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Lettonia, nella Base Nato: “Ci addestriamo per difendere confine est”

Lettonia, nella Base Nato: “Ci addestriamo per difendere confine est”Adazi (Riga), 28 apr. (askanews) – I militari si esercitano a ritmo serrato. Si simula un’attività di combattimento nei centri urbani. Si sentono gli spari, i proiettili sono a salve, ma è tutto come se fosse reale. Corrono tra i boschi, i militari, tra loro anche i tiratori scelti, si fanno scudo a vicenda, indossano i pesanti giubbotti antiproiettili, sul capo gli elmetti con il tipico piumetto dei bersaglieri. Poco distante, nel lungo corridoio degli uffici, c’è un gran daffare: nella cellula operativa cibernetica si monitora h24 la situazione per evitare attacchi; l’ufficio a fianco è la parte logistica che organizza con attenzione le attività quotidiane dei militari.

Le mimetiche dei Bersaglieri si mescolano alle divise dei carabinieri dell’Arma. Ma nel corridoio del Comando Nse (National Support Element) si incrociano anche militari spagnoli e canadesi. Siamo nella Base Nato di Adazi, in Lettonia, a circa 30 chilometri dalla capitale Riga e a 300 dal confine con la Russia. Una base composta da circa 4000 soldati, uomini e donne, la cui attività sta diventando sempre più strategica per la loro posizione al confine Est dell’Alleanza dopo l’invasione russa in Ucraina. Il contingente italiano qui ha un ruolo decisivo. Askanews ha visitato la Base, trascorrendo una giornata a fianco dei militari italiani. Il contingente italiano – il terzo per entità numerica dopo Canada e Spagna – è inserito nell’eFP Battle Group Lettonia. E’ composto da circa 250 militari, tra donne e uomini, che si alternano a cadenza semestrale. Attualmente il contingente italiano, arrivato oramai alla XII rotation, è composto su base Brigata Bersaglieri ‘Garibaldi’ dell’Esercito Italiano, e si suddivide in una componente operativa e in una di supporto nazionale. La decisione di schierare delle unità militari nei Paesi Baltici ed in Polonia è stata presa nel luglio del 2016 con il Vertice Nato di Varsavia, dove si espresse la volontà di porre in essere alcune ‘misure di garanzia’ per tutti quei Paesi membri dell’Alleanza che percepivano un deterioramento della sicurezza ai propri confini. Tra queste misure era compresa la enhanced Forward Presence (eFP), la cui attività – è bene chiarirlo fin da subito – è di natura difensiva.

L’obiettivo, infatti, è il rafforzamento del principio della deterrenza, per contribuire in maniera concreta a preservare la pace e l’integrità territoriale dell’area euro-atlantica contro ogni possibile aggressione e minaccia esterna. ‘Siamo sempre pronti’, ripetono dalla base di Adazi. Anche se la guerra non ha influito sull’attività del contingente italiano e l’allerta non è aumentata. Il Tenente Colonnello Massimiliano Erra è il comandante del Task Group Baltic da dicembre 2022. ‘L’Italia, a seguito del vertice di Varsavia nel 2016, nel 2017 ha aderito a questa attività, inviando un gruppo di soldati italiani, inserito in un battaglione a guida canadese. Il nostro Paese ha aderito subito e responsabilmente alla richiesta di partecipare a questa attività. Con i nostri 250 soldati – spiega ad askanews – siamo il terzo contingente per presenza numerica qui in Lettonia, dopo Canada e Spagna. Il supporto che dà l’Italia è estremamente concreto’.

Il compito principale del contingente italiano, in linea con il mandato Nato, è quello della deterrenza. ‘Quello che svolgiamo qui, attraverso una razionalizzazione di tutte le unità addestrative, è quello della deterrenza, per evitare un deterioramento della pace verso questi territori. L’obiettivo è garantire la pace, la tranquillità e l’unità territoriale dei nostri alleati Nato, qui nel confine est, attraverso una serie di esercitazioni e attività addestrative estremamente razionalizzate’. Il comandante ci tiene a precisare che ‘qui ad Adazi si respira un’atmosfera normale e tranquilla, nonostante la vicinanza al confine con la Russia. La nostra attività, fin dal 2017, non è mai cambiata. I soldati italiani qui si addestrano tutti i giorni, costantemente, con l’obiettivo di integrarsi anche con gli altri Paesi dell’Alleanza’. Nessuna escalation di tensione? ‘Ovviamente – risponde il Ten. Col. Erra – è intrinseco nell’essere soldati avere sempre un massimo livello di allerta, qualunque sia la condizione geopolitica del momento. Ma non c’è nessuna escalation del livello di allarme o rischi particolari dopo l’invasione della Russia in Ucraina. Non ci sono state minacce concrete, la situazione è tranquilla, viviamo in armonia insieme agli altri Paesi che contribuiscono alla formazione del Battle Group, è un’esperienza estremamente esaltante per i nostri soldati, poter lavorare insieme mantenendo il principio della Nato – insieme per la sicurezza delle nostre Nazioni’.

Il principio guida, dunque, è l’articolo 5, ovvero quello che regola la possibilità di intervento difensivo dei Paesi alleati in caso di un attacco sul suolo di un membro Nato. Di questo ha parlato anche il segretario generale dell’Alleanza, Jens Stoltenberg, giunto nella Base di Adazi nel marzo 2022, proprio mentre in Ucraina arrivavano i missili russi. ‘La nostra presenza qui in Lettonia manda un inequivocabile messaggio di unità e risolutezza: il nostro impegno nei confronti dell’articolo 5 è assoluto’, aveva detto Stontelberg in quell’occasione. E proprio all’indomani della sua visita era arrivata la decisione di raddoppiare il numero di Battlegroup. I paesi diventavano così otto: oltre ai tre Paesi Baltici e alla Polonia, le truppe pronte al combattimento si addestrano ora anche in Romania, Slovacchia, Slovenia e Bulgaria. Quella di Camp Adazi è una delle quattro Basi dove la Nato ha sviluppato e continua a rafforzare il suo fianco orientale che separa Ucraina, Bielorussia e Russia dai 31 Paesi dell’Alleanza, pronti a rispondere se un solo colpo d’artiglieria russo dovesse cadere oltre la linea di confine, lungo 200 chilometri.

Nell’area addestrativa di Camp Adazi, l’Italia schiera carri armati ‘Ariete’, veicoli di combattimento ‘Dardo’, blindo ‘Centauro’ e veicoli tattici multiruolo ‘Lince’. A guidare la Compagnia nel Battaglione multinazionale è il capitano Pierre Ciampi, proveniente dall’8° Reggimento Bersaglieri ‘Garibaldi’. ‘La compagnia italiana – spiega – si articola su due plotoni di fanteria meccanizzata e un plotone carri su base Ariete. Oltre a questo abbiamo un nucleo tiratori scelti, un nucleo JTAC e una squadra comando. L’Italia, inoltre, mette a disposizione del Battle Group un plotone esplorante su base blindo ‘Centauro’, un plotone di decontaminazione CBRN e un plotone di difesa aerea a corta gittata’.

‘Ci addestriamo quotidianamente – prosegue il capitano -. Abbiamo la capacità di combattere di giorno e di notte, con camere termiche e visori notturni, una capacità ogni tempo. Ci troviamo molto bene anche dal punto di vista tecnologico’. Un reparto veramente competitivo. ‘La compagnia – spiega Ciampi – è stata selezionata dal Battle Group multinazionale per recarsi in Estonia, nella seconda decade di maggio, per svolgere una grande esercitazione multinazionale denominata Spring Storm che vedrà circa 15mila unità confrontarsi nel territorio estone. Sarà un’attività molto interessante’.

Poco distante, in un’altra area della base, si addestra un plotone di decontaminazione. A guidarlo è il Maresciallo ordinario Pasquale Simone Montefusco, effettivo al 7° Reggimento Difesa CBRN Cremona, di stanza a Civitavecchia. ‘Siamo l’unico assetto presente in Lettonia sotto il Battle Group Difesa Multinazionale. Qui si addestra un plotone di decontaminazione di personale, mezzi e materiali militari in seguito a una eventuale contaminazione chimica o biologica’, spiega. ‘Dopo una prima operazione di decontaminazione del personale con una particolare procedura di svestizione, viene effettuata la decontaminazione del veicolo per far sì che si possano proseguire le operazioni militari’.

C’è infine una unità JTAC, impegnata nel controllo di assetti aerei da combattimento in situazioni dove le truppe di terra si trovano a distanza ravvicinata con il nemico. A guidarla è una donna, il Graduato Scelto Martina Marchionna, Comandante del Team JTAC, proveniente dal 3° Reggimento Artiglieria Terrestre (da montagna). ‘Forniamo supporto di collegamento tra l’assetto aereo e la forza di manovra di terra – spiega -. Inoltre possiamo controllare anche il fuoco di superficie e quello navale. Come Team JTAC abbiamo avuto l’opportunità di partecipare a una esercitazione multinazionale che ha visto coinvolte la eFP di Estonia, Lettonia e Lituania. Una attività di tre settimane, nei tre Paesi, con l’obiettivo di integrare tutti i team JTAC delle varie eFP in modo da confrontarsi’.

Al termine del Summit di Madrid del 29 giugno 2022, la Nato ha stabilito di potenziare la Base in Lettonia, elevandola da livello di Battaglione a Brigata. Il punto 9 della dichiarazione, infatti, definisce il dispiegamento di ‘ulteriori forze robuste e pronte al combattimento sul fianco orientale’. ‘Accogliamo con favore le offerte iniziali degli alleati per il nuovo modello di forze della Nato – si legge nella dichiarazione – che rafforzerà e modernizzerà la struttura delle forze della Nato e fornirà risorse alla nostra nuova generazione di piani militari. Potenzieremo le nostre esercitazioni di difesa collettiva per essere pronti ad operazioni ad alta intensità e multidominio e per garantire il rafforzamento di qualsiasi alleato con breve preavviso. Tutte queste misure rafforzeranno in modo sostanziale la deterrenza e le difese avanzate della Nato. Ciò contribuirà a prevenire qualsiasi aggressione contro il territorio della Nato, negando a qualsiasi potenziale avversario di raggiungere i propri obiettivi’. Ad Adazi, dunque, si passerà dagli attuali 4mila soldati a un numero ben maggiore.

Infine, come si legge sul sito del Ministero della Difesa della Lettonia, la perla del Baltico intende sviluppare altri campi di addestramento come Lacusils, un centro di addestramento nella regione di Aluksne, o Mezaine – vicino a Skrunda – e Meza Mackevici, nella regione di Augsdaugava. Tutte le basi militari sono abitualmente impegnate nell’addestramento delle truppe delle Forze Armate Nazionali della Lettonia e della Guardia Nazionale. Ma anche le truppe alleate partecipano a queste esercitazioni per essere pronte a difendere la Lettonia e il suo territorio in caso di necessità.

(Di Serena Sartini e Cristina Giuliano)

Sudan, accordo tra le forze armate: cessate-il-fuoco prorogato per altre 72 ore

Sudan, accordo tra le forze armate: cessate-il-fuoco prorogato per altre 72 oreRoma, 27 apr. (askanews) – Le forze armate sudanesi hanno concordato con il gruppo paramilitare Rapid Support Forces (RSF)di estendere il cessate-il-fuoco di 72 ore. Lo ha affermato oggi l’esercito in un comunicato. “Grazie agli sforzi compiuti dalla parte saudita e americana per aiutare a disinnescare la situazione ed estendere la tregua al fine di creare condizioni adeguate per il processo di evacuazione degli stranieri da vari paesi e per promuovere gli aspetti umanitari per i nostri cittadini, il comando delle forze armate e le RSF hanno acconsentito a una proroga del cessate-il-fuoco, proposta per ulteriori 72 ore”, ha affermato l’esercito sui social media.

Premier ucraino Shmyhal in visita al Sovrano Ordine di Malta

Premier ucraino Shmyhal in visita al Sovrano Ordine di MaltaRoma, 27 apr. (askanews) – Il primo ministro dell’Ucraina, Denys Shmyal, è stato ricevuto con gli onori militari oggi alla Villa Magistrale dal Luogotenente di Gran Maestro del Sovrano Militare Ordine di Malta, Fra’ John Dunlap. La visita, che cade nel quindicesimo anniversario dallo stabilimento delle relazioni diplomatiche tra il Sovrano Militare Ordine di Malta e l’Ucraina – avviate nel febbraio 2008 – ha rappresentato, si legge in una nota, l’occasione per analizzare i programmi sviluppati dall’Ordine di Malta nel paese alla luce delle esigenze mediche ed umanitarie in continua evoluzione.

I legami di amicizia e cooperazione risalgono al 1990 quando l’Organizzazione di soccorso dell’Ordine di Malta in Ucraina ha avviato le sue prime attività umanitarie. I programmi delle sue tre strutture – situate a Lviv, Ivano-Frankivsk e Berehove – si sono sviluppati sempre di più nel corso degli anni, soprattutto a partire dal febbraio 2022, all’indomani dello scoppio della guerra con la Russia. Il premier ucraino Denys Shmyhal ha espresso gratitudine e riconoscenza per il supporto continuo che l’Ordine di Malta fornisce all’Ucraina. “Vi ringrazio dal profondo del cuore a nome del Governo, del presidente e del popolo ucraino per l’importante ruolo che svolgete nel nostro Paese”, ha scandito il primo ministro ucraino. Roma, 27 apr. (askanews) – Nel corso dei colloqui – prosegue la nota – si è parlato della drammatica situazione umanitaria nel Paese, che risulta essere il più contaminato al mondo da mine antiuomo. Il premier Shmyhal ha spiegato che le operazioni per sminare il territorio impiegheranno centinaia di anni e per questo sarà necessario personale altamente qualificato. La salute mentale della popolazione ucraina – soprattutto quella dei bambini – è stata un’altra emergenza al centro dell’incontro, per cui – ha auspicato il premier ucraino – sarà necessario implementare sinergie con l’Ordine di Malta.

“La stretta e proficua sinergia tra la nostra Ambasciata a Kiev e la nostra organizzazione di soccorso ci permette di svolgere al meglio la nostra missione umanitaria, che beneficia anche dell’Accordo di cooperazione che abbiamo firmato con l’Ucraina nel 2019”, ha scandito il Luogotenente di Gran Maestro, Fra’ John Dunlap, nel corso dell’incontro caratterizzato da un clima di cordialità e collaborazione. “Continueremo ad aiutare il popolo ucraino finché sarà necessario. Lo dobbiamo ai nostri uomini e donne nel vostro Paese, lo dobbiamo alle vittime innocenti di questa guerra”, ha aggiunto il Luogotenente di Gran Maestro, spiegando che la stretta collaborazione tra le entità diplomatiche e operative dell’Ordine, sia in Ucraina che nei Paesi limitrofi, ha permesso di offrire aiuti d’emergenza e supporto umanitario a centinaia di migliaia di sfollati e rifugiati che hanno attraversato i confini.

Incessante è stato infatti l’impegno a livello diplomatico, come ha ribadito il Gran Cancelliere dell’Ordine di Malta, Riccardo Paternò: “A livello bilaterale è stato chiesto formalmente alle autorità ucraine di garantire la libera circolazione dei beni umanitari introdotti dall’Ordine di Malta nel Paese e destinati agli sfollati, e di proteggere il personale umanitario in osservanza delle leggi internazionali”. L’Ordine di Malta ha attivato una rete di sostegno sia in Ucraina che nei paesi confinanti fornendo sostegno medico e sociale, assistenza logistica e psicologica, mettendo a disposizione rifugi per gli sfollati e distribuendo generatori e batterie solari e allestendo un laboratorio mobile di protesi per le vittime delle mine antiuomo. Il Malteser International, l’agenzia di soccorso mondiale dell’Ordine di Malta, ha coordinato – e coordina tutt’oggi – gli sforzi nazionali e internazionali, aumentandone l’efficacia. Più di 6.100 tonnellate di aiuti sono stati distribuiti a circa 65 città e paesi dell’Ucraina; oltre 680.000 razioni di cibo sono state distribuite ai punti di confine e all’interno dell’Ucraina; oltre 130 psicologi sono impegnati nel Paese con progetti di assistenza soprattutto per i bambini traumatizzati e per dare supporto ai medici e infermieri a rischio “burn out”; oltre 13.000 persone hanno seguito i corsi di primo soccorso di base. Le Associazioni nazionali dell’Ordine di Malta nei paesi circostanti – Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania – hanno tutte partecipato ai soccorsi fornendo personale qualificato, alloggi, assicurando assistenza medica e trasporto di feriti.

All’incontro di stamani hanno partecipato anche il Gran Commendatore Fra’ Emmanuel Rousseau, il Grande Ospedaliere Alessandro de Franciscis, il Ricevitore del Comun Tesoro Fabrizio Colonna, il Segretario Generale degli Affari Esteri Stefano Ronca e l’Ambasciatore dell’Ordine di Malta in Ucraina, Antonio Gazzanti Pugliese di Cotrone.

Nato,Lettonia: confiniamo con Russia ma noi più al sicuro che mai

Nato,Lettonia: confiniamo con Russia ma noi più al sicuro che maiRiga, 27 apr. (askanews) – “La nostra appartenenza alla NATO e all’Unione europea ha dimostrato che vale la pena fare i compiti a casa, prima dell’adesione”. Lo afferma in una video intervista ad askanews la viceministra degli Esteri lettone Gunda Reire, segretario parlamentare del ministero degli Affari esteri della Lettonia. “Sì, paradossalmente, da un lato vediamo che la Russia sta conducendo una guerra di aggressione in Ucraina, ma dall’altro è vero che la Lettonia in questo momento si trova nella situazione più sicura che mai, perché facciamo parte della comunità euroatlantica, – il prossimo anno festeggeremo i 20 anni da quando siamo membri sia dell’Unione Europea, sia della NATO – e quindi sì, siamo sotto l’ombrello di sicurezza e difesa della NATO. Siamo nell’Unione Europea e la Lettonia è un Paese sviluppato. Facciamo anche parte dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE)”.

Gli aiuti materiali servono ma non bastano per vincere una guerra come quella che Kiev combatte contro l’invasione russa. “Sappiamo – continua – che non sono solo gli aiuti materiali o le infrastrutture che aiutano a vincere. Ci deve essere spirito combattivo – e anche speranza nella società – e questo è ciò a cui stiamo assistendo in questo momento in Ucraina, questo spirito combattivo e solidarietà”. Reire aggiunge poi che in Lettonia “abbiamo lo stesso, direi, spirito combattivo degli ucraini, e ammiro davvero questa società e anche quella ucraina: perché da un lato ovviamente sosteniamo e appoggiamo l’Ucraina, anche a livello internazionale, militarmente, economicamente, finanziariamente. Inoltre, stiamo inviando qualsiasi attrezzatura possibile e cerchiamo di aiutare con ciò che è necessario”, afferma. “Il primo milione di euro in questo Paese è stato raccolto, donato dalla nostra società, ed è stato raccolto in 2 giorni: un milione di euro. Questo è ciò che la nostra società ha realmente fatto. E davvero non lo vedo come un segno di debolezza o qualcosa del genere”, spiega Reire.

“La NATO è l’alleanza più forte della storia” ma bisogna contribuire alla difesa. “Stiamo costruendo una base militare completamente nuova qui in Lettonia, un’altra (dopo quella di Adazi, ndr)”, afferma la viceministra. “Abbiamo già raggiunto il 2% del PIL in spesa per la difesa e abbiamo in programma di raggiungere il 2,5 nel 2025 e il 3% nel 2027. Ma c’è una ragione per questo e lo sapevamo fin dall’inizio degli anni ’90. Ed è questo quello che cerchiamo di dire a tutti voi occidentali: noi viviamo accanto all’aggressore” dichiara, in riferimento agli oltre 200 km di confine con la Russia. Reire aggiunge poi che la popolazione “apprezza la nostra appartenenza alla Nato. È molto molto importante che l’anno scorso al vertice di Madrid si sia deciso che il Battle group (in Lettonia, Campo base di Adazi, ndr) venga elevato a un livello di Combat capable brigade (sostanzialmente un aumento del numero di soldati, ndr): questo è molto, molto importante per noi”, aggiunge Reire. Secondo la viceministra degli Esteru, “l’appartenenza alla NATO e all’Unione europea” ha dimostrato a Riga “che vale la pena fare i compiti a casa, prima dell’adesione. Il processo di adesione lo abbiamo attraversato negli anni ’90 e anche un po’ più tardi. E questo è ciò che in realtà stiamo dicendo ai nostri paesi del partenariato orientale come Georgia, Ucraina, Moldova: i periodi di adesione a volte sono difficili, ma ne vale la pena”, afferma. “Dobbiamo prendere decisioni difficili, decisioni a volte impopolari, ma ne vale la pena perché l’anno scorso, il 24 febbraio, quando la Russia ha invaso l’Ucraina, ci si creda o no, mio fratello che studiava in un altro paese europeo – e anche questa è una delle libertà che abbiamo come Unione europea, possiamo muoverci liberamente attraverso l’Europa – mi ha chiamato quella sera e ha detto che è qualcosa di inimmaginabile quello che sta succedendo in Ucraina; ‘è oltre i livelli di comprensione che un paese nel 21° secolo possa semplicemente invadere un altro paese in Europa, ma d’altra parte – ha detto mio fratello – non so nemmeno cosa fare. Forse dovrei mandare dei fiori alla nostra ex presidente Vaira Vike-Freiberga’, che era in prima linea nell’adesione”, aggiunge Reire.

“Questo è un sentimento condiviso qui nella nostra società in questo momento in Lettonia: abbiamo molto a cuore la nostra appartenenza (alla Nato e all’Ue, ndr), e anche i sondaggi di opinione in realtà lo dimostrano perché quasi il 70% della nostra società, se viene chiesto, quale direzione nella politica estera preferiscono – a est o a ovest – preferiscono, ovviamente l’orientamento a ovest, e direi che siamo un paese europeo. Lo eravamo anche durante l’occupazione sovietica, che è durata più di 50 anni, ma il sostegno in realtà ha enfatizzato tali sentimenti. E ora questa è una chiara prova che tutte le decisioni difficili che i politici e la società hanno dovuto prendere prima dell’adesione. Ne vale la pena”, chiosa Reire. (di Cristina Giuliano e Serena Sartini)

I russi hanno messo postazioni militari sui tetti dei reattori della centrale nucleare di Zaporizhia

I russi hanno messo postazioni militari sui tetti dei reattori della centrale nucleare di ZaporizhiaMilano, 27 apr. (askanews) – La Russia ha costruito stazioni di combattimento con sacchi di sabbia sui tetti di diversi edifici della centrale nucleare di Zaporizhia. Lo afferma il Ministero della Difesa britannico nella sua ultima analisi dell’intelligence diffusa su Twitter.

Il ministero basa le sue deduzioni sulle foto aeree che pubblica sul social. Dalle immagini risulta che le truppe russe hanno costruito postazioni con sacchi di sabbia sui tetti di alcuni reattori, a marzo al più tardi. La centrale nucleare di Zaporizhia ha sei reattori nucleari. Sulla base della veduta aerea, le stazioni di battaglia sarebbero state costruite sui tetti di tre di essi.

L’organizzazione di stazioni di combattimenti indica evidentemente un grave pericolo per la sicurezza nucleare nella più grande centrale nucleare d’Europa.

Almeno 15 siriani uccisi in Sudan. Emergency resta aperta con quattro strutture

Almeno 15 siriani uccisi in Sudan. Emergency resta aperta con quattro struttureRoma, 27 apr. (askanews) – Almeno 15 cittadini siriani sono stati uccisi durante scontri armati tra forze rivali in Sudan, ha confermato Bish al Shaar, l’incaricato d’affari dell’ambasciata siriana a Khartoum.

Il ministero degli Esteri siriano ha affermato in precedenza che l’Arabia Saudita, la Giordania e l’Algeria hanno fornito assistenza per l’evacuazione dei cittadini siriani dal Sudan che desideravano lasciare il paese. “Finora, 15 siriani sono stati vittime degli scontri a Khartoum. Non ci sono informazioni sui feriti. Tutti i membri della missione diplomatica stanno bene”, ha detto al Shaar all’emittente siriana Sham FM. Il diplomatico siriano ha spiegato che l’ambasciata, su indicazione del ministero degli Esteri del Paese, ha registrato dall’inizio degli scontri i cittadini che desiderano rientrare in patria. Ha notato che circa 30.000 siriani vivono nel territorio del Sudan. Gli scontri tra l’esercito regolare sudanese e le forze paramilitari sono scoppiati il 15 aprile dopo un lungo periodo di crescenti tensioni all’interno dell’esercito. Il numero delle persone uccise negli scontri ha raggiunto quota 459 e almeno altre 4.072 sono rimaste ferite, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità.

“Emergency ha quattro strutture attive in Sudan: oltre al Salam Centre” a Khartoum, “c’è un ambulatorio pediatrico in un campo profughi disastrato vicino Khartoum che ospita un milione di persone, a Maio ma abbiamo dovuto chiuderlo subito perché non era più sicuro né raggiungibile; poi si sono altri due ospedali pediatrici, a Port Sudan sul Mar Rosso e a Nyala, nel Darfur. A pieno regime è uno staff importante, 50 internazionali e circa 550 locali”. Lo afferma in un’intervista al Manifesto, Franco Masini, il medico a capo della missione di Emergency nel Paese. “Il problema è stato fin dall’inizio l’organizzazione del personale locale, una buona parte non poteva tornare a casa e così abbiamo creato una specie di accampamento dentro l’ospedale, con materassi dappertutto”, precisa. “Molti altri era impossibile andarli a prendere. Però sono loro che ci stanno dando un grande supporto e ci hanno chiesto di non chiudere, perché l’ospedale è fondamentale. Solo ieri abbiamo avuto tre casi che se non ci fossimo stati sarebbero finiti male. Ma visto che abbiamo ridotto il numero dei pazienti e che permangono rischi nello stare qui, ieri abbiamo lasciato la scelta di restare o partire ai singoli. Siamo rimasti in sette qui a Khartoum, tutti italiani, più una decina di internazionali tra Port Sudan e Nyala. Gli altri ora sono in viaggio verso la Germania”, spiega Masini. “Il timore”, ora, “riguarda le bande armate fuori controllo in cerca di soldi e bottini”, precisa ancora Masini. “Dal nostro responsabile della sicurezza sappiamo di irruzioni e razzie in alcune strutture del centro. È un corollario tipico in questi frangenti. E il disastro come sempre arriverà dopo, se e quando questa roba finirà: quelli che non hanno fatto i controlli né la terapia, quelli che non hanno potuto raggiungerci… Riorganizzare il lavoro sarà dura, peggio che dopo la pandemia. È una guerra questa”, conclude.

In Perù è stato dichiarato lo stato d’emergenza alle frontiere per bloccare i migranti

In Perù è stato dichiarato lo stato d’emergenza alle frontiere per bloccare i migrantiRoma, 27 apr. (askanews) – La presidente del Perù Dina Boluarte ha dichiarato lo stato di emergenza alle frontiere ed ha ordinato il dispiegamento dell’esercito per rafforzare i posti di blocco e bloccare i flussi di migranti.

Centinaia di migranti che si sono recati in Cile, principalmente da Haiti e dal Venezuela secondo le Nazioni Unite, stanno cercando di lasciare il Paese e sono bloccati da settimane al confine tra la città peruviana di Tacna (sud) e Arica, nel nord del Cile. Mentre il Cile inasprisce i controlli sull’immigrazione, molti affermano di voler tornare a casa o spostarsi più a nord, negli Stati Uniti. Il governo peruviano ha già inviato 200 poliziotti per rafforzare i valichi di frontiera nel tentativo di frenare la criminalità transnazionale. Ieri, la presidente Dina Boluarte ha dichiarato che i soldati saranno schierati per rafforzare la polizia ai valichi di frontiera con Cile, Bolivia, Brasile, Ecuador e Colombia. “La polizia nazionale manterrà il controllo dell’ordine interno con il sostegno delle forze armate”, ha detto ai giornalisti.

Il governo non ha specificato cosa comporterebbe lo stato di emergenza in termini di restrizioni alle libertà individuali e pubbliche, né per quanto tempo rimarrà in vigore.

Cosa si sono detti (secondo Pechino) Xi e Zelensky nel colloquio telefonico

Cosa si sono detti (secondo Pechino) Xi e Zelensky nel colloquio telefonicoRoma, 26 apr. (askanews) – Dal giorno dell’incontro a Mosca di Xi Jinping con il presidente russo Vladimir Putin, a marzo, da Pechino si continuava a ripetere che il leader cinese avrebbe sentito “al momento opportuno” anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. Quel momento è venuto oggi: Xi ha avuto “su richiesta” una conversazione telefonica col leader di Kiev, la prima tra i due dall’invasione russa il 24 febbraio 2022 e la prima da quando la Cina ha presentato un “Position Paper” sulla crisi ucraina, con il quale si è proposta di fatto come mediatrice per una soluzione pacifica.

“Ho avuto un lungo e significativo colloquio telefonico con il presidente Xi Jinping. Credo che questo colloquio, così come la nomina dell’ambasciatore dell’Ucraina in Cina, darà un forte impulso allo sviluppo delle nostre relazioni bilaterali”, ha scritto Zelensky su Twitter, tenendosi tutto sommato abbottonato sul coté più interessante, quello del conflitto con la Russia. La telefonata è stata seguita dalla nomina dell’ex ministro per le industrie strategiche Pavlo Riabikin ambasciatore “straordinario e plenipotenziario” a Pechino. Questo mentre la Cina comunicava l’invio del rappresentante speciale del governo cinese per gli affari eurasiatici Li Hui, che è stato anche ambasciatore cinese in Russia, come capo della delegazione in Ucraina e in altri paesi per consultazioni volte a una soluzione politica della crisi. Il canale, insomma, è stato aperto.

Nel comunicato rilanciato dai media di stato cinesi, sono stati forniti dettagli sulla posizione presentata da Xi al suo interlocutore ucraino. “Il rispetto reciproco della sovranità e dell’integrità territoriale è la base politica delle relazioni Cina-Ucraina”, hanno riferito i media cinesi. Xi Jinping ha sottolineato “che la complessa evoluzione della crisi ucraina ha avuto un forte impatto sulla situazione internazionale” e “la Cina si è sempre schierata dalla parte della pace e la sua posizione è quella di promuovere la pace e i colloqui”. Xi ha assicurato che Pechino “in qualità di membro permanente del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e di grande paese responsabile non volterà lo sguardo altrove, non aggiungerà benzina al fuoco, non punterà a trarre vantaggio” dal conflitto. E ha aggiunto: “Il dialogo e la negoziazione sono l’unica via d’uscita praticabile: non ci sono vincitori in una guerra nucleare”. Per questo motivo, tutte le parti coinvolte, alla luce anche dei rischi nucleari, “dovrebbero rimanere calme e sobrie, concentrarsi veramente sul futuro e sul destino di se stesse e di tutta l’umanità, e gestire e controllare congiuntamente la crisi”. Xi ha osservato che “la razionalità” e le voci per il dialogo “stanno aumentando”, quindi è il momento di “cogliere l’opportunità per mettere assieme condizioni favorevoli verso una soluzione politica della crisi”, e ha auspicato che “tutte le parti riflettano profondamente sulla crisi ucraina e cerchino insieme una via per la pace e la stabilità a lungo termine in Europa attraverso il dialogo”.

Con queste dichiarazioni, il presidente cinese sembra alludere ai segnali arrivati dalla recente visita a Pechino del presidente francese Emmanuel Macron, accompagnato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. L’inquilino dell’Eliseo ha detto di “contare” su Xi per lavorare a una soluzione pacifica. E, facendo riferimento alla crisi di Taiwan, in cui la Cina è parte in causa, ha affermato che l’Ue non si dovrebbe far coinvolgere e non dovrebbe essere “vassalla” degli Stati uniti. Le dichiarazioie del leader francese, che hanno suscitato polemiche in Occidente, non sono certamente passate inosservate in Cina. Xi ha insistito oggi che “continuerà a lavorare per la pace, a promuovere i colloqui e farà sforzi per fermare la guerra, per ottenere un cessate-il-fuoco e ripristinare la pace il prima possibile”.

Li Hui, ha chiarito il presidente, andrà “in Ucraina e in altri paesi per condurre una comunicazione approfondita con tutte le parti sulla soluzione politica della crisi ucraina”. Inoltre, il leader cinese ha ricordato come Pechino abbia “fornito diversi carichi di assistenza umanitaria all’Ucraina e sia disposta a continuare a fornire assistenza nell’ambito delle sue capacità”. Zelensky – secondo la versione raccontata dai media pubblici cinesi – si è congratulato con Xi Jinping per la sua rielezione allo storico terzo mandato come leader della Cina e ha ribadito come l’Ucraina si attenga al principio dell’”Unica Cina”, per quanto riguarda la questione di Taiwan, e speri di mettere in campo una cooperazione globale con la Cina, aprendo un nuovo capitolo nelle relazioni bilaterali, oltre a lavorare insieme per mantenere la pace e la stabilità nel mondo. Inoltre, Zelensky avrebbe “accolto con favore” l’importante ruolo della Cina nel ripristinare la pace e risolvere la crisi attraverso mezzi diplomatici.

Tajani: il giornalista italiano Corrado Zunino ferito a Kherson, ma sta bene

Tajani: il giornalista italiano Corrado Zunino ferito a Kherson, ma sta beneRoma, 26 apr. (askanews) – “Corrado Zunino giornalista di Repubblica, rimasto ferito ad una spalla durante l’attacco di un drone a Kherson, sta bene ed è seguito dalla nostra Ambasciata a Kiev. Sono insieme al Ministro Kuleba che ha assicurato la piena collaborazione delle autorità ucraine”. Lo scrive su Twitter il Vice Presidente del Consiglio e Ministro degli EsteriáAntonioáTajani. “Ho informato il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ed espresso solidarietà e sostegno al Direttore Molinari. Seguiamo eventuali sviluppi”, ha aggiunto Tajani.

Appello di Kiev a Roma: aiutateci a ricostruire il nostro futuro

Appello di Kiev a Roma: aiutateci a ricostruire il nostro futuroRoma, 26 apr. (askanews) – La guerra non può essere “un ostacolo” alla ricostruzione dell’Ucraina devastata dall’invasione russa e l’Italia ha la grande “opportunità” di investire nel Paese, con le sue risorse migliori, “per costruire insieme un futuro di libertà e sicurezza”. Nel giorno della Conferenza bilaterale sulla ricostruzione dell’Ucraina, Kiev chiama Roma a un ruolo da protagonista. Ed è molto più di un invito. E’ un vero e proprio appello quello che il governo ucraino nella sua interezza rivolge al governo e alle aziende italiane: “Venite anche se il conflitto è in corso”, sono state le parole – esplicite – della vice premier e ministra dell’Economia Julija Svyrydenko, membro della delegazione arrivata nella capitale e guidata dal premier Denys Shmyhal.

La Russia vuole ancora distruggere l’Ucraina, non cerca la pace e dopo un anno non ha cambiato progetto, ha sottolineato il primo ministro ucraino, descrivendo la situazione attuale. E mentre i soldati ucraini sono impegnati nella difesa del territorio, il governo sta provando a completare quello che il capo della diplomazia Dmytro Kuleba ha definito “un miracolo”. Kiev è impegnata a risolvere problemi commerciali, instaurare rapporti economici, portare avanti riforme, ha ricordato. Sta lavorando per attrarre investimenti esteri. E l’Italia non può che essere un partner privilegiato. “Aiutateci a costruire “un futuro sicuro per tutti noi”, sono state le parole del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, collegato in video. “Siamo pronti a far rinascere” il Paese, “non lasceremo mai queste ferite aperte sulle nostre terre”. Moltissimo il lavoro da fare e la Conferenza di Roma ha fornito spunti interessanti sui possibili campi d’intervento: il settore energetico, le infrastrutture, la logistica, l’industria. E poi occorre modernizzare le forze armate ucraine, e corrispondere agli standard di sicurezza dell’Unione europea, di cui Kiev “entrerà presto a far parte”. Una buona base di partenza saranno i Memorandum d’intesa firmati oggi: tra gli altri, quello tra ministero degli Esteri ucraino e l’Ice, per attivare i rapporti, e quelli relativi alla protezione dell’ambiente, al settore dell’industria, all’ammodernamento delle ferrovie ucraine, al reparto agro-industriale e alla costruzione di centrali idroelettriche.

Di certo, secondo Kiev, l’Ucraina ha bisogno di oltre 24 miliardi di dollari nel 2023 per almeno sei settori prioritari: energia, alloggi, sminamento, infrastrutture sociali, trasporti e piccole e medie imprese. L’obiettivo è “aiutare la gente a creare nuovo lavoro”. Un risultato che potrebbe essere ottenuto anche grazie a Sace, a cui Shmyhal ha espresso gratitudine per la decisione di stanziare un miliardo per le necessità primarie della popolazione. Simest, da parte sua, “darà investimenti diretti per creare nuove aziende in Ucraina”, ha commentato il premier. Tutti concordi – rappresentanti dei due governi e dirigenti delle oiltre 750 aziende presenti alla Conferenza – sul fatto che il momento di pensare alla ricostruzione dell’Ucraina è adesso. Le scelte fatte oggi “guideranno lo sviluppo economico nei prossimi anni”, ha detto la ministra Svyrydenko, citando i settori di interesse immediato per le aziende italiane: infrastrutture, tecnologia militare, metallurgia, area digitale ed informatica. Ricordando che il suo Paese è “leader globale nel settore agricolo” ed ha “capacità nel settore edile”, la vice premier ha quindi spiegato che “ricostruire le abitazioni” rase al suolo dai bombardamenti “sarà la nuova sfida”. Una considerazione condivisa da Zelensky, che ha allargato il campo: centinaia di scuole e ospedali sono stati completamente distrutti o gravemente danneggiati, ha ricordato il presidente. L’obiettivo di Kiev è ora ricostruirli con nuovi standard, moderni, “per far sì che la nostra gente possa vivere come vivono milioni di altre persone in sicurezza”, ha commentato Zelensky.

Un impegno a cui l’Italia potrà dare un contributo decisivo impiegando le sue risorse migliori, guardando alle “esigenze più immediate e al lungo periodo”, ha assicurato il ministro degli Esteri Antonio Tajani. “Mettiamo a disposizione il meglio dell’Italia. Il saper fare di 4 milioni di piccole e medie imprese che sono il tessuto connettivo della seconda manifattura d’Europa, a dimostrazione che l’Italia sa essere solidale e sostenere chi è a noi vicino”, ha detto il ministro, che ha incassato – con la premier Giorgia Meloni – i ringraziamenti sentiti di tutta la delegazione ucraina arrivata a Roma. Un sentimento di riconoscenza espresso, a distanza, anche dallo stesso presidente ucraino. “Vorrei ringraziare tutti voi e personalmente la presidente Meloni per il suo sostegno”, ha detto Zelensky, invitato a Roma dalla presidente del Consiglio. “Grazie Giorgia per le tue parole, per il lavoro e per l’appoggio. Gloria all’Italia”. (di Corrado Accaputo)