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Parco Cinque Terre finalista al European Natura 2000 Award 2024

Parco Cinque Terre finalista al European Natura 2000 Award 2024Roma, 15 mar. (askanews) – Il Parco Nazionale delle Cinque Terre è stato selezionato come finalista al Premio European Natura 2000 promosso dalla Commissione Europea che celebra l’eccellenza nella gestione dei siti Natura 2000 attraverso cinque categorie: Conservazione del territorio, Conservazione marina, Comunicazione, Lavorare insieme per la natura, Cooperazione transfrontaliera, valorizzando le storie di successo più significative nella conservazione della straordinaria biodiversità europea.


Il Parco delle Cinque Terre è stato selezionato nella categoria “Conservazione marina” grazie al progetto di reintroduzione marina delle foreste di alga Ericaria amentacea, serbatoi di biodiversità, efficaci nella produzione di ossigeno e nell’assorbimento di C02.Il successo della reintroduzione di questa specie endemica a rischio di estinzione apre la strada a una più ampia ricolonizzazione nelle acque del Mediterraneo. Gli enti vincitori, uno per ogni categoria, decretati dal voto online riceveranno il prestigioso premio European Citizens’ Award. Il voto è aperto fino al 25 aprile 2024 sulla pagina web dedicata al Natura 2000 Award del sito della Commissione Europea.Il progetto di reintroduzione. Le foreste marine, al pari di quelle terrestri, sono tra gli habitat più produttivi del Mediterraneo che concorrono alla ricchezza di biodiversità, alla produzione ossigeno e supportano importanti catene trofiche. La loro riduzione o scomparsa, dovuta ad impatti antropici e cambiamenti climatici, comporta una perdita critica dei servizi ecosistemici associati.


Roc Pop Life è il progetto europeo di restaurazione marina tramite macroalghe del genere Ericaria amentacea algae. Una collaborazione nata nel 2017, giunta alle fasi conclusive (Dicembre 2021) che ha coinvolto diversi soggetti: l’Università di Trieste, capofila del progetto e l’Università di Genova, quattro aree marine protette: Cinque Terre, Portofino, Miramare e Strunjan e mira al ripristino di foreste marine, efficaci nel combattere l’inquinamento. Grazie al contributo di siti donatori quali l’Area Marina Protetta di Strugnano e quella di Portofino, esemplari di Cystoseira sono stati reintrodotti con successo nelle acque dell’Area Marina di Miramare e delle Cinque Terre. Il progetto Roc Pop Life è spiegato in tutti i suoi dettagli anche in un video YouTube disponibile sul canale del Parco Nazionale delle Cinque Terre.

Roma, in mostra “Giuseppe Primoli e il fascino dell’Oriente”

Roma, in mostra “Giuseppe Primoli e il fascino dell’Oriente”Roma, 14 mar. (askanews) – Al Museo Napoleonico di Roma un’esposizione dedicata al collezionismo di arte orientale e giapponese: “Giuseppe Primoli e il fascino dell’Oriente”, in concomitanza con la mostra “Ukiyoe. Il mondo fluttuante. Visioni dal Giappone “in corso al Museo di Roma a Palazzo Braschi. La mostra (visitabile dal 15 marzo) è promossa da Roma Capitale, Assessorato alla Cultura, Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali ed è curata da Elena Camilli Giammei, Laura Panarese e Marco Pupillo. Organizzazione Zètema Progetto Cultura.


Al centro del percorso espositivo è una rara raccolta di 14 kakemono appartenuti a Giuseppe Primoli, strisce rettangolari di carta o tessuto di varia lunghezza da appendere in verticale, dipinti a acquerello e inchiostro con soggetti classici della pittura giapponese del genere “fiori e uccelli”: composizioni che ritraggono fiori, rami con foglie e frutti, uccelli, gufi, gru, aironi, farfalle, paesaggi lacustri. Nove di questi manufatti, conservati abitualmente nei depositi del Museo Napoleonico, sono stati di recente oggetto di un restauro e tornano visibili al pubblico dopo alcuni anni; gli altri cinque kakemono della collezione, anch’essi restaurati di recente, provengono invece dalla vicina Fondazione Primoli. La particolarità che rende unica questa collezione consiste nelle firme, dediche e componimenti autografi che poeti, scrittori, personaggi di spicco della scena culturale italo-francese dell’epoca, fino agli anni Trenta del Novecento, hanno apposto sulla superficie dei kakemono: Anatole France, Guy de Maupassant, Marcel Prévost, Émile Zola, Stephane Mallarmé, Paul Valery, Paul Claudel, Henry Bergson, per citarne alcuni, e, tra i letterati italiani, Giosuè Carducci, Gabriele D’Annunzio, Cesare Pascarella, Arrigo Boito, Giovanni Verga, Matilde Serao, ma anche interpreti teatrali, attori e attrici d’eccellenza, come Eleonora Duse, e inoltre politici e numerosi esponenti delle case reali di tutta Europa. Il conte era infatti solito chiedere ai frequentatori del suo vivace salotto mondano di lasciare sugli spazi non dipinti dei kakemono un ricordo, una traccia, un pensiero o una frase, andando così a costituire un prezioso corpus di interesse storico e letterario accanto a quello propriamente artistico dei dipinti.


Oltre ai kakemono, vengono presentati in mostra altri preziosi oggetti: circa 70 tra stampe, dipinti, manoscritti, disegni, incisioni, porcellane. Un nucleo dall’importante valore documentario e storico-artistico che racconta il gusto e l’interesse per l’Oriente da parte del conte e della famiglia Bonaparte-Primoli, rivelando l’influenza che l’arte del Giappone, del continente asiatico e dell’Oriente in generale ha esercitato sulla cultura e sul collezionismo europeo del tardo Ottocento. Colto, spiritoso, abile conversatore, appassionato bibliofilo e fervido collezionista, il conte Giuseppe Primoli trascorre la gioventù a Parigi, alla corte di Napoleone III, negli anni in cui impera la moda del japonisme. Ed è proprio a contatto con gli stimolanti ambienti letterari e artistici parigini che matura il gusto per l’arte orientale. Lì ha modo di stringere amicizia e intrattenere rapporti con molti tra i “giapponisti” francesi più celebri del tempo, come i fratelli Edmond e Jules de Goncourt, Émile Zola e Pierre Loti, che gravitavano intorno al coltissimo e multiforme salotto della principessa Mathilde Bonaparte, zia da parte di madre, sua ispiratrice e amica.


Il percorso si apre con l’esotismo e il gusto mediorientale nella collezione dei Bonaparte-Primoli, un gusto talvolta indefinito, eclettico, multiforme, dai confini sfumati, un “gran bazar” del quale l’esposizione vuole restituire un caleidoscopico fermo immagine. Esposte inoltre circa 30 fotografie di soggetto orientalista scattate negli ultimi vent’anni dell’Ottocento e nei primi anni del Novecento, alcune delle quali sono state realizzate personalmente dal conte, fotografo appassionato. Tra le opere più prestigiose e rappresentative del gusto giapponista appartenenti alla collezione museale c’è il ventaglio di seta con paesaggio giapponese dal titolo La discesa delle oche selvatiche a Katata, esempio eloquente dell’influenza dell’arte nipponica nella pittura europea del tardo Ottocento, dipinto ad acquerello da Giuseppe De Nittis a Parigi intorno al 1880 per la principessa Mathilde Bonaparte la quale, a sua volta, ne fece dono al nipote.


Sarà inoltre l’occasione per ammirare molti oggetti abitualmente non visibili al pubblico, conservati nei depositi del museo: disegni con soggetti esotici e orientaleggianti, fotografie d’epoca di soggetto e gusto orientalista, xilografie, tempere e intagli su carta eseguiti con la tecnica del “kirigami”, chinoiseries e japonaiseries, documenti d’archivio. Conclude la mostra una sezione legata al mirabolante Grand Tour in India del Conte Luigi Primoli, fratello minore di Giuseppe (1904-06). Sono esposte pietre scolpite e terrecotte dipinte di manifattura indiana raffiguranti personaggi e soggetti religiosi, una copia del Corano su foglie di palma di manifattura indiana appartenente alla Fondazione Primoli, e alcune fotografie scattate da Lulù stesso.

Roma, dal 4 aprile la mostra “Trame umane” di Antonio Federico

Roma, dal 4 aprile la mostra “Trame umane” di Antonio FedericoRoma, 14 mar. (askanews) – Dal 4 aprile al 26 maggio a Roma, al Margutta Veggy Food and Art, la mostra “Trame umane”, nuova personale di Antonio Federico, conosciuto sui social come “Umanità illustrata”, che mette al centro il duplice rapporto causa-effetto ed azione-reazione. L’obiettivo che l’artista si pone è quello di raccontare la profonda connessione nelle meravigliose trame che compongono il tessuto della nostra umanità, tra sogni, segni e disegni.


La mostra è ideata e curata da Simona Micheli dell’Associazione culturale Fram!Lab e comprende 24 opere. Attraverso le sue creazioni, Federico crea una connessione profonda tra gli spettatori e le storie umane raccontate, evidenziando le emozioni indelebili tramite trame meravigliose. Le anime rappresentate nella sua arte custodiscono segreti che lui cerca di rivelare con gesti, sguardi e connessioni intrinseche. Ogni opera è un viaggio attraverso luoghi e culture diverse, con l’obiettivo comune di ritrovarsi come esseri umani animati da una forza e volontà divina. La nascita di una linea artistica inizia con un’idea o un’esigenza, prende forma su carta e poi si trasforma digitalmente, con i colori che riempiono le superfici in modo immediato, avvolgendo il soggetto in un contesto unico e magico. “L’esigenza di raccontare ‘trame umane’ tramanda e riporta l’artista all’utilizzo di codici visivi come le parole che agiscono sullo spettatore e conducono per mano verso il messaggio che rimarrà universale – ha spiegato Simona Micheli – le sue tele hanno composizione ed equilibrio, manifesti sociali del nostro tempo. Per l’artista l’arte è un’esigenza, una responsabilità, un sentimento. Si percepisce tutta la sensibilità in ogni tela che va a toccare temi tra la vita e la morte, essi portano in grembo il grande legame terreno che ci unisce”.


Nell’opera “Najin”, un guardaparco decide di dormire accanto a una femmina di rinoceronte bianco, uno degli ultimi esemplari rimasti in vita. In quel momento, il tempo sembra fermarsi, mentre una profonda connessione avvolge le due creature nel silenzio della notte, con l’universo stesso che diventa testimone di questo gesto di amore e fratellanza. Con “Doni dal Cielo”, invece, si sottolinea l’imprinting tra un uomo che sceglie di adottare una bambina abbandonata, evidenziando connessioni divine come quelle che legano padre e figlia, in momenti che sembrano trascendere il tempo. In “Solo un uomo”, viene raccontato con vigore un momento storico e sociale, scandito dalla presenza di un crocifisso sullo sfondo; lacrime dal cielo colpiscono e segnano il protagonista, mentre davanti a lui un uomo vestito di bianco invoca il suo pensiero al cielo, in una piazza vuota e solitaria. “Auguri Dottoressa” è un racconto di grande impatto, che celebra la laurea di una giovane donna il cui sorriso apre un mondo di speranza per il futuro. Infine, “Pescatori di anime” mostra il salvataggio di un gruppo di migranti, con uomini in divisa e volontari che entrano in acqua per portare in salvo le anime sopravvissute al pericoloso viaggio. Antonio Federico, è un artista italiano specializzato in tecniche artistiche, insegnante di pittura e grafica del Liceo Artistico. Nato a Reggio Calabria, qui ha frequentato l’Istituto Statale d’Arte e l’Accademia di Belle Arti della sua città. Ha poi fondato la prima Accademia del Fumetto e delle arti figurative, avvicinando alla narrazione sequenziale centinaia di giovani e favorito la promozione di vari eventi sul fumetto. È apprezzato per la sua sensibilità nel raccontare e realizzare opere artistiche ispirate a notizie di attualità. Molte di esse hanno conquistato social network, media nazionali e critici, e sono diventate virali sul web raggiungendo in alcuni casi più di 11 milioni di persone.

Il buio di Pierre Huyghe: oltre l’umano, dentro la meraviglia

Il buio di Pierre Huyghe: oltre l’umano, dentro la meravigliaVenezia, 14 mar. (askanews) – Una mostra di arte contemporanea che è anche un dispositivo filosofico sul presente e uno spazio di possibilità sospeso tra il passato e il futuro. Entrare nell’esposizione “Liminal” che Punta della Dogana a Venezia dedica a Pierre Huyghe è un’esperienza che si gioca tutta sulla linea di un confine: tra la luce e il buio, tra il passato e il futuro, tra l’umano e ciò che non lo è. Mostra complessa, avvolgente, coraggiosa, è un viaggio dentro l’ignoto di noi stessi, oltre che un poderoso manifesto sulle potenzialità del contemporaneo quando si libera di tutte le logiche restrittive.


Anne Stenne ha concepito la mostra insieme a Huyghe e l’ha curata: “Il significato del titolo – ha detto ad askanews – sta in questo passaggio tra due entità. È uno stato transitorio, qualcosa che è in continuo cambiamento, e nello stesso modo la mostra è in continua evoluzione. È un’esposizione dinamica e sensibile nella quale si svelano queste creature che sono al tempo stesso umane e non umane. È una sorta di rito di passaggio sulla domanda sulla relazione tra l’umano e il non umano”. Nelle grandi installazioni video scorrono figure che progressivamente perdono delle caratteristiche come per esempio il volto, ma perdono anche lo spazio e il mondo che le circondano. Ci sono ibridazioni tra umano e animale, ci sono evoluzioni di esseri tecnologici, ma pure acquari che sembrano essere reperti del futuro e proiezioni di immagini mentali generate anche con l’intelligenza artificiale. Il tutto trasmette un senso di spaesamento, certo, ma con esso un’urgenza filosofica che definisce, pur in un grande deserto, la nostra consapevolezza del tempo presente. “Siamo trasportati in un non tempo e un non spazio – ha aggiunto Anne Stenne – che è collegato alla condizione umana”.


Una condizione dalla quale la mostra ci porta fuori, in territori ignoti, ben rappresentati dai personaggi con maschere d’oro che si muovono negli spazi di Punta della Dogana e che a un certo punto ci conducono davanti a una serie di luci che attraversano la nebbia. Non sappiamo cosa stiamo vedendo, ma sappiamo di riconoscere quella dimensione, quelle presenze che emergono dal buio, perché sono aliene e, al tempo stesso, ci appartengono da sempre. Come insetti incastonati nell’ambra. Ieri, oggi e domani, sempre con un vero senso di mistero. E per Palazzo Grassi-Punta della Dogana la mostra di Huyghe rappresenta un progetto poderoso, per loro stessa ammissione anche “sconvolgente”. Ma si tratta pure di una scelta necessaria, come ci ha detto il direttore Bruno Racine: “Una mostra più cupa come atmosfera, quasi tenebrosa, ma non pessimista, che invita il visitatore a riflettere sugli stati di transizione che stiamo vivendo sia con la scienza sia con la filosofia”.


Il punto è proprio questo: in un contesto radicalmente altro rispetto al conosciuto possiamo trovare il senso del nostro tempo, la sua complessità, oltre che la sensazione di come l’arte contemporanea sia un atteggiamento più che degli oggetti, una capacità di guardare e di essere. Che supera confini e mette tutto in costante discussione. E questo genera meraviglia. (Leonardo Merlini)

L’Aquila è la Capitale italiana della Cultura 2026

L’Aquila è la Capitale italiana della Cultura 2026Roma, 14 mar. (askanews) – E’ L’Aquila la Capitale italiana della Cultura 2026. La proclamazione durante la cerimonia al ministero della cultura presieduta dal ministro Gennaro Sangiuliano. La giuria di Selezione presieduta da Davide Maria Desario ha scelto fra dieci finaliste: Agnone (Isernia), Alba (Cuneo), Gaeta (Latina), L’Aquila, Latina, Lucera (Foggia), Maratea (Potenza), Rimini, Treviso, Unione dei Comuni Valdichiana Senese (Siena).


Il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano nel corso della cerimonia di proclamazione ha inoltre annunciato che “accanto alle iniziative della Capitale del Libro e della Capitale italiana della Cultura ci sarà anche la Capitale italiana dell’Arte contemporanea. Partirà dall’anno prossimo. Sarà predisposto un bando articolato. I sindaci possono candidarsi”.

Venerdi il nuovo disco di Valerio Billeri, “Verso Bisanzio”

Venerdi il nuovo disco di Valerio Billeri, “Verso Bisanzio”Roma, 13 mar. (askanews) – Venerdi 15 Marzo Esce “verso Bisanzio”, il nuovo album del cantautore romano Valerio Billeri con Fabio Mancini per Moonlight Record, distribuzione Ird.


“Le antiche culture del bacino mediterraneo, assenti dalle sovrastrutture scientifiche per quanto giuste o giustificabili di questi ultimi 300 anni – spiega Billeri – hanno cercato di dare una spiegazione, un volto a questa fenomenologia, al vuoto, al dolore e allo smarrimento davanti alla morte o all’altrove, qualunque esso sia, anche un confine con una nuova terra. Per questo i suoni di questo disco sono radicati nei suoni del mediterraneo e, pur mantenendo una struttura cara alla musica blues, diventano spigolosi con una luce bronzea grazie al violino arabeggiante. Negli scorsi anni, avevo cercato con i due album tratti dai sonetti del Belli di dare un volto alla natura terrena, sulfurea, fatta di una bellezza che sprofonda nella vita. Roma era la città giusta, il Belli il poeta adatto, perfetto con il suo girone dantesco, la sua città Buia popolata da demoni, streghe, prelati, popolani in balia della natura e di un dio terreno di sangue e fiume. Ora, se vogliamo pensare che questa sia una trilogia, la città diventa “Bisanzio” e il poeta cardine Yeats. Ma ora la città diventa intangibile, sommersa da nebbie di un altro mondo, l’oro e le pietre preziose sostituiscono il bronzo e il fango, luci soprannaturali sostituiscono le candele. Siamo di fronte a una città divina e a un sogno lungo un’eternità e i personaggi che si muovono nel disco, chi attraverso la morte, il sogno o la brama di un ritorno a casa o di una nuova terra, la scorgono per un attimo… meravigliosa, accecante, un miraggio”.


Il disco esce accompagnato dalle note di copertina di Andrea Monda, giornalista e direttore dell’Osservatore Romano. che, che lo descrive così: “Un album anti-illuminista si potrebbe dire, perché fatto di materia, carne e sangue e di un lavoro di lima che riduce tutto all’essenziale, per far splendere il “marmo” di queste canzoni ruvide, aspre e levigate. Viene in mente l’album Nebraska di Springsteen, o The Boatman’s call di Nick Cave. O forse qualcosa ancora più folk, scritto oggi ma che risale a millenni fa, contemporaneo di qualche aedo greco o profeta veterotestamentario, e tutto sta insieme, passato e presente, concentrato in pochi semplici accordi e nell’abbraccio fatto di parole/pensieri/ricordi di Maria, la Mater che tiene e trattiene “attimi e anni”.

A Malaga la mostra “Maria Blanchard. Pittrice malgrado il Cubismo”

A Malaga la mostra “Maria Blanchard. Pittrice malgrado il Cubismo”Roma, 12 mar. (askanews) – Il 30 aprile verrà inaugurata la mostra María Blanchard. Pittrice malgrado il Cubismo, una retrospettiva che illustrerà, in un percorso cronologico, le diverse fasi della vita artistica della pittrice spagnola (Santander, 1881 – Parigi, 1932), al Museo Picasso di Malaga.


María Blanchard fu la prima artista donna in Spagna ad adottare lo stile cubista e a sperimentare la frammentazione e le prospettive multiple nelle sue opere, motivo per cui il suo contributo al Movimento Moderno è considerato di particolare rilevanza. La sua scelta stilistica, insieme alla maestria tecnica e al rispetto che si guadagnò tra i contemporanei, hanno fatto di María Blanchard una figura di riferimento. Questa mostra va ad aggiungersi a quelle organizzate negli scorsi anni dal Museo Picasso Málaga per celebrare il lavoro di artiste donne. La mostra monografica illustrerà, in un percorso cronologico, le varie fasi della vita artistica di María Blanchard (Santander, 1881 – Parigi,1932), mettendo in luce la ricchezza simbolica, l’impegno sociale, la complessità formale e il carattere innovativo delle opere realizzate dalla pittrice spagnola nella sua relativamente breve carriera. Indubbiamente il lavoro della Blanchard non venne apprezzato come meritava in un contesto culturale che riteneva inferiore il ruolo delle donne nell’arte. Pittrice impegnata fino in fondo nel suo particolare modo di vivere e creare, María Blanchard superò i limiti degli stereotipi di genere.


Contribuì al Movimento Moderno come prima donna artista in Spagna a utilizzare sistematicamente lo stile cubista per costruire immagini. La combinazione di elementi geometrici e una sapiente simultaneità di punti di vista conferiscono un carattere originale sia alle immagini più astratte del primo periodo sia alle sue creazioni figurative post-cubiste realizzate a partire dal 1920. Il suo repertorio tematico con soggetti ispirati alla maternità, scene domestiche, bambini e donne lavoratrici riflette una partecipe attenzione femminile verso la vulnerabilità della condizione umana e il potere evocativo delle emozioni. Aspetti, questi, che mette in risalto con un’impeccabile padronanza tecnica e un palese interesse per la storia e la tradizione della pittura europea. Curata da José Lebrero Stals, la retrospettiva riunirà circa novanta opere della pittrice spagnola considerata la grande signora del Cubismo.


Il Museo Picasso Málaga mostra ancora una volta attenzione nel celebrare le artiste donne del XX secolo, dopo le precedenti mostre dedicate a Sophie Taeuber-Arp (2009), Hilma af Klint (2013), Louise Bourgeois (2015), Le artiste donne e il surrealismo (2017) e Paula Rego (2022).

”La Pietà di Michelangelo”, tra arte e fede: libro di Orazio La Rocca

”La Pietà di Michelangelo”, tra arte e fede: libro di Orazio La RoccaRoma, 11 mar. (askanews) – E’ storicamente considerato il più seguito e il più criticato viaggio di un’opera d’arte. E’ il trasporto per terra e per mare negli Stati Uniti d’America della Pietà di Michelangelo, capolavoro tra i più noti di tutti i tempi, devotamente ammirato e custodito nella basilica di San Pietro dal 1499, l’anno in cui vede la luce. La scultura che 465 anni dopo, il 4 Aprile del 1964, tra critiche e polemiche,esce dal Vaticano per la prima volta per essere portata alla Esposizione Universale di New York diventandone la star indiscussa, capace di attirare oltre 27 milioni di visitatori, un record finora imbattuto. L’opera resta a New York per ben 19 mesi, per fare ritorno in Vaticano il 13 Novembre 1965, accolta a braccia aperte da Paolo VI.


In occasione del 60esimo anniversario del viaggio, esce il libro “In viaggio con la Pietà” – sottotitolo “Il capolavoro di Michelangelo alla Esposizione Universale di New York 1964” – edito dalla San Paolo, scritto dal giornalista e scrittore Orazio La Rocca. “Il volume si avvale della “presenza” di tre angeli custodi d’eccezione – scrive l’autore – il cardinale Mauro Gambetti, presidente della Fabbrica di San Pietro ed arciprete della basilica vaticana, tutore massimo della stessa Pietà, che firma la presentazione; Barbara Jatta, direttore dei Musei Vaticani, autrice della prefazione; e Massimiliano Fuksas, tra i più grandi architetti al mondo, che ha scritto la postfazione. Tre nomi di altissimo livello, tre differenti storie personali, per professioni, competenze, interessi culturali dalle radici differenti, ma, legati da un unico denominatore comune nel sostenere che il viaggio negli States della Pietà è stato unico ed irripetibile”.


E certamente anche per questo parlarne a 60 anni di distanza si toccano tasti emotivi anch’essi “unici ed irripetibili”, destinati a colpire ancora oggi storici dell’arte, pellegrini, critici, gente comune, vale a dire tutto quel mondo che da circa 5 secoli ruota intorno alla Pietà appena mette piede nella basilica vaticana, restandone sempre affascinato. Una sorta di “commedia” dell’arte messa in scena da più “interpreti”. Il primo, a sua insaputa, il “padre” della Pietà, Michelangelo Buonarroti; seguito da due Papi, Giovanni XXIII e Paolo VI, dal capo della Chiesa cattolica degli States, il cardinale di New York Francis Joseph Spellman, da tecnici vaticani e americani gli uni contro gli altri armati per i disaccordi esplosi a causa delle differenti identità di vedute operative su come tutelare la scultura durante il viaggio; e, in maniera elegantemente defilata, John Fitzerald Kennedy, primo presidente cattolico Usa, il principale, benchè riservato, sponsor dell’operazione Pietà americana pro tempore.

”Gli ultimi Carbonari. La Storia di chi cambiò la Storia” di Balsamà

”Gli ultimi Carbonari. La Storia di chi cambiò la Storia” di BalsamàRoma, 10 mar. (askanews) – Una rivoluzione pacifica e democratica, la rivendicazione dei propri diritti non solo per se stessi ma per la crescita e l’evoluzione di un’intera società, un cambiamento storico in uno dei momenti più difficili della storia dell’Italia moderna. Sono solo alcuni degli elementi del romanzo storico ‘Gli ultimi Carbonari’, La Storia di chi cambiò la Storia, scritto da Giuseppe Sergio Balsamà, ex commissario di Polizia in pensione che ha lavorato per 36 anni in prima linea alla Squadra Mobile della Questura di Roma, con una lunga esperienza nel sindacato di polizia, ex segretario provinciale del Siulp (Sindacato italiano unitario lavoratori di Polizia). Una storia poco conosciuta, raccontata in prima persona da un narratore che è anche protagonista delle vicende dei Carbonari, che rappresenta un elemento fondamentale dell’evoluzione democratica dell’Italia, della nascita di una Polizia moderna, della smilitarizzazione del Corpo di Polizia, della nuova gestione dell’ordine pubblico, proprio in un momento di nuove tensioni sociali.


‘Non ci sono altri libri di questo genere. I Carbonari, quei colleghi che hanno sfidato il sistema anacronistico dell’epoca, nei loro testi si sono soffermati principalmente su alcuni avvenimenti legati alla sindacalizzazione, io ho cercato di focalizzarmi sull’intera storia. Una battaglia portata avanti non solo per la categoria, ma anche per la società civile’, racconta Balsamà parlando del libro edito da Edizioni Lavoro, con presentazione di Michele Placido e prefazione di Gianfranco D’Anna. ‘Nel corso della mia lunga attività sindacale, iniziata nel 1989, ho avuto la fortuna di incontrare questi colleghi che erano stati protagonisti del movimento clandestino e della smilitarizzazione della Polizia di Stato, di un processo che ha avuto ripercussioni sociali di cui pochissimo si parla. I loro racconti, le loro vicissitudini personali, professionali e familiari, non solo mi avevano affascinato ma anche posto quesiti e turbato, e da lì è nato il bisogno di raccontare la loro intima sofferenza vissuta dagli anni Cinquanta agli anni Settanta, rivolgendomi non solo agli addetti ai lavori ma anche alla società civile’.


‘Una categoria di lavoratori, quella dei poliziotti, esclusa ed emarginata, che non poteva ancora avvalersi del diritto di parola né di pensiero’, scrive l’autore, riferendosi alle condizioni in cui versavano le guardie di pubblica sicurezza e introducendo poi la storia del protagonista che parte dalla Sicilia nel 1954 verso Roma per raggiungere la scuola di Polizia ‘Castro Pretorio’. Un periodo di sacrifici e privazioni, lavorando sette giorni su sette, con il rischio di essere licenziato o deferito al Tribunale militare. Un periodo in cui ‘cessato il boom, cominciarono ad affiorare i problemi reali, le prime storture di un sistema economico cresciuto senza regole’, si legge ancora, per arrivare alle prime lotte di classe, le manifestazioni ‘con il malcontento dei lavoratori che dilagò nel Paese a macchia d’olio’ con operai e studenti da una parte e la Polizia dall’altra. ‘Ero impressionato nell’ascoltare quelle testimonianze inedite che descrivevano con dovizia di particolari la vera natura della Polizia di quegli anni. Una Polizia militarizzata, pervasa da principi autoritari. Questi uomini di cui parlo erano decisi a cambiare il corso della storia e non accettavano che nel nostro Paese, dopo 30 anni dalla promulgazione della Costituzione e poco tempo dall’entrata in vigore dello Statuto dei lavoratori, i poliziotti fossero considerati dei cittadini invisibili, di serie B, esclusi ed incompresi da quella stessa società democratica’ che, spiega l’autore, ‘non sapeva quanto accadesse all’interno del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza’. ‘Solo nel 1953, l’allora Ministro degli Interni Fanfani aveva preso coscienza che ai poliziotti non veniva riconosciuto il riposo settimanale, come previsto dall’articolo 36 della Costituzione, rendendolo obbligatorio’, recita il testo.


Questi Carbonari, protagonisti di una riforma di vasta portata ‘si erano distinti per il loro alto senso dello Stato, per il loro grande equilibrio, non erano rivoluzionari, ma veri eroi senza medaglia, silenziosi, sconosciuti. Non si limitavano a rivendicare esclusivamente i diritti della loro categoria ma si preoccupavano anche del resto della società’, sottolinea Balsamà che racconta anche i sentimenti, l’anima di questa battaglia clandestina. Una lotta che generava anche timori e preoccupazioni per le possibili conseguenze: ‘Questi colleghi che decisero di partecipare al primo nucleo clandestino erano consapevoli dei seri rischi che correvano, come il licenziamento in tronco, il carcere militare o il trasferimento ad altra sede, provvedimenti che avrebbero messo a repentaglio il loro futuro e quello della loro famiglia. Nello svolgimento della loro missione, di questa pacifica rivoluzione democratica, non sono mancati momenti di sconforto, di timore, di un imperdonabile senso di colpa per aver trascurato la loro famiglia, i loro affetti più cari, coinvolgendoli indirettamente in quella battaglia che per loro rappresentava una giusta lotta democratica’. ‘Anche tra le nostre fila si sentiva l’esigenza di intervenire sull’istituzione ‘Polizia’ nell’intento di trasformarla in una struttura in primo luogo più ‘umana’ ed adeguata alle esigenze dei cittadini e del personale che vi operava’, si legge in un passo. E ancora: ‘Ci trovavamo in piazza a dover combattere persone come noi, individui che stavano rivendicando i loro diritti, una vita migliore’ e ‘gli scontri tra noi e gli studenti erano all’ordine del giorno. Attacchi duri da ambo le parti. A Valle Giulia, sede della facoltà di Architettura, si svolse una delle più violente manifestazioni dell’epoca’, racconta l’autore riferendosi ad una delle pagine più tristi della storia del nostro Paese.


‘I rischi legati all’attività clandestina, aumentarono con l’arrivo del terrorismo, quando iniziarono a morire i primi colleghi, e tra loro qualche carbonaro impegnato professionalmente – dice Balsamà – . Erano assaliti dalla paura di poter anch’essi diventare degli obiettivi a causa del loro impegno politico: si dovevano guardare dagli operai e dagli studenti in piazza, dai terroristi e dal ministero dell’Interno, che li teneva d’occhio. Tuttavia non si fermarono dinanzi a nessun ostacolo, consapevoli del consenso e dell’appoggio dei colleghi’. ‘Il momento della svolta, tra i tanti raccontati nel libro, arriva quando i Carbonari comprendono che non era sufficiente il solo consenso dei colleghi, ma che era necessario coinvolgere la società civile, il mondo politico e i sindacati confederali. Una strategia che con il tempo si rivelò vincente – spiega ancora l’autore – La svolta arrivò con il moltiplicarsi di questi incontri, riservati e clandestini, con parlamentari ed esponenti di tutte le forze politiche e sindacali, non permettendo mai a nessuno la strumentalizzazione del loro movimento. Tra i loro obiettivi anche quello di portare a conoscenza della gente che quelle forze di polizia, di scelbiana memoria, sul piano organizzativo, erano inadeguate ed impreparate alle esigenze del tempo, del Paese e alle sfide che lo Stato doveva affrontare, tra cui il terrorismo’. In questa dura e lunga lotta si distigue una figura che Balsamà vuole ricordare e che ritiene centrale e fondamentale per l’esito della storia: ‘Noi poliziotti senza un giornalista come Franco Fedeli, non avremmo mai potuto condurre quella pacifica rivoluzione democratica. In quegli anni, la rivista ‘Ordine Pubblico’, con il suo lungimirante direttore, rappresentò un elemento dirompente per abbattere il sistema ormai anacronistico. Inizialmente Fedeli, attraverso le pagine del suo giornale, aveva dato vita ad un dibattito sulle varie proposte di riforma dell’apparato di pubblica sicurezza. Poi a contatto con il nostro mondo si rese conto che andava cambiato per cambiare la società. Dall’esterno divenne il regista di questo cambiamento. In modo elegante e da ex partigiano, abituato alla clandestinità, costituì con il suo giornale l’unica valvola di sfogo delle quotidiane frustrazioni dei poliziotti, mettendo a nudo le loro drammatiche condizioni di vita e gli abusi da loro quotidianamente subiti. Fu un uomo coraggioso, carismatico a cui la Polizia deve tanto. Quel Caronte che ci traghettò dalla sponda dell’oppressione a quella della libertà’. Passando attraverso decine di incontri clandestini, i primi tentativi di raccontare al mondo la realtà quotidiana dei poliziotti, proteste improvvisate seguite da repressioni e indagini interne, le riunioni con sindacati e politici e i primi ufficiali che si schierano apertamente con i Carbonari ‘il nostro sogno si realizzò il primo aprile del 1981 con la riforma che sancì la smilitarizzazione della Polizia e con essa la conquista del sindacato. Dalle ceneri del Corpo della Guardie di Pubblica Sicurezza, nacque finalmente la Polizia di Stato; le stellette della divisa, simbolo della condizione militare, lasciarono il posto alle mostrine raffiguranti fiamme d’oro su fondo cremisi’, recita il protagonista del romanzo. ‘I contenuti di questo libro sono ancora oggi di estrema attualità. Anche in questi ultimi giorni si parla di gestione dell’ordine pubblico e della piazza. I recenti avvenimenti ci fanno riflettere sugli sforzi posti in essere dai Carbonari, da questi uomini decisi e determinati che, con dignità, e nel rispetto dell’istituzione che rappresentavano offrirono il loro contributo per la costruzione di una nuova e diversa politica della sicurezza pubblica, desiderosi di abbattere quel muro di diffidenza che li separava dalla società civile. Conquiste di questi uomini coraggiosi che se non facciamo attenzione rischiano oggi di essere vanificate’, sottolinea Balsamà. ‘All’epoca i poliziotti, considerati proletari dallo stesso Pasolini in una sua celebre poesia, avevano cominciato a dialogare con gli operai e gli studenti per spiegare di non essere i loro antagonisti nelle piazze, di non rappresentare la loro controparte, ma semplici lavoratori. Dopo la diffidenza iniziale, si aprì il dialogo. Iniziò quel confronto che era divenuto improcrastinabile in un periodo storico caratterizzato da continui scioperi. Adesso questo muro di diffidenza rischia di rialzarsi – aggiunge – Può accadere che una situazione sfugga di mano, ma la polizia di oggi non è quella di allora. Come ha detto il ministro dell’Interno Piantedosi la gestione dell’ordine pubblico resta democratica, non è cambiata. I cittadini devono comprendere che i poliziotti svolgono un ruolo fondamentale per assicurare ordine e sicurezza e sono sempre al loro fianco, per assicurare l’esercizio dei loro diritti, di quegli stessi diritti per i quali i nostri carbonari hanno instancabilmente lottato’.

Nebula, una nuova mostra della Fondazione In Between Art Film

Nebula, una nuova mostra della Fondazione In Between Art FilmMilano, 8 mar. (askanews) – Fondazione In Between Art Film ha annunciato Nebula, una nuova mostra collettiva che aprirà al pubblico il 17 aprile 2024 al Complesso dell’Ospedaletto a Venezia in occasione della 60esima Esposizione Internazionale d’Arte, La Biennale di Venezia.


Curata da Alessandro Rabottini e Leonardo Bigazzi – rispettivamente Direttore Artistico e Curatore della Fondazione – Nebula presenterà otto nuove video installazioni site-specific commissionate a Giorgio Andreotta Calò (1979, Italia), Basel Abbas e Ruanne Abou-Rahme (1983, Cipro/1983, USA), Saodat Ismailova (1981, Uzbekistan), Cinthia Marcelle e Tiago Mata Machado (1974, Brasile/1973, Brasile), Diego Marcon (1985, Italia), Basir Mahmood (1985, Pakistan/Paesi Bassi), Ari Benjamin Meyers (1972, USA) e Christian Nyampeta. Tutte le otto opere sono commissionate e prodotte da Fondazione In Between Art Film, l’iniziativa concepita e presieduta da Beatrice Bulgari per promuovere la cultura delle immagini in movimento e sostenere gli artisti, le istituzioni e i teorici internazionali che esplorano il dialogo tra discipline e time-based media. Nebula, che in latino significa “nuvola” o “nebbia”, è il secondo capitolo di una serie di mostre organizzate dalla Fondazione a Venezia e continua quell’esplorazione degli stati della visione e della percezione extra-visiva già iniziata nel 2022 con Penumbra. La Fondazione torna al Complesso dell’Ospedaletto e ne trasforma nuovamente gli spazi: il risultato è un’architettura sensoriale che ingloba la Chiesa di Santa Maria dei Derelitti, la sala affrescata della musica e l’antica farmacia, e che svela un’ala mai aperta al pubblico della casa di riposo moderna.


Nebula amplifica il dialogo narrativo e spaziale tra il medium della video installazione e l’architettura che la ospita. Le opere sono state appositamente commissionate per la mostra e concepite dagli artisti in stretta relazione strutturale, visiva e sonora con gli spazi del Complesso dell’Ospedaletto. Sviluppata nell’arco di due anni, Nebula conferma la metodologia della Fondazione che, attraverso progetti espositivi ambiziosi imperniati sulla commissione e produzione di opere di immagini in movimento, offre agli artisti supporto curatoriale e produttivo di lunga durata. Beatrice Bulgari, Presidente della Fondazione In Between Art Film, dichiara: “È per noi un privilegio tornare a Venezia e, in particolare, al Complesso dell’Ospedaletto dopo il successo di Penumbra. È anche un’occasione per ampliare la nostra riflessione sul ruolo delle immagini in movimento nella nostra società come medium di espressione creativa. Se Penumbra guardava all’oscurità come soglia tra la luce e il buio, Nebula va oltre questa dicotomia utilizzando una metafora ampia come quella della nebbia, che rende tutto meno definito. Questo stato di nebulosità e di sospensione ci parla della possibilità dell’arte di scoprire nuove coordinate poetiche all’interno di tempi come i nostri, disorientati e disorientanti. Sono entusiasta di condividere con il pubblico internazionale della Biennale le opere degli artisti che ci hanno accompagnato in questo viaggio nell’ignoto”.


L’idea della mostra si ispira al fenomeno della nebbia come condizione materiale e metaforica in cui la possibilità di orientarsi tramite la vista si riduce, rendendo necessario attivare strumenti sensoriali diversi per conoscere la propria posizione e comprendere ciò che ci circonda. In questo contesto, le opere di Nebula affrontano forme di frammentazione psicologica, socio-politica, tecnologica e storica, e suggeriscono modalità per navigare il nostro tempo presente, spesso attraversato da forze che, come la nebbia, appaiono immateriali e insormontabili. Gli artisti in mostra rivolgono così l’attenzione a quegli spazi interiori e individuali che si rendono necessari di fronte a eventi che condizionano i movimenti delle esistenze. Infine, ponendo al centro del progetto allestitivo la diffusione di immagini e suoni nello spazio, Nebula propone anche una riflessione sulla produzione continua e sulla distribuzione pervasiva di sollecitazioni visive, informazioni, speranze e paure. Alessandro Rabottini, Direttore Artistico, e Leonardo Bigazzi, Curatore, della Fondazione In Between Art Film, affermano:”Ancora una volta è stata l’atmosfera unica di Venezia a ispirare l’idea su cui costruire la mostra e commissionare le otto video installazioni ad altrettanti artisti internazionali. A Venezia la nebbia diventa lo spazio liminale in cui acqua e cielo si fondono, dove la luce si fa presenza diffusa e misteriosa. È un fenomeno meteorologico che dimostra quanto possa essere fallace il nostro senso della prospettiva e la nostra comprensione di ciò che è al di fuori di noi. Grazie ai punti di vista degli artisti partecipanti, Nebula espande l’immagine del disorientamento dato dalla nebbia in una miriade di significati metaforici più ampi: dalla dimensione globale della migrazione alla percezione individuale della mortalità, dalle strutture opprimenti dell’economia alle conseguenze imponderabili della tecnologia”.


Ippolito Pestellini Laparelli e il suo studio milanese 2050+ sono stati nuovamente invitati a interpretare e spazializzare il progetto curatoriale attraverso la scenografia della mostra. I loro interventi di cesura e collegamento sinestetico tra le opere metteranno in scena situazioni visive, acustiche, tattili e mentali nebulose che a volte enfatizzano, altre volte celano, l’architettura originale. Nebula sarà accompagnata da un simposio interdisciplinare curato da Bianca Stoppani, Editor della Fondazione In Between Art Film, che coinvolgerà gli artisti presenti in mostra ed espanderà il dibattito riguardo alle loro pratiche attraverso momenti discorsivi con curatori e intellettuali internazionali. Il Complesso dell’Ospedaletto è uno spazio culturale che fa parte di Ospedaletto Contemporaneo, un’iniziativa promossa da Venews Arts.