che finirà presto e il fabbisogno di attrezzature militari è andato aumentando, mentre le scorte sono andate esaurendosi e stiamo incrementando la capacità della nostra produzione industriale. Questa guerra ha cambiato il modo in cui guardiamo alle nostre capacità di difesa”, ha insistito l’Alto Rappresentante.  Certo, ha ammesso Borrell, “l’Unione europea non è un’alleanza militare; ma i Trattati Ue parlano di costruire una politica di sicurezza e di difesa comune. E parte di questa politica di sicurezza e difesa comune è avere una buona ed efficiente base industriale”.


“Abbiamo fatto molto attraverso lo Strumento europeo per la pace (il fondo con cui sono stati finanziati in gran parte gli aiuti militari a Kiev, ndr) per fornire ciò che avevamo. Ora dobbiamo passare da una modalità di emergenza, di urgenza; a una visione a medio e lungo termine che rafforzi la nostra preparazione industriale nel campo della difesa, per continuare a fornire sostegno militare all’Ucraina. Non si tratta più di guardare alle scorte – ha puntualizzato Borrell -, ma di riuscire a generare un flusso produttivo continuo”. “Sulle munizioni, ad esempio, l’industria ha risposto rapidamente all’emergenza. Dall’inizio della guerra – ha indicato l’Alto Rappresentante –  l’industria europea della difesa ha aumentato la propria capacità industriale del 50%. E oggi quello che ci manca non è la capacità produttiva, ma i finanziamenti. Ma guardando al futuro, abbiamo bisogno anche di maggiore capacità produttiva: deve ancora aumentare di più del 50%,  e più rapidamente, e i finanziamenti sono fondamentali. Non abbiamo un Pentagono in Europa. Non abbiamo un’istituzione con una forte capacità d’acquisto che guida il mercato e guida l’industria”. “Ma dobbiamo fare di più, non solo sul fronte delle munizioni.  Abbiamo bisogno – ha sottolineato Borrell – di una politica industriale della difesa, perché l’industria della difesa è unica. Non si va al supermercato per comprare prodotti per la difesa. C’è un unico acquirente: i governi. I produttori sono diversi, ma il 90% della capacità industriale del settore è concentrata in pochi Stati membri”. “Prima della guerra – ha indicato  – la nostra industria della difesa soddisfaceva circa il 40% del fabbisogno dei nostri eserciti ed esportava circa la metà della sua produzione. Pertanto, il nostro settore è competitivo: metà della sua produzione era destinata all’esportazione. Ma dall’inizio della guerra, il nostro bisogno di acquistare all’estero è aumentato”.   “La nostra domanda è frammentata, ovviamente perché abbiamo eserciti nazionali diversi. Siamo divisi in 27 Stati membri, con 27 eserciti diversi”.  Nel 2022, ha ricordato ancora Borrell, “gli investimenti nella difesa dei nostri Stati membri ammontavano a 58 miliardi di euro, frammentati in 27 ‘centri di domanda’. Negli Stati Uniti uno solo, il Pentagono,  chiedeva al mercato 215 miliardi di dollari, quasi quattro volte di più”. Poco prima di Borrell, la  vicepresidente esecutiva della Commissione responsabile per la Concorrenza, Margrethe Vestager, aveva sottolineato questo punto. La frammentazione, aveva rilevato,  “implica grandi inefficienze e un uso inefficiente del denaro dei contribuenti. Inoltre gli Stati membri spendono per molti diversi tipi di dispositivi militari: così abbiamo tre, quattro, a volte anche cinque diversi tipi di dispositivi per ogni arma”, una situazione “da confrontare con quanto avviene in particolare negli Stati Uniti”. “Questo – aveva aggiunto Vestager – crea delle inefficienze, dei doppioni, impedisce di avere delle economie di scala, che offrono più valore per il denaro speso. Inoltre, fin dall’inizio della guerra, e fino a giugno 2023 gli Stati membri hanno speso più di 100 miliardi di euro in acquisti per la difesa, ma quasi l’80% di questo denaro è stato speso al di fuori dell’Unione, e gli Stati Uniti da soli rappresentano più del 60% di questa spesa. Tutto ciò non è più sostenibile, se mai lo è stato”. Ma ora, ha evidenziato Borrell,  questa strategia della Commissione “cerca di far incontrare domanda e offerta, attraverso procedure per investire di più, meglio, insieme e come europei. Dobbiamo superare la frammentazione attraverso la cooperazione”. Questa strategia, ha concluso Borrell “cercherà di incentivare l’acquisizione congiunta di capacità di difesa e progetti di comune interesse europeo”.