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M.O., ministero Sanità Gaza: almeno 64 morti in attacchi Israele

M.O., ministero Sanità Gaza: almeno 64 morti in attacchi IsraeleRoma, 7 gen. (askanews) – Sono almeno 64 le persone uccise tra la notte tra sabato e domenica e le prime ore della giornata di oggi negli attacchi israeliani su Gaza, secondo il ministero della Sanità gestito da Hamas.

Il bilancio delle vittime include neonati e bambini: “I bombardamenti israeliani (hanno causato) vittime tra i civili nella città meridionale di Khan Younis e nell’area di Rafah, vicino al confine egiziano, dove hanno cercato rifugio molti degli sfollati del territorio”, hanno riferito i corrispondenti dell’AFP. L’esercito israeliano – che sabato ha dichiarato di aver “smantellato” la leadership militare di Hamas nel nord di Gaza – ha riferito che le sue forze hanno ucciso altri “terroristi” nel centro di Gaza, compreso un attacco con droni nel campo profughi di Bureij, un’area urbana edificata.

Guerra in Medio Oriente, due giornalisti uccisi in un attacco aereo israeliano su Khan Younis

Guerra in Medio Oriente, due giornalisti uccisi in un attacco aereo israeliano su Khan YounisRoma, 7 gen. (askanews) – Due giornalisti sono stati uccisi questa mattina in un attacco aereo israeliano a ovest di Khan Yunis, a Gaza.

Hamza Wael Dahdouh, giornalista di Al Jazeera e Mustafa Thuria, un videoreporter dell’AFP, sono stati uccisi mentre viaggiavano in macchina, hanno confermato all’AFP il ministero della Salute e i medici. Secondo il Committee to Protect Journalists con sede a New York, almeno 77 giornalisti e operatori dei media sono stati uccisi tra il 7 ottobre, quando è iniziata la guerra, e il 31 dicembre.

M.O., Netanyahu: Hezbollah impari ciò che Hamas ha già imparato

M.O., Netanyahu: Hezbollah impari ciò che Hamas ha già imparatoRoma, 7 gen. (askanews) – Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha dichiarato, durante una riunione di gabinetto, che “la guerra non deve essere fermata finché non avremo raggiunto tutti gli obiettivi – l’eliminazione di Hamas, il ritorno di tutti i nostri ostaggi e la promessa che Gaza non rappresenterà più una minaccia per Israele. Lo dico sia ai nostri nemici che ai nostri amici”. Scrive Haaretz.

Facendo riferimento ai combattimenti nel nord ha aggiunto: “Suggerisco che Hezbollah impari ciò che Hamas ha già imparato negli ultimi mesi: nessun terrorista è immune. Siamo determinati a proteggere i nostri cittadini e a riportare gli abitanti del nord sani e salvi alle loro case. Questo è un obiettivo nazionale, condiviso da tutti noi, e agiremo in modo responsabile per raggiungerlo. Se potremo, lo faremo attraverso metodi diplomatici, altrimenti agiremo in altri modi”.

Usa, Biden non informato di ricovero segretario Difesa per giorni

Usa, Biden non informato di ricovero segretario Difesa per giorniRoma, 7 gen. (askanews) – All’amministrazione Biden non è stato detto per giorni che il segretario alla Difesa americano Lloyd Austin era stato ricoverato in ospedale. Lo ha confermato un funzionario ai media statunitensi.

Austin è stato ricoverato lunedì al Walter Reed Medical Center a causa di complicazioni successive all’intervento chirurgico. Un funzionario ha dichiarato alla CBS che la Casa Bianca non è stata informata fino a giovedì mattina.

Austin si è assunto la responsabilità della mancanza di comunicazione: “Riconosco che avrei potuto fare un lavoro migliore assicurando che il pubblico fosse adeguatamente informato – ha affermato in una nota – . Mi impegnerò a fare meglio”. “Sono molto felice di essere in via di guarigione e non vedo l’ora di tornare presto al Pentagono”, ha aggiunto. Si pensa che Austin sia ancora in ospedale, ma un portavoce del dipartimento della Difesa citato dall’agenzia di stampa AFP ha detto che ha ripreso le sue funzioni complete già venerdì.

Sempre secondo i media Usa, Biden avrebbe avuto una conversazione “calda” con il signor Austin sabato, a un funzionario ha detto ad Afp che il “presidente ha piena fiducia nel segretario Austin. Non vede l’ora che ritorni al Pentagono”.

Il leader di Hezbollah: rispondere al raid a Beirut inevitabile. Combattiamo anche per liberare il Libano da Israele

Il leader di Hezbollah: rispondere al raid a Beirut inevitabile. Combattiamo anche per liberare il Libano da IsraeleRoma, 5 gen. (askanews) – “Una risposta a quanto successo a Beirut è inevitabile, e dipenderà dalla situazione sul terreno – che non aspetta”: lo ha dichiarato il leader delle milizie sciite libanesi di Hezbollah, Hassan Nasrallah, riferendosi all’uccisione del viceresponsabile politico di Hamas, Saleh al-Arouri. Senza una reazione alla morte di al-Arouri – in un raid non rivendicato ma ritenuto opera di Israele – tutto il Libano sarebbe a rischio, ha sottolineato.

“Dall’8 ottobre siamo in guerra sul fronte meridionale, e abbiamo colpito tutte le posizioni

Ue, Tajani: non credere nell’Europa è un grande errore

Ue, Tajani: non credere nell’Europa è un grande erroreRoma, 5 gen. (askanews) – “C’è sempre qualcuno che non crede nell’Europa, un grande errore. Continuare a sognare un’Europa che sia protagonista nel mondo, con una sua politica estera e una sua politica di difesa credo che sia l’unica soluzione possibile per lottare a livello globale. Le grandi sfide con la Cina, la Russia e con l’India sono sfide economiche e politiche, noi siamo parte dell’Occidente ma non possiamo non essere in prima linea con delle proposte e delle idee e lo può fare soltanto l’Europa. Questo anche grazie a una forte presenza dell’Italia nelle istituzioni comunitarie”, ha detto il vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani che si trova a Parigi per la commemorazione di Jacques Delors.

Essere europeista “è la mia posizione e quello a cui è stata dedicata la mia vita politica nelle istituzioni comunitarie. Questo è un governo che si riconosce nell’Europa, poi ci sono sensibilità diverse. Forza Italia è fortemente europeista, crediamo che si debba proseguire, io sono per gli Stati uniti d’Europa, non significa rinunciare all’identità italiana, l’Italia è ancora culla della cultura europea: il primo grande europeista è stato Dante Alighieri”, ha sottolineato il vicepremier Tajani.

Tesla, richiama 1,6 mln vetture in Cina per problemi autopilota

Tesla, richiama 1,6 mln vetture in Cina per problemi autopilotaNew York, 5 gen. (askanews) – Il produttore di auto elettriche Tesla sta effettuando il più grande richiamo di vetture mai realizzato in Cina per problemi con le funzionalità di assistenza alla guida che potrebbero aumentare il rischio di incidenti. La correzione del software di pilota automatico, che verrà fornita da remoto, arriva mentre il produttore di veicoli elettrici deve affrontare una forte concorrenza con la rivale locale BYD.

Tesla il mese scorso ha richiamato più di due milioni di veicoli negli Stati Uniti, poichè le autorità governative hanno denunciato che la funzione di guida con pilota automatico poteva essere utilizzata in modo improprio dai conducenti. L’amministrazione statale cinese per la regolamentazione del mercato ha dichiarato che Tesla provvederà alla correzione del software per oltre 1,6 milioni di auto Model Y, Model 3, Model S e Model X prodotte tra agosto 2014 e novembre 2023. Il richiamo comprende sia i veicoli importati che quelli realizzati nella sua gigafactory di Shanghai. Tesla ritirerà anche 7.500 veicoli Model S, Model Y e Model 3 per un problema separato con le serrature delle portiere delle auto.

Il futuro di Gaza, ecco il piano di Israele per il dopoguerra

Il futuro di Gaza, ecco il piano di Israele per il dopoguerraRoma, 5 gen. (askanews) – Israele ha affidato al suo ministro della Difesa Yoav Gallant il compito di delineare il piano per il futuro politico di Gaza se e quando la guerra con Hamas avrà termine. Secondo Gallant il territorio finirebbe sotto controllo palestinese, ma con limitazioni: Hamas non sarà più al governo a Gaza e Israele manterrà il controllo generale della sicurezza. Il piano dei “quattro angoli” di Gallant prevede che una forza multinazionale si occupi della ricostruzione del territorio dopo le distruzioni causate dai bombardamenti israeliani. Anche il vicino Egitto avrebbe un ruolo non specificato, ma il documento aggiunge che i palestinesi sarebbero responsabili dell’amministrazione del territorio.

“Gli abitanti di Gaza sono palestinesi, quindi saranno responsabili organismi palestinesi, a condizione che non vi siano azioni ostili o minacce contro lo Stato di Israele”, ha affermato Gallant. Il dibattito sul “day after” di Gaza ha evidenziato profonde discordie in Israele. Alcuni membri di estrema destra del governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu hanno affermato che i cittadini palestinesi dovrebbero essere incoraggiati a lasciare Gaza per l’esilio, con il ripristino degli insediamenti ebraici nel territorio – proposte controverse che sono state respinte come “estremiste” e “impraticabili” da altri paesi della regione e da alcuni alleati di Israele.

Sebbene le proposte di Gallant possano essere considerate più concrete di quelle suggerite da alcuni dei suoi colleghi di gabinetto, è probabile che vengano respinte dai leader palestinesi, che affermano che gli stessi abitanti di Gaza devono poter assumere il pieno controllo della gestione del territorio una volta che la guerra devastante sarà finita. Netanyahu non ha mai parlato pubblicamente di come pensa che Gaza dovrebbe essere governata, ma ha indicato che la guerra a Gaza potrebbe durare ancora diversi mesi, con l’obiettivo di schiacciare completamente Hamas. Il piano di Gallant delinea anche il modo in cui l’esercito israeliano intende procedere nella prossima fase della guerra a Gaza. Il ministro ha detto che le Forze di Difesa Israeliane adotteranno un approccio più mirato nel nord della Striscia di Gaza, dove le operazioni prevedono raid, demolizioni di tunnel e attacchi aerei e terrestri.

Nel sud, l’esercito israeliano continuerà a cercare di rintracciare i leader di Hamas e di salvare gli ostaggi israeliani, ha detto Gallant. I combattimenti a Gaza intanto sono continuati, con decine di persone uccise nelle ultime 24 ore, secondo il ministero della Sanità gestito da Hamas.Il segretario di Stato americano Antony Blinken tornerà nella regione questa settimana. Si prevede che terrà colloqui con funzionari palestinesi nella Cisgiordania occupata e con i leader israeliani. La sua visita avviene nel mezzo delle crescenti tensioni nella regione in seguito all’assassinio del leader di Hamas Saleh al-Arouri martedì nella capitale libanese Beirut. La responsabilità dell’uccisione è stata ampiamente attribuita a Israele, il quale non ha né confermato né smentito il coinvolgimento.

Giovedì, l’esercito israeliano ha dichiarato di aver colpito aree nel nord e nel sud di Gaza. Khan Younis, la più grande città nel sud della Striscia di Gaza, è stata colpita giovedì da attacchi aerei israeliani. Israele ha detto di aver condotto attacchi contro “infrastrutture terroristiche” e di aver ucciso persone che ha descritto come militanti, che avrebbero tentato di far esplodere un esplosivo accanto ai soldati. Il ministero della Sanità di Hamas a Gaza ha affermato che 125 persone sono state uccise nelle ultime 24 ore in tutta la Striscia. Un funzionario del ministero della Sanità ha detto che 14 persone – tra cui nove bambini – sono state uccise dagli attacchi aerei israeliani ad al-Mawasi, a ovest di Khan Younis. La piccola città è stata designata dalle forze israeliane uno “spazio sicuro” per i palestinesi sfollati. L’IDF non ha commentato le affermazioni di Hamas. Il numero totale di persone uccise a Gaza dall’inizio della campagna di ritorsione di Israele ha raggiunto giovedì più di 22.400, ovvero quasi l’1% dei 2,3 milioni di abitanti dell’enclave, ha detto il ministero della Sanità gestito da Hamas. L’offensiva israeliana è iniziata dopo che uomini armati di Hamas hanno lanciato un attacco a sorpresa nel sud di Israele il 7 ottobre, uccidendo 1.200 persone, la maggior parte dei quali civili, e prendendo in ostaggio circa 240 persone.

Russia, sono 10 i candidati per la presidenza che sfidano (senza speranze) Putin

Russia, sono 10 i candidati per la presidenza che sfidano (senza speranze) PutinRoma, 5 gen. (askanews) – Il Comitato elettorale centrale russo ha registrato stamane in qualità di candidato alle presidenziali di marzo Vladislav Davankov, presentato dal partito di ispirazione liberale Nuova Gente: nuova conferma di un quadro elettorale affollato per una gara ad esito scontato, eppure importante per le sorti del regime putiniano e della stessa Federazione russa.

Ad oggi, per la presidenza fino al 2030 sono in corsa 11 candidati e 10 non hanno alcuna chance di insidiare la decisione di Vladimir Putin di correre per un quinto mandato non consecutivo al Cremlino. Tre gli indipendenti, compreso Putin, e otto i candidati presentati da partiti che a loro volta non minacciano il primato della formazione governativa Russia Unita e quindi il funzionamento della macchina del potere russo. I documenti sono stati registrati dalla Commissione elettorale ed entro il 18 gennaio chi non ha alle spalle un partito rappresentato in parlamento deve raccogliere 100mile firme e 300mila se si autocandida, con precise quote regionali. Un ‘filtro’ in passato usato per escludere eventuali partecipanti poco graditi al Cremlino.

Putin è uno degli ‘indipendenti’ e per le firme a suo sostegno sono all’opera 50 punti di raccolta solo a Mosca. Ovviamente una formalità, ma importante per un processo elettorale che è innanzitutto una verifica del funzionamento del sistema di convogliamento dei voti per il candidato del sistema di potere. Una ‘esercitazione’ che implica innanzitutto una forte partecipazione al voto, in quanto prova della legittimità del capo dello Stato, e il timore degli addetti ai lavori di rielezione di Putin è proprio quello di dover esagerare con gli espedienti per portare alle urne un elettorato che già conosce l’esito del voto. Putin vincerebbe anche senza forzature ma ha bisogno di un plebiscito per avviare un quinto mandato all’età di 72 anni e con la guerra in Ucraina che sarà entrata nel terzo anno al momento delle elezioni, fissate per il 17 marzo. Grazie alla riforma costituzionale del 2020, l’attuale presidente può in teoria restare al potere fino al 2036 ma il suo destino di leader è appeso all’esito del conflitto in Ucraina e un processo elettorale con inciampi e brogli graverebbe sulle decisioni riguardo la guerra. A scanso di sorprese, e con una stretta autoritaria che non si arresta da anni, l’opposizione ‘extraparlamentare’, ovvero le voci dissenzienti sono state escluse dalla gara con ampio anticipo. Esemplare il caso di Aleksey Navalny, che nel 2013 poteva partecipare alle elezioni per il sindaco di Mosca e oggi sconta una condanna a 19 anni di carcere in una colonia penale di sovietica memoria nella regione dell’Artico.

La pletora di candidati deve comunque servire a proiettare l’immagine di un contesto elettorale competitivo o perlomeno vario. Così in gara ci sono esponenti della cosiddetta ‘opposizione sistemica’, di formazioni politiche che siedono in parlamento e si muovono dentro un recinto di azione politica ammessa dal regime. Orfano del sulfureo e carismatico Zhirinovsky, il partito nazionalistico dei Liberal Democratici (Ldpr) presenta lo scialbo Leonid Slutsky, la cui unica proposta originale è l’iscrizione alle scuole superiori gratuita, sulla base di concorsi. Il Partito comunista della Federazione russa (Kprf) candida Nikolay Karitonov, che già nel 2018 si era piazzato secondo dopo Putin alle presidenziali. Motto: “Pane, pace e bene in ogni casa”.

Per Comunisti di Russia si presenta invece Sergey Malinkovic, nel cui programma spicca l’obiettivo di sferrare “dieci colpi staliniani al comunismo e all’imperialismo americano”. I due candidati comunisti raccoglieranno voti tra gli anziani e nelle regioni più in difficoltà economicamente, ma la forza elettorale dei seguaci di Lenin è da tempo in declino, fattore generazionale che riduce a poca cosa i rischi elettorali per il regime. In lizza anche due donne: Irina Spiridova 35enne del poco significativo Partito democratico che insiste sui temi della libertà in un Paese dove i diritti e la libera espressione sono ormai totalmente repressi. E la blogger Rada Russkikh, creatrice dell’omonimo brand di cosmesi, che ha faticato a raccogliere le firme per concorrere ma al secondo tentativo ce l’ha fatta e propone di perseguire “obiettivi elevati” e in particolare lottare contro la burocrazia.

Russia, 11 candidati per la rielezione di Putin

Russia, 11 candidati per la rielezione di PutinRoma, 5 gen. (askanews) – Il Comitato elettorale centrale russo ha registrato stamane in qualità di candidato alle presidenziali di marzo Vladislav Davankov, presentato dal partito di ispirazione liberale Nuova Gente: nuova conferma di un quadro elettorale affollato per una gara ad esito scontato, eppure importante per le sorti del regime putiniano e della stessa Federazione russa.

Ad oggi, per la presidenza fino al 2030 sono in corsa 11 candidati e 10 non hanno alcuna chance di insidiare la decisione di Vladimir Putin di correre per un quinto mandato non consecutivo al Cremlino. Tre gli indipendenti, compreso Putin, e otto i candidati presentati da partiti che a loro volta non minacciano il primato della formazione governativa Russia Unita e quindi il funzionamento della macchina del potere russo. I documenti sono stati registrati dalla Commissione elettorale ed entro il 18 gennaio chi non ha alle spalle un partito rappresentato in parlamento deve raccogliere 100mile firme e 300mila se si autocandida, con precise quote regionali. Un ‘filtro’ in passato usato per escludere eventuali partecipanti poco graditi al Cremlino.

Putin è uno degli ‘indipendenti’ e per le firme a suo sostegno sono all’opera 50 punti di raccolta solo a Mosca. Ovviamente una formalità, ma importante per un processo elettorale che è innanzitutto una verifica del funzionamento del sistema di convogliamento dei voti per il candidato del sistema di potere. Una ‘esercitazione’ che implica innanzitutto una forte partecipazione al voto, in quanto prova della legittimità del capo dello Stato, e il timore degli addetti ai lavori di rielezione di Putin è proprio quello di dover esagerare con gli espedienti per portare alle urne un elettorato che già conosce l’esito del voto. Putin vincerebbe anche senza forzature ma ha bisogno di un plebiscito per avviare un quinto mandato all’età di 72 anni e con la guerra in Ucraina che sarà entrata nel terzo anno al momento delle elezioni, fissate per il 17 marzo. Grazie alla riforma costituzionale del 2020, l’attuale presidente può in teoria restare al potere fino al 2036 ma il suo destino di leader è appeso all’esito del conflitto in Ucraina e un processo elettorale con inciampi e brogli graverebbe sulle decisioni riguardo la guerra. A scanso di sorprese, e con una stretta autoritaria che non si arresta da anni, l’opposizione ‘extraparlamentare’, ovvero le voci dissenzienti sono state escluse dalla gara con ampio anticipo. Esemplare il caso di Aleksey Navalny, che nel 2013 poteva partecipare alle elezioni per il sindaco di Mosca e oggi sconta una condanna a 19 anni di carcere in una colonia penale di sovietica memoria nella regione dell’Artico.

La pletora di candidati deve comunque servire a proiettare l’immagine di un contesto elettorale competitivo o perlomeno vario. Così in gara ci sono esponenti della cosiddetta ‘opposizione sistemica’, di formazioni politiche che siedono in parlamento e si muovono dentro un recinto di azione politica ammessa dal regime. Orfano del sulfureo e carismatico Zhirinovsky, il partito nazionalistico dei Liberal Democratici (Ldpr) presenta lo scialbo Leonid Slutsky, la cui unica proposta originale è l’iscrizione alle scuole superiori gratuita, sulla base di concorsi. Il Partito comunista della Federazione russa (Kprf) candida Nikolay Karitonov, che già nel 2018 si era piazzato secondo dopo Putin alle presidenziali. Motto: “Pane, pace e bene in ogni casa”.

Per Comunisti di Russia si presenta invece Sergey Malinkovic, nel cui programma spicca l’obiettivo di sferrare “dieci colpi staliniani al comunismo e all’imperialismo americano”. I due candidati comunisti raccoglieranno voti tra gli anziani e nelle regioni più in difficoltà economicamente, ma la forza elettorale dei seguaci di Lenin è da tempo in declino, fattore generazionale che riduce a poca cosa i rischi elettorali per il regime. In lizza anche due donne: Irina Spiridova 35enne del poco significativo Partito democratico che insiste sui temi della libertà in un Paese dove i diritti e la libera espressione sono ormai totalmente repressi. E la blogger Rada Russkikh, creatrice dell’omonimo brand di cosmesi, che ha faticato a raccogliere le firme per concorrere ma al secondo tentativo ce l’ha fatta e propone di perseguire “obiettivi elevati” e in particolare lottare contro la burocrazia.