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Raid Usa e britannici contro i ribelli Houthi, Sunak: legittima difesa, per difendere la libertà di navigazione

Raid Usa e britannici contro i ribelli Houthi, Sunak: legittima difesa, per difendere la libertà di navigazioneRoma, 15 gen. (askanews) – Il primo ministro britannico Rishi Sunak ha respinto quella che ha definito una “narrativa maligna” secondo cui gli attacchi aerei contro gli Houthi hanno a che fare con la guerra di Israele a Gaza.

In un intervento ai Comuni, Sunak ha sottolineato che gli Houthi hanno attaccato le navi da guerra britanniche e americane il 9 gennaio, dopo altri attacchi alle navi commerciali. È stato “il più grande attacco alla Royal Navy da decenni”, ha detto. Sunak ha proseguito dicendo che il Regno Unito, insieme agli Stati Uniti, hanno reagito per legittima difesa e per difendere la libertà di navigazione, come ha sempre fatto la Gran Bretagna.

Il premier britannico ha detto anche che la valutazione iniziale è che tutti i 13 obiettivi dell’attacco aereo sono stati colpiti con successo. “Non ci sono prove di vittime civili. È stata prestata molta attenzione ad evitarli”, ha rimarcato. Sunak ha aggiunto che nel proteggere la navigazione internazionale, il Regno Unito sostiene il diritto internazionale. “L’attacco degli Houthi alle spedizioni internazionali ha messo a rischio vite innocenti. Hanno tenuto in ostaggio un equipaggio per quasi due mesi e stanno causando crescenti disagi economici. Il commercio globale non può operare in tali condizioni. I cargo e le petroliere devono fare una deviazione di cinquemila miglia attorno al Capo di Buona Speranza”, ha concluso Sunak.

Colpita una nave Usa al largo dello Yemen

Colpita una nave Usa al largo dello YemenRoma, 15 gen. (askanews) – Una nave è stata colpita oggi da un missile al largo dello Yemen e secondo l’agenzia di sicurezza marittima Ambrey, citata dalla Reuters, sarebbe un cargo di proprietà Usa, battente bandiera delle Isole Marshall.

L’agenzia britannica Ukmto ha riferito in precedenza di una nave colpita da missile a 95 miglia nautiche a sud-est della città di Aden. Secondo Ambrey, il missile ha causato un incendio nella stiva, ma non sono state segnalate vittime.

Nasce Associazione Setteottobre, per diritto difesa Israele e tutela valori democratici

Nasce Associazione Setteottobre, per diritto difesa Israele e tutela valori democraticiRoma, 15 gen. (askanews) – “Per il diritto di Israele di difendersi. Per la salvaguardia dei valori delle democrazie occidentali”. E’ nata la nuova associazione Setteottobre, presieduta da Stefano Parisi, con gli obiettivi di “contrastare la marea montante del negazionismo, delle falsificazioni e dell’odio antisemita, di riaffermare il diritto di Israele a difendersi e lavorare per la tutela dei valori democratici”, spiega una nota.

L’associazione sarà presentata pubblicamente domenica 21 gennaio a Roma, al Teatro Sala Umberto (in via della Mercede 50), a partire dalle ore 10:30. Protagonisti dell’appuntamento saranno gli israeliani Attila Somfalvi analista politico del think tank INSS di Tel Aviv, e Ali Waked, direttore del canale arabo iNEWS24, insieme all’esperto di geopolitica Alexandre del Valle, che insegna presso l’IPAG Business School di Parigi e l’università Luiss di Roma). Durante la manifestazione ci saranno anche testimonianze e interventi da parte dei soci di Setteottobre, mentre a Parisi spetterà il compito di trarre le conclusioni della mattinata e di indicare la roadmap delle prossime iniziative già in cantiere. “Dal 7 ottobre non si torna più indietro: non solo per l’orrendo massacro perpetrato dai terroristi di Hamas contro inermi cittadini israeliani, ma per la violenta reazione antisemita che ne è scaturita e che abbiamo visto nelle scuole, nelle università e nelle piazze delle città europee e americane”, ha commentato il presidente della neonata associazione, che poi ha continuato: “Una reazione sostenuta dall’indifferente ambiguità di tanta élite occidentale, silente nei riguardi della propaganda che trasforma le vittime in carnefici, schierandosi di fatto con terroristi, nazisti e violenti regimi oscurantisti”. Di fronte a tutto ciò – ha concluso Parisi – “ci siamo convinti che non si può rimanere inermi davanti al rischio della fine dei principi democratici, della libertà della persona, del benessere comune e della solidarietà tra i popoli. Si stanno unendo a noi tante persone che hanno a cuore Israele e i nostri valori”.

Setteottobre è stata promossa, tra gli altri, anche da Anita Friedman, Daniele Scalise, Andrée Ruth Shammah, Luigi Mattiolo, Pier Luigi Battista, Ilaria Borletti e Gabriele Albertini. Oltre 200 le adesioni pervenute ad oggi, fra cui quelle di Claudio Pagliara, David Meghnagi, Costanza Esclapon, Claudia Mancina, Alessio D’Amato e Massimiliano Fedriga. Nel programma, accanto a un’estesa attività di comunicazione e informazione, sono previsti, tra gli altri, progetti specifici per le scuole, osservatori sull’antisemitismo e sull’odio antioccidentale, l’assistenza legale per coloro che sono stati vittima di atti antisemiti. Di seguito il testo del manifesto dell’associazione:

“Il pogrom del 7 ottobre 2023 perpetrato da Hamas e Jihad islamica in Israele ha sconvolto le coscienze di tutti coloro che hanno a cuore e difendono il patrimonio civile, sociale, umano e politico delle democrazie liberali. È questo il risultato di una lunga ed efferata strategia del terrore che ha colpito la popolazione civile e si è alimentata di un odio feroce, di oscene ed esplicite rivendicazioni di “morte agli ebrei” con il proposito di cancellare l’”entità sionista”. Crimini accompagnati in Occidente da anni di irresponsabile minimizzazione, da inammissibili giustificazioni oltre che da una vile acquiescenza, fino a giungere alla legittimazione del terrorismo islamico. Importanti settori dei nostri sistemi di comunicazione e istruzione hanno, da parte loro, adottato ambiguità, manipolazioni e inganni che si esprimono in linguaggi evasivi capaci di deformare la realtà, convalidare le fonti contraffatte e tollerare le tesi più aberranti fino a trasformare le vittime in carnefici. Dal 7 ottobre nessuno potrà mai più dire – come molti dopo la Shoah – di non sapere perché oggi siamo stati tutti testimoni dell’abisso, travolti dalle immagini che lo raffigurano, dalle urla straziate delle vittime e da quelle spietate dei boia. La libertà di pensiero e informazione, la libertà di religione, di riunione e associazione, la libertà alla vita privata e familiare, alla sicurezza, alla giustizia, alla certezza del diritto, non sono concetti astratti né conquiste eterne e noi riconosciamo nello Stato di Israele l’avamposto di quei valori in una regione dove essi o sono negati o sono condannati a una fragile sopravvivenza. Gli attacchi che subisce lo Stato ebraico che ha piena legittimità di esistere, vivere entro confini sicuri e difendersi, riguardano direttamente le nostre collettività e singolarmente ognuno di noi, uomo e donna che sia, giovane e vecchio, credente e ateo. Difendere oggi quelle libertà costate la vita a milioni di persone che ci hanno preceduto significa combattere le ipocrisie, le ambiguità e le falsità che da anni in Occidente contribuiscono a demolire i valori fondanti delle nostre democrazie, giustificando il terrorismo islamico e incoraggiando l’antisemitismo. Abbiamo dato vita all’associazione Setteottobre in quanto cittadini consapevoli e responsabili, intenzionati a combattere il negazionismo e le false notizie, perseguire l’esaltazione del terrorismo e dell’antisemitismo, contrastare le ideologie totalitarie, promuovere lo studio e la difesa delle radici e dei valori delle nostre democrazie”.

P.Mattei,Gpe: mettere in campo azioni concrete su istruzione in Africa

P.Mattei,Gpe: mettere in campo azioni concrete su istruzione in AfricaRoma, 15 gen. (askanews) – Nei Paesi a basso reddito, 7 bambini su 10 non sono in grado di leggere una semplice storia a 10 anni. Il numero di bambini e giovani non scolarizzati è salito a 250 milioni. La situazione è particolarmente grave in Africa e le bambine sono ancora le più indietro. Tra le raccomandazioni inserite nel Piano Mattei, approvato la scorsa settimana dal Parlamento, c’è l’impegno del governo a intraprendere le opportune iniziative per evidenziare l’importanza del tema dell’istruzione per il futuro dello sviluppo sostenibile sia nella cornice strategica del Piano che in sede di Conferenza Italia-Africa, così come nel corso della Presidenza italiana del G7 nel 2024 e c’è l’impegno anche a prevedere un’apposita sessione dedicata, nell’ambito della Conferenza Italia-Africa, che vede la partecipazione dell’Unesco, della Global Partnership for Education (GPE), e di Education Cannot Wait (ECW).

Una previsione che Laura Frigenti, Ceo della Global Partnership for Education, commenta così: “la Global Partnership for Education accoglie con favore l’attenzione del Governo italiano per l’istruzione nel prossimo vertice Italia-Africa a Roma il 28 e il 29 gennaio 2024 e per la centralità che l’Africa avrà durante la Presidenza italiana del G7. Un passo in avanti verso una società più giusta con l’impegno del governo verso il rispetto dell’Agenda globale Onu per lo sviluppo sostenibile da raggiungere entro il 2030, che mira a garantire un’istruzione di qualità inclusiva e equa per tutte e tutti”. L’istruzione è un filo comune di tutto il 2024: l’anno inizia con il Vertice Italia-Africa e prosegue con il vertice dell’Unione Africana che lancerà l’anno africano dell’Istruzione e poi le Ministeriali e il Summit G7 a Presidenza italiana.

Per la Gpe “è tempo di spostare la nostra prospettiva sull’istruzione che la considera una spesa a quella che la interpreta come un investimento strategico. Se tutte le ragazze ricevessero 12 anni di istruzione, la ricchezza del capitale umano potrebbe aumentare di 15-30 mila miliardi di dollari. Un solo anno in più di istruzione può aumentare il potenziale di guadagno di una donna del 20%, consentendo alle famiglie di essere più resilienti, con una migliore sicurezza economica e alimentare, riducendo a sua volta i fattori di spinta alla migrazione. Per questo è così importante puntare sull’istruzione delle ragazze, che in moltissimi Paesi, non viene considerata prioritaria. La Gpe è pronta a sostenere la presidenza G7 nel suo partenariato con l’Africa sull’istruzione per mettere in campo azioni concrete”.

Medio Oriente, i ribelli Houthi: i nostri attacchi alle navi nel Mar Rosso proseguiranno

Medio Oriente, i ribelli Houthi: i nostri attacchi alle navi nel Mar Rosso proseguirannoRoma, 15 gen. (askanews) – Il capo negoziatore dei ribelli Houthi dello Yemen ha detto oggi che la posizione del gruppo non è cambiata dagli attacchi aerei di Stati Uniti e Regno Unito sulle sue postazioni, ed ha avvertito che le operazioni nel Mar Rosso contro le navi commerciali dirette in Israele continueranno.

“Gli attacchi per fermare le navi israeliane o quelle dirette ai porti della Palestina occupata continueranno”, ha detto a Reuters Mohammed Abdulsalam. Il funzionario del gruppo yemenita ha inoltre confermato che gli Houthi stanno ancora chiedendo la fine della guerra a Gaza e la consegna di aiuti umanitari al nord e al sud della Striscia di Gaza.

Francia, Morelle: Marine Le Pen vuole il potere che ha raggiunto Meloni

Francia, Morelle: Marine Le Pen vuole il potere che ha raggiunto MeloniMilano, 15 gen. (askanews) – C’è chi traccia un parallelo tra Marine Le Pen e Giorgia Meloni in Francia, per immaginare il futuro della prima, figlia del fondatore del Fronte nazionale, condannato nel 2016 in via definitiva oltralpe per aver definito le camere a gas naziste ‘un dettaglio’ della II guerra mondiale. ‘Io penso di no’, ci risponde in italiano Aquilino Morelle, già consigliere di Francois Hollande, ‘plume’ di Lionel Jospin a Matignon, e soprattutto ancora una volta anticipatore dell’attualità politica francese con il libro ‘La parabole des aveugles: Marine Le Pen aux portes de l’Elysée’ (Grasset, 286 pagine). ‘La sola cosa che accomuna le due – continua in francese – è la volontà di arrivare al potere. Meloni ci è arrivata, Marine Le Pen ci vuole arrivare. Dico ciò perché Marine Le Pen è figlia di suo padre Jean-Marie Le Pen, che non ha mai aspirato a diventare presidente della Repubblica. Non lo ha mai voluto realmente. Ciò che voleva era perturbare il gioco dei partiti tradizionali, svolgere il ruolo di provocatore. Parlare a voce alta, forte, dire le cose che gli altri non volevano sentire, in una maniera che sul piano letterario era anche raffinata trattandosi di un oratore che conosceva bene le regole della retorica classica, e che allo stesso tempo diceva cose talora oltraggiose, di una certa volgarità e talvolta oltrepassando i suoi stessi propositi. Eppure non ha mai voluto essere presidente della Repubblica, mentre Marine Le Pen vuole diventarlo. Questo è il solo punto reale che l’avvicina a Giorgia Meloni’, donna del primato, essendo sinora l’unica nella storia italiana, presidente del Consiglio.

Uscito nel 2023, ‘La parabole des aveugles’ (la parabola dei ciechi) ha per la prima volta parlato chiaro, prima di tutti, sulle possibili future evoluzioni della politica francese: quali erano i pericoli per la presidenza di Emmanuel Macron, ovvero una vittoria della Le Pen nella prossima corsa all’Eliseo nel 2027, sulla quale molti sembravano non vedere. Abituato a parlar chiaro, Morelle, che da consigliere di Hollande ha lavorato fianco a fianco con Macron quando quest’ultimo era ministro dell’Economia, in un’intervista ad askanews spiega: Macron ‘ha finito per capire che se non voleva passare alla storia della Francia come l’uomo che trasmetterà il codice nucleare a Marine Le Pen, doveva agire rapidamente, con forza e ha deciso di attaccare le radici del ‘male Le Pen’, del ‘male Rassemblement National’, le ragioni per le quali questo partito non smette di progredire da 40 anni: io credo che questo sia l’obiettivo prefissato, ma la domanda che sorge spontanea è, se riuscirà a raggiungerlo nel tempo che gli resta’. Il tempo passa, infatti, anche per Macron che questa settimana parlerà alla Nazione, dopo il ‘rimpasto’ di governo che ha portato un suo fedelissimo, Gabriel Attal, 34 anni, alla guida di un nuovo esecutivo composto da 11 ministri titolari e tre ministri delegati, ai quali il capo dello stato ha chiesto di essere ‘rivoluzionari’. ‘Mancano 6 mesi alle elezioni europee, 3 anni e mezzo alle elezioni presidenziali del 2027 e la posizione di Macron è oggi, spero, credo, quella che ho indicato’, dice Morelle.

Il tutto dopo ‘un primo quinquennio all’Eliseo congelato, vetrificato’, a causa di fattori che in parte avevano ‘relazione con le sue politiche, penso ovviamente ai gilet gialli e alla riforma delle pensioni, ma anche a fattori che non c’entravano niente con il suo operato, sto pensando al Covid. Ma alla fine (Macron) ha avuto un primo mandato di cinque anni che è stato praticamente neutralizzato e da lì derivano condizioni molto difficili’. A questo si aggiunge la progressione di Le Pen nei consensi, spiegata nei minimi dettagli da Morelle nel libro, e gli ultimi 2 anni ‘caotici per l’assenza della maggioranza all’Assemblea Nazionale contro la quale (Macron) ha sbattuto la testa quando aveva appena vinto con difficoltà le elezioni presidenziali’. Morelle, figura di spicco della gauche storica, su Macron poi aggiunge: ‘E’ debole e questo è il suo problema oggi: gli restano solo 3 anni e mezzo, che tuttavia sono un periodo di tempo non trascurabile e ci sono modi per agire. Ma il compito sarà molto arduo; sarà quindi necessario che si impegni totalmente, completamente, che smetta di tergiversare per dimostrare ai francesi che ha compreso la realtà della sessione politica; che agisca come colui che ha vinto le elezioni presidenziali, ha perso le legislative e ora ha imparato la vera lezione e che lui intraprenda politiche molto ferme nei confronti di tre dimensioni che sono per me le tre componenti della crisi d’identità del paese: la deindustrializzazione, il controllo dell’immigrazione e la ripresa in nome di un’Europa che tende a federalizzarsi troppo e offre ai francesi la sensazione che la Francia si diluisca in questo spazio europeo che però è il nostro’.

Non a caso Attal ha compiuto la sua prima visita, immediatamente dopo la nomina a premier nel Passo di Calais, luogo di forti contraddizioni. ‘Il Passo di Calais con il nord è la culla storica del socialismo’ inizia a spiegare Morelle. ‘Contemporaneamente sono regioni dove l’RN è estremamente forte: Marine Le Pen è eletta deputata a Hénin-Beaumont nel Pas-de-Calais. La situazione là è molto interessante e illustra bene quello che sto dicendo: nel bacino carbonifero del Nord e del Passo di Calais, dove è nato il socialismo in Francia e nel mondo, le persone che hanno conosciuto la chiusura delle miniere, la deindustrializzazione, e sperimentano povertà e disoccupazione, continuano a votare per il Partito Socialista e per il Partito Comunista alle elezioni comunali e la maggior parte dei sindaci eletti sono socialisti e comunisti. Ma le stesse persone alle elezioni presidenziali votano in modo massiccio, nell’ordine del 60%, per Marine Le Pen. Gli stessi che alle comunali avevano inserito nell’urna la scheda del PS o PC’. Morelle precisa che si tratta di persone ‘normali’, ‘e per normali intendo non razzisti, o xenofobi’. ‘Non sono in un caso fascisti e nell’altro ‘persone di sinistra molto simpatiche’: sono le stesse. Questo è il problema che abbiamo: la sinistra ha voltato le spalle alla classe popolare, alla classe operaia e degli impiegati. E i lavoratori votano al 70% per Marine Le Pen, gli impiegati al 60%. Queste sono le categorie che normalmente la sinistra fino a poco tempo fa, fino a 20 anni fa, difendeva, e doveva difendere’.

Fanno impressione i numeri della deindustrializzazione, considerata da Morelle la prima delle tre dimensioni della crisi di identità che oggi vive la Francia: ‘Con la distruzione di posti di lavoro industriali in Francia, ne sono stati persi 2,5 milioni in 20 anni. Il Paese è passato dal 20% al 10% della sua popolazione attiva impiegata nel settore secondario dove la Germania è ancora al 23%: si tratta di un’emorragia di occupazione industriale e una perdita di senso di identità. Perché la Francia è un Paese industriale- un po’ come l’Italia d’altronde – di creatori, di inventori: molto lunga sarebbe la lista da fare per enumerare le innovazioni e le creazioni industriali di cui la Francia è stata la culla’, dice l’ex consigliere di Hollande, che già ha affrontato la questione in un altro libro ‘L’opium des élites: Comment on a défait la France sans faire l’Europe’ (Grasset, 450 pagine). Ma c’è anche un’altra dimensione della crisi identitaria francese, secondo Morelle. ‘Voi in Italia avete iniziato a convivere in modo brutale con quella che viene chiamata la crisi dei migranti dal 2015. Purtroppo in Francia da almeno 40 anni abbiamo l’immigrazione come un fatto compiuto: non possiamo controllare il flusso di persone che entrano nel nostro Paese e che non sono più, come prima era il caso, dei polacchi, degli italiani, dei portoghesi e degli spagnoli come i miei genitori (Morelle ha origini spagnole, ndr): tutte persone che venivano dall’Europa ma che avevano la stessa cultura e la stessa religione, la stessa morale e gli stessi costumi’. Morelle non dimentica la storia della Francia, della sua colonizzazione dell’Africa settentrionale e poi l’immigrazione dall’Africa nera subsahariana. ‘Il che significa che abbiamo numeri estremamente importanti, molto più di quanto sia in Italia nonostante la crisi migratoria del 2015’, dice. E mentre ‘l’integrazione o assimilazione purtroppo si è persa di vista, è sempre più difficile o delicata da guidare o addirittura impossibile da credere, c’è stata ovviamente la questione dell’islamismo radicale’. Un aspetto ‘pagato molto caro poiché, come sapete, abbiamo appena celebrato tristemente l’anniversario degli attentati a Charlie Hebdo (7 gennaio 2015), poi venne la strage al Bataclan (13 novembre 2015) e quella di Nizza (14 luglio 2016): tutti e tre assolutamente orribili, seguiti da una serie di atti più recenti, come l’assassinio di due insegnanti, in condizioni orribili – il primo decapitato, il secondo sgozzato – semplicemente per aver insegnato a scuola proprio i valori della libertà, di uguaglianza, di fraternità e di laicità’. Questi gli elementi della crisi identitaria di cui si ‘nutre’ RN, crescendo a vista d’occhio. ‘Il Fronte Nazionale (ribattezzato Rassemblement National nel giugno 2018) ha progredito passo dopo passo e in modo continuo perché la verità è che il RN si nutre di una vecchia crisi di identità, che ha ormai 40 anni, provocata dalla decisione di François Mitterrand nel marzo 1983 non di dare una svolta liberale all’austerità, ma una svolta federalista a livello europeo, liberale sul piano economico e comunitaria sul piano politico, che ha destabilizzato progressivamente il Paese’. La domanda finale è quindi se il giovane neopremier Gabriel Attal può essere davvero la carta giocata da Macron per risolvere tutto questo o lo sta bruciando come delfino e prossimo candidato alla presidenza? ‘Macron – spiega Morelle – preferisce che (il suo successore, ndr) sia Gabriel Attal piuttosto che, per esempio, Bruno Le Maire o Gérard Darmanin: questo è certo, secondo me. Quindi non credo che ci sia alcuna intenzione maligna in questa scelta, tuttavia ciò che è corretto è che, statisticamente, storicamente, il fatto di occupare Matignon e guidare il governo, di essere insomma Primo Ministro, non è un buon modo per candidarsi alle presidenziali ed essere eletto: nella storia della Quinta Repubblica, solo Georges Pompidou potè essere primo ministro del generale de Gaulle ed essere eletto nel 1969. Ma si trattava di un caso molto particolare perché in effetti Pompidou aveva già lasciato Matignon. E si candidò alle presidenziali del ’69, dopo un anno intero in cui non era più primo ministro: aveva potuto ricostruire la sua popolarità, ricreare un legame con i francesi e d’altronde la sua partenza da Matignon dopo gli eventi del ’68 non era legata ad un fallimento o ad una rottura della fiducia con i francesi, ma ad una rottura di fiducia con il generale de Gaulle, all’epoca Presidente della Repubblica. I francesi ritenevano che Pompidou avesse gestito bene la crisi del ’68 e che avesse salvato il regime gollista’. Ma oggi ‘Rassemblement National e Marine Le Pen sono, direi, in pole position per le prossime elezioni, siano esse europee o ovviamente le elezioni presidenziali del 2027: lo possiamo vedere chiaramente’. E la prima verifica avverrà ‘tra 6 mesi in occasione delle elezioni europee di giugno 2024. Le ragioni di questa centralità sono da ricercare nel tempo: sono stati 40 anni di costante passo dopo passo’, conclude Morelle. ‘Non penso che il presidente voglia bruciare le ali a Gabriel Attal, vuole metterlo in scena anche per il futuro. Ma essere primo ministro oggi a fronte di una situazione così difficile non è forse il modo migliore per Attal per arrivare al 2027 come un candidato solido alla presidenza. La storia è fatta di eccezioni, e forse sarà questa l’eccezione, non lo so. Troppo presto per saperlo. Ma in ogni caso la verità è che per lui, a 34 anni, guidare il Paese è allo stesso tempo un’ottima opportunità, ed è anche un grandissimo pericolo’. (Di Cristina Giuliano)

Davos, Oxfam: nuovo rapporto, un mondo sempre più disuguale

Davos, Oxfam: nuovo rapporto, un mondo sempre più disugualeRoma, 15 gen. (askanews) – Dal 2020 i 5 uomini più ricchi al mondo (Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Warren Buffett) hanno più che raddoppiato, in termini reali, le proprie fortune – da 405 a 869 miliardi di dollari – a un ritmo di 14 milioni di dollari all’ora, mentre la ricchezza complessiva di quasi 5 miliardi di persone più povere non ha mostrato barlume di crescita. Ai ritmi attuali, nel giro di un decennio potremmo avere il primo trilionario della storia dell’umanità, ma ci vorranno oltre due secoli (230 anni) per porre fine alla povertà.

È quanto emerge da Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi, il nuovo rapporto pubblicato oggi da Oxfam, organizzazione impegnata nella lotta alle disuguaglianze, in occasione dell’apertura dei lavori del World Economic Forum di Davos. ‘Il rapporto ci dice che 7 delle 10 società più grandi al mondo hanno un miliardario come amministratore delegato o azionista di riferimento. Queste corporation hanno un valore di 10.200 miliardi di dollari, superiore al PIL combinato di tutti i Paesi dell’Africa e dell’America Latina. – ha detto Amitabh Behar, direttore esecutivo di Oxfam International – Sembra di vivere in un film distopico, di trovarci agli albori di un ‘decennio dei grandi divari’, con miliardi di persone a sopportare il peso di epidemie, inflazione, guerre, e una manciata di super-ricchi che moltiplicano le proprie fortune a ritmi parossistici’.

‘Il potere economico delle grandi aziende è oggi decisamente fuori controllo, una macchina che alimenta le disuguaglianze. -ha aggiunto Behar – Rendite monopolistiche, compressione dei costi e dei diritti dei lavoratori, elusione delle imposte che concorrono ad ampliare le fortune dei ricchi azionisti. L’estrema ricchezza è potere. Un potere spesso esercitato per condizionare le politiche pubbliche preservando le posizioni di privilegio di sparute minoranze a discapito dell’interesse collettivo e minando alla base l’essenza stessa della democrazia’. L’aumento della ricchezza estrema nell’ultimo triennio è stato poderoso, mentre la povertà globale rimane inchiodata a livelli pre-pandemici. Oggi, i miliardari sono, in termini reali, più ricchi di 3.300 miliardi di dollari rispetto al 2020 e i loro patrimoni sono cresciuti tre volte più velocemente del tasso di inflazione.

L’incremento dei patrimoni dei miliardari rispecchia la straordinaria performance delle società che controllano. Il 2023 è destinato, in particolare, ad essere ricordato come l’anno più redditizio di sempre. Complessivamente, 148 tra le più grandi aziende al mondo hanno realizzato profitti per circa 1.800 miliardi di dollari tra giugno 2022 e giugno 2023, con un aumento del 52,5% degli utili rispetto alla media dei profitti nel quadriennio 2018-21. Per ogni 100 dollari di profitti generati da 96 tra i maggiori colossi globali, 82 dollari sono fluiti agli azionisti sotto forma di dividendi o buyback azionari. A non essere ricompensato adeguatamente è invece chi con il proprio duro lavoro, spesso precario e poco sicuro, contribuisce a rendere floride quelle stesse imprese. L’analisi di Oxfam sui dati della World Benchmarking Alliance relativi a 1.600 tra le più grandi aziende del mondo rivela come solo lo 0,4% di esse si sia pubblicamente impegnato a corrispondere ai propri lavoratori un salario dignitoso e a supportarne l’introduzione, lungo le proprie catene di valore. In molti casi le più penalizzate sono le donne: basti pensare che a una lavoratrice del settore socio-sanitario servirebbero 1.200 anni per raggiungere la retribuzione annua percepita, in media, da un amministratore delegato delle 100 aziende più grandi di Fortune.

Inoltre, mentre durante la fase più acuta della crisi inflattiva le imprese sono riuscite a tutelare i propri margini di profitto, ampi segmenti della forza lavoro hanno perso potere d’acquisto. Per quasi 800 milioni di lavoratori occupati in 52 Paesi i salari non hanno tenuto il passo dell’inflazione. Il relativo monte salari ha visto un calo in termini reali di 1.500 miliardi di dollari nel biennio 2021-2022, una perdita equivalente a quasi uno stipendio mensile (25 giorni) per ciascun lavoratore. ‘Esiste una via d’uscita da questo status quo: il potere pubblico deve riacquistare centralità, i governi devono usare il loro potere politico per promuovere società più eque, investendo in beni e servizi pubblici di qualità accessibili a tutti, ridando potere, dignità e valore al lavoro, agendo sulla leva fiscale per appianare le disuguaglianze. – conclude Behar – I governi devono anche ricondurre il potere economico a obiettivi che vadano a beneficio dell’intera collettività, spezzando i regimi monopolistici, tutelando la concorrenza, tassando gli enormi profitti aziendali, incoraggiando, anche per via normativa, il raggiungimento di obiettivi di sostenibilità sociale ed ambientale’. DISUGUITALIA Nel 2023 persistono marcati incrementi patrimoniali per miliardari e multimilionari italiani In Italia, il quadro distribuzionale tra il 2021 e il 2022 mostra quasi un dimezzamento della quota di ricchezza detenuta dal 20% più povero (passata dallo 0,51% allo 0,27%), a fronte di una sostanziale stabilità della quota del 10% più ricco degli italiani. La forbice si amplia: se a fine 2021 la ricchezza del top-10% era 6,3 volte superiore a quella detenuta dalla metà più povera della popolazione, il rapporto supera il valore 6,7 nel 2022. Ancor più al vertice della piramide distributiva, le consistenze patrimoniali nette dell’1% più ricco (titolare, a fine 2022, del 23,1% della ricchezza nazionale) erano oltre 84 volte superiori alla ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana. Dall’inizio della pandemia fino al mese di novembre 2023 il numero dei miliardari italiani è aumentato di 27 unità (passando da 36 a 63) e il valore dei patrimoni miliardari (pari a 217,6 miliardi di dollari a fine novembre 2023) è cresciuto in termini reali di oltre 68 miliardi di dollari (+46%). Nel corso del 2023 è cresciuto sensibilmente anche il numero dei multimilionari italiani: l’insieme dei titolari di patrimoni finanziari superiori a 5 milioni di dollari ha visto 11.830 nuovi ingressi su base annua. Il valore complessivo dei loro asset è lievitato nel corso dell’anno passato di 178 miliardi di dollari in termini reali. Cresce l’incidenza della povertà assoluta nel 2022. Prospettive di peggioramento per il 2023 La disuguaglianza nella distribuzione dei redditi netti equivalenti in Italia è rimasta pressoché stabile nel 2021 (ultimo anno per cui le stime distribuzionali sono accertate) rispetto al 2020, grazie a un ruolo incisivo dei trasferimenti pubblici emergenziali e del reddito di cittadinanza. Il profilo poco egalitario della distribuzione dei redditi colloca il nostro Paese in ventunesima posizione sui 27 Paesi membri dell’UE. Nel 2022 il fenomeno della povertà assoluta mostrava in Italia una maggiore diffusione rispetto all’anno precedente. Poco più di 2 milioni e 180 mila famiglie per un totale di 5,6 milioni di individui versavano nel 2022 in condizioni di povertà assoluta, non disponendo di risorse mensili sufficienti ad acquistare un paniere di beni e servizi essenziali per vivere in condizioni dignitose. L’incidenza della povertà a livello familiare è passata in un anno dal 7,7% all’8,3%, mentre quella individuale è cresciuta dal 9,1% al 9,7%. Un aggiornamento che si colloca in coerenza con il trend più che ventennale di crescita della povertà in Italia, sospinta da una perdurante stagnazione economica e dagli effetti non cicatrizzati delle crisi che nel nuovo millennio si sono abbattute sul nostro Paese. ‘L’aumento tra il 2021 e 2022 dell’incidenza della povertà assoluta è attribuibile in larga parte e malgrado il buon andamento dell’economia italiana nel 2022, all’impennata dell’inflazione e ai suoi impatti più incisivi sulle famiglie a bassa spesa rispetto a quelle benestanti. – ha commentato Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia economica di Oxfam Italia – La dinamica del 2023 risentirà verosimilmente del rallentamento dell’economia nazionale e della minore capacità delle famiglie di fare affidamento sui propri risparmi. Peseranno anche la riduzione delle misure compensative contro l’impennata dei prezzi nella fase di rientro dall’inflazione, e la portata degli strumenti che hanno sostituito il reddito di cittadinanza. Misure che segmentano la platea dei poveri secondo discutibili criteri di meritevolezza, i cui beneficiari si stima potranno ridursi di 500.000 unità rispetto alle famiglie eleggibili per il reddito di cittadinanza. Misure destinate ad aumentare la disuguaglianza, l’indigenza e l’esclusione sociale’. Mercato del lavoro: debolezze strutturali e marcate disuguaglianze Alcuni segnali positivi, come il tasso di occupazione al 61,3% per le persone tra i 15 e i 64 anni di età, non devono distogliere l’attenzione dai problemi strutturali del mercato del lavoro nazionale. Persistono ampi squilibri territoriali tra aree ad alta e bassa occupazione, oltre che forti ritardi rispetto agli indicatori UE o di Paesi omologhi all’Italia, come Francia e Germania. Ancora, il miglioramento registrato dagli indicatori italiani risulta sempre più ‘agevolato’ dalla dinamica demografica negativa. Tanti nodi restano ancora irrisolti come la perdurante stagnazione salariale e la contenuta produttività del lavoro, o i forti ritardi occupazionali, la bassa qualità lavorativa di giovani e donne, il diffuso ricorso a forme di lavoro atipico che determina marcate disuguaglianze retributive e amplia le fila dei working poor. ‘Piuttosto che prendere di petto le debolezze strutturali del mercato del lavoro italiano gli interventi del governo rischiano di esacerbarle. L’assenza di una chiara politica industriale, orientata alla creazione di posti di lavoro di qualità, costituisce una rinuncia a contrastare l’indebolimento dell’economia nazionale e a riqualificare lo sviluppo del Paese in campo tecnologico e ambientale. – ha aggiunto Maslennikov – L’ulteriore liberalizzazione dei contratti a termine e del lavoro occasionale rischia di rafforzare le trappole della saltuarietà, discontinuità e precarietà lavorativa. L’opposizione al salario minimo legale è infine una scelta emblematica di un profondo disinteresse a tutelare i lavoratori meno protetti, impiegati in settori in cui la forza dei sindacati è minima’. Un’agenda politica per l’uguaglianza e l’equità La riduzione delle disuguaglianze rappresenta un tema cui nessun governo, al netto della retorica, ha finora attribuito centralità d’azione. Il Governo Meloni non fa eccezione e il suo primo anno è stato caratterizzato da politiche del lavoro incapaci di ridimensionare il fenomeno della povertà lavorativa, da una riforma fiscale che riduce l’equità e l’efficienza del sistema impositivo italiano e dall’abbandono dell’approccio universalistico alla lotta alla povertà in nome di una visione categoriale e in favore di interventi che, lungi dal correggere le note criticità del reddito di cittadinanza, inaridiscono lo schema di reddito minimo, negando dignità e speranza a troppi. Invertire la rotta e fare sì che il potere politico torni ad interessarsi del benessere economico e sociale dei più fragili è cruciale. In Italia, Oxfam raccomanda al Governo di intervenire nei seguenti ambiti prioritari Misure di contrasto alla povertà a vocazione universale ‘ Ripensare profondamente le misure per l’inclusione sociale e lavorativa introdotte nel 2023, riabbracciando l’approccio universalistico che garantisce a chiunque si trovi in difficoltà la possibilità di accedere a uno schema di reddito minimo fruibile fino a quando la condizione di bisogno persiste. Misure in materia fiscale per una maggiore equità del sistema impositivo ‘ Riconsiderare il rafforzamento della funzione redistributiva della leva fiscale, favorire una generale ricomposizione del prelievo (con spostamento della tassazione dal lavoro su profitti, interessi, rendite finanziarie) e tutelare l’equità orizzontale del sistema impositivo ‘ Prevedere l’introduzione di un’imposta progressiva sui grandi patrimoni. Una misura su cui Oxfam ha lanciato la raccolta firme #LaGrandeRicchezza, a supporto di un’Iniziativa dei Cittadini Europei (ICE). In Italia, a titolo esemplificativo, l’imposta potrebbe essere rivolta al solo 0,1% più ricco della popolazione con un patrimonio netto individuale sopra i 5,4 milioni di euro. Con un potenziale gettito stimato tra 13,2 e 15,7 miliardi di euro all’anno. ‘ Non perseguire interventi condonistici che sviliscono la fedeltà fiscale, esasperano comportamenti opportunistici e accentuano iniquità orizzontali e verticali del sistema fiscale. ‘ Dare impulso a una serrata lotta all’evasione fiscale, a partire dall’evasione IVA con consenso, favorendo l’effettivo rafforzamento delle attività di analisi del rischio fiscale e di controllo dell’Agenzia delle Entrate. Misure per contrastare il lavoro povero e promuovere un lavoro dignitoso per tutti ‘ Introdurre un salario minimo legale, indicizzato all’inflazione, affidando il compito di stabilirne i parametri definitori e le modalità di erogazione, il monitoraggio, l’adeguamento periodico a un organo consultivo con forte rappresentanza sindacale. ‘ Estendere erga omnes l’efficacia dei principali contratti collettivi nazionali del lavoro ‘ Disincentivare l’utilizzo dei contratti non standard, introdurre forti limitazioni all’esternalizzazione del lavoro e prevedere una drastica riduzione delle forme contrattuali a tempo determinato, ricorrendo a poche e stringenti causali ‘ Introdurre condizionalità all’accesso agli incentivi per le imprese come il rinnovo dei contratti collettivi scaduti che agevolino il riconoscimento di aumenti salariali, condizionalità che assicurino la riduzione dell’impiego del lavoro atipico e una più equa condivisione, tra i fattori produttivi, dei benefici ricavati dalle attività finanziate dallo Stato

Zelensky: stiamo preparando altre buone notizie sulla difesa aerea

Zelensky: stiamo preparando altre buone notizie sulla difesa aereaMilano, 15 gen. (askanews) – “Stiamo preparando altre buone notizie sulla difesa aerea”. Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che effettua da oggi una visita ufficiale in Svizzera, partendo da Berna. Lo hanno annunciato ieri in serata il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) e la presidenza ucraina. “Teniamo a mente sia i missili che la guerra elettronica: ce ne saranno di più” ha aggiunto. “E invariabilmente, mese dopo mese, aumentiamo la produzione di artiglieria ucraina. L’Ucraina ha un potenziale sufficiente per superare questo difficile percorso di guerra. Abbiamo il potenziale per radunare il mondo. Abbiamo il potenziale per vincere. La chiave è credere in noi stessi. Credere nell’Ucraina”.

Accolto dalla presidente della Confederazione Viola Amherd e dai consiglieri federali Ignazio Cassis e Beat Jans, Zelensky terrà una conferenza stampa in serata. Si tratta della prima visita ufficiale di Zelensky in Svizzera. Domani Zelensky terrà un discorso al Forum economico mondiale (WEF) di Davos. Ieri a Davos oltre 80 paesi hanno discusso della pace in Ucraina. Consiglieri per la sicurezza nazionale e alti diplomatici di oltre 80 paesi si sono riuniti per discutere di ciò che è necessario per portare la pace in Ucraina. I colloqui si sono svolti sulla base del piano di pace presentato dal presidente ucraino Zelensky. L’obiettivo è prepararsi per essere pronti ad avviare un processo con la Russia, quando sarà il momento”, ha affermato il ministro degli Esteri svizzero Ingazio Cassis.

Ha presieduto l’incontro insieme ad Andrij Yermak, capo dello staff del presidente Zelensky. Lo scopo, secondo Cassis, è quello di portare i paesi ad accordarsi sui principi per una pace duratura e giusta in Ucraina.

All’università di Nablus l’Idf arresta presunti membri di una cellula studentesca di Hamas

All’università di Nablus l’Idf arresta presunti membri di una cellula studentesca di HamasRoma, 15 gen. (askanews) – Le forze di sicurezza israeliane hanno arrestato nove membri di una cellula studentesca di Hamas che si nascondevano all’Università An-Najah di Nablus, in Cisgiordania, con l’accusa di coinvolgimento in attività terroristiche. Lo riferisce il quotidiano Haaretz.

Le forze di difesa israeliane hanno affermato che l’arresto è stato effettuato nella notte nell’ambito dello sforzo di “contrastare le attività delle squadre terroristiche studentesche delle cellule di Hamas” nelle università della Cisgiordania. L’IDF ha anche affermato che altri sospettati presenti sul posto sono stati fermati per essere interrogati. L’IDF ha aggiunto che altri cinque sospetti sono stati arrestati con l’accusa di coinvolgimento in attività terroristiche in un villaggio vicino Jenin, nel sud della Cisgiordania.

L’esercito israeliano ha anche annunciato di aver distrutto due case illegali di membri di Hamas a Qalqilyah. Le case distrutte appartenevano all’alto funzionario di Hamas, Bassem Daoud, e a Saleh Daoud, accusati di essere gli autori di due attacchi a fuoco nel 2015.

Ucraina, Zelensky da oggi in visita in Svizzera a Berna e Davos

Ucraina, Zelensky da oggi in visita in Svizzera a Berna e DavosMilano, 15 gen. (askanews) – “Stiamo preparando altre buone notizie sulla difesa aerea”. Lo ha detto il presidente ucraino Volodymyr Zelensky che compie da oggi una visita ufficiale in Svizzera, partendo da Berna. Lo hanno annunciato il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) e la presidenza ucraina. “Teniamo a mente sia i missili che la guerra elettronica: ce ne saranno di più” ha aggiunto. “E invariabilmente, mese dopo mese, aumentiamo la produzione di artiglieria ucraina. L’Ucraina ha un potenziale sufficiente per superare questo difficile percorso di guerra. Abbiamo il potenziale per radunare il mondo. Abbiamo il potenziale per vincere. La chiave è credere in noi stessi. Credere nell’Ucraina”.

Accolto dalla presidente della Confederazione Viola Amherd e dai consiglieri federali Ignazio Cassis e Beat Jans, Zelensky terrà una conferenza stampa in serata. Si tratta della prima visita ufficiale di Zelensky in Svizzera. Domani Zelensky terrà un discorso al Forum economico mondiale (WEF) di Davos. Ieri a Davos oltre 80 paesi hanno discusso della pace in Ucraina. Consiglieri per la sicurezza nazionale e alti diplomatici di oltre 80 paesi si sono riuniti per discutere di ciò che è necessario per portare la pace in Ucraina. I colloqui si sono svolti sulla base del piano di pace presentato dal presidente ucraino Zelensky.

“L’obiettivo è prepararsi per essere pronti ad avviare un processo con la Russia, quando sarà il momento”, ha affermato il ministro degli Esteri svizzero Ingazio Cassis. Ha presieduto l’incontro insieme ad Andrij Yermak, capo dello staff del presidente Zelensky.

Lo scopo, secondo Cassis, è quello di portare i paesi ad accordarsi sui principi per una pace duratura e giusta in Ucraina.