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Ue, Tajani: non credere nell’Europa è un grande errore

Ue, Tajani: non credere nell’Europa è un grande erroreRoma, 5 gen. (askanews) – “C’è sempre qualcuno che non crede nell’Europa, un grande errore. Continuare a sognare un’Europa che sia protagonista nel mondo, con una sua politica estera e una sua politica di difesa credo che sia l’unica soluzione possibile per lottare a livello globale. Le grandi sfide con la Cina, la Russia e con l’India sono sfide economiche e politiche, noi siamo parte dell’Occidente ma non possiamo non essere in prima linea con delle proposte e delle idee e lo può fare soltanto l’Europa. Questo anche grazie a una forte presenza dell’Italia nelle istituzioni comunitarie”, ha detto il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani che si trova a Parigi per la commemorazione di Jacques Delors.

Essere europeista “è la mia posizione e quello a cui è stata dedicata la mia vita politica nelle istituzioni comunitarie. Questo è un governo che si riconosce nell’Europa, poi ci sono sensibilità diverse. Forza Italia è fortemente europeista, crediamo che si debba proseguire, io sono per gli Stati uniti d’Europa, non significa rinunciare all’identità italiana, l’Italia è ancora culla della cultura europea: il primo grande europeista è stato Dante Alighieri”, ha sottolineato il vicepremier Tajani.

Tesla, richiama 1,6 mln vetture in Cina per problemi autopilota

Tesla, richiama 1,6 mln vetture in Cina per problemi autopilotaNew York, 5 gen. (askanews) – Il produttore di auto elettriche Tesla sta effettuando il più grande richiamo di vetture mai realizzato in Cina per problemi con le funzionalità di assistenza alla guida che potrebbero aumentare il rischio di incidenti. La correzione del software di pilota automatico, che verrà fornita da remoto, arriva mentre il produttore di veicoli elettrici deve affrontare una forte concorrenza con la rivale locale BYD.

Tesla il mese scorso ha richiamato più di due milioni di veicoli negli Stati Uniti, poichè le autorità governative hanno denunciato che la funzione di guida con pilota automatico poteva essere utilizzata in modo improprio dai conducenti. L’amministrazione statale cinese per la regolamentazione del mercato ha dichiarato che Tesla provvederà alla correzione del software per oltre 1,6 milioni di auto Model Y, Model 3, Model S e Model X prodotte tra agosto 2014 e novembre 2023. Il richiamo comprende sia i veicoli importati che quelli realizzati nella sua gigafactory di Shanghai. Tesla ritirerà anche 7.500 veicoli Model S, Model Y e Model 3 per un problema separato con le serrature delle portiere delle auto.

Il futuro di Gaza, ecco il piano di Israele per il dopoguerra

Il futuro di Gaza, ecco il piano di Israele per il dopoguerraRoma, 5 gen. (askanews) – Israele ha affidato al suo ministro della Difesa Yoav Gallant il compito di delineare il piano per il futuro politico di Gaza se e quando la guerra con Hamas avrà termine. Secondo Gallant il territorio finirebbe sotto controllo palestinese, ma con limitazioni: Hamas non sarà più al governo a Gaza e Israele manterrà il controllo generale della sicurezza. Il piano dei “quattro angoli” di Gallant prevede che una forza multinazionale si occupi della ricostruzione del territorio dopo le distruzioni causate dai bombardamenti israeliani. Anche il vicino Egitto avrebbe un ruolo non specificato, ma il documento aggiunge che i palestinesi sarebbero responsabili dell’amministrazione del territorio.

“Gli abitanti di Gaza sono palestinesi, quindi saranno responsabili organismi palestinesi, a condizione che non vi siano azioni ostili o minacce contro lo Stato di Israele”, ha affermato Gallant. Il dibattito sul “day after” di Gaza ha evidenziato profonde discordie in Israele. Alcuni membri di estrema destra del governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu hanno affermato che i cittadini palestinesi dovrebbero essere incoraggiati a lasciare Gaza per l’esilio, con il ripristino degli insediamenti ebraici nel territorio – proposte controverse che sono state respinte come “estremiste” e “impraticabili” da altri paesi della regione e da alcuni alleati di Israele.

Sebbene le proposte di Gallant possano essere considerate più concrete di quelle suggerite da alcuni dei suoi colleghi di gabinetto, è probabile che vengano respinte dai leader palestinesi, che affermano che gli stessi abitanti di Gaza devono poter assumere il pieno controllo della gestione del territorio una volta che la guerra devastante sarà finita. Netanyahu non ha mai parlato pubblicamente di come pensa che Gaza dovrebbe essere governata, ma ha indicato che la guerra a Gaza potrebbe durare ancora diversi mesi, con l’obiettivo di schiacciare completamente Hamas. Il piano di Gallant delinea anche il modo in cui l’esercito israeliano intende procedere nella prossima fase della guerra a Gaza. Il ministro ha detto che le Forze di Difesa Israeliane adotteranno un approccio più mirato nel nord della Striscia di Gaza, dove le operazioni prevedono raid, demolizioni di tunnel e attacchi aerei e terrestri.

Nel sud, l’esercito israeliano continuerà a cercare di rintracciare i leader di Hamas e di salvare gli ostaggi israeliani, ha detto Gallant. I combattimenti a Gaza intanto sono continuati, con decine di persone uccise nelle ultime 24 ore, secondo il ministero della Sanità gestito da Hamas.Il segretario di Stato americano Antony Blinken tornerà nella regione questa settimana. Si prevede che terrà colloqui con funzionari palestinesi nella Cisgiordania occupata e con i leader israeliani. La sua visita avviene nel mezzo delle crescenti tensioni nella regione in seguito all’assassinio del leader di Hamas Saleh al-Arouri martedì nella capitale libanese Beirut. La responsabilità dell’uccisione è stata ampiamente attribuita a Israele, il quale non ha né confermato né smentito il coinvolgimento.

Giovedì, l’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito aree nel nord e nel sud di Gaza. Khan Younis, la più grande città nel sud della Striscia di Gaza, è stata colpita giovedì da attacchi aerei israeliani. Israele ha detto di aver condotto attacchi contro “infrastrutture terroristiche” e di aver ucciso persone che ha descritto come militanti, che avrebbero tentato di far esplodere un esplosivo accanto ai soldati. Il ministero della Sanità di Hamas a Gaza ha affermato che 125 persone sono state uccise nelle ultime 24 ore in tutta la Striscia. Un funzionario del ministero della Sanità ha detto che 14 persone – tra cui nove bambini – sono state uccise dagli attacchi aerei israeliani ad al-Mawasi, a ovest di Khan Younis. La piccola città è stata designata dalle forze israeliane uno “spazio sicuro” per i palestinesi sfollati. L’IDF non ha commentato le affermazioni di Hamas. Il numero totale di persone uccise a Gaza dall’inizio della campagna di ritorsione di Israele ha raggiunto giovedì più di 22.400, ovvero quasi l’1% dei 2,3 milioni di abitanti dell’enclave, ha detto il ministero della Sanità gestito da Hamas. L’offensiva israeliana è iniziata dopo che uomini armati di Hamas hanno lanciato un attacco a sorpresa nel sud di Israele il 7 ottobre, uccidendo 1.200 persone, la maggior parte dei quali civili, e prendendo in ostaggio circa 240 persone.

Russia, sono 10 i candidati per la presidenza che sfidano (senza speranze) Putin

Russia, sono 10 i candidati per la presidenza che sfidano (senza speranze) PutinRoma, 5 gen. (askanews) – Il Comitato elettorale centrale russo ha registrato stamane in qualità di candidato alle presidenziali di marzo Vladislav Davankov, presentato dal partito di ispirazione liberale Nuova Gente: nuova conferma di un quadro elettorale affollato per una gara ad esito scontato, eppure importante per le sorti del regime putiniano e della stessa Federazione russa.

Ad oggi, per la presidenza fino al 2030 sono in corsa 11 candidati e 10 non hanno alcuna chance di insidiare la decisione di Vladimir Putin di correre per un quinto mandato non consecutivo al Cremlino. Tre gli indipendenti, compreso Putin, e otto i candidati presentati da partiti che a loro volta non minacciano il primato della formazione governativa Russia Unita e quindi il funzionamento della macchina del potere russo. I documenti sono stati registrati dalla Commissione elettorale ed entro il 18 gennaio chi non ha alle spalle un partito rappresentato in parlamento deve raccogliere 100mile firme e 300mila se si autocandida, con precise quote regionali. Un ‘filtro’ in passato usato per escludere eventuali partecipanti poco graditi al Cremlino.

Putin è uno degli ‘indipendenti’ e per le firme a suo sostegno sono all’opera 50 punti di raccolta solo a Mosca. Ovviamente una formalità, ma importante per un processo elettorale che è innanzitutto una verifica del funzionamento del sistema di convogliamento dei voti per il candidato del sistema di potere. Una ‘esercitazione’ che implica innanzitutto una forte partecipazione al voto, in quanto prova della legittimità del capo dello Stato, e il timore degli addetti ai lavori di rielezione di Putin è proprio quello di dover esagerare con gli espedienti per portare alle urne un elettorato che già conosce l’esito del voto. Putin vincerebbe anche senza forzature ma ha bisogno di un plebiscito per avviare un quinto mandato all’età di 72 anni e con la guerra in Ucraina che sarà entrata nel terzo anno al momento delle elezioni, fissate per il 17 marzo. Grazie alla riforma costituzionale del 2020, l’attuale presidente può in teoria restare al potere fino al 2036 ma il suo destino di leader è appeso all’esito del conflitto in Ucraina e un processo elettorale con inciampi e brogli graverebbe sulle decisioni riguardo la guerra. A scanso di sorprese, e con una stretta autoritaria che non si arresta da anni, l’opposizione ‘extraparlamentare’, ovvero le voci dissenzienti sono state escluse dalla gara con ampio anticipo. Esemplare il caso di Aleksey Navalny, che nel 2013 poteva partecipare alle elezioni per il sindaco di Mosca e oggi sconta una condanna a 19 anni di carcere in una colonia penale di sovietica memoria nella regione dell’Artico.

La pletora di candidati deve comunque servire a proiettare l’immagine di un contesto elettorale competitivo o perlomeno vario. Così in gara ci sono esponenti della cosiddetta ‘opposizione sistemica’, di formazioni politiche che siedono in parlamento e si muovono dentro un recinto di azione politica ammessa dal regime. Orfano del sulfureo e carismatico Zhirinovsky, il partito nazionalistico dei Liberal Democratici (Ldpr) presenta lo scialbo Leonid Slutsky, la cui unica proposta originale è l’iscrizione alle scuole superiori gratuita, sulla base di concorsi. Il Partito comunista della Federazione russa (Kprf) candida Nikolay Karitonov, che già nel 2018 si era piazzato secondo dopo Putin alle presidenziali. Motto: “Pane, pace e bene in ogni casa”.

Per Comunisti di Russia si presenta invece Sergey Malinkovic, nel cui programma spicca l’obiettivo di sferrare “dieci colpi staliniani al comunismo e all’imperialismo americano”. I due candidati comunisti raccoglieranno voti tra gli anziani e nelle regioni più in difficoltà economicamente, ma la forza elettorale dei seguaci di Lenin è da tempo in declino, fattore generazionale che riduce a poca cosa i rischi elettorali per il regime. In lizza anche due donne: Irina Spiridova 35enne del poco significativo Partito democratico che insiste sui temi della libertà in un Paese dove i diritti e la libera espressione sono ormai totalmente repressi. E la blogger Rada Russkikh, creatrice dell’omonimo brand di cosmesi, che ha faticato a raccogliere le firme per concorrere ma al secondo tentativo ce l’ha fatta e propone di perseguire “obiettivi elevati” e in particolare lottare contro la burocrazia.

Russia, 11 candidati per la rielezione di Putin

Russia, 11 candidati per la rielezione di PutinRoma, 5 gen. (askanews) – Il Comitato elettorale centrale russo ha registrato stamane in qualità di candidato alle presidenziali di marzo Vladislav Davankov, presentato dal partito di ispirazione liberale Nuova Gente: nuova conferma di un quadro elettorale affollato per una gara ad esito scontato, eppure importante per le sorti del regime putiniano e della stessa Federazione russa.

Ad oggi, per la presidenza fino al 2030 sono in corsa 11 candidati e 10 non hanno alcuna chance di insidiare la decisione di Vladimir Putin di correre per un quinto mandato non consecutivo al Cremlino. Tre gli indipendenti, compreso Putin, e otto i candidati presentati da partiti che a loro volta non minacciano il primato della formazione governativa Russia Unita e quindi il funzionamento della macchina del potere russo. I documenti sono stati registrati dalla Commissione elettorale ed entro il 18 gennaio chi non ha alle spalle un partito rappresentato in parlamento deve raccogliere 100mile firme e 300mila se si autocandida, con precise quote regionali. Un ‘filtro’ in passato usato per escludere eventuali partecipanti poco graditi al Cremlino.

Putin è uno degli ‘indipendenti’ e per le firme a suo sostegno sono all’opera 50 punti di raccolta solo a Mosca. Ovviamente una formalità, ma importante per un processo elettorale che è innanzitutto una verifica del funzionamento del sistema di convogliamento dei voti per il candidato del sistema di potere. Una ‘esercitazione’ che implica innanzitutto una forte partecipazione al voto, in quanto prova della legittimità del capo dello Stato, e il timore degli addetti ai lavori di rielezione di Putin è proprio quello di dover esagerare con gli espedienti per portare alle urne un elettorato che già conosce l’esito del voto. Putin vincerebbe anche senza forzature ma ha bisogno di un plebiscito per avviare un quinto mandato all’età di 72 anni e con la guerra in Ucraina che sarà entrata nel terzo anno al momento delle elezioni, fissate per il 17 marzo. Grazie alla riforma costituzionale del 2020, l’attuale presidente può in teoria restare al potere fino al 2036 ma il suo destino di leader è appeso all’esito del conflitto in Ucraina e un processo elettorale con inciampi e brogli graverebbe sulle decisioni riguardo la guerra. A scanso di sorprese, e con una stretta autoritaria che non si arresta da anni, l’opposizione ‘extraparlamentare’, ovvero le voci dissenzienti sono state escluse dalla gara con ampio anticipo. Esemplare il caso di Aleksey Navalny, che nel 2013 poteva partecipare alle elezioni per il sindaco di Mosca e oggi sconta una condanna a 19 anni di carcere in una colonia penale di sovietica memoria nella regione dell’Artico.

La pletora di candidati deve comunque servire a proiettare l’immagine di un contesto elettorale competitivo o perlomeno vario. Così in gara ci sono esponenti della cosiddetta ‘opposizione sistemica’, di formazioni politiche che siedono in parlamento e si muovono dentro un recinto di azione politica ammessa dal regime. Orfano del sulfureo e carismatico Zhirinovsky, il partito nazionalistico dei Liberal Democratici (Ldpr) presenta lo scialbo Leonid Slutsky, la cui unica proposta originale è l’iscrizione alle scuole superiori gratuita, sulla base di concorsi. Il Partito comunista della Federazione russa (Kprf) candida Nikolay Karitonov, che già nel 2018 si era piazzato secondo dopo Putin alle presidenziali. Motto: “Pane, pace e bene in ogni casa”.

Per Comunisti di Russia si presenta invece Sergey Malinkovic, nel cui programma spicca l’obiettivo di sferrare “dieci colpi staliniani al comunismo e all’imperialismo americano”. I due candidati comunisti raccoglieranno voti tra gli anziani e nelle regioni più in difficoltà economicamente, ma la forza elettorale dei seguaci di Lenin è da tempo in declino, fattore generazionale che riduce a poca cosa i rischi elettorali per il regime. In lizza anche due donne: Irina Spiridova 35enne del poco significativo Partito democratico che insiste sui temi della libertà in un Paese dove i diritti e la libera espressione sono ormai totalmente repressi. E la blogger Rada Russkikh, creatrice dell’omonimo brand di cosmesi, che ha faticato a raccogliere le firme per concorrere ma al secondo tentativo ce l’ha fatta e propone di perseguire “obiettivi elevati” e in particolare lottare contro la burocrazia.

Farnesina, Tajani a colloquio con omologa canadese Jolie

Farnesina, Tajani a colloquio con omologa canadese JolieRoma, 4 gen. (askanews) – ll Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, ha avuto un proficuo colloquio telefonico con la Ministra degli Esteri del Canada, Mélanie Jolie: è quanto si legge in una nota della Farnesina.

Nell’evidenziare lo stato eccellente delle relazioni bilaterali, il Vice Presidente Tajani ha illustrato le linee guida della Presidenza italiana del G7, a partire dalla situazione in Medio Oriente e in Ucraina. “Ho voluto ringraziare l’amica Mélanie per lo spirito di collaborazione con cui il Canada guarda all’agenda della presidenza italiana del G7. Roma e Ottawa condividono una visione comune su molti dossier, a cominciare dal sostegno all’Ucraina contro l’invasione russa” – ha affermato Tajani.

Nel corso del colloquio i due Ministri si sono concentrati sugli ultimi sviluppi della situazione a Gaza e hanno concordato circa la necessità di evitare una regionalizzazione del conflitto e di accelerare il percorso verso una soluzione politica e diplomatica che porti alla soluzione dei due popoli, due Stati. “È importante lavorare insieme fin d’ora anche alla preparazione degli scenari del dopo guerra, in maniera da dare una prospettiva concreta agli attori nella regione e alla popolazione civile. Bisogna creare un futuro di pace e stabilità per Gaza e per tutta la regione pensando già da ora a quando termineranno le ostilità” – ha aggiunto Tajani.

Oltre a confermare la crescente attenzione del Governo verso la regione dell’Indo-Pacifico, il Vicepremier ha offerto il sostegno italiano alla visione canadese sull’Artico. “Su questa regione del mondo si concentra in modo sempre più evidente l’attenzione politica di diversi Paesi. Il G7 a presidenza italiana non sottovaluterà l’importanza strategica di questo tema”. “Come Presidenza italiana intendiamo valorizzare il carattere politico e strategico delle riunioni G7 Esteri: di fronte alle sfide internazionali attuali occorre rafforzare il livello di coordinamento e la coesione tra i Partner” ha concluso Tajani.

Iran, strage di Kerman: l’Isis rivendica l’attentato

Iran, strage di Kerman: l’Isis rivendica l’attentatoRoma, 4 gen. (askanews) – Le milizie jihadiste sunnite dell’Isis hanno rivendicato l’attentato avvenuto ieri nella località iraniana di Kerman, costato la vita ad almeno 84 persone mentre i feriti sono almeno 284: è quanto riporta l’agenzia di stampa britannica Reuters.

La rivendicazione, non ancora confermata da altre fonti, è stata diffusa attraverso il canale Telegram delle milizie jihadiste. Almeno due esplosioni sono avvenute nei pressi del mausoleo del comandante delle Brigate al-Quds, Qasem Soleimani, ucciso nel gennaio del 2020 in un raid statunitense ordinato dall’amministrazione Trump.

Gli ordigni hanno provocato una strage fra i numerosi pellegrini in visita alla tomba di Soleimani, considerato un eroe nazionale nonché l’architetto delle operazioni di intelligence e aumentata presenza militare iraniana nel Medio Oriente.

Iraq, il New York Times: una fonte del Pentagono conferma attacco Usa a Baghdad

Iraq, il New York Times: una fonte del Pentagono conferma attacco Usa a BaghdadRoma, 4 gen. (askanews) – Un funzionario del Pentagono ha confermato la responsabilità americana dell’attacco avvenuto oggi a Baghdad, in Iraq, e costato la vita a un comandante di una milizia sciita e ad altre due persone.

La fonte ha dichiarato al New York Times che “gli Stati Uniti continuano ad agire per proteggere le proprie forze in Iraq e in Siria, affrontando le minacce che incombono su di loro”. Dall’inizio del conflitto nella Striscia di Gaza sono stati oltre 70 gli attacchi lanciati contro basi e siti Usa in Iraq e in Siria da gruppi armati affiliati all’Iran, ricorda il Nyt. L’attacco di oggi ha colpito il quartier generale delle Forze di mobilitazione popolare, causando la morte del comandante della 12esima brigata del gruppo, Mushtaq Talib al-Saidi, conosciuto come Abu Taqwa, e di due altre due persone. Secondo quanto riferito da una fonte della sicurezza irachena all’agenzia Shafaq, Abu Taqwa sarebbe stato preso di mira mentre stava entrando con la macchina nel quartier generale.

Iran, media: la prima esplosione a Kerman causata da un attacco suicida

Iran, media: la prima esplosione a Kerman causata da un attacco suicidaRoma, 4 gen. (askanews) – Stando a una fonte iraniana di Kerman sentita dall’agenzia di stampa Irna, la prima esplosione avvenuta ieri nella città nel sud-est del Paese sarebbe stata causata da un attacco suicida, mentre è ancora in corso un’indagine sulla seconda deflagrazione, anche questa probabilmente innescata da un attentatore.

Sono state le riprese delle telecamere a circuito chiuso a indicare agli inquirenti la presenza di un attentatore suicida, su cui è in corso il lavoro di identificazione, ha spiegato la fonte. L’attacco avvenuto nei pressi della tomba del generale Qasem Soleimani nel giorno del quarto anniversario della sua uccisione in un attacco Usa a Baghdad ha causato almeno 84 morti e 284 feriti, alcuni dei quali in gravi condizioni.

A Modena una mostra sulla “rinascita di Mariupol” ad opera della Russia. Kiev prepara protesta ufficiale

A Modena una mostra sulla “rinascita di Mariupol” ad opera della Russia. Kiev prepara protesta ufficialeRoma, 4 gen. (askanews) – Il ministero degli Esteri ucraino ha condannato l’evento sulla “rinascita di Mariupol” ad opera della Russia, organizzato dall’Associazione Culturale Russia Emilia Romagna, che sta suscitando accese polemiche politiche in Italia.

Il post Facebook sull’evento organizzato a Modena, scritto in italiano e russo, fa riferimento alla “liberazione” di Mariupol da parte della Federazione russa di Mariupol, la città del sud-est ucraino teatro di mesi di assedio e devastanti combattimenti nella primavera del 2022. La mostra-conferenza, in calendario il 20 gennaio, prevede la presenza del console russo in Italia Dmitry Shodin. Ukrainskaya Pravda cita il portavoce degli Esteri di Kiev, Oleh Nikolenko, secondo cui il ministero ha già incaricato l’ambasciata ucraina a Roma di preparare una protesta ufficiale.

“A livello ufficiale, l’Italia sostiene risolutamente la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina. E ci aspettiamo che ci sia una reazione adeguata a questo evento di propaganda”, ha osservato Nikolenko. Nel post dell’associazione promotrice, Mariupol è descritta come “città-simbolo della rivolta popolare del Donbass contro la giunta di Kiev, città martire dell’occupazione banderista durata 8 anni, affronta ora un veloce processo di ricostruzione sotto l’egida delle Istituzioni della Federazione Russia di cui è divenuta parte integrante”. L’evento del 20 gennaio vuole “presentare al pubblico modenese i risultati della nuova amministrazione cittadina dopo la liberazione definitiva nella primavera del 2022, con la resa del battaglione Azov asserragliato nell’acciaieria Azovstal”.

L’associazione annuncia “in qualità di relatori della conferenza il Presidente dell’Associazione Luca Rossi, il Console Generale della Federazione Russa Dmitry Shtodin, il rappresentante italiano del Movimento Internazionale dei Russofili (MIR) Eliseo Bertolasi e il giornalista indipendente Andrea Lucidi”.