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Spagna, destra in rivolta contro amnistia per indipendentisti catalani (che non c’è)

Spagna, destra in rivolta contro amnistia per indipendentisti catalani (che non c’è)Roma, 8 nov. (askanews) – La legge sull’amnistia agli indipendentisti catalani – da cui dipende l’investitura del premier uscente Pedro Sanchez – non è stata ancora presentata, anzi è ancora in fase negoziale e non se ne conosce alcun dettaglio: ma già la destra spagnola (mediatica, politica e soprattutto giudiziaria) è in rivolta.

Le manifestazioni di ieri a Madrid – convocate dall’ultradestra di Vox – ne sono la rappresentazione più folclorica, con le bandiere franchiste al vento. Ma non la più pericolosa – anche se gli inviti rivolti alla polizia a “disobbedire agli ordini che ritiene illegali” non vadano certo sottovalutati. Dal punto di vista politico, la strategia del Partito Popolare (Pp) e dell’estrema destra di Vox è chiara: mettere sotto assedio il nuovo esecutivo – posto che nasca – fin dall’inizio della legislatura, in modo da eroderne il consenso in vista della prossima tornata elettorale. Un’operazione avviata già durante l’inutile dibattito di investitura del leader conservatore Alberto Nuñez Feijoó, in cui la protagonista non fu la politica di governo del candidato premier, ma un’amnistia allora ancora inesistente.

La ribellione di una parte dei giudici – con un csm il cui rinnovo è bloccato da cinque anni per le manovre del Pp che non vuole perdere la maggioranza – tuttavia illustra un altro aspetto del problema. Ovvero quello che viene denominato l’”estado profundo” che è uscito dalla Transizione non dopo aver attraversato l’arduo sentiero del pentimento dalla dittatura, quanto piuttosto la comoda autostrada di un’oblio dettato dalle circostanze. Detto in altri termini, il nazionalismo spagnolo – contrapposto a quelli “periferici” – non è una semplice ideologia da libri di testo, ma una realtà con solide radici nello Stato e in una buona parte della società (compresa una buona parte dell’elettorato socialista) e ha i mezzi e gli strumenti per provare ad imporre la sua linea.

Il che significa che Sanchez potrà anche arrivare ad un accordo politico su una legge di amnistia – dai prevedibili futuri costi elettorali – ma è perfettamente possibile che il Tribunale Supremo o quello Costituzionale glielo cassi senza troppe cerimonie. Se ciò accadesse dopo l’investitura Sanchez potrebbe comunque contare sulla sfiducia costruttiva per mantenersi al governo fino alla fine della legislatura. Questo solo nell’ipotesi che i partiti catalani o baschi non gli votino contro, il che è improbabile. Però una loro astensione potrebbe rendere la maggioranza incerta – una condizione difficile da sopportare per i prossimi quattro anni.

Tuttavia, un accordo politico sull’amnistia – indipendentemente dalle decisioni contrarie successive della magistratura – potrebbe andar bene a tutte le parti in causa. Intanto, l’accordo sull’amnistia è solo l’ultimo anello della catena negoziale: tutti i partiti coinvolti hanno già incassato almeno una parte delle richieste avanzate per far parte della coalizione, e in particolare i catalani hanno ottenuto una ridiscussione del finanziamento regionale e il trasferimento delle competenze delle ferrovie regionali, che si trascinava da anni – oltre alla conferma del sempre improbabile tavolo di dialogo con Madrid. Paradossalmente, il siluro giudiziario all’amnistia darebbe a Junts e all’ex presidente della Generalitat Carles Puigdemont mano libera per continuare la sua politica più massimalista (prevedibilmente da moderare in caso di accordo), senza contare che un giorno più o meno lontano potrebbe essere la giustizia europea ad annullare comunque tutte le condanne. Sanchez da parte sua avrebbe dimostrato la propria buona volontà di arrivare a un accordo, approdando più o meno felicemente alla Moncloa senza poi dover effettivamente pagare il prezzo politico dell’applicazione dell’amnistia; se poi la legge dovesse finalmente andare in porto, potrebbe invece approfittarne per forzare un rinnovo della cupola della magistratura in senso più progressista. Al momento tuttavia i negoziati fra Psoe e Junts proseguono rigorosamente sottotraccia e fino a che non verrà fissata una data per l’investitura non potranno dirsi conclusi o quanto meno destinati definitivamente a buon fine; nulla è emerso sui contenuti se non che la discussione in corso verte sui limiti di applicazione della legge, ovvero quante persone debba effettivamente riguardare e per quali reati. Tutti aspetti sui quali è difficile immaginare che la destra non faccia ricorso, come già accadde con lo Statuto di Autonomia catalano approvato per referendum e bocciato dalla Corte Costituzionale: sentenza che, va ricordato, fu il catalizzatore della crescita esponenziale dell’indipendentismo. (di Maurizio Ginocchi)

Crosetto: la nave “Vulcano” con l’ospedale verso la zona della guerra

Crosetto: la nave “Vulcano” con l’ospedale verso la zona della guerraRoma, 8 nov. (askanews) – “Oggi partirà la nave Vulcano che è stata attrezzata con un ospedale che vogliamo mandare vicino alle zone interessate dalla guerra, perché è meglio dare segnali evidenti di quello che l’Italia pensa e di come intende muoversi. Le parole che abbiamo detto in questi mesi, vicinanza al popolo palestinese e condanna di Hamas, vogliamo trasformarle in atti concreti”, quindi “partirà la Vulcano con 170 persone, più 30 della Marina formate per emergenze sanitarie a cui si aggiungeranno un’altra trentina di tutte le Forze armate che saranno portate con un aereo. Oltre all’ospedale imbarcato, con sale operatorie, attrezzature diagnostiche, saranno portati anche medicinali, ma l’operazione umanitaria che l’Italia vuole portare avanti non si fermerà qua. Lo Stato maggiore della Difesa sta coordinando l’invio di un ospedale da campo su terra, che in accordo con i palestinesi possa andare direttamente sul terreno di Gaza”. Lo ha annunciato il ministro della Difesa Guido Crosetto in conferenza stampa.

“Queste iniziative le abbiamo condivise con altri Paesi sia europei, che Nato che arabi, dicendo che sia le porte della nave, sia del futuro ospedale da campo sono aperte al contributo di tutti, ma è un primo passo di un’iniziativa in cui vogliamo essere i primi non ci disturberà se altri ci supereranno nella volontà di donare aiuti umanitari”, ha aggiunto il ministro. “Vorrei che scoppiasse la gara dei Paesi senza divisioni per portare aiuto ai civili”, ha concluso.

Commissione Ue raccomanda avvio negoziati con Ucraina, Moldova e Bosnia

Commissione Ue raccomanda avvio negoziati con Ucraina, Moldova e BosniaBruxelles, 8 nov. (askanews) – La Commissione raccomanda al Consiglio Ue l’apertura dei negoziati di adesione con l’Ucraina, la Moldova e la Bosnia-Erzegovina. Lo ha annunciato oggi a Bruxelles la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, durante una conferenza stampa di presentazione del rapporto sull’allargamento dell’Unione, che il collegio dei commissari ha approvato.

Nonostante la guerra in corso, “l’Ucraina ha completato oltre il 90% delle azioni e riforme che erano state raccomandate dalla Commissione” per poter dare il via libera ai negoziati d’adesione, ha detto von der Leyen. E anche la Moldavia ha fatto molti progressi, in particolare per la riforma della giustizia, ha aggiunto. Comunque, sia per l’Ucraina che per la Moldavia, ha indicato la presidente della Commissione, sarà necessario completare tutte le riforme richieste prima che possa essere concordato il quadro negoziale tra i paesi candidati e il Consiglio Ue.

Per la Georgia, la Commissione raccomanda al Consiglio di concedere lo staus di candidato all’adesione. Riguardo ai tempi, von der Leyen ha spiegato che “La raccomandazione di aprire i negoziati di adesione sarà ora esaminata dal Consiglio a metà dicembre”. Se il Consiglio dà il via libera, “il lavoro può proseguire immediatamente”, e l’inizio dei negoziati “dipenderà dalla velocità del completamento delle riforme restanti” che sono in corso nei paesi candidati, per poter definire il “quadro negoziale” con ciascuno di loro. I paesi candidati dovrebbero “finire questo lavoro entro marzo”, ha detto von der Leyen.

Israele avanza a Gaza, tensioni tra Netanyahu e Usa

Israele avanza a Gaza, tensioni tra Netanyahu e UsaMilano, 8 nov. (askanews) – Il presidente Usa Joe Biden conferma di aver chiesto una ‘pausa’ di tre giorni nei combattimenti a Gaza al premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha affermato che le forze di difesa israeliane (Idf) stanno circondando Gaza City e operando al suo interno oltre ad aver già ucciso “migliaia di terroristi, dall’alto e dal sottosuolo”. Compreso il capo della divisione armi e attrezzature belliche di Hamas Muhsin Abu Zina: era “uno dei leader nella produzione di armi” per Hamas, hanno spiegato dall’Idf. E le tensioni tra l’amministrazione americana e Netanyahu sembrano confermate dalle parole del segretario di Stato Antony Blinken, che dal G7 di Tokyo ha detto che non ci può essere una nuova occupazione o un ridimensionamento del territorio a Gaza dopo la fine della guerra, pur ipotizzando “essere necessario un periodo di transizione”. PAUSE E FUTURO A GAZA Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, insieme con i ministri degli Esteri G7 di Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Giappone e Italia ha affermato di sostenere una pausa nei combattimenti “per facilitare l’assistenza urgentemente necessaria, lo spostamento dei civili e il rilascio degli ostaggi” detenuti da Hamas.

Tuttavia proprio Blinken da Tokyio ha affermato che “pace e sicurezza durature” nella regione significano “nessuna rioccupazione di Gaza dopo la fine del conflitto” e “nessun tentativo di bloccare o assediare Gaza”. Il futuro della Striscia deve essere l’unificazione con la Cisgiordania, secondo l’amministrazione americana, ma Blinken suggerisce che Israele possa governare la Striscia di Gaza per un “periodo di transizione”. “Gaza non può continuare ad essere governata da Hamas” ha detto Blinken. “Ciò inviterebbe semplicemente alla ripetizione del 7 ottobre. È anche chiaro che Israele non può occupare Gaza. Ora, la realtà è che potrebbe essere necessario un periodo di transizione alla fine del conflitto. Non vediamo una rioccupazione e quello che ho sentito dai leader israeliani è che non hanno alcuna intenzione di rioccupare Gaza”. Intervenendo a Tokyo, Blinken ha anche detto: “Tutti noi vogliamo porre fine a questo conflitto il prima possibile. E nel frattempo, ridurre al minimo le sofferenze dei civili. Ma come ho discusso con i miei colleghi del G7, coloro che chiedono un cessate il fuoco immediato hanno l’obbligo di spiegare come affrontare il risultato inaccettabile che probabilmente ne deriverebbe. Hamas è rimasto sul posto, con più di 200 ostaggi, con la capacità e l’intenzione dichiarata di ripetere il 7 ottobre, ancora, e ancora e ancora”.

PATATA BOLLENTE PER CAMPAGNA USA Il tutto mentre la guerra in Medio Oriente è entrata nel secondo mese e comincia a rappresentare una vera patata bollente per la campagna elettorale americana di Biden che nei giorni scorsi ha visto più di 50 dipendenti del Comitato Nazionale Democratico firmare una lettera aperta in cui si chiede a Biden sforzi per un cessate il fuoco. Mentre in queste ore il Congresso americano ha votato a favore di un provvedimento di censura per la retorica sulla guerra Israele-Hamas di Rashida Tlaib, l’unica esponente palestinese-americana del Congresso stesso. E anche in Gran Bretagna la questione mediorientale inizia a riguardare gli asset politici interni: Imran Hussain, portavoce del partito laburista britannico per i diritti dei lavoratori, ha dichiarato che si dimetterà dopo il rifiuto del capo del partito Keir Starmer di sostenere un cessate il fuoco umanitario a Gaza. Chiaro è comunque che Israele è sotto crescente pressione internazionale affinché prenda in considerazione una pausa umanitaria nelle operazioni contro Hamas a Gaza, ma l’esercito israeliano insiste che non ci sarà alcun cessate il fuoco ed è pronto a colpire il gruppo militante “ovunque sia necessario”, comprese le infrastrutture civili se Hamas le utilizza. Un piano postbellico di Israele che preveda una “occupazione continua” di Gaza è stato negato da parte del consigliere senior del primo ministro Netanyahu, Mark Regev intervistato da Christiane Amanpour della CNN. Anche se il ministro della Difesa Yoav Gallant afferma che Israele avrà piena libertà di azione a Gaza dopo la guerra. “MORTI CHE CAMMINANO” Jonathan Conricus, portavoce ad interim dell’esercito israeliano, ha descritto la leadership di Hamas dentro e fuori Gaza come “morti che camminano” in un’intervista a Sky News in Australia. Ha anche detto che il sistema di tunnel permette al gruppo terrorista di nascondersi, ma “lentamente li stiamo raggiungendo tutti e ogni giorno di lotta, si ottengono progressi”.

Intanto le forze di difesa israeliane affermano che le truppe hanno arrestato 37 palestinesi ricercati, tra cui 10 membri di Hamas, durante raid notturni in tutta la Cisgiordania. Il bilancio delle vittime da una parte e dall’altra del conflitto resta terrificante: almeno 1.300 civili e soldati uccisi nel massacro di Hamas il 7 ottobre, con 241 ostaggi tenuti a Gaza e 40 dispersi. Il Ministero della Sanità controllato da Hamas a Gaza parla da parte sua di oltre 10.000 morti.

M.O., Israele avanza a Gaza, tensioni tra Netanyahu e Usa

M.O., Israele avanza a Gaza, tensioni tra Netanyahu e UsaMilano, 8 nov. (askanews) – Il presidente Usa Joe Biden conferma di aver chiesto una ‘pausa’ di tre giorni nei combattimenti a Gaza al premier israeliano Benjamin Netanyahu, che ha affermato che le forze di difesa israeliane (Idf) stanno circondando Gaza City e operando al suo interno oltre ad aver già ucciso “migliaia di terroristi, dall’alto e dal sottosuolo”. Compreso il capo della divisione armi e attrezzature belliche di Hamas Muhsin Abu Zina: era “uno dei leader nella produzione di armi” per Hamas, hanno spiegato dall’Idf. E le tensioni tra l’amministrazione americana e Netanyahu sembrano confermate dalle parole del segretario di Stato Antony Blinken, che dal G7 di Tokyo ha detto che non ci può essere una nuova occupazione o un ridimensionamento del territorio a Gaza dopo la fine della guerra, pur ipotizzando “essere necessario un periodo di transizione”.

PATATA BOLLENTE PER CAMPAGNA USA Il tutto mentre la guerra in Medio Oriente è entrata nel secondo mese e comincia a rappresentare una vera patata bollente per la campagna elettorale americana di Biden che nei giorni scorsi ha visto più di 50 dipendenti del Comitato Nazionale Democratico firmare una lettera aperta in cui si chiede a Biden sforzi per un cessate il fuoco. Mentre in queste ore il Congresso americano ha votato a favore di un provvedimento di censura per la retorica sulla guerra Israele-Hamas di Rashida Tlaib, l’unica esponente palestinese-americana del Congresso stesso. E anche in Gran Bretagna la questione mediorientale inizia a riguardare gli asset politici interni: Imran Hussain, portavoce del partito laburista britannico per i diritti dei lavoratori, ha dichiarato che si dimetterà dopo il rifiuto del capo del partito Keir Starmer di sostenere un cessate il fuoco umanitario a Gaza.

Chiaro è comunque che Israele è sotto crescente pressione internazionale affinché prenda in considerazione una pausa umanitaria nelle operazioni contro Hamas a Gaza, ma l’esercito israeliano insiste che non ci sarà alcun cessate il fuoco ed è pronto a colpire il gruppo militante “ovunque sia necessario”, comprese le infrastrutture civili se Hamas le utilizza. Un piano postbellico di Israele che preveda una “occupazione continua” di Gaza è stato negato da parte del consigliere senior del primo ministro Netanyahu, Mark Regev intervistato da Christiane Amanpour della CNN. Anche se il ministro della Difesa Yoav Gallant afferma che Israele avrà piena libertà di azione a Gaza dopo la guerra. PAUSE E FUTURO A GAZA

Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, insieme con i ministri degli Esteri G7 di Gran Bretagna, Canada, Francia, Germania, Giappone e Italia ha affermato di sostenere una pausa nei combattimenti “per facilitare l’assistenza urgentemente necessaria, lo spostamento dei civili e il rilascio degli ostaggi” detenuti da Hamas. Tuttavia proprio Blinken da Tokyio ha affermato che “pace e sicurezza durature” nella regione significano “nessuna rioccupazione di Gaza dopo la fine del conflitto” e “nessun tentativo di bloccare o assediare Gaza”. Il futuro della Striscia deve essere l’unificazione con la Cisgiordania, secondo l’amministrazione americana, ma Blinken suggerisce che Israele possa governare la Striscia di Gaza per un “periodo di transizione”. “Gaza non può continuare ad essere governata da Hamas” ha detto Blinken. “Ciò inviterebbe semplicemente alla ripetizione del 7 ottobre. È anche chiaro che Israele non può occupare Gaza. Ora, la realtà è che potrebbe essere necessario un periodo di transizione alla fine del conflitto. Non vediamo una rioccupazione e quello che ho sentito dai leader israeliani è che non hanno alcuna intenzione di rioccupare Gaza”.

Intervenendo a Tokyo, Blinken ha anche detto: “Tutti noi vogliamo porre fine a questo conflitto il prima possibile. E nel frattempo, ridurre al minimo le sofferenze dei civili. Ma come ho discusso con i miei colleghi del G7, coloro che chiedono un cessate il fuoco immediato hanno l’obbligo di spiegare come affrontare il risultato inaccettabile che probabilmente ne deriverebbe. Hamas è rimasto sul posto, con più di 200 ostaggi, con la capacità e l’intenzione dichiarata di ripetere il 7 ottobre, ancora, e ancora e ancora”. “MORTI CHE CAMMINANO” Jonathan Conricus, portavoce ad interim dell’esercito israeliano, ha descritto la leadership di Hamas dentro e fuori Gaza come “morti che camminano” in un’intervista a Sky News in Australia. Ha anche detto che il sistema di tunnel permette al gruppo terrorista di nascondersi, ma “lentamente li stiamo raggiungendo tutti e ogni giorno di lotta, si ottengono progressi”. Intanto le forze di difesa israeliane affermano che le truppe hanno arrestato 37 palestinesi ricercati, tra cui 10 membri di Hamas, durante raid notturni in tutta la Cisgiordania. Il bilancio delle vittime da una parte e dall’altra del conflitto resta terrificante: almeno 1.300 civili e soldati uccisi nel massacro di Hamas il 7 ottobre, con 241 ostaggi tenuti a Gaza e 40 dispersi. Il Ministero della Sanità controllato da Hamas a Gaza parla da parte sua di oltre 10.000 morti.

Il G7 trova l’unità su Gaza: Israele si difenda, ma rispetti la legge

Il G7 trova l’unità su Gaza: Israele si difenda, ma rispetti la leggeTokyo, 8 nov. (askanews) – “Più uniti che mai”. I ministri degli Esteri del G7 chiudono la ministeriale di Tokyo, che segna il passaggio della presidenza del Gruppo all’Italia, con una dichiarazione comune che certifica la solidità di un blocco che si era presentato in Giappone con qualche piccola crepa. A destare più di una preoccupazione, alla vigilia dell’incontro, erano alcune sfumature di posizione dei Paesi membri sull’escalation militare tra Israele e Hamas. Differenze che sono state superate grazie a due giorni di colloqui “aperti e schietti”, che hanno consentito ai capi della diplomazia di Italia, Giappone, Stati Uniti, Canada, Germania, Francia e Regno Unito di esprimere con una voce comune una dura condanna degli attacchi di Hamas e un convinto “sostegno al diritto di Israele di difendersi”, seppur “in conformità con le leggi internazionali”. “Un’unità d’intenti” confermata anche in occasione dell’incontro bilaterale che il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha avuto con il segretario di Stato americano Antony Blinken. Durante i negoziati, a cui ha partecipato anche l’Alto rappresentante Ue per la Politica estera Josep Borrell, i ministri hanno chiesto “il rilascio immediato di tutti gli ostaggi senza precondizioni” ed hanno espresso preoccupazione per “l’aumento della violenza estremista commessa dai coloni”, definita “inaccettabile” nella dichiarazione finale del vertice. “Già da tempo abbiamo invitato i coloni israeliani a non compiere atti di violenza che poi si ritorcerebbero contro Israele stessa”, ha confermato Tajani, alludendo alla possibilità che atti ostili di questo tipo possano rappresentare una minaccia per le prospettive di una pace duratura. Pace che, d’altra parte, resta l’obiettivo finale di tutti i membri del G7 e del Governo italiano, in qualità di prossimo presidente del Gruppo. Israeliani e palestinesi hanno “lo stesso diritto di vivere in sicurezza, dignità e pace”, hanno sottolineato a questo proposito i capi della diplomazia, ribadendo che la soluzione a due Stati, che prevede che Israele e uno Stato palestinese vitale vivano fianco a fianco in pace, sicurezza e riconoscimento reciproco, rimane l’unica via verso una pace giusta, duratura e sicura”. Certo, servirà tempo e bisognerà preparare una “fase di transizione”, prevedendo magari la presenza a Gaza di un contingente dell’Onu, militare e civile, sul modello di quanto già avvenuto in Libano. Si tratterebbe di una sorta di “Unifil plus”, hanno spiegato fonti diplomatiche, facendo riferimento agli eventuali compiti che verrebbero assegnati ai peacekepers delle Nazioni Unite.

Nel frattempo, però, sarà necessaria “un’azione urgente” per affrontare il deterioramento della crisi umanitaria nella Striscia. Tutte le parti dovrebbero consentire il libero sostegno umanitario ai civili, compresi cibo, acqua, assistenza medica, carburante e alloggio, nonché l’accesso agli operatori umanitari, hanno concordato i ministri, esprimendo “fermo consenso” sull’ipotesi di instaurare “pause e corridoi umanitari” per facilitare l’assistenza necessaria, il movimento dei civili e il rilascio degli ostaggi. Un passaggio, questo, su cui si sono registrate le principali frizioni. Lo stesso Blinken, che ha descritto tutto ciò come “un lavoro in corso”, ha riconosciuto profonde divisioni sul concetto di pausa. D’altra parte, Israele non è totalmente convinto e le nazioni arabe e musulmane chiedono un cessate il fuoco immediato e totale, cosa a cui gli Stati Uniti e i loro alleati si oppongono. Il ministro britannico James Cleverly ha confermato a un gruppo selezionato di testate giornalistiche, tra cui l’Associated Press, che il suo governo sostiene solo una “pausa umanitaria” specifica, limitata nel tempo e geograficamente. Non un cessate il fuoco più ampio. “In primo luogo, non abbiamo visto e sentito assolutamente nulla che ci faccia credere che la leadership di Hamas sia seria riguardo al cessate il fuoco”, che ostacolerebbe la capacità di Israele di difendersi, ha affermato.Quanto agli altri temi sul tavolo, i ministri hanno ribadito il loro “fermo impegno a sostenere la lotta dell’Ucraina per la sua indipendenza, sovranità e integrità territoriale”, precisando che “non verrà mai meno”. Il G7 aumenterà la pressione economica sulla Russia e continuerà a lavorare per “robuste sanzioni e altre restrizioni contro Mosca”, hanno sottolineato i ministri nella loro dichiarazione finale. Una pace giusta e duratura non può essere realizzata senza il “ritiro immediato, completo e incondizionato” delle truppe e dell’equipaggiamento militare russo dal territorio riconosciuto a livello internazionale dell’Ucraina, hanno insistito, assicurando l’impegno a sostenere l’ulteriore sviluppo della Formula di Pace proposta dal presidente Volodymyr Zelensky.

Al contrempo, i capi della diplomazia del Gruppo hanno invitato i paesi terzi a non fornire assistenza economica e militare a Mosca. Fortemente indiziate, la Nordcorea e la Cina. Quest’ultima è stata indicata come un possibile interlocutore sulle sfide globali e sulle aree di interesse comune. “Siamo pronti a costruire relazioni costruttive e stabili con la Cina”, è stato spiegato. “Agiamo nel nostro interesse nazionale. Chiediamo a Pechino di impegnarsi con noi”. Di tutti questi temi si continuerà a discutere anche l’anno prossimo. Saranno al centro della presidenza italiana del G7, che ha tra i suoi principali obiettivi la pace e la difesa della democrazia contro le dittature e le autocrazie. Tajani ha annunciato che la ministeriale Esteri avrà luogo a Capri, dal 17 al 19 aprile prossimi. (di Corrado Accaputo)

G7 trova unità su Gaza: Israele si difenda, ma rispetti la legge

G7 trova unità su Gaza: Israele si difenda, ma rispetti la leggeTokyo, 8 nov. (askanews) – “Più uniti che mai”. I ministri degli Esteri del G7 chiudono la ministeriale di Tokyo, che segna il passaggio della presidenza del Gruppo all’Italia, con una dichiarazione comune che certifica la solidità di un blocco che si era presentato in Giappone con qualche piccola crepa. A destare più di una preoccupazione, alla vigilia dell’incontro, erano alcune sfumature di posizione dei Paesi membri sull’escalation militare tra Israele e Hamas. Differenze che sono state superate grazie a due giorni di colloqui “aperti e schietti”, che hanno consentito ai capi della diplomazia di Italia, Giappone, Stati Uniti, Canada, Germania, Francia e Regno Unito di esprimere con una voce comune una dura condanna degli attacchi di Hamas e un convinto “sostegno al diritto di Israele di difendersi”, seppur “in conformità con le leggi internazionali”. “Un’unità d’intenti” confermata anche in occasione dell’incontro bilaterale che il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha avuto con il segretario di Stato americano Antony Blinken.

Durante i negoziati, a cui ha partecipato anche l’Alto rappresentante Ue per la Politica estera Josep Borrell, i ministri hanno chiesto “il rilascio immediato di tutti gli ostaggi senza precondizioni” ed hanno espresso preoccupazione per “l’aumento della violenza estremista commessa dai coloni”, definita “inaccettabile” nella dichiarazione finale del vertice. “Già da tempo abbiamo invitato i coloni israeliani a non compiere atti di violenza che poi si ritorcerebbero contro Israele stessa”, ha confermato Tajani, alludendo alla possibilità che atti ostili di questo tipo possano rappresentare una minaccia per le prospettive di una pace duratura. Pace che, d’altra parte, resta l’obiettivo finale di tutti i membri del G7 e del Governo italiano, in qualità di prossimo presidente del Gruppo. Israeliani e palestinesi hanno “lo stesso diritto di vivere in sicurezza, dignità e pace”, hanno sottolineato a questo proposito i capi della diplomazia, ribadendo che la soluzione a due Stati, che prevede che Israele e uno Stato palestinese vitale vivano fianco a fianco in pace, sicurezza e riconoscimento reciproco, rimane l’unica via verso una pace giusta, duratura e sicura”. Certo, servirà tempo e bisognerà preparare una “fase di transizione”, prevedendo magari la presenza a Gaza di un contingente dell’Onu, militare e civile, sul modello di quanto già avvenuto in Libano. Si tratterebbe di una sorta di “Unifil plus”, hanno spiegato fonti diplomatiche, facendo riferimento agli eventuali compiti che verrebbero assegnati ai peacekepers delle Nazioni Unite.

Nel frattempo, però, sarà necessaria “un’azione urgente” per affrontare il deterioramento della crisi umanitaria nella Striscia. Tutte le parti dovrebbero consentire il libero sostegno umanitario ai civili, compresi cibo, acqua, assistenza medica, carburante e alloggio, nonché l’accesso agli operatori umanitari, hanno concordato i ministri, esprimendo “fermo consenso” sull’ipotesi di instaurare “pause e corridoi umanitari” per facilitare l’assistenza necessaria, il movimento dei civili e il rilascio degli ostaggi. Un passaggio, questo, su cui si sono registrate le principali frizioni. Lo stesso Blinken, che ha descritto tutto ciò come “un lavoro in corso”, ha riconosciuto profonde divisioni sul concetto di pausa. D’altra parte, Israele non è totalmente convinto e le nazioni arabe e musulmane chiedono un cessate il fuoco immediato e totale, cosa a cui gli Stati Uniti e i loro alleati si oppongono. Il ministro britannico James Cleverly ha confermato a un gruppo selezionato di testate giornalistiche, tra cui l’Associated Press, che il suo governo sostiene solo una “pausa umanitaria” specifica, limitata nel tempo e geograficamente. Non un cessate il fuoco più ampio. “In primo luogo, non abbiamo visto e sentito assolutamente nulla che ci faccia credere che la leadership di Hamas sia seria riguardo al cessate il fuoco”, che ostacolerebbe la capacità di Israele di difendersi, ha affermato.

Quanto agli altri temi sul tavolo, i ministri hanno ribadito il loro “fermo impegno a sostenere la lotta dell’Ucraina per la sua indipendenza, sovranità e integrità territoriale”, precisando che “non verrà mai meno”. Il G7 aumenterà la pressione economica sulla Russia e continuerà a lavorare per “robuste sanzioni e altre restrizioni contro Mosca”, hanno sottolineato i ministri nella loro dichiarazione finale. Una pace giusta e duratura non può essere realizzata senza il “ritiro immediato, completo e incondizionato” delle truppe e dell’equipaggiamento militare russo dal territorio riconosciuto a livello internazionale dell’Ucraina, hanno insistito, assicurando l’impegno a sostenere l’ulteriore sviluppo della Formula di Pace proposta dal presidente Volodymyr Zelensky. Al contrempo, i capi della diplomazia del Gruppo hanno invitato i paesi terzi a non fornire assistenza economica e militare a Mosca. Fortemente indiziate, la Nordcorea e la Cina. Quest’ultima è stata indicata come un possibile interlocutore sulle sfide globali e sulle aree di interesse comune. “Siamo pronti a costruire relazioni costruttive e stabili con la Cina”, è stato spiegato. “Agiamo nel nostro interesse nazionale. Chiediamo a Pechino di impegnarsi con noi”.

Di tutti questi temi si continuerà a discutere anche l’anno prossimo. Saranno al centro della presidenza italiana del G7, che ha tra i suoi principali obiettivi la pace e la difesa della democrazia contro le dittature e le autocrazie. Tajani ha annunciato che la ministeriale Esteri avrà luogo a Capri, dal 17 al 19 aprile prossimi. (di Corrado Accaputo)

Lavrov: Usa costringono l’Ue a sanzioni anti-russe e comprano il nostro uranio

Lavrov: Usa costringono l’Ue a sanzioni anti-russe e comprano il nostro uranioMilano, 8 nov. (askanews) – Gli Usa continuano ad acquistare uranio e altri materiali critici dalla Russia. Lo ha evidenziato il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov in un incontro con i capi delle missioni diplomatiche accreditati a Mosca in una tavola rotonda sull’Ucraina, lamentando inoltre che Mosca ancora non riesce a ottenere una risposta chiara dall’Occidente sull’inchiesta sulle esplosioni al gasdotto Nord Stream e accusando i Paesi occidentali di stare coprendo tutte le informazioni. “Né la Germania, né la Norvegia, né la Svezia, che sono coinvolte in queste indagini a livello nazionale, niente” ha detto.

“Costringendo l’UE ad abbandonare tutto ciò che è russo, Washington continua ad acquistare uranio e altri materiali critici dalla Russia”, ha detto Lavrov. Il tutto in seguito al fatto che ha visto ieri l’annunciata sospensione di Washington e degli Alleati Nato un altro trattato siglato alla fine della Guerra Fredda – quello sulle forze convenzionali – dopo che il Cremlino ha concluso la procedura per l’uscita. La notizia arriva a poca distanza dal ritiro della ratifica di Mosca di un altro trattato: quello che mette al bando gli esperimenti nucleari (Ctbt). “Comprendiamo perfettamente che le sanzioni imposte contro di noi nel prossimo futuro, e anche a lungo termine, non scompariranno. Non ne abbiamo bisogno, non perché scegliamo l’isolazionismo, l’autarchia. L’Occidente ha deciso di distruggere l’economia mondiale per dare una lezione alla Russia”, ha detto il ministro.

Lavrov stesso è preso di mira dalle sanzioni dell’Unione Europea: recentemente ha chiesto alla Macedonia del Nord di rendere possibile la sua partecipazione alla fine di novembre alla riunione ministeriale dell’OSCE a Skopje, ha annunciato lunedì il suo omologo macedone Bujar Osmani. Poi ha aggiunto che questa richiesta pone tuttavia “alcune sfide perché lo spazio aereo della Macedonia del Nord e dei vicini è chiuso ai voli operati da aerei statali russi”. Va ricordato che a giugno 2022 Bulgaria, Macedonia del nord e Montenegro avevano chiuso lo spazio aereo al ministro degli Esteri russo che ha così annullato un viaggio a Belgrado. Parlando di Ucraina infine Lavrov ha anche detto che gli sforzi dell’Onu per riprendere l’accordo sul grano non hanno portato a nulla e questo – a suo dire – dimostra l’impotenza dell’organizzazione.

Negli Usa gli elettori difendono l’aborto: vittorie dem in diversi Stati

Negli Usa gli elettori difendono l’aborto: vittorie dem in diversi StatiRoma, 8 nov. (askanews) – La questione dell’aborto negli Stati Uniti supera i confini della lotta tra partiti e soprattutto dei campi elettorali che intendono schierarsi con Joe Biden o Donald Trump in vista delle presidenziali che si terranno tra un anno. Dall’America arrivano i risultati delle principali sfide elettorali ‘di fine anno’ e che vedevano in gioco la guida di due Stati e il controllo legislativo in altri, oltre a referendum su diversi argomenti che dividono, in primis il diritto all’interruzione della gravidanza.

I democratici hanno vinto in Kentucky e Ohio, due stati che hanno votato per Trump nel 2020. Per entrambe le sfide, l’aborto è stato il tema principale della campagna. Il governatore democratico del Kentucky Andy Beshear è stato rieletto, malgrado il forte sbilanciamento elettorale dello Stato a favore di Trump tre anni fa: 26 punti percentuali di vantaggio. Beshear in campagna aveva criticato le opinioni sull’aborto dello sfidante repubblicano, il procuratore generale Daniel Cameron, in dibattiti e spot televisivi e ha presentato il caso di una ragazzina che ha abortito dopo essere stata violentata dal patrigno all’età di 12 anni: Cameron è contro l’interruzione di gravidanza anche in caso di stupro e incesto.

In Ohio, che nel 2020 ha concesso a Trump un vantaggio di otto punti percentuali, è stato approvato un provvedimento che preserva il diritto all’aborto. I repubblicani avevano già tentato di far deragliare la misura con un referendum lo scorso agosto che mirava a rendere più difficile l’approvazione di simili misure elettorali, ma l’iniziativa è stata categoricamente respinta dagli elettori.In Virginia, i democratici hanno capitalizzato su una campagna incentrata sulla protezione del diritto all’aborto e hanno vinto le elezioni legislative, riprendendo il pieno controllo dell’Assemblea Generale dopo due anni. Il risultato rappresenta una batosta per il governatore repubblicano Glenn Youngkin. Nel New Jersey i democratici hanno estromesso un senatore repubblicano populista che due anni fa a sorpresa aveva sconfitto il presidente del Senato, al termine di una campagna tra le più contestate di quest’anno e ha visto più spese politiche di qualsiasi altra corsa. Il democratico John Burzichelli ha infatti sconfitto il repubblicano Ed Durr. I democratici hanno intanto mantenuto il controllo della maggioranza legislativa. “Penso che i problemi delle donne abbiano avuto un ruolo molto importante in questa gara”, ha detto Burzichelli a NJ PBS ieri in serata.

Direzione contraria in Mississippi, dove il governatore repubblicano Tate Reeves ha conquistato un secondo mandato nello stato conservatore dove il Gop domina. Reeves ha sconfitto lo sfidante Brandon Presley. “Questo è il momento del Mississippi,” ha detto Reeves esultando dopo i risultati.

Usa, elettori a difesa dell’aborto: vittorie dem in diversi Stati

Usa, elettori a difesa dell’aborto: vittorie dem in diversi StatiRoma, 8 nov. (askanews) – La questione dell’aborto negli Stati Uniti supera i confini della lotta tra partiti e soprattutto dei campi elettorali che intendono schierarsi con Joe Biden o Donald Trump in vista delle presidenziali che si terranno tra un anno. Dall’America arrivano i risultati delle principali sfide elettorali ‘di fine anno’ e che vedevano in gioco la guida di due Stati e il controllo legislativo in altri, oltre a referendum su diversi argomenti che dividono, in primis il diritto all’interruzione della gravidanza.

I democratici hanno vinto in Kentucky e Ohio, due stati che hanno votato per Trump nel 2020. Per entrambe le sfide, l’aborto è stato il tema principale della campagna. Il governatore democratico del Kentucky Andy Beshear è stato rieletto, malgrado il forte sbilanciamento elettorale dello Stato a favore di Trump tre anni fa: 26 punti percentuali di vantaggio. Beshear in campagna aveva criticato le opinioni sull’aborto dello sfidante repubblicano, il procuratore generale Daniel Cameron, in dibattiti e spot televisivi e ha presentato il caso di una ragazzina che ha abortito dopo essere stata violentata dal patrigno all’età di 12 anni: Cameron è contro l’interruzione di gravidanza anche in caso di stupro e incesto.

In Ohio, che nel 2020 ha concesso a Trump un vantaggio di otto punti percentuali, è stato approvato un provvedimento che preserva il diritto all’aborto. I repubblicani avevano già tentato di far deragliare la misura con un referendum lo scorso agosto che mirava a rendere più difficile l’approvazione di simili misure elettorali, ma l’iniziativa è stata categoricamente respinta dagli elettori. In Virginia, i democratici hanno capitalizzato su una campagna incentrata sulla protezione del diritto all’aborto e hanno vinto le elezioni legislative, riprendendo il pieno controllo dell’Assemblea Generale dopo due anni. Il risultato rappresenta una batosta per il governatore repubblicano Glenn Youngkin.

Nel New Jersey i democratici hanno estromesso un senatore repubblicano populista che due anni fa a sorpresa aveva sconfitto il presidente del Senato, al termine di una campagna tra le più contestate di quest’anno e ha visto più spese politiche di qualsiasi altra corsa. Il democratico John Burzichelli ha infatti sconfitto il repubblicano Ed Durr. I democratici hanno intanto mantenuto il controllo della maggioranza legislativa. “Penso che i problemi delle donne abbiano avuto un ruolo molto importante in questa gara”, ha detto Burzichelli a NJ PBS ieri in serata.

Direzione contraria in Mississippi, dove il governatore repubblicano Tate Reeves ha conquistato un secondo mandato nello stato conservatore dove il Gop domina. Reeves ha sconfitto lo sfidante Brandon Presley. “Questo è il momento del Mississippi,” ha detto Reeves esultando dopo i risultati.