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Il tutto e l’incontrollato: manifesto Cannibale a Santarcangelo

Il tutto e l’incontrollato: manifesto Cannibale a SantarcangeloSantarcangelo di Romagna, 13 lug. (askanews) – Si parte dall’idea di una relazione con l’essere piante, con il radicamento del vegetale in opposizione alla mobilità dell’animale, ma poi lo spettacolo cresce, cresce, attraversa il tempo, lo spazio e la stessa idea di teatro e danza per arrivare a qualcosa di enorme, di incandescente e inedito. Francesca Pennini è una coreografa e artista fondatrice di CollettivO CineticO che al Santarcangelo festival ha portato il suo “Manifesto Cannibale”, opera totale articolata su due macro momenti, ma attraversata da una serie di rimandi e suggestioni quasi sconfinata.

“La questione – ha detto Francesca Pennini ad askanews – è che per me questo lavoro ha a che fare con tutto. E con tutto soprattutto nel senso del reale, cioè di un mondo, dello sconfinamento del mondo. E in qualche modo il rettangolo, il ritaglio di mondo che è lo spettacolo, è un punto di vista che però ingurgita effettivamente, cioè dove vale tutto. Non ho pensato di spingermi verso gli estremi, ho pensato di toccare qualcosa che per me era essenziale. E quindi anche in questo senso è una ricerca per me veramente su ogni secondo in scena e sul fatto che è una presa di posizione anche politica, sul tipo di patto e di relazione che si instaura e che si inventa con lo spettatore”. In una luce fantascientifica, con momenti in cui l’azione sembra addirittura cinematografica, ma con una costate e seminale presenza dei corpi, “Manifesto cannibale” a un certo punto pare spingere lo spettatore sull’orlo di un grande Buco nero, talmente potente da inglobare tutta la realtà, non solo quella della messa in scena. Sembra portarci sull’orizzonte degli eventi, come dicono i fisici, quel confine dove il tempo rallenta fino quasi a fermarsi, prima di scivolare nell’incontrollabile. E tutto lo spettacolo ha questo elemento decisivo di incontrollabilità per la stessa autrice, che lo rende meraviglioso e potentissimo. Come se a essere cannibale fosse proprio lo spettacolo in sé e il suo pasto tutto ciò che sta oltre il palco.

“Io – ha aggiunto la coreografa – ho sempre avuto tantissima necessità di controllare le cose, e forse proprio per questo non è che così interessante psicanalizzarlo, però per questo forse artisticamente ho sempre cercato di boicottare questa cosa, cioè di creare dei piani perfetti con delle valvole che li rendevano irrealizzabili. Però questo uscire dalla possibilità di controllo per me è la meraviglia”. Una meraviglia che assume forme sempre diverse, fino a spingersi sul terreno della simbiosi pressoché totale tra l’opera e il pubblico, fino a superare ogni idea di unità di luogo e di tempo, nel senso che, teoricamente, lo spettacolo non ha una fine, ma si propaga, si diffonde. È danza, è azione, è anche altro. Il pubblico può andarsene a un certo punto, o può scegliere di restare. E chi resta è come se davvero si radicasse, come una pianta, dentro qualcosa di bellissimo, ma che non sappiamo, nessuno sa, cosa sia. “Mi piace pensare di essere attraversata – ha concluso Francesca Pennini – cioè di fare delle scelte anche molto radicali, molto forti, in cui credo. Però è come vederle crescere da sole poi, cioè rimanere di lato e guardare cosa succede”.

E quello che succede è tanto, potrebbe essere tutto, ma in fondo, per fortuna restiamo nel terreno del dubbio, della nebbia, delle possibilità. Così accade l’arte, ecco, forse questa è la cosa meglio approssimata che possiamo dire. (L.M.)

E’ morto a 94 anni il grande scrittore Milan Kundera

E’ morto a 94 anni il grande scrittore Milan KunderaRoma, 12 lug. (askanews) – Lo scrittore Milan Kundera è morto all’età di 94 anni, ha annunciato mercoledì mattina la televisione ceca. Famoso in tutto il mondo per un’opera tradotta in quaranta lingue, Kundera è stato per molti versi uno scrittore misterioso. Come informazione biografica, si è accontentato di dichiarare: “Milan Kundera è nato in Cecoslovacchia. Nel 1975 si trasferisce in Francia”.

Nato il 1 aprile 1929 a Brno, in Cecoslovacchia, da padre musicologo e pianista, il romanziere fu prima poeta. La sua vita di scrittore si intreccia certo con la letteratura, ma anche con la storia di un secolo che ha visto crollare il comunismo dopo aver dominato le coscienze di gran parte dell’intellighenzia europea. Un dramma che sarà alla base della vocazione di Milan Kundera che nel 1967 pubblicò il suo primo romanzo “Lo scherzo”. Acclamato da Louis Aragon, che scrisse la prefazione quando il libro fu pubblicato in Francia nel 1968 (“questo romanzo che considero un’opera importante”), quest’opera potente in uno stile barocco e molto vivace esplora, attraverso il destino dell’uomo personaggi e femminili, uno dei temi fondamentali del suo lavoro: il confronto, insieme drammatico e comico, tra la vita intima dell’individuo, il suo carattere sfuggente e casuale e la finzione di un’ideologia collettiva, in questo caso il comunismo stalinista. Un crepacuore che l’autore ha vissuto dall’interno e che, in un certo senso, ha deciso il corso della sua vita.

Entusiasta comunista fin dall’età di 18 anni, quando si iscrisse al Partito dopo la presa del potere in Cecoslovacchia dopo la seconda guerra mondiale, Milan Kundera si rese ben presto conto dell’impostura del socialismo di Stato che imbriglia le coscienze, in particolare quella di scrittori e intellettuali costringendo loro di scrivere in una lingua morta; quello di un regime autoritario e livellatore che Kundera avrebbe poi descritto come kitsch per la sua entusiastica pesantezza e la sua fragorosa stupidità. Espulso dal partito per la prima volta nel 1956, Kundera fu reintegrato prima di essere definitivamente espulso nel 1970 dopo la sua attiva partecipazione alla Primavera di Praga del 1968. Kundera era allora membro dell’Unione degli Scrittori – prese parte all’opposizione di un regime che sarà normalizzato dall’intervento sovietico. Per essere un contestatore, tuttavia, Kundera non è un sessantottenne libertario alla moda. Contrariamente al lirismo pseudo-rivoluzionario parigino che pretendeva di fare tabula rasa del passato, il movimento praghese difendeva la cultura europea e le sue tradizioni minacciate dal sommario materialismo dell’ideologia pseudo-scientifica al potere. Dopo aver pubblicato Risibles amours (1971) La valse au adieux (1976) e La vita è altrove (1973) che gli valgono il premio del ranger Prix Médicis, Milan Kundera afferma di non voler più scrivere.

Ma i suoi ammiratori e amici lo convinsero a continuare e lo invitarono in Francia nel 1975. Andò a insegnare all’Università di Rennes e nel 1981 François Mitterrand gli concesse la nazionalità francese, contemporaneamente a Julio Cortazar. Ben presto scelse Parigi come sua “seconda città natale”. Nel 1984, ha riscosso un grande successo con L’insostenibile leggerezza dell’essere”, in particolare grazie all’adattamento nel 1988 del suo romanzo per il cinema di Philippe Kaufman e Jean-Claude Carrière. Un romanzo ispirato al tema nietzscheano del rifiuto dello spirito di pesantezza e che esplora il conflitto che può esistere, in ciascuno di noi, tra il desiderio di autenticità e il dovere di lucidità.

Centrale Fies, Chiara Bersani porta a Dro il suo “Sottobosco”

Centrale Fies, Chiara Bersani porta a Dro il suo “Sottobosco”Milano, 12 lug. (askanews) – Un gruppo di bambini e bambine con disabilità si perde nel bosco. O forse sono stati abbandonati. Forse inseguivano un amore. Forse il bosco, un giorno, è semplicemente cresciuto attorno a loro. Cosa potrebbe accadere? Cosa ne sarà dei loro corpi? Cosa dei loro cuori? Delle carrozzine e delle stampelle? Cosa guarderanno i loro occhi? Che lingua parleranno? E chi li trova per caso o desiderio, come deve avvicinarli? Può farlo? Saprà chiedere permesso? Sottobosco costruisce un ambiente in cui gruppi estemporanei di persone con disabilità si potranno incontrare e diventare comunità.

C’è molto del senso della ricerca e del lavoro di Chiara Bersani, artista, performer e autrice di enorme talento sulla scena internazionale delle arti performative contemporanee, in questa storia, “Sottobosco”, che debutta a Centrale Fies a Dro nell’ambito della programmazione di FEMINIST FUTURES. “No, non c’è alleanza tra i corpi ora – scrive Chiara Bersani partendo dalle ferite inferte dalla pandemia ai corpi più fragili, ferite fisiche, ma soprattutto sociali -. È calato il silenzio nelle ossa, le pieghe delle articolazioni creano grotte cave. Toccarti è sovversivo, fare l’amore è carbonaro e a chiunque mi chieda una parola di conforto io riservo lo sguardo più feroce. No, non c’è alleanza e non c’è conforto. Non posso essere culla accogliente perché mi avete resa selvatica”. Le parole di Chiara sono forti, come forte è il suo stare sulla scena. Guardarla, per chi vuole pensare a cosa sia oggi l’arte, è necessario e, per quanto doloroso, alla fine si rivela salvifico.

“Sottobosco” andrà in scena nella cittadina trentina il 14 luglio, alle ore 20.

Teatro e danza come alternative: torna il Santarcangelo Festival

Teatro e danza come alternative: torna il Santarcangelo FestivalSantarcangelo di Romagna, 12 lug. (askanews) – Le arti performative come spazio per la creazione di risposte diverse, di visioni alternative della realtà, di nuove e inedite opportunità. È questo lo spirito che anima la 53esima edizione del Santarcangelo Festival, che porta nella cittadina romagnola teatro, danza e performance che vogliono mettere in discussione il nostro modo di guardare a ciò che chiamiamo realtà. “Secondo me questo è proprio il ruolo dei festival come Santarcangelo – ha detto ad askanews il direttore artistico Tomasz Kirenczuk – ma anche degli altri festival, quello di provare a costruire uno spazio in cui si possano immaginare le alternative per quanto riguarda il modo in cui viviamo, il modo in cui funziona il mondo. Sappiamo benissimo che la modalità in cui funziona adesso non sono più sostenibili. Secondo me condividere quello non non vuol dire che subito qualcosa cambierà, ma almeno ci permette di capire che esistono modi diversi, e questo magari può suggerirci una riflessione per andare un po’ più avanti e metterci in azione”.

Il titolo dell’edizione 2023, che si appoggia a nuovi spazi e si diffonde realmente nei diversi territori e ambienti della cittadina romagnola, è “Enough not Enough”. “Questo Enough – ha aggiunto il direttore – vuole dire io non ce la faccio più e allora inizio a fare la mia parte che può essere l’arte, può essere l’attivismo, può essere qualsiasi altra scelta della vita che comunque viene da una coscienza, da una coscienza che riguarda proprio il nostro posizionamento, il nostro ruolo, le nostre necessità”. E’ chiaro dunque che la valenza dei messaggi che si vogliono mandare è artistica e culturale, ha a che fare con le visioni del teatro, della danza, dell’azione performativa, ma non solo, propio per la natura dello stare consapevolmente su un palco davanti a una cittadinanza. “Parlare ed esibirsi in uno spazio pubblico – ha detto Kirenczuk – è un atto politico, allora dove ci porta e cosa vuol dire questo atto politico ci interessa moltissimo. Per fare questo festival noi siamo in simbiosi con la cittadinanza, con la città perché per fare questo festival noi dobbiamo chiedere ai cittadini di darci in prestito la città”.

L’atmosfera è a suo modo magica: i lavori degli artisti possono arrivare ovunque, per i giorni del festival le arti diventano il respiro stesso di Santarcangelo, che intorno a un’idea di teatro nel senso più largo del termine costruisce un messaggio molto forte per dire: noi siamo nostri contemporanei. E questa frase, apparentemente banale, in realtà, se la considerate con attenzione, può avere una forza dirompente.

Performing PAC, la memoria a 30 anni dalla strage di via Palestro

Performing PAC, la memoria a 30 anni dalla strage di via PalestroMilano, 11 lug. (askanews) – L’arte, soprattutto le immagini in movimento, come veicolo di memoria. Un veicolo spesso doloroso, ma necessario per dare una lettura al passato, anche quello più difficile, e provare a non dimenticare. Il PAC di Milano torna a proporre il proprio appuntamento annuale Performing PAC e per il 2023 lo fa, come ci ha spiegato il curatore Diego Sileo, ricollegandosi direttamente alla storia recente della città. “Tutto nasce – ha detto ad askanews – dal voler ricordare e commemorare la strage di Via Palestro. Quest’anno sono 30 anni dalla strage mafiosa di Via Palestro e abbiamo quindi pensato di declinare il nostro format annuale Performing Pac a tema memoria: siamo partiti con una timeline affidata ai giornalisti Simona Zecchi e Marco Bova, di ricostruzione del biennio della stragi 1992-93, per poi lasciare spazio a nove artisti contemporanei”.

In mostra opere di Christian Boltanski, uno degli artisti che più hanno lavorato sul tema della memoria come elemento propulsore della ricerca e che aveva portato al PAC una grande esposizione a inizio anni Duemila. Ma anche dell’israeliana Yael Bartana, che riporta alla luce, attraverso un “Messia” d’aspetto androgino, le paure, i sogni, i traumi repressi e i ricordi del passato della città di Berlino. Del resto lo stesso titolo della mostra, “Dance me to the End of Love” è una citazione di Leonard Cohen, dedicata alla inenarrabile tragedia della Shoah. “Abbiamo selezionato nove artisti contemporanei – ha aggiunto Sileo – abituati nella loro poetica e nella loro ricerca, a raccontare la memoria, a raccontare la storia”. Come lo fa anche Maurizio Cattelan, che sotto la patina del personaggio trasgressivo in realtà da sempre porta avanti una ricerca profonda e spesso disperata, che qui al PAC è presente con due opere legate alla strage di via Palestro e che usano oggetti comuni, come le calze o le macchine fotografiche giocattolo degli anni Ottanta, per riportare sotto i riflettori il dolore e i danni di quell’attentato. La storia, nella mostra, passa comunque soprattutto attraverso i video degli artisti, che creano tempi diversi e sospesi e spazi nei quali il ricordo può prendere altre forme. Perché la memoria non è un macigno, ma somiglia più a un fiume, con la sua pluralità di percorsi e possibili correnti.

A Monopoli torna PhEST-Festival internazionale di fotografia e arte

A Monopoli torna PhEST-Festival internazionale di fotografia e arteRoma, 10 lug. (askanews) – Al via dal primo settembre al primo novembre a Monopoli, in Puglia, “PhEST”, festival internazionale di fotografia e arte che dedica questa ottava edizione al tema Essere umani e insieme a LensCulture lancia dal 7 luglio per due settimane la terza edizione della PhEST Pop Up Open Call, contest internazionale aperto ad artisti di tutto il mondo.

Esplorando tappe, stili di vita, emozioni, credenze e passioni, il festival vuole interrogare lo spettatore proponendo una varietà di rappresentazioni dell’essere umani con uno sguardo interdisciplinare su cultura, natura, relazioni, attraverso la psicologia, la filosofia e l’antropologia. Tratterà i grandi temi del pensiero contemporaneo; la trasformazione dei valori e delle loro pratiche e la complessità delle attività e delle interrelazioni tra gli esseri senzienti in tutto il pianeta. Comunità, famiglia e consapevolezza globale insieme a tecnologia, migrazione sono alcuni dei punti chiave del nostro essere animali sociali in questo mondo. Artisti da tutto il mondo – selezionati dal direttore artistico Giovanni Troilo con la curatela fotografica di Arianna Rinaldo – verranno coinvolti in mostre, portfolio review – già prenotabili attraverso i canali social e il sito della manifestazione – masterclass, installazioni, nutrendo una comunità vibrante e diversificata di creativi e appassionati. Tra i primi nomi confermati ci sono: Phil Toledano, noto artista concettuale britannico che vive e lavora a New York, i pluripremiati fotografi inglesi Koos Breukel (ritrattista) e Zed Nelson (documentarista). Grande spazio alle donne quest’anno con artiste come Lisa Sorgini, australiana classe 1980, Elinor Carucci, fotografa Israeliana, Giulia Gatti giovane talento italiano, Cristina De Middel fotografa documentarista spagnola. PhEST – See Beyond the Sea, prodotto e promosso dall’associazione culturale PhEST, con sostegno di Regione Puglia, PugliaPromozione, Teatro Pubblico Pugliese e del Comune di Monopoli, si conferma un importante evento internazionale che celebra il potere della fotografia e dell’arte nel catturare ed esprimere nuove narrazioni. La città di Monopoli si trasformerà in un museo a cielo aperto, aprendo al pubblico e agli artisti palazzi storici e antiche chiese.

Fiorello: “Se Viva Rai 2 si farà non sarà in via Asiago”

Fiorello: “Se Viva Rai 2 si farà non sarà in via Asiago”Roma, 9 lug. (askanews) – Rosario Fiorello interviene su Instagram per mettere fine alle polemiche sui problemi creati dalla sua trasmissione “Viva Rai 2” agli abitanti del quartire di via Asiago a Roma e parla di “strumentalizzazioni intorno a questa cosa”. “La trasmissione – dice – non si farà mai più a via Asiago”. Il conduttore si scusa prima con “gli abitanti di via Asiago. Non pensavamo che il programma prendesse quella piega, invece si è sviluppato e ci ha preso la mano col pubblico che arrivava da tutta Italia”. “Se il programma si farà comunque – ha ribadito – non si farà a via Asiago. Siamo alla ricerca di una nuova location. Se la troveremo si farà sennò Viva Rai due sarà solo un ricordo ma noi contiamo di trovare una bella location”.

Biennale Teatro, l’Amleto di Boris Nikitin: punk e contemporaneo

Biennale Teatro, l’Amleto di Boris Nikitin: punk e contemporaneoVenezia, 9 lug. (askanews) – “Non l’allestimento di un dramma di Shakespeare, piuttosto un’appropriazione”. Così Boris Nikitin, regista e drammaturgo svizzero, parla del suo “Hamlet”, portato in scena alla Biennale Teatro di Venezia. Un’opera ibrida e multiforme, costruita intorno a un protagonista totalizzante e molto amletico, perfettamente calato nelle incertezze ontologiche della contemporaneità. “Questo Amleto – ha spiegato Nikitin ad askanews – in un certo senso è un ritratto del performer, Julia*n Meding, che è un artista, ma anche un musicista electro punk e abbiamo usato la sua personalità, mischiata con quella di Amleto, quindi ne esce un personaggio che è Julia*n e Amleto allo stesso tempo”.

Costruito con immagini e musica, drammaticamente legato al corpo e alle parole del protagonista, lo spettacolo prende la forma di una grande confessione sull’idea dell’identità come qualcosa di cangiante e molteplice, che dell’Amleto shakespeariano assume, per così dire, la postura di fronte al mondo e all’idea stessa di un teatro che qui vive di musica, di film, di interazioni continue con la scena e con ciò che sta al di là del palco. “Tutto ruota intorno alla domanda, che è cruciale nell’Amleto di Shakespeare, cioè cosa sta realmente succedendo in quella persona – ha aggiunto il regista – sta recitando o è realmente pazzo? Quindi ci chiediamo che cosa sia la realtà che stiamo vedendo”. E in questo senso l’opera assume una connotazione “totale”, ma in un senso più che altro brechtiano, e arriva a coinvolgere direttamente lo spettatore, a cui sono demandate, per così dire, le conclusioni, per quanto possibile. “Il pubblico – ha concluso Boris Nikitin – è il viaggiatore che affronta questa avventura e che, alla fine, la rende possibile”.

E proprio l’idea di possibilità è quella che rimane più addosso al temine degli oltre 90 minuti dello spettacolo: le possibilità del teatro di prendere nuove strade; le possibilità interpretative di un performer e del suo corpo, che prende possesso di un personaggio, come il principe Amleto, che in fondo viveva tutto dentro le speculazioni della propria mente; le possibilità di essere ancora una volta a Venezia, dentro quell’universo multidisciplinare che è la Biennale, e trovare occasioni per stupirsi di fronte alle potenzialità dell’arte.

”Colors of noble cultures”, dal 12 luglio Ballarin in mostra a Abuja

”Colors of noble cultures”, dal 12 luglio Ballarin in mostra a AbujaRoma, 7 lug. (askanews) – Dal 12 al 15 luglio l’Ambasciata d’Italia ad Abuja (Nigeria) inaugurerà (alle ore 18) la mostra “Luigi Ballarin. Colors of noble cultures” del maestro veneziano Luigi Ballarin. In esposizione circa 15 opere, con il nobile equino protagonista, tra tele con acrilico e smalto. Sarà visitabile presso il Fraser Suites Hotel Abuja, a ingresso libero, dalle 10 alle 18. In occasione del vernissage saranno presenti Stefano De Leo, ambasciatore d’Italia in Nigeria, e esponenti del mondo diplomatico, istituzionale e culturale di Abuja.

Nelle opere di Luigi Ballarin, terre e culture spesso sconosciute diventano protagoniste. Il maestro veneziano, la cui produzione artistica è da sempre ponte tra continenti, culture e paesi, le racconta con amore e trasmette attentamente grandi e piccole storie. Le informazioni, le esperienze e le dottrine che l’artista ha acquisito negli anni, miscelando stili e tecniche, si sposano con attenzione sociale e dialogo culturale. Ballarin ha cercato con questo nuovo progetto artistico di percorrere un viaggio che parte dal Nord della Nigeria: una terra antica, marcata da un millennio di presenza dell’Islam e dalla lingua e cultura Hausa, fattori unificanti che hanno marcato la cultura dell’intero Nord superando i confini religiosi ed etnici e creando un substrato comune di tradizioni, codici e modi di pensare; nella parte del Paese che dal confine settentrionale arriva fino alla capitale, Abuja, sede della mostra. Il risultato che salta agli occhi è l’armonia dell’insieme, dell’armocromia dedicata all’Africa, dell’utilizzo dei colori con toni che mettono in risalto ogni parte del messaggio artistico. Appare così tutta la bellezza e la forza che può sprigionare l’accoppiata di un guerriero che diventa tutt’uno con un cavallo. “Ogni famiglia è uno stato a sé”, dicono i nigeriani: un detto che offre la chiave di lettura perfetta di un Paese che racchiude un universo.

“I cavalli sono un simbolo mondiale, senza tempo, ponte iconico di unione tra i popoli – ha detto Stefano De Leo, ambasciatore d’Italia in Nigeria – nel corso della storia possiamo rintracciare il profondo impatto di queste creature ispiratrici nella nostra comprensione dell’arte. In Africa, e in particolare in Nigeria, i cavalli sono celebrati in spettacolari feste equestri e rappresentano un importante patrimonio culturale. Luigi Ballarin dà la sua personalissima interpretazione del tema del cavallo tracciando percorsi convergenti che uniscono culture diverse, unite dai valori della pace e del dialogo. Costruisce ponti ideali di colore ed emozioni che toccano il simbolismo e la spiritualità”.

”Come d’aria” di D’Adamo vince LXXVII edizione del Premio Strega

”Come d’aria” di D’Adamo vince LXXVII edizione del Premio StregaRoma, 7 lug. (askanews) – “Come d’aria” di Ada d’Adamo, scomparsa lo scorso aprile, è il libro vincitore della LXXVII edizione del Premio Strega: nel libro edito da Elliot, la scrittrice ha narrato della malattia che l’ha uccisa e del rapporto con la figlia Daria, anch’essa malata, dalla nascita, e da lei accudita per tutta la vita.

D’Adamo ha prevalso con 185 voti su Rosella Postorino, arrivata seconda a 170 voti con “Mi limitavo ad amare te, edito da Feltrinelli. A seguire con 75 voti Andrea Canobbio con La traversata notturna (ed. La nave di Teseo), poi Maria Grazia Calandrone che ha ottenuto 72 voti per il suo Dove non mi hai portata (Einaudi), e infine Romana Petri con Rubare la notte (Mondadori), che ha avuto 59 preferenze.