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Guggenheim Bilbao, 2023 da record con 1,3 milioni di visitatori

Guggenheim Bilbao, 2023 da record con 1,3 milioni di visitatoriMilano, 3 gen. (askanews) – Il Museo Guggenheim di Bilbao ha chiuso il 2023 con numeri da record, anche per uno dei luoghi di cultura contemporanea più noti al mondo: nell’anno appena passato i visitatori sono stati 1.324.221, con una crescita di oltre 35mila presenze rispetto al 2022. In particolare, sottolineano dal museo, 1.152.072 persone sono venute da fuori i Paesi Baschi, ed è un dato significativo perché negli alti due anni di grandi risultati, il 2017 e il 2022, decine di migliaia di visitatori erano venuti dalla stessa regione del museo, per via di iniziative di gratuità riservate ai residenti. In qualche modo il bilancio del 2023 sancisce anche un ritorno all’effettiva valutazione del peso dell’istituzione culturale sulla scena del mercato.

Il numero di visitatori stranieri nel 2023 è tornato ai livelli pre pandemia: ora ammontano al 60% del totale, 10% in più rispetto all’anno precedente. Nel dettaglio sono al 16% francesi, al 7% tedeschi, al 6% britannici e stessa percentuale per gli statunitensi. Dall’Italia arriva invece a Bilbao il 4% dei visitatori. Sul fronte digitale il museo Guggenheim parla di una continua crescita sui social media e di oltre 3,2 milioni di visite al sito Web. In crescita rispetto al 2022 anche i dati sull’impatto economico del Guggenheim Bilbao per il territorio. Nel dettaglio la domanda generata dalle attività del museo nei Paesi Baschi è ammontata a 762,2 milioni di euro; il contributo del museo al PIL è arrivato a 657,6 milioni: questi dati hanno portato a generare ulteriori entrate per il Tesoro della regione pari a 103,4 milioni. E sul fronte occupazionale l’attività del museo ha contribuito a mantenere 13.855 posti di lavoro. Nel 2023 infine il museo Guggenheim ha raggiunto circa il 78% di auto finanziamento, risultato che lo pone ai vertici tra le istituzioni culturali europee.

Dopo questa pioggia di numeri si può anche azzardare una lettura più trasversale di come si è arrivati ai risultati del 2023, ovviamente partendo dalle mostre principali che, per l’anno appena concluso sono state sei, dedicate a Juan Mirò, a Oskar Kokoschka, a Lynette Yiadom-Boakye, a Yayoi Kusama, a Picasso scultore e a Gego. Queste ultime due sono ancora in corso e si concluderanno tra gennaio e inizio febbraio. A tutte queste va aggiunta anche la grande esposizione sulle opere della collezione realizzata per il 25esimo anniversario del museo che si era aperta nell’agosto del 2022 per durare fino a fine febbraio 2023 e, successivamente, il nuovo display di una parte di queste, visitabili sostanzialmente per tutto il 2023 e 2024. Altro elemento di attrattività culturale che non può non essere considerato è quello delle opere esposte in maniera permanente: dalle famosissime sculture che stanno all’esterno del museo come il “Puppy” di fiori di Jeff Koons o il grande ragno-madre di Louise Bourgeois, fino soprattutto alle installazioni interne al museo come il “Soffitto spaziale” di Lucio Fontana, le scritte luminose di Jenny Holzer e le enormi strutture de “La materia del tempo” di Richard Serra.

E’ chiaro che parte dell’attrattività globale del museo Guggenheim di Bilbao deriva dalla sua iconicità come edificio e come collezione – il grande Rothko giallo e rosso, gli enormi dipinti pop, il mare prodigioso di El Anatsui, per non dire poi degli immensi Kiefer, peraltro ora non esposti – ma le mostre temporanee sono allo stesso modo decisive per mantenere alto l’interesse del pubblico, oltre che la vivacità culturale dell’offerta. In questo senso è sempre affascinante vedere come il museo equilibra le scelte proponendo, per esempio per il 2023 due artisti spagnoli di fama storicizzata e universale (Mirò e Picasso), un’artista internazionale che va per la maggiore oggi e che attira pubblici assolutamente trasversali (Kusama, come vediamo anche in Italia con la mostra a Bergamo sempre sold out), un’artista già importante sul mercato e tra la critica, ma ancora non così nota al grande pubblico (Yiadom-Boakye, mostra meravigliosa) e un nome storicizzato, ma per certi versi di “seconda fila” dell’arte di fine Ottocento e inizio Novecento, che viene in qualche modo riscoperto (Kokoschka). Come si vede, e questa è una tendenza che si riscontra praticamente in tutti i grandi musei internazionali, la parola chiave è equilibrio, che implica poi una riflessione sui diversi pubblici e le diverse domande che le esposizioni vanno a porre e a stimolare. Ed è grazie a questi incastri e bilanciamenti che i musei di arte moderna e contemporanea riescono a parlare a sempre più persone, nel caso del Guggenheim Bilbao a oltre 1,3 milioni di visitatori. (Leonardo Merlini)

Le strutture, il cosmo, l’invisibile: la scoperta di Gego

Le strutture, il cosmo, l’invisibile: la scoperta di GegoBilbao, 2 gen. (askanews) – Un viaggio inatteso, carico di stupore, attraverso mondi e suggestioni che riguardano l’arte e l’architettura, ma anche la scienza, le dimensioni, il tempo e l’idea stessa dello spazio. La mostra che il Guggenheim Bilbao dedica all’artista tedesco-venezuelana Gertrud Goldschmidt, nota come Gego, è una scoperta, un modo per ripensare a come l’arte contemporanea arriva a toccare cuori e cervelli in profondità.

“Lei come artista – ha detto ad askanews la curatrice della mostra Geaninne Gutiérrez-Guimaraes – ha sempre guardato al cosmo, all’universo, alle stelle. Noi pensiamo che da qui siano nate le connessioni e le forme di quei fili di acciaio alluminizzato, che si intrecciano e si interlacciano per creare delle strutture che hanno qualcosa di cosmologico e universale, nel senso che può parlare a chiunque e chiunque può trovare delle proprie risposte, sia che sia un esperto di arte sia che non ne sappia nulla”. Formatasi come architetto e scappata dalla Germania per le persecuzioni naziste, Gego ha attraversato l’astrazione o l’arte cinetica con un passo suo, molto moderno e in anticipo sui tempi in un certo senso, capace di mettere in evidenza relazioni profonde e sottili, come le sue costruzioni. “Io credo – ha aggiunto la curatrice – che come artista Gego abbia davvero spinto più in là i confini: ha saputo trasformare l’idea di quello che normalmente consideriamo siano le opere in tre dimensioni. Non ha mai chiamato le sue opere ‘sculture’, per lei sono solo ‘strutture’ ed era davvero interessata alla relazione tra energia, trasparenza, opacità. Io credo che questo è quello che vediamo quando guardiamo i suoi lavori geometrici fatti con i cavi”.

La mostra del Guggenheim, che crea una relazione dialettica sia con gli spazi del museo di Gehry sia con la contemporanea esposizione su Picasso scultore, comprende circa 150 opere, attraverso le quali come visitatori abbiamo anche la sensazione di percepire la forza dell’invisibile. “La sua ricerca, le sue investigazioni durante tutta la vita – ha concluso Geaninne Gutiérrez-Guimaraes – hanno ruotato intorno al modo in cui rendere visibile l’invisibile e prendersi cura di tutti quegli spazi negativi e vuoti che stanno tra le linee e dare uguale importanza a ciò che essi rappresentano”. La mostra su Gego, che si apre proprio accanto alle imponenti strutture di Richard Serra, resta aperta al pubblico a Bilbao fino al 4 febbraio 2024.

Topolino racconta la tv italiana a 70 anni dalla sua nascita

Topolino racconta la tv italiana a 70 anni dalla sua nascitaMilano, 2 gen. (askanews) – Topolino racconta la tv italiana a 70 anni dalla sua nascita. Il 3 gennaio 1954, infatti, iniziava il regolare servizio di trasmissioni televisive in Italia e proprio in quella data è prevista l’uscita di un volume speciale, numero 3554, (in edicola, in fumetteria e su www.panini.it) che raccoglie una serie di avventure con i personaggi Disney ambientate dentro e fuori il piccolo schermo, in un viaggio tra passato e presente, tra i vari format (dal quiz al reality show, passando per le grandi kermesse musicali) e con tante guest star d’eccezione.

A partire dalla prefazione, scritta da Fiorello, e poi dalle tante storie a seguire. Ad esempio, nella prima “Il collezionista di stelle” (pubblicata nel 2014, scritta da Francesco Artibani e con i disegni di Alessandro Perina) Pippo va alla ricerca di suo cugino Pippo Bau, stella della R.T.T. (radiotelevisione topolinese). Un omaggio a Pippo Baudo e alla televisione italiana.

Un Picasso diverso, a Bilbao uno scultore tra materia e corpo

Un Picasso diverso, a Bilbao uno scultore tra materia e corpoMilano, 31 dic. (askanews) – Guardare Picasso da una prospettiva diversa, forse anche nuova, in relazione allo spazio unico di un museo come il Guggenheim di Bilbao. È quello che prova a fare la mostra “Picasso scultore – Materia e corpo”, che racconta l’opera scultorea dell’artista spagnolo attraverso 50 lavori, molto diversi tra loro, realizzati tra il 1909 e il 1962 e dedicati alla rappresentazione della figura umana.

“In ogni fase della sua vita – ha detto ad askanews Lucía Agirre, co-curatrice della mostra con Carmen Giménez – c’è un rapporto con i materiali, e c’è un modo diverso nel quale mostra il corpo umano attraverso i vari materiali. È questo che l’esposizione vuole raccontare principalmente e attraverso tutte queste opere si può vedere anche il gusto che Picasso aveva per l’antichità”. Di Picasso si è visto e detto molto, forse troppo a volte, ma nella mostra a Bilbao si prova una sensazione diversa: le sculture si prendono lo spazio, si allontanano dallo stereotipo del racconto del personaggio Picasso e diventano dei significanti di grande forza, in un certo senso liberate dall’imgombranza dell’artista. “Per Picasso l’idea della monumentalità – ha aggiunto la curatrice – era molto importante: per lui la scultura era monumento, aveva il piedistallo e tutte lue caratteristiche per esserlo. E noi abbiamo voluto sottolineare questo aspetto nella mostra, far vedere come per lui come questa monumentalità aveva tanta importanza, anche nelle opere piccole”.

Interessante anche lasciare che sullo sfondo, ma presente, resti l’impressione di assistere al modo in cui certe opere possono avere influenzato artisti per molti versi lontanissimi dello spagnolo, come per esempio l’americane Simone Leigh, premiata alla Biennale Arte del 2022. E poi queste sculture parlano anche di una dimensione personale di Picasso. “Non ha mostrato tanto la sua scultura in pubblico, almeno fino al 1966 quando fa una mostra al Petit Palais – ha concluso Lucía Agirre – La scultura in un certo senso è qualcosa di più suo, la presenta poi al pubblico, ma è una pratica più intima, nella quale può essere più se stesso”. È chiaro che un dipinto come “Les Demoiselles d’Avignon” ha avuto un peso diverso nella storia dell’arte, ma è affascinate accorgersi di come questo Picasso scultore possa rappresentare oggi una sorta di scoperta inattesa, e forse per tanti aspetti “migliore”.

Trhiller, fantascienza, fumetti: l’estro della scrittrice Riello Pera

Trhiller, fantascienza, fumetti: l’estro della scrittrice Riello PeraRoma, 30 dic. (askanews) – Continua a mietere successo fra i lettori la scrittrice patavina Patrizia Riello Pera. Le sue opere letterarie spaziano in generi differenti che, a volte, si mischiano fra loro: dall’umoristico al thriller, dal serial alla fantascienza, dai testi educativi per bambini ai fumetti, dai testi teatrali al mistery, senza dimenticare ovviamente la poesia e la sceneggiatura: “Amo tutti i generi in cui mi sono cimentata -spiega la Riello Pera- e spesso anche quelli a cui ancora non mi sono dedicata. Non ho un genere preferito. Dipende dalla qualità dell’opera”.

Le indagini dell’ispettore Creighton: La nuova vita di Scott Adlam, è il volume, edito dalla Di Carlo Edizioni, con cui l’autrice è stata presente alla Fiera del libro di Francoforte: “Si è trattato di un appuntamento importante -spiega la Riello Pera. Sono orgogliosa di aver rappresentato il nostro Paese in una Fiera che è punto di riferimento fondamentale per l’editoria mondiale. Credo che per noi autori emergenti questa sia un’occasione unica che va colta con passione e impegno”. Nel libro, presentato in Germania, si intrecciano due storie, fra presente e passato, che terranno il lettore avvinghiato alle pagine del libro. Mistero, thriller e soprattutto elementi facenti parte dei cosiddetti fenomeni paranormali rendono questo testo intrigante e calamitano l’attenzione del lettore, sollevando il velo dell’illusione fra questo e l’altro mondo.

Patrizia Riello Pera è però autrice di altri due interessanti scritti: Le fiabe del villaggio e Le avventure dell’avvocato Bouvier. “Le fiabe del villaggio -afferma l’autrice- raccoglie venti favole. Le ho scritte per ricordare l’amore per la natura. Mi auguro di avere fornito, in questo modo, uno strumento educativo non soltanto per i piccini ma soprattutto per i grandi. Mi riterrò onorata se il mio testo sarà in grado di comunicare valori come fratellanza, tolleranza, gentilezza, amicizia e lealtà. Avrei centrato così l’obiettivo che mi sono prefissa quando le ho redatte”. Le avventure dell’avvocato Bouvier è invece una raccolta di racconti di genere umoristico, con la quale l’autrice vuole dare risalto alle problematiche della vita quotidiana : “L’avvocato Bouvier -conclude la Riello Pera- è un uomo vanitoso, originale e, a volte, stravagante. Bisogna leggere questo libro tutto di un fiato e vi assicuro che non mancheranno risate a non finire”.

La malinconia, la folla e la speranza, Yayoi Kusama a Bergamo

La malinconia, la folla e la speranza, Yayoi Kusama a BergamoBergamo, 30 dic. (askanews) – Una mostra in costante sold out, che riflette molti dei temi del dibattito sulla relazione tra pubblico di massa e arte contemporanea e che porta a Bergamo un nome di grido come quello di Yayoi Kusama, per la chiusura dell’anno di Bergamo Brescia Capitale italiana della Cultura. La mostra “Infinito presente” a Palazzo della Ragione è anche l’occasione per vedere per la prima volta in Italia una Infinity Room della collezione del Whitney Museum di New York, intitolata “Fireflies on the Water”.

Rispetto ad altre stanze infinite di specchi di Kusama questa presenta un piccolo molo, circondato dall’acqua, e ha una luce più malinconica, più reale da certi punti di vista. La clamorosa popolarità dell’artista giapponese oggi stride con la natura intima e tiepida dell’opera, e ci ricorda, con delicatezza, che le narrazioni che costruiamo dal di fuori spesso non appartengono a chi le opere le crea, ma anche questo è ovviamente parte del gioco da sempre, fin dalle prime manifestazione d’arte. In questo momento occorre “esserci”, occorre “partecipare”, e la stanza infinita è un luogo ideale per esercitare la nostra presenza e anche per ascoltare il messaggio di Kusama, il suo appello di “speranza e chiarore”, che le piccole luci su quel piccolo molo riscaldano con l’immersione fisica nella dimensione senza confini del lavoro. Tutto perfetto poi per Instagram e vita digitale, compresi i messaggi che il pubblico può lasciare sul muro al termine del percorso espositivo. Ma intanto siamo tutti passati di qua, ed è già qualcosa.

Curata da Stefano Raimondi e realizzata da The Blank Contemporary Art, la mostra resta aperta al pubblico a Bergamo alta fino al 24 marzo 2024.

Per la Treccani la parola dell’anno è “femminicidio”

Per la Treccani la parola dell’anno è “femminicidio”Roma, 28 dic. (askanews) – Nell’ambito della campagna di comunicazione #leparolevalgono, volta a promuovere un uso corretto e consapevole della lingua, l’Istituto della Enciclopedia Italiana ha selezionato “femminicidio” come parola dell’anno 2023. La scelta, spiega Treccani, evidenzia l’urgenza di porre l’attenzione sul fenomeno della violenza di genere, per stimolare la riflessione e promuovere un dibattito costruttivo intorno a un tema che è prima di tutto culturale: un’operazione pensata non solo per comprendere il mondo e la società che ci circondano, ma anche per contribuire a responsabilizzare e sensibilizzare ulteriormente lettori e lettrici su una tematica che inevitabilmente si è posizionata al centro dell’attualità. “Come Osservatorio della lingua italiana – spiega infatti Valeria Della Valle, direttrice scientifica, insieme a Giuseppe Patota, del Vocabolario Treccani – non ci occupiamo della ricorrenza e della frequenza d’uso della parola femminicidio in termini quantitativi, ma della sua rilevanza dal punto di vista socioculturale: quanto è presente nell’uso comune, in che misura ricorre nella stampa e nella saggistica? Purtroppo, nel 2023 la sua presenza si è fatta più rilevante, fino a configurarsi come una sorta di campanello d’allarme che segnala, sul piano linguistico, l’intensità della discriminazione di genere. Il termine, perfettamente congruente con i meccanismi che regolano la formazione delle parole in italiano, ha fatto la sua comparsa nella nostra lingua nel 2001 (e fu registrata nei Neologismi Treccani del 2008): da allora si è esteso a macchia d’olio quanto il crimine che ne è il referente”.

Libri, “Alla scoperta della Terra Santa con la Bibbia tra le mani”

Libri, “Alla scoperta della Terra Santa con la Bibbia tra le mani”Roma, 24 dic. (askanews) – TS Edizioni pubblica, anche in formato e-book, “In Terra Santa. Un pellegrinaggio spirituale”, del cardinale Gianfranco Ravasi. Si tratta di una nuova edizione rivista e aggiornata di Sion. Guida essenziale alla Terra Santa, pubblicato da Edizioni Terra Santa nel 2017.

Scrive l’autore nella prefazione: “Noi siamo pellegrini come tutti i nostri padri: questa suggestiva definizione del popolo di Dio che la Bibbia ci offre (1Cr 29,15) non è solo la sigla di questa guida spirituale della Terra Santa, ma è anche la sintesi ideale del pellegrinaggio cristiano e del suo valore simbolico. C’è un libro fondamentale della Bibbia, l’Esodo: esso è il ritratto di un popolo in marcia verso una meta luminosa e precisa, l’incontro con Dio nella libertà e nella gioia del santuario posto sul colle santo di Sion”. Nell’Esodo, dunque, emerge la profonda diversità della religione biblica ad esempio dalla cultura greca, legata al passato e protesa alla ricerca di una mitica età dell’oro, come sottolinea il cardinale: “Il simbolo più vivo di questa visione è Ulisse che, strappato dalla sua patria, anela a ritornarvi anche solo per contemplare il fumo serale che si leva dai camini delle case del suo villaggio (Odissea 1,58): la sua patria è un ‘prima’, un passato, la sua vita è un ‘ritorno’. Tanti uomini del nostro tempo appaiono stanchi, sfiduciati, immobili in attesa che qualcosa si compia o arrivi Qualcuno: hanno perso il senso del cammino, il bisogno di mettersi in pellegrinaggio. Questo sottolinea l’autore: “Compiere un pellegrinaggio vuol dire, perciò, quasi in miniatura, riacquistare il senso della vita come movimento, conquista, speranza. È riscoprire che la nostra patria è un “poi”, un destino fatto di luce e di gioia”.

Il percorso proposto dall’Autore è strutturato in quattro grandi tappe che corrispondono ai momenti fondamentali di un pellegrinaggio in Israele e Palestina: la Galilea, la regione settentrionale teatro dei primi atti di Gesù; la centrale Samaria; la meridionale Giudea e al suo centro – ma anche al centro di tutta la Terra Santa e di tutta la Bibbia – Gerusalemme, la città santa delle tre religioni monoteistiche sorelle, l’ebraismo, il cristianesimo, l’islam. All’interno di ognuna di queste grandi tappe si snodano le località concrete in cui il pellegrino passerà: i 19 centri della Galilea, le 3 soste della Samaria, i 16 luoghi principali della Giudea e i 19 siti di Gerusalemme.

Racconti di Sabaudia 2023, il premio vola in Trentino Alto Adige

Racconti di Sabaudia 2023, il premio vola in Trentino Alto AdigeMilano, 22 dic. (askanews) – E’ Bolzano ad aggiudicarsi quest’anno con il giornalista Luca Masiello e il suo racconto “Annaddio” la vittoria del concorso letterario nazionale “Racconti di Sabaudia 2023”. Segue al secondo posto la Sardegna che vede Carbonia, città di fondazione, salire sul podio con Stefania Guidotti con il racconto “La bicicletta”. Il terzo posto è conquistato dal Lazio, dall’ingegnere romano Samira El Boueri, che si aggiudica anche il Premio Enel con il suo racconto “La conchiglia”.

L’ambito premio Regione Lazio vola a Terracina grazie al racconto “Un’estate dopo l’altra” firmato dalla giovane studentessa Chiara Colasanti, il Premio Nori Corbucci dedicato al cinema va a “Storia di una promessa” di Gabriele Micarelli, il premio Consorzio Mare Pontino assegnato dagli stabilimenti del lungomare di Sabaudia a Romain Bocognani per “Un’indagine del Comandante Ferzetti, Carabinieri di Sabaudia”, il premio Venus dedicato all’ambiente a “Richiami dal mare” di Paola Pane. Si conclude così l’edizione di uno dei premi letterari italiani più amati, nato venti anni fa nell’agro pontino, territorio ricco di arte e leggende che fa del mito di Circe anche il fascino del suo paesaggio e di un importante patrimonio culturale. “Era un percorso naturale la corsa di Latina verso Capitale italiana della Cultura 2026 – afferma Maria Costici curatrice del Premio letterario sostenuto dalla Regione Lazio, Enel e Esri Italia – proprio per la vocazione letteraria e artistica di un territorio in continuo fermento evolutivo. I Racconti di Sabaudia ne sono una prova, non perché siano un esclusivo omaggio alla sola Sabaudia, luogo amato da grandi scrittori come Alberto Moravia, Pierpaolo Pasolini, Enzo Bettiza, solo per citarne alcuni, ma per omaggiare tutta la cultura del territorio pontino. Esiste un rapporto importante e duraturo tra la città di Latina e i Racconti di Sabaudia, – continua la curatrice – sin dalla prima edizione del libro nel 2003 Latina è stata uno dei motori che ha fatto correre la macchina dei racconti verso il successo. Moltissimi sono stati gli autori del capoluogo pontino che hanno firmato questo libro con un loro racconto, molti anche i vincitori e ben tre copertine del libro sono state tratte da scatti di fotografi di Latina”.

Il libro dei Racconti di Sabaudia, con una tiratura di dodicimila copie è stato distribuito gratuitamente durante i mesi estivi sulle coste laziali e agli imbarchi internazionali dell’Aeroporto Leonardo da Vinci come incentivo alla lettura e alla scrittura.

”La Colonna Traiana. Il racconto di un simbolo”, mostra al Colosseo

”La Colonna Traiana. Il racconto di un simbolo”, mostra al ColosseoRoma, 21 dic. (askanews) – La Colonna di Traiano veniva inaugurata il 12 maggio 113 d.C., 1910 anni fa. Sin dalla sua progettazione e costruzione la Colonna rappresentò una sfida per l’ingegno umano: l’estrazione del marmo dalla cava di Carrara, il trasporto via terra, via mare e via fiume, e infine la lavorazione e posa in opera nel cantiere del Foro di Traiano rappresentarono le tappe di un ardito processo ingegneristico e tecnologico ancora oggi fonte di stupore e meraviglia.

Ma non basta, perché nel cantiere del Foro la Colonna, di lì a poco avvolta in un fregio a spirale a celebrare le gloriose campagne daciche dell’Optimus Princeps Traiano, venne scavata per ricavare una scala a chiocciola e la struttura marmorea venne svuotata dall’interno quasi fosse una gigantesca vite di Archimede. È Apollodoro di Damasco, il geniale e innovativo architetto e ingegnere di origine siriana, parte attiva nei successi dell’imperatore, ad illustrare a Traiano il progetto della Colonna sullo sfondo delle Alpi Apuane, nello straordinario arazzo della manifattura di Ouderarde, esposto in mostra nella sua versione digitalizzata. Con l’architetto e il suo illustre committente, di nuovo l’uno di fronte all’altro a distanza di quasi duemila anni, si apre l’esposizione “La Colonna Traiana. Il racconto di un simbolo”, organizzata e promossa dal Parco archeologico del Colosseo e dal Museo Galileo – Istituto e Museo di Storia della Scienza con la curatela di Alfonsina Russo, Federica Rinaldi, Angelica Pujia e Giovanni Di Pasquale. La mostra sarà visitabile dal 22 dicembre 2023 al 30 aprile 2024 al secondo ordine del Colosseo.

Il calco del busto attribuito ad Apollodoro proveniente dal Museo della Civiltà romana e quello di Traiano proveniente dal Museo Palatino, assieme agli stili e agli strumenti per scrivere e disegnare e al modello in scala del ponte sul Danubio, altro capolavoro di carpenteria in grado di superare l’ampiezza e la potenza della corrente del fiume Danubio, introducono il visitatore nella bottega del Maestro architetto, genius loci di tutta l’esposizione. Per comprendere appieno il processo di costruzione della Colonna e con esso la fatica e la potenza muscolare di centinaia di uomini che contribuirono a realizzare questo indiscusso capolavoro, in un Colosseo fasciato di blu, sono esposti i principali strumenti antichi utilizzati per l’estrazione dei blocchi di marmo, per il trasporto su imbarcazione e per la messa in opera, assieme ai modelli ricostruttivi delle macchine da cantiere dell’epoca (gru, torri, ruote), realizzati da Claudio Capotondi, novello “Maestro delle Imprese di Traiano”.

Video e proiezioni su schermo realizzati dal Museo Galileo assieme ad una grafica coinvolgente e a testi che superano le dimensioni dei pannelli didascalici per divenire narrazione anche visiva di un’unica Storia, offrono un racconto più didattico oltre che una maggior comprensione degli oggetti esposti in mostra. A contribuire al racconto permanente della Colonna è stata anche realizzata una webAPP in lingua italiana e inglese e, grazie al prezioso coinvolgimento e alla collaborazione dell’Ambasciata di Romania, anche in lingua romena. Il cantiere della Colonna resta un’impresa epica, dove arte e tecnica, scultura e ingegneria si fondono e oggi tornano a rivivere grazie ad un’operazione di restituzione del passato: ancora una volta l’ingegno umano diventa esso stesso arte. E sono proprio la techne e l’ars a guidare il racconto di un’opera temeraria, che divenne nei secoli simbolo universale a cui si ispirarono imperatori, Papi e sovrani.

L’allestimento narra e spiega questa funzione simbolica con due registri narrativi: quello più propriamente storico e artistico, con l’ardita ricostruzione del fregio in scala 1:1 le cui spire si avvolgono sui pilastri del Colosseo, separate nel racconto della Prima e Seconda Guerra Dacica dalla Vittoria che scrive sullo scudo riprodotta nel calco dei Musei Vaticani; e quello invece più specificamente tecnico, con le tappe della lavorazione del marmo, fino ad arrivare alla idolatria e all’uso politico dei sovrani d’Europa che ne pretesero la riproduzione attraverso la tecnica della calcatura. La funzione simbolica di quest’opera si traduce, infatti, già molto presto nella sua replicabilità e come raccontato nell’ultima sezione, oggi il patrimonio di disegni, stampe e riproduzioni, ma soprattutto il patrimonio di calchi che dalla metà del XVI secolo e fino al XX secolo hanno “invaso” l’Europa, le corti e le collezioni dei principali musei del continente – dalla Francia alla Romania all’Italia – fotografano la fortuna della Colonna, da monumento “politico”, a oggetto dal forte valore didattico e formativo, fino al destino di “replica” e “copia”. Ma è da qui che la mostra intende riavvolgere il nastro della Storia: dal calco, come opera d’arte in sé in quanto testimone di un procedimento tecnologico di riproduzione di un modello, al calco, come testimone dello scorrere del tempo sulle superfici della Colonna nel corso dei secoli, scaturisce l’immagine di un monumento unico e irripetibile e per questo destinatario ormai da quarant’anni e senza soluzione di continuità di restauri e manutenzioni, ma anche di estese campagne di documentazione fotografica, rilievi e da ultimo riprese 3D fotogrammetriche, di cui la camera immersiva al termine del percorso di visita concepita e realizzata da Sergio Fontana offre una straordinaria suggestione. Qui, i visitatori si ritroveranno letteralmente immersi nei paesaggi della Dacia del II secolo d.C., e potranno ammirare il fregio della Colonna che si svolge davanti ai loro occhi a grandezza naturale, con un dettaglio e una qualità delle immagini mai raggiunti in precedenza. Così, se oggi è possibile srotolare i quasi trecento metri di fregio ammirando in un sol colpo d’occhio le imprese di Traiano, allo stesso modo è possibile avvalersi di questi nuovi strumenti per migliorare gli approcci di tutela e conservazione e traghettare nel futuro un monumento significativo per la storia, l’architettura e la tecnologia, che non ha mai perso il suo fascino. ‘La Colonna Traiana, costruita dall’architetto Apollodoro di Damasco su ordine dell’imperatore Traiano, non è solo una preziosa cronaca visiva della guerra dacico-romana, ma anche una testimonianza della nostra storia comune nei secoli. Questo maestoso monumento, che nel corso degli anni è stato fonte di ispirazione per molti altri monumenti in tutto il mondo, rappresenta oggi, per il popolo romeno e soprattutto per la comunità romena in Italia, molto più di un monumento di significato storico. Dopo che la latinità è servita come fattore di coagulazione nazionale e di modernizzazione politica e sociale nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, oggi, per la comunità romena nella Penisola, la Colonna Traiana facilita il riavvicinamento tra i nostri popoli, diventando nel tempo un luogo di incontro in cui i romeni stabiliti in Italia celebrano le feste nazionali più importanti, che si tratti della Giornata della Cultura Nazionale, della Festa Universale dell’Ia o della Festa Nazionale della Romania’, così S.E. Gabriela Dancau, Ambasciatore di Romania nella Repubblica Italiana, Malta e San Marino. ‘La Colonna Traiana è la porta d’ingresso al Parco archeologico del Colosseo, essa si trova all’avvio di quel percorso che, con un’unica passerella, oggi unisce il Foro di Traiano e quello di Cesare con il Foro Romano e il Palatino fino al Colosseo – commenta il Direttore del Parco archeologico del Colosseo Alfonsina Russo. Ma la Colonna, innalzata a celebrare le gesta di Traiano e la massima espansione dell’impero romano, oggi è anche un simbolo dell’Europa come dimostra la sua “presenza” diffusa nelle collezioni dei principali musei europei. Ed è motivo di orgoglio proseguire il percorso di conoscenza, tutela e valorizzazione di un monumento così iconico, contribuendo alla sua fortuna nel tempo’. Federica Rinaldi, archeologa responsabile del progetto e co-curatrice del progetto espositivo spiega: ‘Questa mostra ha una duplice valenza: da un lato, grazie all’idea iniziale e al supporto scientifico del Museo Galileo e del Maestro Claudio Capotondi, approfondisce con un forte taglio didattico e un’accessibilità per tutti il tema affascinante delle modalità di costruzione dei monumenti di età romana, esponendo gli strumenti antichi e le macchine usate nei cantieri dell’epoca in un continuo gioco di specchi tra fonti antiche e ricostruzioni contemporanee; dall’altro si colloca all’inizio di un percorso di studio, ricerca e valorizzazione che con Angelica Pujia, co-curatrice del progetto, è stato concepito per leggere la materia e quindi lo stato conservativo del fregio storico attraverso le attività di manutenzione già in programma fino al 2026, ma anche e soprattutto con uno sguardo allargato alla fortuna della Colonna dal XVI secolo in poi grazie alla documentazione storica costituita da calchi, disegni, stampe e riproduzioni’. Giovanni Di Pasquale, vicedirettore scientifico del Museo Galileo e co-curatore del progetto espositivo, aggiunge: ‘La Colonna Traiana è un’opera di ingegneria di complessità inaudita, che testimonia i vertici elevatissimi raggiunti dalla civiltà romana nell’arte del costruire. La mostra racconta la fatica e l’ingegno di uomini che hanno estratto tonnellate di marmo per poi affrontare con slitte di robusto legno i quasi 700 metri di dislivello per raggiungere la pianura e il porto di Luni, dove enormi navi erano pronte a raggiungere Ostia e Roma. È difficile oggi immaginare l’organizzazione di un cantiere così complesso e la precisione meccanica necessaria per la composizione del monumento, con i suoi blocchi precisamente giustapposti uno sull’altro e i gradini della scala interna a combaciare perfettamente. Se le conoscenze che hanno permesso di portare a compimento tutte le fasi di quest’impresa, mai registrate in forma scritta, sono svanite con la fine delle civiltà che le misero in atto, il dialogo tra fonti letterarie e archeologiche permette di ricomporre questa straordinaria avventura. Per ottenere questo risultato, il percorso di mostra è scandito dalla presenza di reperti archeologici, modelli di macchine, ricostruzioni 3D e approfondimenti multimediali: ne scaturisce una narrazione che permetterà di riflettere sul ruolo fondamentale, e scarsamente noto, recitato dalle conoscenze scientifiche e tecnologiche nello sviluppo della civiltà romana’. Scaturita dall’accordo di collaborazione tra il Parco archeologico del Colosseo e il Museo Galileo, Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze e dall’accordo tra il Parco archeologico del Colosseo e la Sovrintendenza capitolina ai Beni Culturali, questa mostra propone con una nuova chiave di lettura, e con uno sguardo fino al contemporaneo, le vicende della costruzione e della fortuna della Colonna. Il nucleo, costituto dall’esposizione ideata dal Museo Galileo di Firenze tenutasi nel 2019 al Museo degli Uffizi – Limonaia del Giardino di Boboli, si arricchisce di nuovi materiali e di nuovi contenuti multimediali oltre che di nuove immagini del fregio, che porteranno il racconto a diretto contatto con i visitatori. Con la guida del genius loci Apollodoro la mostra ripercorre in tre sezioni le tappe della costruzione della Colonna, indugiando sulla forma e sulla tecnica con cui essa venne realizzata grazie a quel bagaglio di conoscenze che era stato maturato secoli addietro con la costruzione delle piramidi egizie, le viti idrauliche per l’irrigazione dei giardini pensili di Mesopotamia, il faro di Alessandria, l’estrazione dei marmi dalle cave del Monte Pentelico per l’acropoli di Atene. Spiega e illustra – anche con un taglio didattico – il processo di costruzione del monumento, utilizzando modelli ricostruttivi, non solo della Colonna stessa (tra tutti il sommoscapo e la scala a chiocciola interna in sala 1:1 realizzati da Opera Laboratori Fiorentini), ma anche delle macchine per il trascinamento e sollevamento dei blocchi colossali, così come delle funi e dei sistemi di aggancio, in un costante dialogo con le fonti letterarie, i reperti archeologici e iconografici e con gli strumenti (compassi, squadre, argani, manovelle, fili a piombo) rinvenuti nei contesti di scavo e ad esse riferibili. Indugia, infine, sull’eternità della Colonna, già raggiunta in età antica per la sua stessa collocazione tra le due biblioteche del Foro imperiale, quella greca e quella latina; in tempi più recenti idolatrata da Papi e sovrani d’Europa che non potendola spostare, la fecero disegnare (Francesco I), calcare (Luigi XIV, Napoleone III), replicare (Napoleone I), e perfino riconsacrare (Papa Sisto V). Per la realizzazione di questo racconto illustrato, avvolto nel colore blu che riecheggia il Danubio ma anche l’interazione tra Uomo e Tecnologia, hanno contribuito 20 tra istituzioni ed enti pubblici e privati, che hanno garantito il prestito di più di 60 oggetti tra reperti, modelli, macchine, calchi e disegni. Accompagna l’esposizione temporanea un regesto con i pannelli e i testi di approfondimento corredato da immagini inedite e soprattutto da un allegato bibliografico che riassume le principali pubblicazioni scientifiche dedicate alla Colonna degli ultimi anni, rappresentate da cataloghi di mostre, miscellanee di studi, raccolte di saggi scientifici. Nel corso della durata della mostra saranno programmate conferenze a tema, podcast dedicati ed è previsto in primavera una giornata di studi che farà il punto sulle ultime ricerche, sulle problematiche conservative e sul tema dei calchi.