Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Roma, il 5 aprile la presentazone del progetto “Dissolvenze Romane”

Roma, il 5 aprile la presentazone del progetto “Dissolvenze Romane”Roma, 30 mar. (askanews) – Inaugurerà il 5 aprile a Roma “Dissolvenze Romane”, progetto di tre artiste, Manuela De Perna, Valentina Barbera e Andreina Ciaglia. Un’esposizione, curata da Chiara Sticca, che vuole raccontare e esprimere il sentimento che le tre artiste romane, dai trascorsi differenti, provano per la città che le ospita.


La presentazione presso MV Augusta, vicino alla Stazione Tiburtina è un evento tra arte, musica e poesia, con cantautori romani e intermezzo teatrale, con testi in romanesco, e degustazione dove sarà possibile ammirare le opere (che resteranno esposte circa due settimane) che mostrano la Capitale, spaziando da una Roma dal passato glorioso, a una Roma caotica e “caciarona”, da una Roma di viuzze e monumenti a una Roma immensa. “Dissolvenze artistiche”, spiegando le artiste, vuole instaurare un dialogo tra la tendenza a rappresentare “ciò che è” e “ciò che si sente”, nella necessità di andare oltre la struttura conosciuta e percepita. Una Roma vissuta, interpretata e dipinta in tre modi diversi ma complementari, un viaggio artistico attraverso una città da amare, da esportare, ma nel contempo faticosa da vivere; in una continua alternanza tra l’amore e l’odio. Manuela De Perna, Valentina Barbera e Andreina Ciaglia riscoprono il bello del disegno salvifico da una quotidianità non sempre scelta. Tele sospese per uno spazio-tempo invertito. Opere in cui il disegno ricerca una redenzione dell’ordinarietà, verso dimensioni oniriche, lontane, innaturali, sfocando ciò che disturba e mettendo a fuoco l’amato. Un’arte talvolta verso il simbolismo e il surrealismo, talvolta figurativa dai tratti leziosi e puntuali.

A Treviso e Monopoli in arrivo “In My Name”, mostra di urban art

A Treviso e Monopoli in arrivo “In My Name”, mostra di urban artRoma, 30 mar. (askanews) – Una grande mostra-evento internazionale che celebra la storia e traccia l’evoluzione dell’Urban Art. Dal 9 maggio al 30 giugno a Treviso e dal 19 luglio al 3 novembre 2024 a Monopoli (BA), arriva IN MY NAME. Above the show. La mostra è organizzata da Unlike Unconventional Events con il patrocinio del Comune di Treviso e il Comune di Monopoli, e curata da Martina Cavallarin con Antonio Caruso, con la direzione artistica di MADE514 e il coordinamento culturale e scientifico di Christian Leo Comis. L’obiettivo di IN MY NAME. Above the show è fare il punto sullo stato dell’Urban Art grazie alla presenza di artisti che sono i precursori di questa disciplina. BOOST, CENTO CANESIO, DADO, ETNIK, GIORGIO BARTOCCI, HEMO, JOYS, MACS, MADE514, PEETA, PROEMBRION, SATONE, SODA, V3RBO, VESOD, WON ABC, ZED1 sono i più autorevoli artisti di fama internazionale che hanno segnato lo sviluppo dell’Urban Art in Europa. I discendenti di quella cultura ribelle del Graffiti Writing, emersa negli Stati Uniti mezzo secolo fa, improntata alla sperimentazione e alla rottura dei vecchi paradigmi. Con una carica energica sorprendente hanno invaso le superfici delle città di tutto il mondo dando vita a una vera e propria corrente artistica che oggi vive negli spazi aperti come nei musei e nelle gallerie. 17 artisti, 155 fra tele e disegni, 2 opere in Virtual Reality, 18 tra sculture e installazioni, 5 video installazioni e proiezioni, più di 4000 mq di spazi espositivi tra Treviso e Monopoli, 23 eventi collaterali, 5 performance live, 1 contest per video maker, 2 bookshop con innumerevoli stampe, multipli ed edizioni limitate, 1 catalogo e 159 giorni di esposizione: sono i numeri di IN MY NAME. Above the show. Più di una mostra, è un vero happening che attraversa l’Italia in sei mesi, due città e due regioni, da nord a sud. Prima a Treviso, presso il complesso industriale rigenerato delle ex Ceramiche Pagnossin, poi a Monopoli, negli spazi dell’Ex Deposito militare Carburanti. Le creazioni inedite dei rami germinali dell’Urban Art si esprimono mediante una grande varietà di opere: lavori inediti e site specific realizzati con tecniche poliedriche, dall’acrilico allo spray, dalla sabbia alle lastre metalliche e trasparenti, dai labirintici teli appesi alla virtual reality, fino a sculture e installazioni audio video di diverse dimensioni e supporti. IN MY NAME è una presa di posizione. Il titolo dichiara una partecipazione responsabile, un atto di presenza. Lo faccio nel mio nome, a mio nome, io sono qui e mi dichiaro. Gli spazi scenografici intrisi della memoria storica industriale del Novecento si fanno palcoscenico partecipato e condiviso sul quale le opere dialogano con un ricco calendario eventi: performance, azioni time specific, discipline urbane come parkour, bike e skate restituiscono senso e substrato a una vera e propria avanguardia in grado di riunire gioventù, periferie e minoranze e influenzare profondamente l’immaginario collettivo contaminandone tutti i campi, dalla moda alla musica, dal cinema alla fotografia, fino alla pubblicità.

Continuare a farci male: la grandezza di Anselm Kiefer

Continuare a farci male: la grandezza di Anselm KieferFirenze, 29 mar. (askanews) – È indubbio che un parte del fascino sia dovuta al nome dell’artista, un nome che evoca la Storia con la maiuscola, il potere dell’arte, una grandezza sconfinata. Evoca anche celebrità, in senso culturale certo, ruvida, scontrosa, ma celebrità. La mostra di Anselm Kiefer a Palazzo Strozzi a Firenze forse arriva al pubblico partendo da qui, dall’aura e dalla possanza del suo protagonista, storicizzato in vita come pochi altri. Ma fermarsi a questo livello, che se volete potrebbe essere il livello del grande dipinto posto nel cortile del palazzo – cosa assolutamente meritoria per l’idea di spazio pubblico e fruizione libera, sia chiaro -, limitarsi a questo sarebbe un errore, perché la mostra, poi, riesce in molti modi a superare il Nome e a lasciare che lo spazio sia interamente occupato dall’arte, dalla forza che anima la figura, paradigmatica quanto volete, di Anselm Kiefer.


L’esposizione, curata dal direttore di Palazzo Strozzi, Arturo Galansino, si intitola “Angeli caduti” e l’ingresso non potrebbe essere più potente: c’è l’enorme ala di un aereo che esce dal dipinto dedicato a Lucifero, il più bello dei ribelli celesti, e questa ala, a chiunque appartenga, è un colpo che ci trascina dentro il senso della storia, dentro la sua e nostra tragedia, dentro una scala di grandezze che sono ulteriori. Sono i bombardieri nucleari che non atterrano mai, sono le guerre dal cielo, sono forse semplicemente la metafora esplicita della potenza terribile di un angelo, “Michele”, è scritto in ebraico, sotto l’ala. Poi due grandi opere dorate dedicate a Eliogabalo e il primo dei giganteschi girasoli, che testimoniano il ciclo della vita, ma anche dell’arte. Non servono troppe speculazioni, qui è la pittura a farla da padrona, così tanto da far dimenticare il brutto pavimento della sala, che è illuminata dalla luce dei dipinti, come se fossero una sorta di scenografia per il museo stesso. Se le opere dedicate ai filosofi sono meno travolgenti, poi la mostra si rimette subito in moto, con le sculture e i libri e la parola e l’architettura. Ancora una volta l’uso dell’oro è decisivo, perché cita il Trecento, ma lo fa “alla Kiefer”, e quindi in modo attualizzato. La scrittura inonda la sala, sotto forma di segni, indicazioni, tracce che sono macerie di mitologie, come quella di Danae, ma anche di storia dell’arte, e non si può non pensare a Beuys, al suo corpo, ai suoi materiali. Letteratura che si manifesta ancora, sotto forma di uno specchio borgesiano che crea una voragine nella sala della rocambolesca quadreria sulla dissoluzione, uno specchio che letteralmente fa precipitare in un’altra dimensione, quasi fosse un enorme Aleph che contiene tutto il Mondo (e se tutto è dentro, fuori resta il nulla, la scomparsa, anche di questo ci parla l’artista).


A questo punto la mostra ha funzionato, ci ha scombussolato e commosso. Ci sono ancora le spose, ci sono altri girasoli, ci sono continui rimandi alla consapevolezza di Kiefer come artista e come essere umano. Ma Galansino ha la brillantezza per giocare ancora con il suo visitatore, consegnandoci un’ultima sala che in un certo senso finge di demolire tutta la mitologia dell’artista che abbiamo costruito fino a quel momento, passo dopo passo. Tutta la meraviglia che abbiamo accumulato sembra di colpo rimbalzare sopra le superfici piombate delle fotografie di fine anni Sessanta che ritraggono un più giovane Kiefer vestito con la divisa della Wehrmacht che apparteneva al padre nell’atto di fare il saluto nazista in diversi luoghi d’Europa. Anche sapendo che sono azioni che avevano l’esplicito scopo di far riflettere sul tema dell’identità e sulla notte più cupa, che è sempre pronta a entrare nelle nostre vite, quelle fotografie toccano, smuovono, confondono. E ci dicono che l’arte è importante quando non è un santino o un talismano e neppure una valutazione stratosferica da Christie’s. L’arte è importate se continua (anche) a farci male. (Leonardo Merlini)

Newton classico, ma anche inedito, alle Stanze della Fotografia

Newton classico, ma anche inedito, alle Stanze della FotografiaVenezia, 29 mar. (askanews) – Un’eredità che, nel momento in cui la si racconta, diventa sempre più vasta e abbraccia le varie città che accolgono l’esposizione. Il grande progetto antologico sul lavoro di Helmut Newton arriva alle Stanze della Fotografia a Venezia, dopo le tappe a Milano e Roma, e nel bellissimo spazio sull’isola di San Giorgio la mostra “Legacy” trova un’accoglienza spettacolare, oltre che una prospettiva diversa rispetto alle tappe precedenti, come ci ha raccontato il direttore artistico delle Stanze, Denis Curtis, che ha co-curato la mostra.


“Abbiamo chiesto e ottenuto, grazie alla generosità della Fondazione Newton di Berlino – ha spiegato Curti ad askanews – di poter presentare uno shooting praticamente inedito, o comunque poco conosciuto, che Newton ha scattato qui a Venezia e con un punto di vista proprio da qua, dall’isola di San Giorgio. Abbiamo costruito una cassettiera che custodisce più di 50 polaroid, che sono un oggetto, uno strumento che Newton usava tantissimo per capire meglio le inquadrature, per capire meglio le storie. Abbiamo delle lettere che Newton scriveva a June, insomma abbiamo moltissimi materiali inediti e soprattutto siamo riusciti per la prima volta ad esporre tutte le immagini che compongono questa rassegna che si intitola Legacy”. E dalla somma di queste immagini, alcune famosissime, altre quasi mai viste, emerge una storia potente, quella di un fotografo che voleva essere tale, e non un artista, ma che con la sua capacità di sguardo, con la spregiudicatezza delle messe in scena e con un approccio all’immagine spesso in anticipo sui tempi ha saputo sia modellare l’immaginario collettivo sia vivere più vite professionali in una sola, dal reporter al fotografo di moda, dal ritrattista in posa fin quasi all’astrazione degli ultimi lavori. Il tutto con una costante sensualità e un gusto forte per la libertà espressiva.


E la mostra, promossa da Marsilio Arte e Fondazione Giorgio Cini, nell’allestimento mobile delle Stanze della Fotografia, vuole dare spazio a ognuno di questi diversi Newton. “Siamo andati a ricostruire delle vere e proprie stanze – ha aggiunto Denis Curtis – per dare conto di un andamento cronologico della mostra, abbiamo addirittura organizzato delle proiezioni per far vedere ancora più materiali e per essere ancora più completi”. Poi il fascino di un fotografo come Helmut Newton sta anche nel fatto che la completezza del racconto non si potrà mai raggiungere davvero, per fortuna. E ogni immagine, sia un nudo monumentale o un ritratto affilato di David Bowie, continua a portarsi dentro il suo inafferrabile fondo di mistero, che la mantiene viva anche in un mondo che ha cambiato i modelli di riferimento.

Associazione Imprese Culturali e Creative, eletto nuovo Consiglio

Associazione Imprese Culturali e Creative, eletto nuovo ConsiglioMilano, 27 mar. (askanews) – Si è riunita oggi presso la sede di Confindustria l’Assemblea della AICC-Associazione Imprese Culturali e Creative, di cui è presidente Luigi Abete. L’Assemblea ha approvato all’unanimità la relazione del presidente e ha eletto i rappresentanti in Consiglio Generale per il biennio 2024-2026.


I 10 rappresentanti eletti sono: Rosanna Cappelli (Electa-Mondadori), Ugo Timoteo Casolino (Opera Laboratori Fiorentini), Giuseppe Costa (Costa Edutainment), Ilaria D’Uva (D’Uva), Luca De Michelis (Marsilio Editori), Alessandro Degnoni (Skira), Alessandro Lorica (DM Cultura), Federico Silvestri (Gruppo 24 Ore), Giorgio Sotira (Civita Mostre e Musei) e Giovanni Verreschi (ETT). L’Assemblea ha inoltre approvato all’unanimità il Bilancio consuntivo 2023.

Richard Serra, l’artista del metallo che ha cambiato il tempo

Richard Serra, l’artista del metallo che ha cambiato il tempoMilano, 27 mar. (askanews) – Uno scultore che usava il metallo, l’acciaio ossidato, per realizzare non solo forme, ma spazi: spazi reali e metaforici, di senso e di sentimento. Con la morte di Richard Serra a 85 anni – era nato a San Francisco nel 1938 – il mondo dell’arte perde un gigante, ma continua a godere della sua lezione, dei suoi lavori e della sua idea di una forma, come nel caso del monumentale complesso di sculture ospitato al Guggenheim di Bilbao, che ha saputo ripensare e cambiare il tempo stesso. Entrando in quei passaggi ricurvi, muovendosi al ritmo della struttura, diventandone parte, i visitatori sperimentano un luogo altro, dove libertà e possibilità si dilatano, offrendo l’occasione di una più intensa percezione di noi stessi. Che in un’epoca di costante urgenza e, come ha scritto Mark Fisher di “privatizzazione dello stress”, è un’opportunità che diventa ancora più significativa e carica di valore.


Richard Serra ha accostato fogli d’acciaio, ha usato pietre e luoghi naturali, ha occupato fino a saturarli gli spazi delle grandi gallerie newyorchesi, ha usato il cuoio e il carbone. Ma soprattutto ha saputo ridare profondità, complessità e mistero allo spazio pubblico. Vale per le grandi installazioni museali, che comunque, pure all’interno di luoghi che sono codificati nell’immaginario collettivo, generano della diversità e della consapevole dissonanza, ma soprattutto vale per gli spazi aperti, come nel caso dei monoliti installati nel deserto del Qatar, fuori dalla capitale Doha. Un’opera che definisce il paesaggio stesso, che gli permette di essere pienamente se stesso, che gli conferisce una profondità, anche in questo caso, che è temporale e perdurante. Dove prima c’era una distesa di sabbia le sculture di Serra hanno portato un luogo, hanno definito la natura di uno spazio. E, soprattutto, hanno costruito le condizioni per modificare la nostra percezione dello stare in quel luogo, e quindi gettato le basi per cambiare il senso del tempo, la sua processione e il nostro esserne parte. Le strutture di Serra, nel loro essere pienamente e consapevolmente arte pubblica, sono presenti in moltissimi luoghi del mondo: a Liverpool, nella Ruhr, a Berlino, in Olanda, a Pistoia… Opere che, proprio per la loro forza spazio-temporale, danno la sensazione di essere sempre state lì e quindi la stessa lezione dell’artista sembra non avere tempo, sembra esistere insieme alle cose stesse. Questo forse ci aveva portati a pensare che Richard Serra fosse immortale. (Leonardo Merlini)

Il mistero dentro i legami: Nari Ward si prende HangarBicocca

Il mistero dentro i legami: Nari Ward si prende HangarBicoccaMilano, 27 mar. (askanews) – Nari Ward è un grande artista e la mostra che porta in Pirelli HangarBicocca a Milano, intitolata “Ground Break” ha l’intensità e la forza per far risuonare al meglio l’enorme spazio delle Navate, nel solco di un’arte che è anche trasformazione, riuso, ragionamento concettuale su questioni come l’identità o la giustizia sociale, testimonianza politica e condivisione. E spesso le sue opere fanno pensare a parole come legami, tra materiali, ma anche di forma, oppure limiti, che devono essere superati verso un obiettivo superiore, verso una possibile idea di cambiamento e speranza.


“Per me – ha detto l’artista caraibico-newyorchese ad askanews – conta l’elemento di speranza insito nel fatto che le cose possono unirsi e diventare un unico e dentro la complessità di questo solo oggetto si trova del mistero. Io voglio che il mio lavoro celebri questa idea di mistero attraverso la combinazione tra oggetti che a volte sembra non avere senso”. Le opere in mostra sono entità a sé stanti, ma l’allestimento crea una situazione di continuo dialogo tra esse, un legame appunto, che alimenta la narrazione della stessa esposizione, che diventa dialettica e polifonica, con grande attenzione anche alla produzione video di Ward. Lucia Aspesi, co curatrice della mostra con Roberta Tenconi: “C’è un senso di performatività in tutto l’allestimento – ci ha detto -. Abbiamo deciso di esporre i video su dei Led che sono quasi più grandi della scala umana e allo stesso tempo chiediamo al visitatore di entrare nell’ingresso attraverso una sorta di bozzolo di passaggio per poi uscire e arrivare al percorso espositivo. C’è anche una stanza di odori, che guarda però alla storia dell’arte. Questo è il racconto sensoriale di Nari Ward, che finisce con l’opera nel Cubo, ‘Happy Smilers’, dove troviamo il suono della pioggia che cade e in qualche modo riporta il visitatore a una dimensione più spirituale”.


La vocazione a fare arte con tutto sembra rimandare alle origini giamaicane di Ward, la sua cultura del recupero dei materiali già usati è invece qualcosa che si colloca tra l’antica necessità di fare molto con meno e la moderna idea di sostenibilità. E poi c’è un altro filo rosso di tutto il progetto: la collaborazione con diversi artisti e performer, che già hanno cominciato ad allargare ulteriormente i confini dell’esposizione. “Incontri qualcuno di cui ti piace il lavoro – ha aggiunto Nari Ward a proposito delle collaborazioni – e vuoi crescere rispetto a dove sei in quel momento e pensi di prendere qualcosa da persone in cui hai fiducia e permettere loro di sfidare le tue idee per crescere insieme attraverso il progetto”. “Ground Break” è anche una mostra dura, che tocca temi brucianti come l’emarginazione e le migrazioni, ma che, grazie alla leggerezza con cui Ward struttura il suo lavoro, ha pure la forza di diventare un agente del possibile cambiamento, un dispositivo artistico-sociale che va oltre i tradizionali confini dello spazio museale. Che si alimenta della forza che prorompe dalle opere, come già accaduto con mostre memorabili di artisti come Cildo Meireles o Dieter Roth che hanno segnato la storia di Pirelli HangarBicocca.


(Leonardo Merlini)

Biennali Danza, Musica e Teatro: 200 appuntamenti e 600 artisti

Biennali Danza, Musica e Teatro: 200 appuntamenti e 600 artistiMilano, 26 mar. (askanews) – Sono le scelte, i programmi, il pensiero di Stefano Ricci e Gianni Forte (ricci/forte), Wayne McGregor, Lucia Ronchetti a comporre la Biennale delle arti dal vivo che si snoderà da giugno a ottobre con il 52esimo Festival Internazionale del Teatro (15-30 giugno), il 18. Festival Internazionale di Danza Contemporanea (18 luglio-3 agosto), il 68esimo Festival Internazionale di Musica Contemporanea (26 settembre-11 ottobre), e con le residenze dei giovani artisti di Biennale College. Una fabbrica della nuova creatività che, accanto alla ricerca di nuove forme espressive e alla testimonianza dei cambiamenti in atto, coltiva progetti che abbiano la libertà di destini futuri.


“I programmi di Teatro, Danza e Musica presentati dai rispettivi direttori – scrive Pietrangelo Buttafuoco, presidente della Biennale di Venezia – sono attestazione di profonda riflessione e ricerca sui settori di loro competenza. Le tre discipline in questione sono accomunate dall’aspetto performativo, dalla condivisione di vibrazioni umane tra palco e platea. In Teatro, Danza e Musica – nell’alchimia propria delle tre arti – c’è un afflato di millenni che acquista senso solo nell’hic et nunc di una rappresentazione unica e irripetibile, che va oltre la scrittura, la coreografia, la partitura”. Oltre 200 gli appuntamenti in programma con 72 novità e 600 artisti provenienti da 30 Paesi diversi che si ritroveranno a Venezia per i Festival di Teatro, Danza e Musica. Fra i tanti nomi che il Teatro vedrà in scena dal 15 al 30 giugno ci saranno: Back to Back Theatre, la pluripremiata formazione australiana che della disabilità ha fatto strumento di indagine artistica, premiata con il Leone d’oro alla carriera e per la prima volta in Italia; il collettivo anglo-tedesco Gob Squad Theatre, destinatario del Leone d’argento e alfiere di nuovi modi di combinare media e performance che mettono al centro lo spettatore; l’ensemble lituano di Vaiva Grainyté, Lina Lapelyté, Rugile Barzdžiukaité, esploso alla Biennale Arte 2019 (Leone d’oro per il miglior padiglione) con le sue performance apparentemente lievi e sottilmente eversive; il regista e drammaturgo iraniano Amir Reza Koohestani, presente sulle maggiori scene d’Europa con il suo teatro necessario che, come il cinema del conterraneo Asghar Faradhi, fa risuonare nella storia personale di una coppia gli echi di una società oppressiva; Milo Rau, autore e regista che sovverte le regole della prassi teatrale creando situazioni al limite tra spettacolo e indagine sociale, arte, politica, storia e cronaca giornalistica; Tim Crouch, imperdibile autore di spin off delle tragedie e delle commedie del Bardo; Muta Imago, fra le più accreditate giovani compagnie italiane, reduce dal Centre Pompidou per l’installazione Bar Luna, realizzata con Alice Rohrwacher.


Per la Danza, in scena dal 18 luglio al 3 agosto, fra i grandi protagonisti della scena internazionale invitati, saranno a Venezia: il Leone d’oro alla carriera Cristina Caprioli, danzatrice, coreografa, teorica sperimentale che ha influenzato generazioni di danzatori e il Leone d’argento Trajal Harrell, camaleontico e geniale artista fra i più richiesti del momento, presente nei teatri, nei musei, nelle gallerie di tutto il mondo, dalla Biennale di Gwangju al MoMA di New York; Sankofa Danzafro di Rafael Palacios, compagnia afro-colombiana per la prima volta in Italia, con un’opera sull’esperienza diasporica africana tra mitologia, spiritualità, radici ancestrali; Shiro Takatani dello storico collettivo giapponese Dumb Type, esempio di un teatro radicale e iconoclasta che ha coinvolto artisti come Ryoji Ikeda e Ryuichi Sakamoto; il pluripremiato fotografo britannico Benji Reid, che nelle sue creazioni fa coesistere fotografia, danza, teatro, racconto. E ancora: il corpo umano come misterioso paesaggio da attraversare nelle sue più intime fibre nel film/installazione De Humani Corporis Fabrica dei registi e antropologi Véréna Paravel e Lucien Castaing-Taylor; la danza cyborg di Nicole Seiler e la danza cosmica di Cloud Gate, entrambe a confronto con l’Intelligenza Artificiale. Nel ricco cartellone della Musica, programmata dal 26 settembre all’11 ottobre e dedicata alla Musica assoluta, spiccano il Leone d’oro alla carriera Rebecca Saunders, compositrice contesa dalle più importanti istituzioni musicali, e l’Ensemble Modern, Leone d’argento, che nella sua storia quarantennale è stato al fianco di nomi come Stockhausen, Reich, Andriessen, ma anche Zappa, Coleman, Braxton. Accanto a loro, il compositore americano, premio Pulitzer, David Lang, autore anche di importanti colonne sonore (indimenticabile I lie in Youth di Sorrentino) e Tyshawn Sorey, che, come il trombettista Peter Evans, è esponente di punta di una nuova generazione di performer/compositori decisi a superare gli schemi e le divisioni tra i generi, regolarmente invitato ai Donaueschinger Musiktage e al Lucerne Festival come alla Walt Disney Concert Hall e con il suo trio ai festival jazz di tutta Europa. E ancora: Tim Hecker, fra i più influenti producer di musica elettronica sperimentale e Golfam Khayam, compositrice e polistrumentista iraniana, nella scuderia dell’ECM di Manfred Eicher, che cortocircuita la musica tradizionale persiana e le sue tecniche ornamentali nell’ambito della performance improvvisativa. Su questa linea di dialogo tra passato e presente anche il concerto che affiancherà lo Stabat della compositrice svedese Lisa Streich accanto allo Stabat Mater di Pierluigi da Palestrina e a quello di Giovanni Croce. E il concerto di Catherine Simonpietri con l’ensemble vocale parigino Sequenza 9.3, interprete di un programma dedicato alla musica vocale assoluta, con lavori della compositrice lettone Santa Ratniece, della compositrice lituana Justé Janulyté e di Arvo Pärt.

Roma, Et Lux in Tenebris: eventi per 100 anni del quartiere Coppedè

Roma, Et Lux in Tenebris: eventi per 100 anni del quartiere CoppedèRoma, 25 mar. (askanews) – Nel centenario dalla fondazione del quartiere romano di Coppedè, progettato e realizzato tra il 1915 e il 1927 – anno di morte dell’architetto Gino Coppedè, dal quale prende il nome – la Galleria SpazioCima rende omaggio all’eclettico quartiere di Roma, tra le vie Salaria e Nomentana, con una serie di iniziative espositive e di eventi tra mostre, concerti e spettacoli all’aperto.


Il progetto “Coppedè: et Lux in Tenebris”, a cura di Antonio E.M. Giordano e Roberta Cima, è un viaggio, onirico e visionario che, partendo dal quartiere, passa per i luoghi più suggestivi della Città Eterna e, sulle orme di Ulisse e di Proust, è una metafora di ricerca verso la conoscenza dell’ignoto e dell’inconscio sublimen umano ma anche di un tempo perduto e metastorico. Accanto alle esposizioni, saranno allestite performance in spazi aperti e itineranti come in piazza Mincio e sotto l’arco con il lampadario, che rappresenta simbolicamente il progetto. Le mostre, a ingresso libero. avranno inizio il 3 aprile e proseguiranno fino al 12 luglio: si inizia con Raffaele Canepa, dal 3 al 27 aprile; poi Yuriko Damiani, dal 2 al 25 maggio; Mauro De Luca dal 28 maggio al 14 giugno; si chiude con Valerio Prugnola dal 18 giugno al 12 luglio. Utilizzando macchine fotografiche appositamente modificate e filtri che escludono completamente la porzione visibile della luce, nei suoi scatti Raffaele Canepa esplora oltre i limiti della visione umana, in quella parte di spettro luminoso dove la nozione di colore perde ogni significato e la luminosità è molto diversa da quello che abitualmente percepiamo. Tecnicamente, ciò che mostrano le sue fotografie è invisibile a occhio nudo. Il tratto più caratteristico della fotografia a infrarosso è il bianco di cui risplende la vegetazione, contrapposto a cieli scuri e dai forti contrasti. Lo sguardo di Canepa introduce al quartiere Coppedè dal vestibolo voltato di via Dora, dove il lampadario in ferro battuto resta in ombra, evidenziata in macchia dalla tecnica a infrarosso, per focalizzare l’attenzione sul villino delle Fate, capolavoro firmato Gino Coppedè, in fondo a piazza Mincio. Particolarmente suggestiva l’immagine fotografica della Fontana delle Rane, già progettata nel 1915, vista dal basso con la veduta bilaterale del Palazzo detto di Cabiria del 1926 in piazza Mincio 2.


Le opere della personale di Yuriko Damiani sono ispirate alla complessa simbologia dispiegata in ogni angolo del quartiere Coppedè: dall’alveare delle api e dal Gorgoneion dell’anguicrinita Medusa sull’egida di Minerva al capitello firmato da Gino Coppedè e alla Vittoria alata che sormonta il Palazzo degli Ambasciatori con il portico di ingresso in via Dora e il lampadario in ferro battuto. L’artista, attraverso il simbolismo cromatico dell’oro, dell’argento, del rosso e del bianco e nero, cerca di riuscire a esprimere dapprima una sensazione di mistero e successivamente un messaggio di rivelazione. Leit-motiv è la luce, elemento costante di tutte le opere di Yuriko, che simboleggia l’idea di speranza e di bellezza, risplendente anche nelle tenebre; non disgiunta dall’invito a esplorare idee e prospettive sempre nuove. L’artista romano Mauro De Luca, formatosi alla locale Accademia di Belle Arti e con una lunga e poliedrica attività che ha spaziato dalla pittura alla scenografia, dalla grafica all’illustrazione, dal fumetto alla scultura, prende spunto da vedute di prospetti e di dettagli architettonici nonché decorativi dell’eclettico e affascinante quartiere, per immergere in atmosfere suggestive, quali visioni diurne, notturne o vespertine, e reinvestire di emozioni, grazie a contrasti chiaroscurali e cromatici o diffusione tonale o ancora lavorando su una medesima dominante, avvalendosi di diverse tecniche, dall’olio all’acrilico, dall’acquarello alla grafica.


Dall’attrazione per i monumenti reinterpretati e rivestiti da graffiti di writer, con le opere di Valerio Prugnola riaffiora l’attenzione per facciate ricoperte da motivi esornativi plastici e pittorici. Tra di essi emergono chiave di volta di un arco o mensole con mascheroni fitomorfi e teriomorfi dalle espressioni aggressive e dalle fauci minacciose e digrignanti, mascheroni teatrali simboli della presenza dionisiaca entro timpani di portali trait-d’union temporali tra il passato e il presente quali Stargate di accesso a mondi ignoti. Filo conduttore della mostra è l’apertura della cavità orale nata per amplificare la voce e costituire un megafono ante litteram nella maschera detta in latino per sona. Non a caso l’espressione spaventosa che atterrisce ed evoca tenebrose atmosfere è anche la griffe che l’artista lascia sulle proprie opere, autodefinendosi con l’urlo: Shout. Tra gli altri appuntamenti in programma, un’esposizione con foto di scena di Franco Bellomo per i film di Dario Argento; reading di poesia e letteratura “tra le due guerre” a cura del professor Claudio Cipriani; una giornata di studio sul quartiere Coppedè con interventi di architetti e specialisti di architettura; concerti di musica classica, contemporanea e jazz di celebri compositori del primo trentennio del XXI secolo.

Libri, esce “Tempesta su Mussolini” di Andrea Frediani

Libri, esce “Tempesta su Mussolini” di Andrea FredianiRoma, 25 mar. (askanews) – Rai Libri presenta “Tempesta su Mussolini. Un grande romanzo storico sul delitto Matteotti” di Andrea Frediani.


È il 30 maggio del 1924 quando nell’aula della Camera Giacomo Matteotti accusa il presidente del Consiglio Benito Mussolini, ex compagno di partito, di essersi macchiato di brogli e violenze per vincere le elezioni e ottenere la guida di un governo di coalizione. Una denuncia coraggiosa quella di Matteotti, dai suoi soprannominato “tempesta” per il temperamento risoluto e impavido. All’origine dello scontro con Mussolini posizioni politiche ormai inconciliabili. Pochi giorni più tardi, il tragico epilogo: Matteotti sarà rapito e barbaramente ucciso. Il romanzo di Andrea Frediani racconta un momento decisivo della storia italiana, con i toni della suspense e nel pieno rispetto della vicenda storica, accompagnando il lettore al cospetto di uno dei più importanti “gialli” dell’epoca contemporanea. Il romanzo fa parte della collana di Rai Libri “Cristalli Sognanti” dedicata alle parole che aspirano a diventare visioni. Un contenitore di storie pensate per diventare film o serie tv perché costruite con il ritmo del racconto per immagini, attraverso la creatività dei grandi autori italiani.


“Tempesta su Mussolini” di Andrea Frediani, edito da Rai Libri, è in vendita nelle librerie e negli store digitali dal 27 marzo 2024. Andrea Frediani è nato a Roma nel 1963. Tra i divulgatori storici più noti d’Italia, ha collaborato con numerose riviste come Storia e Dossier, Focus Storia, Focus Wars, Storica di National Geographic, Medioevo. Ha pubblicato saggi e innumerevoli romanzi storici che spaziano dalla Roma antica, passando per la storia moderna, fino ad arrivare ai giorni nostri, vendendo oltre un milione e mezzo di copie. Tra questi, Le grandi battaglie di Roma antica, L’incredibile storia di Roma antica, la trilogia Dictator (L’ombra di Cesare, Il nemico di Cesare e Il trionfo di Cesare, quest’ultimo vincitore del Premio Selezione Bancarella 2011), La dinastia, La spia dei Borgia, Napoleone, Il bibliotecario di Auschwitz, L’ultimo soldato di Mussolini, Il nazista che visse due volte, pubblicati da Newton Compton, L’eroe di Milano, pubblicato da Cairo Editore. Molti sono stati tradotti all’estero. Il suo sito è www.andreafrediani.it.