Guerra in Medio Oriente, Israele: Hamas non ha dato nessuna prova che gli ostaggi siano ancora in vitaRoma, 14 nov. (askanews) – Attraverso uno dei suoi ministri, il governo israeliano ha chiarito di non aver avuto alcuna “prova di vita” dagli ostaggi detenuti nella Striscia di Gaza dai terroristi di Hamas. Anche la Croce Rossa non ha incontrato gli ostaggi, secondo la stessa fonte. E’ stato il ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen, dopo un incontro con il presidente del Comitato internazionale della Croce Rossa a Ginevra, a dare queste informazioni.
“Sono qui con il ministro della Sanità e le famiglie, e abbiamo avuto un incontro con il presidente del Cicr. Ad oggi, nessuno ha incontrato gli ostaggi. Non abbiamo prove di esistenza in vita”, ha dichiarato Cohen durante una conferenza stampa, “fino ad oggi, nessuno dei nostri ostaggi ha incontrato la Croce Rossa”.
La Nato: la situazione sul campo di battaglia in Ucraina è difficile. Non possiamo permettere che Putin vincaMilano, 14 nov. (askanews) – In Ucraina “gli intensi combattimenti continuano. La situazione sul campo di battaglia è difficile. E questo rende ancora più importante sostenere e intensificare il nostro sostegno all’Ucraina perché non possiamo permettere che il presidente Putin vinca”. Lo ha dichiarato il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg in vista dell’incontro del Consiglio Affari Esteri dell’Unione Europea con i Ministri della Difesa. “L’Ucraina deve prevalere come nazione sovrana e indipendente in Europa ed è nel nostro interesse sostenere l’Ucraina”, ha aggiunto.
M.O., storie dell’esilio palestinese, due testimonianzeRoma, 14 nov. (askanews) – La tragedia di Gaza è anche quella dei palestinesi e dei cooperanti che, all’estero, si trovano tagliati fuori da ogni contatto con amici e parenti. L’audiodocumentarista e scrittrice Marzia Coronati ha sentito due di loro, R., un medico ortopedico che ha lasciato Gaza due anni fa e Simone Scotta volontario che lavora in Cisgiordania.
R è un medico ortopedico, è andato via da Gaza due anni e mezzo fa, in cerca di un posto più sicuro e sereno dove potere vivere, l’obiettivo è aprire la strada anche ai suoi quattro figli e la moglie e portarli al di là del mare e del conflitto. In un umido pomeriggio romano di inizio novembre parliamo di fronte a una tazzina di caffè. Le comunicazioni sono tagliate e R non sa nulla della sua famiglia da due settimane. Fuma e guarda dritto davanti. Non se ne fa una ragione, è qui da quasi tre anni e ancora non è riuscito a fare trasferire la famiglia, manca sempre un dannato pezzo di carta e ora la guerra sta demolendo tutto. La sua casa, quello lo ha saputo, non c’è più, il sogno di una vita senza minacce, in una democrazia, per quel che il sostantivo può volere dire, anche questo, sotto le macerie. Ha parenti fuori i confini Gaza che possono aiutare la famiglia? Amici? Sostegno? Sì, ce li ha, ma la situazione non è migliore nel resto della Palestina, e poi da Gaza ora non esce nessuno. Telefono a Simone Scotta, un coetaneo conosciuto in Libano, vive a Gerusalemme da un paio d’anni. Simone coordina cinque squadre di volontari per lo più palestinesi che lavorano in altrettante regioni della Cisgiordania: in due territori vicino a Hebron, a Gerusalemme, a Betlemme e nella Valle del Giordano. Il progetto è del Consiglio ecumenico delle chiese e l’obiettivo è l’accompagnamento delle persone civili palestinesi: una scorta umanitaria nei quotidiani spostamenti dei giovani e meno giovani, per evitare ferimenti o violenze nella strada per andare a scuola o per tornare a casa. Sono servizi di volontariato che esistono da anni, perché doverosi e essenziali.
Chiamo e scopro che Simone è in Italia, lui e sua moglie sono stati evacuati una settimana dopo l’inizio della guerra. Quel 7 ottobre era a Gerusalemme, a casa, faceva colazione con la moglie quando ha sentito una sirena suonare “come quando ci sono razzi che arrivano, e probabilmente stavano arrivando… erano le otto e non sapevamo cosa stava succedendo, non avevamo ancora aperto le notizie… l’intervento di Hamas era del tutto inaspettato”. A differenza di R, Simone riesce ad avere contatti regolari con i suoi amici e colleghi in Cisgiordania. “La situazione è abbastanza pessima: centocinquanta scuole sono chiuse: ci sono i soldati israeliani che bloccano l’ingresso e gli studenti non possono accedere. A Hebron, dove ci sono ottocento coloni e centosessantamila cittadini palestinesi che abitano in città, c’è un coprifuoco, le persone dopo le venti devono rimanere a casa, se qualcuno prova a uscire viene subito arrestato. Via whatsapp Simone condivide una mappa: ci sono nove pallini viola, nove villaggi scomparsi in queste settimane, dissolti nel nulla, nove comunità che a causa di violenze e minacce hanno lasciato in modo definitivo le loro abitazioni, case di famiglia da decenni.
“Molti miei colleghi mi dicono che non è possibile per loro andare in ufficio, sanno che sulla strada potrebbero incontrare con molta probabilità delle dogane informali, check-point in cui vengono attuate perquisizioni fisiche violente, che terminano con ore di trattenimento in questura. Nei mesi scorsi ho ricevuto un bollettino redatto da Simone e i suoi colleghi:
1 giugno 2022, Khirbet Al Fakheit. Quattro strutture residenziali, che ospitavano 19 persone, sono state demolite Questa è stata la terza demolizione avvenuta nella comunità nel 2022
Netanyahu: se non sconfiggiamo oggi Hamas i prossimi saranno Europa e UsaRoma, 14 nov. (askanews) – “Dobbiamo vincere” contro Hamas “non solo per il nostro bene, ma per il bene dell’intero Medio Oriente, per il bene dei nostri vicini arabi”, perché “se non vinciamo adesso, la prossima sarà l’Europa” e poi gli americani saranno “i prossimi nella fila”, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, in un’intervista televisiva su Fox News.
“Non c’è nulla che possa sostituire la vittoria”, ha detto il il premier: “Dobbiamo far sì che le forze della civiltà sconfiggano questi barbari, perché altrimenti questa barbarie si diffonderà e metterà in pericolo il mondo intero. Ogni americano, ogni paese civilizzato, sarà in pericolo. Dobbiamo vincere”. Secondo il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu una vittoria nel sud, contro Hamas, è necessaria anche per scoraggiare Hezbollah nel nord di Israele: “Penso che sia un messaggio necessario, potrebbe non essere sufficiente, ma è sicuramente necessario” e senza di esso “non ci sarà sicuramente alcun deterrente nel nord”. Parlando a Fox News ha aggiunto che “Hamas pagherà per questo”.
Israele apre un corridoio verso Gaza sud dalle 9 alle 16Roma, 14 nov. (askanews) – L’esercito israeliano ha affermato che aprirà nuovamente un corridoio affinché le persone possano spostarsi verso sud all’interno della Striscia di Gaza dalle 9:00 (7:00 GMT) alle 16:00 (14:00), e sospenderà anche le ostilità per un periodo di tempo limitato tra le 10:00 (8:00 GMT) e le 14:00. 14:00 (mezzogiorno GMT) “nei quartieri di Al-Daraj e Al-Tuffah”.
Il messaggio si rivolge ai residenti di Gaza: “Per favore, per la vostra sicurezza, unitevi alle centinaia di migliaia di residenti che si sono trasferiti a sud negli ultimi giorni”, aggiungendo “residenti di Gaza, non arrendetevi a Hamas, che ha perso il controllo sul nord della Striscia di Gaza” e sta cercando di fare tutto il possibile per impedirvi di spostarvi a sud e proteggervi”. L’esercito avverte anche i palestinesi che sono in corso pesanti combattimenti vicino alla spiaggia, nel sud della Striscia.
Altre 200mila persone hanno lasciato il nord di GazaRoma, 14 nov. (askanews) – Altre 200.000 persone sono fuggite dal nord di Gaza dal 5 novembre, ha detto martedì l’ufficio umanitario delle Nazioni Unite.
AP riferisce che l’ufficio umanitario, noto come OCHA, afferma che solo un ospedale nel nord della Striscia di Gaza è in grado di ricevere pazienti. Tutti gli altri non sono più in grado di funzionare e servono per lo più come rifugi dai combattimenti. In tutto, circa 1,5 milioni di palestinesi, più di due terzi della popolazione di Gaza, hanno abbandonato le proprie case. I rifugi gestiti dalle Nazioni Unite nel sud sono gravemente sovraffollati, con una media di un bagno per 160 persone.
Oggi in Spagna l’ultimo Cdm, domani Sanchez in parlamento per l’investituraRoma, 14 nov. (askanews) – Il Governo spagnolo ad interim celebra questo martedì il suo ultimo Consiglio dei Ministri con la composizione attuale. Domani e mercoledì in parlamento il premier Pedro Sanchez cercherà di ottenere l’investitura per un nuovo esecutivo che prevedibilmente vedrà un significativo rimpasto di governo con una nuova distribuzione dei dicasteri tra PSOE e Sumar.
I ministri del governo Sßnchez rimasti dalle elezioni generali dello scorso 2019 sono in totale nove, tra cui le tre vicepresidenti, Nadia Calviño, Yolanda Díaz e Teresa Ribera; e i ministri María Jesús Montero, Fernando Grande-Marlaska, Luis Planas, José Luis Escrivß, Irene Montero e Alberto Garzón. Dopo le elezioni generali del 10 novembre 2019, i suddetti nove ministri hanno costituito il Governo Sßnchez insieme a Carmen Calvo, Pablo Iglesias, Arancha Gonzßlez Laya, Juan Carlos Campo, Margarita Robles, José Luis Ábalos, Isabel Celaß, Reyes Maroto, Salvador Illa , Carolina Darias, José Manuel Rodríguez Uribes, Pedro Duque e Manuel Castells.
Un anno dopo, nel gennaio 2021, il presidente ad interim del governo ha annunciato i primi cambiamenti. La designazione di Illa come candidato alla presidenza della Catalogna nelle elezioni del 14 febbraio gli ha fatto cessare l’incarico di capo del Ministero della Salute per essere sostituito da Darias, cambiamento che ha portato Iceta a farsi carico della presidenza il Ministero delle Politiche Territoriali e della Funzione Pubblica. Alla fine di marzo si è verificato un secondo rimodellamento dopo che il secondo vicepresidente del Governo e ministro dei Diritti Sociali e dell’Agenda 2030, Pablo Iglesias, ha annunciato le sue dimissioni e, qualche tempo dopo, si è candidato alla testa della lista Unidas Podemos nella elezioni della Comunità di Madrid il 4 maggio 2021.
Dopo le sue dimissioni, Calviño lo ha sostituito come secondo vicepresidente, pur mantenendo la carica di ministro degli Affari economici. La persona che ha assunto il portafoglio ministeriale di Iglesias è stata Ione Belarra. Da parte sua, Díaz ha continuato a dirigere il Ministero del Lavoro e dell’Economia Sociale ed è stata nominata terza vicepresidente. Il 10 luglio 2021 Sßnchez ha annunciato una ulteriore ristrutturazione sia dei ministeri che delle vicepresidenze e il cambio di alcuni ministri. Carmen Calvo, Pedro Duque, Arancha Gonzßlez Laya, Juan Carlos Campo, José Luis Ábalos, Isabel Celßa e José Manuel Rodríguez Uribes hanno cessato di far parte dell’Esecutivo.
Il quarto rimpasto di governo è avvenuto a dicembre, quando Castells si è dimesso per problemi di salute ed è stato sostituito da Joan Subirats. L’ultimo rimodellamento del governo è avvenuto nel marzo dello scorso anno, con la partenza di Maroto e Darias per candidarsi alle elezioni municipali. Sono stati sostituiti rispettivamente da Héctor Gómez e José Miñones. (Fonte Servimedia)
Vicino un accordo Hamas-Israele per il rilascio degli ostaggi (secondo il Washington Post)Roma, 14 nov. (askanews) – Un funzionario israeliano ha dichiarato al Washington Post che un accordo tra Hamas e Israele per il rilascio di diverse decine di donne e bambini ostaggi del gruppo estermista nella Striscia di Gaza è vicino e potrebbe essere annunciato entro pochi giorni.
“Le linee generali dell’accordo sono chiare”, ha detto il funzionario al Wp. Secondo lo schema delineato, gli ostaggi verrebbero rilasciati in gruppi, in cambio di donne e giovani palestinesi incarcerati in Israele. Israele punta al rilascio di 100 donne e bambini ma Hamas è pronto a liberarne 70. Il Wp cita un funzionario arabo che afferma che ci sono almeno 120 donne e giovani palestinesi nelle carceri israeliane che potrebbero essere rilasciati in cambio.
Secondo il rapporto, Israele accetterebbe anche un cessate il fuoco temporaneo della durata massima di cinque giorni, al fine di consentire un passaggio sicuro agli ostaggi e un afflusso di aiuti ai civili di Gaza.
Pazienti e medici intrappolati nel ospedale al-Shifa di GazaRoma, 14 nov. (askanews) – Pazienti e medici rimangono intrappolati nell’ospedale principale di Gaza dopo giorni di combattimenti tra le truppe israeliane e Hamas, mentre le agenzie umanitarie avvertono che i pazienti critici e i bambini sono a rischio di morte a causa della mancanza di carburante e della diminuzione delle scorte di cibo e acqua. Israele afferma che il quartier generale di Hamas è sotto l’ospedale, un’accusa che Hamas e i medici della struttura hanno negato. Lunedì il ministero della Sanità palestinese nella città di Ramallah, in Cisgiordania, ha affermato che almeno nove pazienti e sei bambini sono morti all’ospedale di al-Shifa, un tempo la pietra angolare del sistema sanitario di Gaza, a causa della carenza di carburante e della chiusura dei dipartimenti dopo l’emergenza sanitaria. L’ospedale è stato circondato dalle forze israeliane. “Non abbiamo generatori perché hanno bisogno di carburante per funzionare. Non c’è cibo, né acqua, né elettricità né carburante a Shifa e qui abbiamo a che fare con le vittime”, parla Munir al-Boursh, un medico che è anche sottosegretario del ministero della Sanità palestinese, parlando dall’interno dell’ospedale Dar al-Shifa.
“Non possiamo gestire questo numero enorme di casi. Se le persone vengono, non possiamo fare nulla per loro”.
M.O., Borrell: ecco i parametri per pensare il dopoguerra a GazaBruxelles, 13 nov. (askanews) – Tre “sì” e tre “no”, come “parametri” per pensare le soluzioni per il dopoguerra a Gaza: li ha proposti l’Alto Rappresentante per la Politica estera di sicurezza comune dell’Ue, Josep Borrell, ai ministri dei Ventisette durante la discussione di questo pomeriggio in Consiglio Ue, lanciando anche un avvertimento sibillino: la striscia dovrà essere parte del futuro Stato della Palestina, sotto “un’autorità nazionale palestinese” che non necessariamente, ha detto, dovrà essere “la” Autorità nazionale palestinese attuale.
Dopo averle messe sul tavolo dei ministri, Borrell ha spiegato le sue posizioni ai giornalisti nella conferenza stampa al termine del Consiglio. Dopo la fine della guerra, ha detto, “non si tratterà solo di ricostruire Gaza, ciò che abbiamo già fatto diverse volte, ma di costruire uno Stato per i palestinesi”, e per questo “sarà necessario affrontare il giorno dopo, anche se agli arabi non piace parlare del giorno dopo, vogliono parlare di oggi”. “E’ evidente – ha continuato l’Alto Rappresentante – che dobbiamo cercare alcuni parametri per cominciare a lavorare alla ricerca di una soluzione propizia alla pace: ho proposto ai ministri oggi un quadro concettuale che passa per lo stabilimento di alcune condizioni, e credo che i ministri siano d’accordo con questo approccio, sul quale dovremo lavorare immediatamente in collaborazione con gli Usa e senza dubbio con gli Stati arabi. Lo riassumerei in tre sì e tre no”.
Il primo dei tre “no” è, innanzitutto, “che non può esserci uno spostamento forzato della popolazione palestinese da Gaza, che non ci possono essere espulsioni dei palestinesi verso altri paesi”; in secondo luogo, “non si potrà ridurre il territorio di Gaza, no a modifiche territoriali, in altre parole, non ci potrà essere la rioccupazione permanente di Gaza da parte delle forze della Difesa israeliane, e non deve esserci neanche un ritorno di Hamas a Gaza”. In terzo luogo, “la soluzione di Gaza non dovrà essere tenuta distinta dalla questione palestinese nel suo complesso, la soluzione di Gaza deve essere all’interno della soluzione d’insieme che si darà al problema palestinese”. Quanto ai tre “sì”, ha aggiunto Borrell, questi riguardano “gli attori che si devono impegnare nella ricerca delle soluzioni: anzitutto, a Gaza deve tornare una Autorità Palestinese: ho detto – ha puntualizzato – ‘una’ Autorità, non ‘la’ Autorità Palestinese. Una Autorità palestinese i cui termini di riferimento e la cui legittimità – ha sottolineato – dovranno essere decisi e definiti dal Consiglio di Sicurezza. Questa Autorità dovrà essere fortemente sostenuta”.
“Questo – ha indicato l’Alto Rappresentante – è il secondo ‘sì’: un ‘sì’ a un forte coinvolgimento dei paesi arabi nella ricerca di una soluzione. So che i paesi arabi ora ci dicono che non vogliono parlare del giorno dopo, perché sono concentrati sull’oggi, sul dramma che si sta vivendo oggi. Ma non ci sarà una soluzione – ha avvertito Borrell – senza un impegno forte degli Stati arabi, che non può essere solo finanziario, non può essere solo pagare per la ricostruzione fisica; ma che dovrà contribuire politicamente alla costruzione dello Stato palestinese”. “Il terzo ‘sì’ è un maggiore impegno dell’Ue nella regione, in particolare nella costruzione dello Stato palestinese. Siamo stati troppo assenti – ha lamentato l’Alto Rappresentante – dalla soluzione di questo problema, che abbiamo delegato agli Stati Uniti: ma ora l’Europa deve impegnarsi di più, perché altrimenti, se non troviamo una soluzione ci sarà un ciclo di violenza che si perpetuerà di generazione in generazione, funerale dopo funerale”.
“Per contribuire a questa dinamica politica, dopodomani – ha annunciato – comincerò una visita in Israele, Palestina, Bahrain, Arabia Saudita, Qatar e Giordania”. Rispondendo a un giornalista che chiedeva di chiarire cosa intendesse con il suo distinguo tra l’attuale Autorità Palestinese e quella che dovrebbe occuparsi di Gaza nel dopoguerra, Borrell ha poi precisato: “Non ho inventato una nuova Autorità Palestinese; c’è già l’Autorità Palestinese e non occorre inventarne un’altra. Al contrario, bisogna rafforzare questa Autorità Palestinese. Israele le ha appena tagliato i fondi, e spero che la Commissione europea finisca ben presto la sua analisi sui possibili legami immaginati tra i nostri finanziamenti e Hamas. Penso che si debba concludere presto questa analisi”. “Si tratta – ha aggiunto – di dire di che tipo debba essere l’Autorità Palestinese, che evidentemente sarà in rapporto” con quella esistente, “non un’altra diversa, non complementare o separata”. Dovrà essere “un tipo di Autorità Palestinese per la quale bisogna immaginare il modo in cui sarà investita di potere dalla comunità internazionale”. “E’ normale – ha poi osservato Borrell – che l’Autorità Palestinese non voglia entrare a Gaza a bordo di un carro armato israeliano, è del tutto comprensibile. Ma non penso che si possa ristabilire l’ordine a Gaza senza l’intervento di un’Autorità palestinese. Se non si vuole che Gaza sia sotto la dominazione israeliana, e se non si vuole lasciarla di nuovo nelle mani di Hamas, è evidente che bisognerà in ogni caso che qualcuno sia investito. Se si dice che bisogna cercare una soluzione d’insieme per la Palestina, insieme per il territorio e per la popolazione palestinese, una sorta di Autorità palestinese dovrà intervenire”. “E’ evidente – ha detto infine Borrell – che il numero delle vittime civili sta aumentando, e che a un certo momento la comunità internazionale dovrà intervenire per ri-assicurare l’ordine e la ricostruzione di una popolazione che resterà là”, dentro la Striscia di Gaza. “Se diciamo che non vogliamo che questa popolazione se ne vada, allora bisogna che resti, non possiamo essere assurdi; e se resta allora come si organizzerà la sua vita, per poter bere, mangiare, curarsi? Inevitabilmente – ha concluso l’Alto Rappresentante – la comunità internazionale dovrà intervenire”.