Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Reporters senza frontiere: mai la libertà di stampa è stata minacciata in così tanti Paesi

Reporters senza frontiere: mai la libertà di stampa è stata minacciata in così tanti Paesi

Roma, 3 mag. (askanews) – La libertà dei media è in pessime condizioni in un numero record di Paesi, secondo l’ultimo rapporto di Reporters senza frontiere (Rsf), che avverte che la disinformazione, la propaganda e l’intelligenza artificiale rappresentano minacce crescenti per il giornalismo. L’Italia, è però riuscita a scalare la classifica nell’ultimo anno, attestandosi al 41esimo posto su 180, e guadagnando 17 posizioni rispetto al 2022.

Il World Press Freedom Index rivela una situazione scioccante, con 31 paesi considerati in una “situazione molto grave” e con un punteggio molto basso, senza precedenti, rispetto ai 21 di due anni fa. L’aumento dell’aggressività da parte di governi autocratici – e di alcuni che sono considerati democratici – unita a “massicce campagne di disinformazione o propaganda” ha fatto peggiorare la situazione, secondo l’elenco, pubblicato da Rsf.

“C’è più rosso sulla mappa di RSF quest’anno che mai, poiché i leader autoritari diventano sempre più audaci nei loro tentativi di mettere a tacere la stampa”, ha detto al Guardian il segretario generale di Rsf, Christophe Deloire. “La comunità internazionale deve prendere coscienza della realtà e agire insieme, in modo deciso e rapido, per invertire questa tendenza pericolosa”. Oggi ricorre il 30mo anniversario della prima Giornata mondiale della libertà di stampa, istituita per ricordare ai governi il loro dovere di sostenere la libertà di espressione. Tuttavia, l’ambiente per il giornalismo oggi è considerato “cattivo” in sette paesi su 10 e soddisfacente solo in tre su 10, secondo Rsf. L’Onu afferma che l’85% delle persone vive in paesi in cui la libertà dei media è diminuita negli ultimi cinque anni.

L’indagine valuta lo stato dei media in 180 paesi e territori, esaminando la capacità dei giornalisti di pubblicare notizie di interesse pubblico senza interferenze e senza minacce alla propria incolumità.

Il rapporto mostra che i rapidi progressi tecnologici stanno consentendo ai governi e agli attori politici di distorcere la realtà. “La differenza tra vero e falso, reale e artificiale, fatti e artifici si sta offuscando, mettendo a repentaglio il diritto all’informazione”, afferma il rapporto. “La capacità senza precedenti di manomettere i contenuti viene utilizzata per indebolire coloro che incarnano il giornalismo di qualità e indebolire il giornalismo stesso”. L’intelligenza artificiale sta “provocando ulteriore scompiglio nel mondo dei media”, si aggiunge, con strumenti di intelligenza artificiale “che digeriscono i contenuti e li rigurgitano sotto forma di sintesi che violano i principi di rigore e affidabilità”. Allo stesso tempo, i governi stanno combattendo sempre più una guerra di propaganda. La Russia, che era già precipitata in classifica lo scorso anno dopo l’invasione dell’Ucraina, è scesa di altre nove posizioni, mentre i media statali ripetono servilmente la linea del Cremlino mentre i media dell’opposizione sono costretti all’esilio.

Tagikistan, India e Turchia, sono passati dalla “situazione problematica” alla categoria più bassa. L’India ha registrato un calo particolarmente netto, sprofondando di 11 posizioni, fino alla 161esima, dopo le acquisizioni dei media da parte di oligarchi vicini a Narendra Modi. In Turchia, l’amministrazione del presidente Recep Tayyip Erdo?an ha intensificato la persecuzione dei giornalisti in vista delle elezioni del 14 maggio, ha affermato Rsf. La Turchia imprigiona più giornalisti di qualsiasi altra democrazia.

Alcuni dei maggiori cali dell’indice del 2023 si sono verificati in Africa. Fino a poco tempo fa modello regionale, il Senegal è sceso di 31 posizioni, principalmente a causa delle accuse penali mosse contro due giornalisti, Pape Alé Niang e Pape Ndiaye. La Tunisia ha perso 27 posizioni a causa del crescente autoritarismo del presidente Kais Saied. Il Medio Oriente è la regione più pericolosa del mondo per i giornalisti. Ma le Americhe non hanno più nessun paese colorato di verde, che significa “buono”, sulla mappa della libertà di stampa. Gli Stati Uniti sono scesi di tre posizioni al 45esimo posto. La regione Asia-Pacifico è trascinata al ribasso da regimi ostili ai giornalisti, come il Myanmar (173esimo) e l’Afghanistan (152esimo).

I paesi nordici sono invece da tempo in testa alla classifica Rsf dei Paesi più virtuosi e la Norvegia è rimasta al primo posto nell’indice sulla libertà di stampa per il settimo anno consecutivo. Ma al secondo posto si è classificato un paese non nordico: l’Irlanda. I Paesi Bassi sono tornati tra i primi 10, salendo di 22 posizioni, dopo l’omicidio del 2021 del reporter di cronaca nera Peter R de Vries . Il Regno Unito si trova al 26esimo posto.

Rapporto Rsf: mai libertà di stampa minacciata in così tanti Paesi

Rapporto Rsf: mai libertà di stampa minacciata in così tanti PaesiRoma, 3 mag. (askanews) – La libertà dei media è in pessime condizioni in un numero record di Paesi, secondo l’ultimo rapporto di Reporters senza frontiere (Rsf), che avverte che la disinformazione, la propaganda e l’intelligenza artificiale rappresentano minacce crescenti per il giornalismo. L’Italia, è però riuscita a scalare la classifica nell’ultimo anno, attestandosi al 41esimo posto su 180, e guadagnando 17 posizioni rispetto al 2022.

Il World Press Freedom Index rivela una situazione scioccante, con 31 paesi considerati in una “situazione molto grave” e con un punteggio molto basso, senza precedenti, rispetto ai 21 di due anni fa. L’aumento dell’aggressività da parte di governi autocratici – e di alcuni che sono considerati democratici – unita a “massicce campagne di disinformazione o propaganda” ha fatto peggiorare la situazione, secondo l’elenco, pubblicato da Rsf. “C’è più rosso sulla mappa di RSF quest’anno che mai, poiché i leader autoritari diventano sempre più audaci nei loro tentativi di mettere a tacere la stampa”, ha detto al Guardian il segretario generale di Rsf, Christophe Deloire. “La comunità internazionale deve prendere coscienza della realtà e agire insieme, in modo deciso e rapido, per invertire questa tendenza pericolosa”.

Oggi ricorre il 30mo anniversario della prima Giornata mondiale della libertà di stampa, istituita per ricordare ai governi il loro dovere di sostenere la libertà di espressione. Tuttavia, l’ambiente per il giornalismo oggi è considerato “cattivo” in sette paesi su 10 e soddisfacente solo in tre su 10, secondo Rsf. L’Onu afferma che l’85% delle persone vive in paesi in cui la libertà dei media è diminuita negli ultimi cinque anni. L’indagine valuta lo stato dei media in 180 paesi e territori, esaminando la capacità dei giornalisti di pubblicare notizie di interesse pubblico senza interferenze e senza minacce alla propria incolumità.

Il rapporto mostra che i rapidi progressi tecnologici stanno consentendo ai governi e agli attori politici di distorcere la realtà. “La differenza tra vero e falso, reale e artificiale, fatti e artifici si sta offuscando, mettendo a repentaglio il diritto all’informazione”, afferma il rapporto. “La capacità senza precedenti di manomettere i contenuti viene utilizzata per indebolire coloro che incarnano il giornalismo di qualità e indebolire il giornalismo stesso”. L’intelligenza artificiale sta “provocando ulteriore scompiglio nel mondo dei media”, si aggiunge, con strumenti di intelligenza artificiale “che digeriscono i contenuti e li rigurgitano sotto forma di sintesi che violano i principi di rigore e affidabilità”. Allo stesso tempo, i governi stanno combattendo sempre più una guerra di propaganda. La Russia, che era già precipitata in classifica lo scorso anno dopo l’invasione dell’Ucraina, è scesa di altre nove posizioni, mentre i media statali ripetono servilmente la linea del Cremlino mentre i media dell’opposizione sono costretti all’esilio.

Tagikistan, India e Turchia, sono passati dalla “situazione problematica” alla categoria più bassa. L’India ha registrato un calo particolarmente netto, sprofondando di 11 posizioni, fino alla 161esima, dopo le acquisizioni dei media da parte di oligarchi vicini a Narendra Modi. In Turchia, l’amministrazione del presidente Recep Tayyip Erdo?an ha intensificato la persecuzione dei giornalisti in vista delle elezioni del 14 maggio, ha affermato Rsf. La Turchia imprigiona più giornalisti di qualsiasi altra democrazia. Alcuni dei maggiori cali dell’indice del 2023 si sono verificati in Africa. Fino a poco tempo fa modello regionale, il Senegal è sceso di 31 posizioni, principalmente a causa delle accuse penali mosse contro due giornalisti, Pape Alé Niang e Pape Ndiaye. La Tunisia ha perso 27 posizioni a causa del crescente autoritarismo del presidente Kais Saied.

Il Medio Oriente è la regione più pericolosa del mondo per i giornalisti. Ma le Americhe non hanno più nessun paese colorato di verde, che significa “buono”, sulla mappa della libertà di stampa. Gli Stati Uniti sono scesi di tre posizioni al 45esimo posto. La regione Asia-Pacifico è trascinata al ribasso da regimi ostili ai giornalisti, come il Myanmar (173esimo) e l’Afghanistan (152esimo).

I paesi nordici sono invece da tempo in testa alla classifica Rsf dei Paesi più virtuosi e la Norvegia è rimasta al primo posto nell’indice sulla libertà di stampa per il settimo anno consecutivo. Ma al secondo posto si è classificato un paese non nordico: l’Irlanda. I Paesi Bassi sono tornati tra i primi 10, salendo di 22 posizioni, dopo l’omicidio del 2021 del reporter di cronaca nera Peter R de Vries. Il Regno Unito si trova al 26esimo posto.

Chi tra i leader non è stato invitato all’incoronazione di Carlo (a parte Putin)

Chi tra i leader non è stato invitato all’incoronazione di Carlo (a parte Putin)Roma, 2 mag. (askanews) – Vladimir Putin, il presidente della Russia, non è stato invitato a partecipare all’incoronazione di re Carlo di questo fine settimana. Lo ha riportato l’agenzia di stampa Reuters. Come Putin, non figurano nella lista degli invitati i leader di Bielorussia, Iran, Myanmar, Afghanistan e Venezuela. Kim Jong Un, leader della Corea del Nord, non è stato invitato, ma è stato offerto un posto a un alto diplomatico. Sono stati tutti invitati i capi di stato dei Paesi con cui il Regno Unito intrattiene piene relazioni diplomatiche, così come i leader dei territori e dei regni d’oltremare.

Turchia alle urne il 14 maggio, referendum su Erdogan dopo 20 anni al potere

Turchia alle urne il 14 maggio, referendum su Erdogan dopo 20 anni al potereRoma, 2 mag. (askanews) – A meno di due settimane dall’apertura delle urne per le presidenziali e le legislative in Turchia, si prospetta la tornata elettorale più difficile degli ultimi 20 anni per il capo di stato e leader turco, Recep Tayyip Erdogan. Dopo due decenni di accentramento del potere, gestione personalistica della politica interna ed estera del Paese, e di repressione del dissenso e delle minoranze, Erdogan appare vulnerabile e la sua autorità contestabile. Complici un’inflazione galoppante oltre il 50% (per gli esperti al 100%) con conseguente erosione del potere d’acquisto – di cui molti elettori accusano il presidente per la sua politica poco ortodossa di rifiuto di innalzamento dei tassi di interesse – e il terribile terremoto che ha causato la morte di oltre 50mila persone e ha lasciato milioni di turchi senza casa in 11 province, tra cui i feudi dello stesso Erdogan, la vittoria non sembra a portata di mano.

Lo slancio della sua politica, che ha portato la Turchia al centro dello scacchiere geopolitico ed energetico, sembra aver perso smalto. E complice il malcontento della popolazione e il sisma, il programma dell’opposizione potrebbe dopo due decadi attrarre la maggioranza degli elettori. Il 14 maggio si giocherà la prima battaglia: nessuno dei quattro candidati, compreso Erdogan, sembra avere la possibilità di superare il 50% delle preferenze già al primo turno. Per questo è molto probabile che si vada al ballottaggio per le presidenziali due settimane più tardi, il 28 maggio.

Gli altri candidati alla presidenza sono Muharrem Ince, il leader centrista del Partito della Patria, il candidato della destra Sinan Ogan e il leader della coalizione di sei partiti d’opposizione Kemal Kilicdaroglu, il rivale più probabile per Erdogan al secondo turno. Mentre 24 partiti politici e 151 candidati indipendenti si contendono i seggi nel parlamento turco composto da 600 membri. In quest’ultima contesa, il partito di governo, Akp, non dovrebbe avere problemi a mantenere gran parte dei seggi. I sondaggi prevedono un record di affluenza alle urne quest’anno, con quasi sei milioni di elettori al primo voto (che hanno conosciuto soltanto il capo di stato uscente come presidente), e una corsa serrata tra Erdogan e Kilicdaroglu, il leader del Partito popolare repubblicano (Chp) e candidato alla presidenza per il blocco a sei partiti dell’Alleanza della nazione.

Kilicdaroglu, 74 anni, è riuscito a mettere d’accordo un fronte molto etereogeneo, composto da nazionalisti, liberali e socialdemocratici, coeso su un programma che prevede il superamento dell’iperpresidenzialismo, l’istituzione di un sistema centrato sul parlamento, la rimozione del potere di veto presidenziale, il ripristino dell’indipendenza della Banca centrale e il rafforzamento dello stato di diritto. Il Chp si trova a lottare al fianco del nazionalista Partito buono (Iyi) e a quattro gruppi più piccoli che includono anche ex alleati di Erdogan, il partito del Futuro (Gp), il partito della Felicità (Sp), il Partito democratico (Dp), il Partito democrazia e progresso (Deva). Kilicdaroglu ha anche l’esplicito appoggio del secondo partito di opposizione, il filo-curdo Hdp, che ha definito le presidenziali le “più cruciali della storia della Turchia”. Il partito filo-curdo, a causa dei processi in corso contro molti dei suoi membri per la presunta affiliazione con i militanti curdi, ha deciso di competere alle politiche sotto il cappello della Sinistra verde e senza un suo candidato ufficiale per la presidenza.

L’Alleanza nazionale, inoltre, vuole riavviare il percorso di Ankara verso l’adesione all’Ue e ripristinare “la fiducia reciproca” con gli Stati uniti dopo anni di frizioni nel corso dell’era Erdogan. Inoltre, dal punto di vista economico, il programma prevede di riportare l’inflazione sotto il 10% nei prossimi due anni. Un fattore critico per la rielezione di Erdogan è legato al terremoto e alla distribuzione geografica di parte dei suoi elettori. La maggior parte delle province colpite dal sisma di febbraio, infatti, sono roccaforti di Erdogan e del suo partito Akp: il capo del Consiglio elettorale supremo (Ysk) Ahmet Yener ha dichiarato il mese scorso che almeno un milione di elettori nelle zone colpite dal terremoto non potranno votare a causa dello sfollamento.

Secondo i sondaggi, al primo turno Kilicdaroglu otterrebbe il 42,6% mentre Erdogan si fermerebbe al 41,1%. A togliere preferenze al candidato dell’alleanza di opposizione sarebbe Ince che gode di una percentuale che si aggira intorno al 5%, secondo un sondaggio MetroPoll.

Il destino politico di Erdogan, però, potrebbe essere determinato anche dai curdi turchi: secondo un altro rilevamento MetroPoll del mese scorso è probabile che la stragrande maggioranza degli elettori dell’Hdp voterà per il principale rivale di Erdogan.

Si apre quindi la strada per una possibile vittoria di Kilicdaroglu. Secondo gli analisti, però, nel caso di un cambio al vertice Erdogan potrebbe non cedere il potere al suo successore senza lottare e contestare il risultato elettorale, soprattutto se non fosse netto. La percentuale degli indecisi, secondo l’Economist, potrebbe giocare un ruolo: si tratta di oltre il 13% degli aventi diritto che ancora non hanno scelto il proprio candidato. Erdogan, si legge, potrebbe “trarre vantaggio dal suo standing personale, dal sostegno del fronte conservatore, dal controllo delle risorse pubbliche e delle istituzioni statali e dell’influenza sui media e sulle autorità elettorali”. Il presidente uscente ha anche “ristabilito le tattiche di ‘economia elettorale’ per rafforzare il sostegno a suo favore, annunciando una vasta gamma di benefici, da un consistente aumento dei salari e pensioni a bassi tassi per il credito e un abbassamento dell’età pensionabile”.

Per quanto riguarda le elezioni parlamentari, la Turchia segue un sistema di rappresentanza proporzionale in cui il numero di seggi che un partito ottiene è direttamente proporzionale ai voti raccolti. La soglia di sbarramento è stata abbassata dal 10% al 7%. I seggi apriranno il 14 maggio alle 8:00 ora locale (le 7:00 in Italia) e chiuderanno alle 17:00 (le 16:00 in Italia). . I risultati sono attesi dopo le 21:00 ora locale (le 20 in Italia). (di Daniela Mogavero)

”I russi hanno fallito”: tra Usa e Russia la guerra delle cifre sui morti in Ucraina

”I russi hanno fallito”: tra Usa e Russia la guerra delle cifre sui morti in UcrainaRoma, 2 mag. (askanews) – “Il tentativo della Russia di un’offensiva nel Donbass in gran parte attraverso Bakhmut è fallito”: queste parole del portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale Usa John Kirby hanno scatenato un’ulteriore guerra, sul numero delle perdite da parte russa e ucraina. Un dato sensibile per valutare l’andamento del conflitto, il possibile esito e, soprattutto, per la tenuta dei rispettivi fronti interni.

Secondo Kirby, in base alle stime statunitensi più di 20.000 soldati russi sono stati uccisi nei combattimenti in Ucraina dal mese di dicembre e altri 80.000 sono rimasti feriti. “La Russia non è stata in grado di impadronirsi di alcun territorio strategico e significativo. Stimiamo che abbia subito più di 100.000 vittime, di cui oltre 20.000 uccise in azione”, ha detto ieri l’alto funzionario Usa. Sulla questione oggi è intervenuto direttamente il Cremlino. Gli Stati uniti non possono sapere quante persone ha perso la Russia nell’operazione speciale in Ucraina, ha dichiarato il portavoce presidenziale russo Dmitry Peskov, esortando a fare riferimento ai dati del ministero della Difesa russa. “Tirando fuori cifre dal cappello, Washington non ha la possibilità di fornire cifre corrette, non hanno tali dati, è così che dovrebbe essere trattato. È necessario concentrarsi solo su quelle cifre che vengono pubblicate in un modo tempestivo dal Ministero della Difesa russo”, ha affermato.

Senza citare i dati forniti da parte americana, anche il ministro della Difesa russo oggi ha rilanciato. Sergey Shoigu, in una riunione con funzionari del suo dicastero, ha infatti sostenuto che l’esercito ucraino ha perso oltre 15.000 uomini solo nel mese di aprile, “malgrado l’assistenza militare senza precedenti da parte dei Paesi occidentali”. Le cifre non sono verificabili, né da una parte né dall’altra. Ma non è la prima volta che gli Usa forniscono dati su pesanti perdite russe. All’inizio di marzo il capo di Stato maggiore americano, il generale Mark Milley, ha detto che 1.200 russi sono stati uccisi a Bakhmut in un solo giorno: “è come Iwo Jima”, ha dichiarato il generale, riferendosi alla storica – e sanguinosa – battaglia con cui i Marines statunitensi presero a febbrario 1945 l’omonima isola giapponese.

Secondo documenti di intelligence statunitensi trapelati sui social media, la Russia avrebbe subito perdite più che doppie rispetto all’Ucraina durante i combattimenti concentrati nel Sud-est ucraino. Un file citato da The Insider in particolare suggerisce che la Russia abbia avuto tra 35.500 e 43.000 soldati uccisi in azione e tra 154.000 e 180.000 soldati feriti, per un totale di 189.500 e fino a 223.000 vittime. L’Ucraina, invece, avrebbe registrato tra 15.500 e 17.500 soldati uccisi in azione e tra 109.000 e 113.500 soldati feriti, per un totale da 124.500 a 131.000 vittime. The Insider precisa di non essere stato in grado di verificare in modo indipendente queste cifre e non è chiaro quando, esattamente, siano stati compilati i dati trapelati, tuttavia gran parte dei documenti considerati risalgono alla fine di febbraio e l’inizio di marzo. In un quadro di guerra aperta in corso, è in generale impossibile verificare, e i dati sulle vittime fanno parte dello scontro, perché in grado di condizionare il morale delle truppe e delle opinioni pubbliche.

I dati diffusi da parte russa danno ovviamente un quadro completamente diverso. A fine marzo il ministero della Difesa ha riferito di 1.351 morti e 3.825 feriti, due settimane dopo il portavoce del Cremlino Peskov ha parlato di “considerevoli perdite” senza fornire numeri precisi. Ma una fonte ‘dissidente’ come il fondatore di Conflict Intelligence Team, Ruslan Leviv, ha racconto a fine febbraio che le perdite russe in Ucraina ammontano come minimo a 130mila uomini, sino a un massimo ipotizzabile – due mesi fa – di 270mila morti.

Il padrino dell’intelligenza artificiale lascia Google. Hinton: rischi per l’umanità

Il padrino dell’intelligenza artificiale lascia Google. Hinton: rischi per l’umanitàMilano, 2 mag. (askanews) – Geoffrey Hinton, considerato il padrino dell’intelligenza artifificiale, lascia a 75 anni il suo posto di lavoro a Google, dove lavorava da oltre un decennio proprio per sviluppare sistemi di intelligenza artificiale. L’annuncio in un colloquio con il New York Times: “L’intelligenza artificiale pone profondi rischi per la società e l’umanità”, ha detto Hinton che ha spiegato di essere preoccupato dai sistemi di Ai generativa come ChatGpt.

“Consolo me stesso con una normale scusa: se non l’avessi fatto io, qualcun altro avrebbe sviluppato i primi sistemi di intelligenza artificiale”, ha detto al quotidiano newyorkese. Ora, ha chiosato, “è difficile immaginare come evitare che cattivi personaggi utilizzino un cattivi programmi”.

Secondo gli Usa da dicembre oltre 20.000 soldati russi sono morti in azione in Ucraina

Secondo gli Usa da dicembre oltre 20.000 soldati russi sono morti in azione in UcrainaRoma, 2 mag. (askanews) – Più di 20.000 soldati russi sono stati uccisi nei combattimenti in Ucraina dallo scorso mese di dicembre, secondo le stime statunitensi. Altri 80.000 sono rimasti feriti, ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale John Kirby, citando l’intelligence. La metà delle vittime proviene dalla compagnia di mercenari Wagner, nelle ultime settimane operativa in particolare nella città orientale di Bakhmut.

“Il tentativo della Russia di un’offensiva nel Donbass in gran parte attraverso Bakhmut è fallito”, ha detto Kirby ai giornalisti. “La Russia non è stata in grado di impadronirsi di alcun territorio strategico e significativo. Stimiamo che abbia subito più di 100.000 vittime, di cui oltre 20.000 uccise in azione”, ha aggiunto. Il bilancio di Bakhmut rappresenta le perdite dall’inizio di dicembre, secondo i dati statunitensi forniti da Kirby. “La conclusione è che il tentativo di offensiva della Russia è fallito dopo mesi di combattimenti e perdite straordinarie”, ha detto il funzionario Usa.

Ucraina: non ci risulta alcuna missione di pace del Vaticano

Ucraina: non ci risulta alcuna missione di pace del VaticanoRoma, 2 mag. (askanews) – L’Ucraina ha reso noto di “non essere a conoscenza” di una missione di pace che coinvolge il Vaticano per risolvere il conflitto con la Russia. “Il presidente Zelensky non ha acconsentito a tali discussioni per conto dell’Ucraina”, ha detto alla CNN un funzionario di Kiev vicino all’ufficio presidenziale.

“Se ci sono colloqui, stanno avvenendo a nostra insaputa o senza la nostra benedizione”, ha aggiunto la fonte ucraina. Papa Francesco ha spiegato domenica ai giornalisti che è in corso una missione del Vaticano per porre fine alla guerra in Ucraina. “La missione è in corso adesso, ma non è ancora pubblica”, ha detto dopo un viaggio di tre giorni in Ungheria. “Quando sarà pubblica, la rivelerò”, ha aggiunto il Papa.

La scorsa settimana, il primo ministro ucraino Denys Shmyhal ha incontrato il Santo Padre in Vaticano e ha detto di aver discusso della “formula di pace” proposta dal presidente Volodymyr Zelensky. In occasione dell’incontro, il primo ministro ha invitato il Papa a visitare l’Ucraina.

Bce: nel primo trimestre 2023 accelera la stretta del credito bancario alle imprese dell’eurozona

Bce: nel primo trimestre 2023 accelera la stretta del credito bancario alle imprese dell’eurozonaRoma, 2 mag. (askanews) – L’inasprimento del credito bancario nell’area euro si è ulteriormente accentuato nel primo trimestre, con oltre una banca su quattro, il 27% che ha riportato una stretta sui criteri di concessione di finanziamenti alle imprese. Lo riporta la Banca centrale europea nella sua indagine trimestrale, precisando che “il ritmo di inasprimento è rimasto ai livelli più elevati dalla crisi dei debiti pubblici del 2011”.

Le banche dell’eurozona hanno riportato inasprimenti anche sui criteri di erogazione di mutui alle famiglie, in questo caso un 19%, e in misura più contenuta sui criteri per la concessione di prestiti al consumo, con un 10% netto di banche. La Bce precisa che i livelli di inasprimento relativi a prestiti a imprese sui mutui si sono rivelati superiori a quanto le stesse banche attendevano nella precedente indagine, e che questo sviluppo segnala un continuo indebolimento della dinamica dei prestiti.

Le principali determinanti di questa stretta, secondo la Bce, sono state la percezione del rischio e la minore tolleranza ai rischi stessi da parte delle banche. Un ulteriore elemento che ha guidato il comportamento degli istituti di credito è stato rappresentato dall’aumento dei tassi di interesse da parte della stessa Bce e il calo delle liquidità disponibile che hanno aumentato i costi di finanziamento di imprese, famiglie delle stesse banche. Per il secondo trimestre del 2023 di quest’anno le banche si attendono un ulteriore inasprimento dei criteri di concessione dei prestiti sia alle imprese che alle famiglie, seppure a ritmi più moderati. Per lo specifico segmento del credito al consumo è previsto un inasprimento analogo a quello riportato sul primo trimestre.

Le banche monitorate hanno riportato un forte calo, superiore alle attese sulla domanda di prestiti da parte delle imprese, sviluppo che in questo caso viene imputato al rialzo dei tassi deciso dalla stessa autorità di Francoforte. Nel frattempo anche il calo della domanda di mutui da parte delle famiglie è rimasto forte e a sua volta collegato con il netto aumento dei tassi di interesse. Il calo della domanda di prestiti a consumo è stato invece più contenuto.

Papa Francesco: sono disposto a fare tutto quello che si deve fare per la pace in Ucraina

Papa Francesco: sono disposto a fare tutto quello che si deve fare per la pace in UcrainaRoma, 2 mag. (askanews) – “Disposto a fare tutto quello che si deve fare per la pace in Ucraina”, pronto ad aiutare il presidente Volodomyr Zelensky per riportare nel Paese i bambini rapiti in Russia, forte dell’asse con il metropolita Hilarion che ha incontrato nel corso del viaggio a Budapest. Sul volo di ritorno dall’Ungheria, dove è stato tre giorni, papa Francesco rivela, in una intervista riportata dai quotidiani italiani tra cui Corriere della Sera e Repubblica, che è in corso una “missione” vaticana.

“Hilarion – spiega Papa Francesco – è una persona che io rispetto tanto. L’ho visto tre volte a Budapest. Lei si immagina che non abbiamo parlato solo di cappuccetto rosso: a tutti interessa la strada della pace. Col patriarca Kirill ho parlato una sola volta da quando è iniziata la guerra, poi tramite il metropolita Antoni, che ha preso il posto di Hilarion (come “ministro degli Esteri” di Kirill, ndr), sono in collegamento con lui. Con Kirill c’è in sospeso l’incontro che dovevamo avere a Gerusalemme a luglio o giugno dell’anno scorso, e per la guerra è stato sospeso: ma si dovrà fare. E poi con i russi ho un rapporto buono con l’ambasciatore uscente presso la Santa Sede, è un grande uomo, molto equilibrato. Io sono disposto fare tutto quello che si deve fare. Adesso è in corso una missione che ancora non è pubblica: quando sarà pubblica ne parlerò”. Quanto alla richesta di aiuto da parte del presidente ucraino per riportare in patria i bambini portati forzosamente in Russia, il Papa è fiducioso di poter aiutare: “Penso di sì perché la Santa Sede ha fatto da intermediario in alcune delle situazione di scambio di prigionieri tramite l’ambasciata: quella è andata bene, penso che può andare bene anche questo. È importante. Almeno, la Santa Sede è disposta a farlo perché è una cosa giusta e dobbiamo aiutare affinché questo non sia un casus belli ma un caso umano, un problema di umanità prima che un problema di bottino di guerra o di trasloco di guerra”.

Sua Santità si è soffermato anche sulle condizioni di salute e ha confermato il viaggio a Lisbona: “Voi vedete che non è lo stesso di due anni fa, col bastone adesso va meglio, ma per il momento non è cancellato il viaggio. Poi c’è il viaggio a Marsiglia, poi c’è il viaggio in Mongolia, e poi l’ultimo che non ricordo dove. Ancora il programma mi fa muovere, vediamo”.