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Fotografia e cinema, in Triennale l’altra faccia dell’Arte povera

Fotografia e cinema, in Triennale l’altra faccia dell’Arte poveraMilano, 22 mag. (askanews) – Gli artisti dell’Arte povera e delle avanguardie tra gli anni Sessanta e Settanta e la loro relazione con la fotografia, il cinema e il video: di questo si ragiona in un progetto espositivo affascinante che arriva in Triennale a Milano dopo essere stato a Parigi al Jeu de Paume e a LE BAL, istituzioni che, insieme alla Triennale, lo hanno immaginato e realizzato. Tra i curatori anche Lorenza Bravetta. “La mostra Reversing the Eye – ha detto ad askanews la responsabile di fotografia, cinema e new media di Triennale – che abbiamo deciso di allestire sui muri perimetrali del Palazzo dell’Arte, proprio per situarla in questo luogo che con l’Arte povera ha avuto scambi ed esperienze importanti, fa il punto su questa stagione straordinaria nella quale i media hanno contribuito alla ridefinizione della funzione dell’arte”.

La mostra in un certo senso completa il racconto complessivo sul movimento dell’Arte povera, il più rilevante contributo italiano all’arte del secondo novecento, e porta in scena opere fondamentali, su tutte probabilmente quelle di Giulio Paolini, che ancora oggi, nonostante decenni di storicizzazione, mantiene un elemento di inafferrabilità e di mistero che lo rende unico, anche nei lavori con la fotografia. Ma il discorso sull’originalità dell’utilizzo della immagini vale anche per tanti altri, dal cielo stellato di Luciano Fabro agli autoritratti senza tempo di Luigi Ontani, fino ovviamente ai quadri specchianti di Pistoletto. “Questa fluidità delle loro vite, delle loro esperienze, della loro ricerca – ha aggiunto Bravetta – era la stessa con cui usavano la fotografia, senza mai definirsi fotografi, senza neanche mai chiedersi se avessero dovuto definirsi rispetto al mezzo che utilizzavano”.

In qualche modo – e in mostra ci sono anche grandi fotografi, su tutti Ugo Mulas – l’esposizione indaga l’anima più pop, se così possiamo dire, dell’Arte povera, la sua più diretta vicinanza alla “vita reale” e, in fondo probabilmente la sua più forte persistenza nell’immaginario di oggi.

A Roma “Reclamatio Terra”, per riflettere sul cambiamento climatico

A Roma “Reclamatio Terra”, per riflettere sul cambiamento climaticoRoma, 22 mag. (askanews) – Dopo il successo della mostra “Sotto i Raggi del Sole” lo scorso ottobre presso la Villa di Massenzio e il Mausoleo di Romolo a Roma, arriva un nuovo progetto espositivo, “Reclamatio Terra. Riflessioni sul rapporto tra Uomo e Ambiente”, dedicato al tema del futuro del Pianeta e alla necessità di costruire un nuovo rapporto Uomo/Natura, per riflettere sul problema del cambiamento climatico con una particolare attenzione agli oceani in occasione del “World Oceans day” dell’8 giugno. La collettiva verrà ospitata presso il Piano Nobile di Palazzo Falconieri, sede dell’Accademia d’Ungheria in Roma, da giovedì 8 giugno a lunedì 12 luglio 2023. La mostra, a cura di Antonietta Campilongo con testi di Alice Straffi e promossa dall’Associazione Neworld ETS, che conta 28 artisti e circa 40 opere esposte, è visitabile dal lunedì al venerdì, dalle 9.30 alle 19.30.

“Reclamatio Terra”, progetto espositivo sperimentale che si è andato sviluppando nel tempo intorno a un’indagine critica su un tema di grande attualità, si propone come una forma di narrazione collettiva, aperta a contributi artistici che affrontino problemi legati all’etica, alla definizione della corrispondenza culturale e al rapporto tra uomo e ambiente per diffondere consapevolezza e stimolare il maggior numero di persone a prendersi cura del Pianeta. Lo scopo è comunicare, attraverso l’arte e la cultura, una coscienza sui problemi dell’ambiente, e determinare volontà e capacità di reagire al degrado, utilizzare al meglio le risorse che il pianeta Terra offre, ricordando sempre che sono deperibili. In mostra gli artisti ungheresi Veronika Palkovics, Villo Steiner e Klára Várhelyi, gli italiani Rosella Barretta, Juna Cappilli, Antonella Catini, Antonio Ceccarelli, Silvano Corno, Alessandro Di Francesco, Alexander Luigi Di Meglio, Alexandre di Portovenere, Lean (Andrea Leonardi), Valentina Lo Faro, Maria Pia Michieletto, Lucia Nicolai, Enrico Porcaro, Gabriella Porpora, Loredana Raciti, Fabio Romoli, Loredana Salzano, Stefania Scala, Sound of clay (Elena Urbani, Fabiola Arcuri), Andrea Sterpa, Carlo Tirelli, Anna Tonelli e Tommaso Maurizio Vitale. Special Guest, Adriana Pignataro.

“Adriana Pignataro è tutta orientata verso una dimensione astraente dove il tema dell’equilibrio è determinante come presupposto generale della sua poetica – ha spiegato lo storico dell’arte Claudio Strinati – risente forse della civiltà del “collage” trasfigurata in una pittura fatta di frammenti, campiture, volumi, spazi che sembrano ereditare il grande filone della Pop Art italiana ma con un respiro invero vastissimo che congloba tante diverse esperienze in uno stile e in un sistema di organizzazione dell’immagine in cui il fattore del dualismo è costantemente presente nell’idea di una contrapposizione che è di fatto, fratellanza”.

Al via a Taranto il progetto Artlab Eyeland-l’isola delle arti

Al via a Taranto il progetto Artlab Eyeland-l’isola delle artiRoma, 22 mag. (askanews) – Si apre al pubblico venerdì 2 giugno il progetto Artlab Eyeland – l’isola delle arti, promosso e organizzato da PhEST – associazione culturale che realizza il Festival Internazionale di fotografia e arte a Monopoli – con il sostegno del Comune di Taranto attraverso il Piano di rigenerazione sociale per l’area di crisi di Taranto e con il patrocinio della Regione Puglia e della Soprintendenza Nazionale per il patrimonio culturale subacqueo. E la partnership dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro e di Programma Sviluppo. Il progetto, che in queste settimane ha già coinvolto i tarantini in workshop e iniziative, vuole raccontare la rinascita di Taranto attraverso varie forme di espressione artistica proposte ai visitatori e ai cittadini in forma partecipata e collaborativa.

Dalle opere di street art, ai progetti fotografici e di design, dai suoni raccolti dalla strada e trasformati in musica, alla poesia, all’arte contemporanea e al teatro. Molti autori di fama internazionale, da Sam Gregg, fotografo ritrattista e documentarista londinese al collettivo Mentalgassi e altri esporranno le loro opere a Taranto e saranno presenti in residenze d’artista per dare vita a progetti d’arte con il coinvolgimento degli abitanti. Artlab Eyeland diventa così l’isola delle arti, un organismo vivo che per i prossimi mesi si lascerà trasformare da artisti nazionali e internazionali e dagli abitanti della Città Vecchia in una sorta di laboratorio permanente, sotto la direzione artistica di Giovanni Troilo, la curatela fotografica di Arianna Rinaldo e Rica Cerbarano, e la curatela per l’arte contemporanea di Roberto Lacarbonara. Un progetto che, attraverso l’arte, la fotografia e il design contribuisce alla rinascita di una città che sta diventando sempre più la culla di importanti eventi culturali di respiro internazionale: dall’imminente Map Festival che mette in relazione musica e architettura, alle varie edizioni di Trust, il festival di street art citato dalle principali riviste di settore, fino all’edizione pilota della Biennale del Mediterraneo di Architettura e Arte Contemporanea del 2024. Il racconto di Taranto si strutturerà attraverso laboratori, workshop, esposizioni diffuse ed eventi outdoor, momenti che troveranno nella poesia metropolitana – voce dello spazio urbanizzato e dei cittadini – il perfetto accompagnamento; palazzi, strade e impalcature saranno a disposizione di differenti discipline di artisti locali e internazionali. Una mostra concluderà la call for artists Isola Madre rivolta agli artisti di Taranto e provincia e realizzata in collaborazione con Salgemma.

La Torre dell’Orologio sarà la sede delle attività laboratoriali, Palazzo Galeota e Palazzo De Notaristefani ospiteranno alcune delle mostre più attese e dal 23 giugno anche il Chiostro di San Francesco diventerà uno spazio espositivo grazie alla partnership con l’Università degli Studi di Bari Aldo Moro che mette a disposizione la splendida location del dipartimento jonico dell’Università nella Città Vecchia. Fra le strade della Città dei due mari sarà possibile incontrare artisti internazionali impegnati in laboratori e ai quali saranno dedicate mostre ed eventi di grande impatto. Tra questi: Sam Gregg, uno dei primi grandi ospiti delle residenze d’artista, dal 24 aprile, ha già realizzato – oltre al lavoro in residenza sugli abitanti della Città Vecchia che sarà allestito in esterni proprio sull’isola – un laboratorio di fotografia rivolto ai giovani tarantini, i cui lavori finali verranno esposti durante Artlab Eyeland. Il fotografo londinese presenzierà inoltre alla sua mostra personale a Palazzo De Notaristefani, un’esposizione dedicata ad un progetto ancora in corso e realizzato interamente sulla città di Napoli nell’arco di una decina d’anni. Alex Palmieri, a cui va l’onore di aprire la manifestazione con il dj set del 2 giugno, sarà il protagonista – dal 28 giugno al 14 luglio – di un laboratorio di produzione musicale, durante il quale i partecipanti impareranno attivamente a raccontare la città e a promuovere la sua bellezza per mezzo di registrazioni ambientali; i presenti potranno produrre una traccia musicale interamente scritta con i suoni della Città Vecchia. Il corso di Alex Palmieri sarà quindi orientato all’ascolto come visione e comprensione di un luogo abitato dalle anime che lo vivono e come unico senso per esplorare la città. Caos, nome d’arte di Dario Pruonto, sarà a Taranto dal 29 maggio al 15 giugno e presenterà al pubblico un progetto di arte partecipata, che coinvolgerà i cittadini in attività di rigenerazione urbana, allo scopo di creare coesione sociale e favorire la cittadinanza attiva e l’ascolto generativo. Di origini milanesi, Dario Pruonto è un artista pubblico e figura di riferimento della street poetry italiana; la sua ricerca esplora il rapporto tra arte visiva, linguaggio e contesto urbano e tocca temi complessi quali l’incomunicabilità, il confine e la relazione. Ogni capacità e conoscenza, ogni punto di vista, rappresenterà quindi una parte del progetto realizzato tra le vie di Taranto, con un profondo senso etico e un valore sociale. Non la cittadinanza al servizio dell’artista, ma l’artista al servizio della cittadinanza. Il collettivo tedesco Mentalgassi sarà presente in due momenti distinti: dal 23 al 26 maggio, per fotografare gli abitanti della Città Vecchia, e dal 7 all’11 giugno, per l’allestimento collettivo dell’opera finale. Mentalgassi è un collettivo di artisti che opera a livello internazionale nel campo della fotografia e degli interventi urbani; la loro attività artistica è votata allo stravolgimento della forma e degli utilizzi di oggetti di uso quotidiano, creando momenti sorprendenti. Combinano fotografia, manipolazione delle immagini, scultura e street art ed espongono en plein air nei contesti metropolitani. La mostra è a cura di Rica Cerbarano che firma anche le mostre fotografiche dedicate a Polina Osipova, designer e artista della Repubblica Ciuvascia della Federazione Russa che ha recuperato le tradizioni ancestrali delle donne del suo popolo per sfidare i limiti del suo paese e della sua cultura e Mous Lamrabat che con From Morocco to the World ridefinisce i codici della moda e del lusso sullo sfondo del meraviglioso paesaggio naturale del suo Paese.

Arianna Rinaldo firma invece la curatela delle mostre fotografiche: Where Do We Go When The Final Wave Hits di Arko Datto, artista indiano, esploratore e critico dell’era digitale, che si propone con questa selezione di immagini di indagare la distopia dell’imminente apocalisse ambientale nei contesti non urbani della regione del Delta. By an Eye Witness di Azadeh Akhlaghi, un dialogo visuale fra chi resta e chi va via, tra la morte, con gli spiriti, i rimpianti ed i ricordi, e la vita realizzato dall’artista iraniana già assistente alla regia di Abbas Kiarostami e fotografa di fama internazionale. Arquitectura Libre di Adam Wiseman, fotografo messicano con approccio fotogiornalistico al rapporto tra immagine e realtà, che esplora l’idea di casa non a partire dalla sua funzione, ma come simbolo. Le exhibition di arte contemporanea sono curate da Roberto Lacarbonara: La riappropriazione della città dell’architetto, designer, artista, teorico e storico dell’architettura Ugo La Pietra, “ricercatore nelle arti visive” che illustra come riappropriarsi della città per mezzo di operazioni comportamentali e non di interventi fisici.

Costruire, installazione di scarti delle produzioni industriali che vuole alludere alla progressiva urbanizzazione del paesaggio reale, firmata dal romagnolo Marco Neri che dedica la sua ricerca artistica al recupero della pittura. After After Love, installazione ambientale in legno e vetro ispirata alla “casa fai-da-te” del film “One week” di Buster Keaton in proiezione grazie alla Cineteca di Bologna e realizzata dal duo artistico napoletano Vedovamazzei (Simeone Crispino e Stella Scala) con grande ironia, sperimentazione e gioco mettendo in discussione la nostra identità e le nostre certezze.

Biennale Architettura, il Leone d’oro al Padiglione del Brasile

Biennale Architettura, il Leone d’oro al Padiglione del Brasile

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Biennale Architettura, lo spazio decostruito di Padiglione Italia

Biennale Architettura, lo spazio decostruito di Padiglione ItaliaVenezia, 19 mag. (askanews) – Una mostra corale che vuole ricucire il racconto di nove esperienze di architettura sul territorio italiano, ma che è anche una sorta di affermazione di metodo che sposta l’attenzione verso la realtà effettiva dei progetti, focalizzandosi sulle comunità fuori dallo spazio dell’esposizione. Siamo alla Biennale Architettura di Venezia e siamo precisamente nel Padiglione Italia, affidato alla curatela dei giovani del collettivo Fosbury Architecture, che hanno scelto di portare avanti i loro progetti sul territorio, lasciano all’esposizione il compito di essere solo una sorta di sommario.

Nicola Campri, uno dei membri del gruppo, ci ha presentato l’idea: “Noi – ha detto ad askanews – cerchiamo di raccontare una rinnovata maniera di fare architettura attraverso nove progetti diffusi in tutta Italia per mano di nove progettisti, quindi nove pratiche che collaborano con nove advisor provenienti da altre discipline. Abbiamo selezionato nove siti, attraverso la penisola, che racontassero situazioni di fragilità o di potenzialità del nostro Paese. In questo siti abbiamo sviluppato dei progetti pionieri che in qualche modo andassero a creare delle risposte a tematiche che sentiamo urgenti”. Urgente è anche il modo in cui Fosbury ha pensato di utilizzare lo spazio, che è fisico, ma anche istituzionale, del Padiglione Italia, letteralmente trasformato in un amplificatore, ma non più nel fulcro della partecipazione alla Biennale. In un’ottica di allargamento dei confini e di costruzione di nuovi paradigmi mentali che rientra alla perfezione nel discorso portato avanti dalla curatrice della Mostra internazionale, Lesley Lokko.

E a Claudia Mainardi, anche lei membro di Fosbury, abbiamo chiesto che idea di architettura il gruppo ha voluto diffondere attraverso il progetto “Spaziale”. “La scelta – ci ha risposto – è stata quella di mettere in scena una generazione di architetti che non considera il manufatto come fine ultimo: più precisamente ci siamo riferito al concetto utilizzato da Jane Rendell di Critical Spatial Practice, ovvero pratiche che si situano tra pubblico e privato, tra arte e architettura.Partiamo dal presupposto che, soprattutto in un contesto come quello attuale sia sempre meno pensabile l’idea dell’architetto come unica figura a capo di un progetto creativo e sia sempre più necessaria una collaborazione, non solo tra colleghi, ma anche tra saperi”. Decisivo, per entrare nel mondo di Fosbury, di cui sono membri anche Giacomo Ardesio, Alessandro Bonizzoni e Veronica Caprino, è il sottotitolo del progetto: “Ognuno appartiene a tutti gli altri”. E nello stesso modo a tutti deve appartenere l’architettura, che così può liberarsi e tornare a essere portavoce di desiderio di risposte a bisogni reali, come uno strumento che può essere al servizio di una nuova prospettiva sociale. Anche questo si può immaginare attraversando lo spazio politicamente decostruito di Padiglione Italia.

Apre la Biennale Architettura: costruire conoscenza e fiducia

Apre la Biennale Architettura: costruire conoscenza e fiduciaVenezia, 17 mag. (askanews) – Una Biennale Architettura che vuole essere “momento e processo”, che vuole porsi come “agente di cambiamento” raccontando in primo luogo l’Africa e le sue molteplici progettualità. Si apre a Venezia la 18esima edizione della Mostra internazionale di Architettura, intitolata “Il laboratorio del futuro” e curata da Lesley Lokko.

“L’architettura – ha detto Lokko ad askanews – è una categoria molto vasta e non riguarda solo il fatto di costruire edifici Questo aspetto è molto importante e fondativo, ma l’architettura costruisce molto più che edifici: costruisce conoscenza, costruisce contesto, socialità, fiducia”. Temi su cui la Biennale di Venezia si impegna ormai da diversi anni e da diverse mostre e che sono stati confermati anche dal presidente Roberto Cicutto. “La Biennale – ci ha spiegato – ha il dovere di essere contemporanea perché racconta le arti contemporanee. Diciamo che io periodo del Covid ha reso molto evidenti le domande che si pongono all’architettura. Non si può più pensare che si possa continuare a sviluppare l’urbanistica, l’architettura o la società civile come sono state sviluppate per secoli nella modernità. Oggi la sostenibilità non è solo un tema di moda, oggi la sostenibilità è una necessità e questa impatta anche nel modo di vivere e nei luoghi dove si vive. Quindi l’architettura è forse oggi la più responsabilizzata delle arti che noi mostriamo”.

La mostra è affascinante, viva, molteplice, ribalta alcune prospettive e, accanto ai tradizionali progetti architettonici, mette in scena anche la vita, le vite e le opportunità, sociali e creative che il mondo ci continua a offrire, per fronteggiare uno scenario ambientale e umano in continuo mutamento. Perché lo spazio sul quale insiste l’architettura è lo stesso sul quale agisce il cambiamento climatico, lo stesso che soffre di ipersfruttamento delle risorse. E dunque questa Biennale prova a fornire idee nuove, alternative, che arrivano da un laboratorio di pensiero e creatività che attinge, come nel caso del Padiglione centrale ai Giardini, ad architetti, artisti e creativi neri rappresentanti del “Black Atlantic”. Un cambio di prospettiva che non ha nulla a che fare con il politically correct o con l’ideologia, ma che vuole riportare attenzione su una comunità di diaspora africana “le cui radici – ha scritto Lokko – affondano in un passato millenario e in egual modo si protraggono verso il futuro”. Altra sensazione importante che si può percepire a un primo passaggio nella Mostra internazionale di Lesley Lokko è quella di uno spazio di “umanità”, inteso come di rimessa al centro delle persone, delle comunità, dei bisogni di base. Il che non significa rinunciare alla ricerca o alla tecnologie e nemmeno alla distopia (anzi, c’è molta fantascienza in mostra), ma lo si può fare mettendo al centro il progetto e la sua anima sociale, anzichè l’essere progetto in sé. Forse è qui, su questo sottile ma decisivo confine, che la Biennale Architettura del 2023 gioca la sua partita più vera.

(Leonardo Merlini)

A Giovanni Grasso il premio Amalago 2023 per “Icaro,il volo su Roma”

A Giovanni Grasso il premio Amalago 2023 per “Icaro,il volo su Roma”Roma, 14 mag. (askanews) – Giovanni Grasso, con il romanzo “Icaro, il volo su Roma” edito da Rizzoli nel 2021″ ha vinto l’edizione 2023 del Premio letterario Amalago assegnato a Grasso ieri all’hotel Bristol di Stresa dalla giuria presieduta da Stefano Zecchi.

La seconda edizione del premio coordinato da Sibyl von der Schulenburg e che premia le opere di maggior successo di pubblico nell’anno precedente, ha visto in gara sette romanzi storici, individuati da un apposito gruppo di candidatura e selezionati da un comitato di Gestione: blogger indipendenti, gruppi di lettori e book influencer i cui nomi rimangono segreti fino alla conclusione del premio. La Commissione dei Tecnici, riunita lo scorso dicembre sotto la presidenza di Stefano Zecchi, aveva poi decretato fra questi una terna di finalisti: Luca Azzolini con “Il sangue della Lupa”, Edgarda Ferri con “Il racconto del Cortigiano” e Giovanni Grasso, giornalista e scrittore oltre che portavoce del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con appunto “Icaro, il volo su Roma” che ha prevalso. Il romanzo di Grasso ha come protagonista femminile Ruth Draper, attrice newyorkese: donna colta, indipendente, schiva. Si è votata al teatro come una vestale al tempio e non ha mai ceduto alle lusinghe dell’amore. Fino a quando, nella Città Eterna per una tournée, non incontra il giovane e fascinoso Lauro de Bosis. Dandy per eccellenza, poeta per vocazione, antifascista per scelta, aviatore per necessità, Lauro è un visionario ma è anche un uomo coraggioso capace di passare all’azione: con due amici infatti ha fondato un’organizzazione segreta che diffonde messaggi clandestini di propaganda contro il regime.Tra il giovanissimo Lauro e la matura Ruth, nonostante diciassette anni di differenza, scoppia un amore travolgente e tragico, che si cementa nella lotta al fascismo.

Sullo sfondo, l’Italietta del regime, ma anche l’inquieto mondo dell’antifascismo in esilio, tra Parigi, Londra e Bruxelles e l’America divisa tra i fremiti del jazz, la cappa del Proibizionismo e la Grande depressione.Dopo Il caso Kaufmann, Giovanni Grasso torna a mescolare storia e invenzione, ricostruendo nei dettagli l’epopea e il ricco mondo di relazioni di un eroe dimenticato che fece tremare la dittatura: la sera del 2 ottobre 1931, a bordo di un piccolo monoplano, Lauro de Bosis sorvolò Roma, beffando clamorosamente il regime, prima di scomparire nel Tirreno al termine di un volo fatale compiuto in nome della libertà.

Le tracce di ognuno di noi: Marinella Senatore scrive per Guarene

Le tracce di ognuno di noi: Marinella Senatore scrive per GuareneGuarene, 15 mag. (askanews) – Una nuova scultura permanente di Marinella Senatore è stata installata al Parco d’Arte Sandretto Re Rebaudengo a Guarene, in provincia di Cuneo. “In ognuno la traccia di ognuno”, commissionata dalla Fondazione, è una grande opera di luce che l’artista ha concepito, partendo da Primo Levi, per la collina di San Licerio, luogo dedicato al dialogo tra natura e arte.

Come è tipico della pratica di Senatore, l’inaugurazione è stata accompagnata da una passeggiata festosa, aperta a tutte le persone e scandita da musica e performance. “Passeggiare insieme – ha detto Marinella Senatore – sembra un’azione molto semplice, in realtà è veramente trasformata. Fare le cose insieme e farle per strada ha un significato molto forte”. La scritta luminosa, selezionata con una call pubblica rivolta alla comunità di Guarene, è tratta da una poesia di Levi dedicata all’amicizia. Aspetto su cui è tornata anche Patrizia Sandretto Re Rebaudengo: “L’unica cosa che mi sento di dire legata a questa frase – ha detto al pubblico dell’inaugurazione – è che parla di amicizia, e qui noi tutti siamo amici, perché basta un incontro, basta un momento e da quel momento si è amici. Credo che sia il più bel messaggio che possiamo darci e lasciarci”.

Partendo dalla tradizione delle luminarie del Sud Italia, Marinella Senatore ha costruito negli anni una serie di interventi che uniscono alla bellezza estetica e alla riconoscibilità anche una serie di messaggi profondi e politici, legati alla relazione tra le persone e all’idea della valorizzazione delle comunità, nelle loro caratteristiche specifiche. “Riflettere sull’idea di comunità, di coesistenza, di passato e di visione del futuro, ma soprattutto del qui e ora”, ha concluso l’artista. Quel qui e ora che in fondo è il tempo del contemporaneo, nel momento in cui ne facciamo reale esperienza.

In libreria dal 19 maggio “Un senso di te” di Eleonora Geria

In libreria dal 19 maggio “Un senso di te” di Eleonora GeriaRoma, 14 mag. (askanews) – È una storia vera quella narrata da Eleonora Geria nel suo primo romanzo “Un senso di te” pubblicato da La Corte Editore e in libreria dal 19 maggio, la toccante narrazione auto-biografica di una madre che non si rassegna di fronte alla sordità del suo primogenito. Un romanzo capace di dare voce ai sentimenti più profondi e contrastanti, alle dinamiche familiari che inevitabilmente si modificano, ai tanti perché.

Che cosa non farebbe una madre per aiutare un figlio in difficoltà? Cambierebbe la propria vita; ribalterebbe orari, abitudini, certezze; lascerebbe il lavoro per dedicare tempo ed energie solo a lui. È quello che accade ad Eleonora: la sua esistenza si trasforma radicalmente dopo la scoperta che Nicola, il suo primogenito, è sordo. Un muro di silenzio profondo, abissale, sembra separarlo dal mondo. È una distanza che pare incolmabile, una condizione di isolamento che fa paura e con la quale è difficile immedesimarsi se non la si prova sulla propria pelle, se non si vive a stretto contatto con chi deve affrontarla ogni istante e da quando è nato non ha mai sentito suoni, rumori, musiche, parole. Eleonora non si rassegna. Vuole combattere per migliorare la situazione del figlio, vorrebbe “guarire” Nicola, farlo vivere come ogni ragazzo “normale”. Negli anni spinge per sottoporlo a ben cinque interventi chirurgici e ogni volta l’illusione è l’anticamera per una delusione più profonda. Il tempo porta soltanto nuove incertezze, nuove difficoltà, con l’ansia di non sapere se si sta facendo la scelta giusta, se l’aiuto che vorremmo portare non si trasformi nell’affannoso e forse presuntuoso inseguimento di una normalità senza senso. Nicola cresce precipitando dentro se stesso, non sente il suono della propria voce, spesso per farsi capire ricorre a capricci terribili. Intorno a lui si muovono confusi il marito di Eleonora, Gigi, il nonno, gli amici che non sanno come comportarsi, e poi i due fratellini di Nicola, Valeriano e Fabio Massimo, che si contendono le attenzioni del maggiore.

Eleonora sembra l’unica in grado di fare da ponte tra suo figlio e il resto del mondo. Il suo è un mondo sospeso fatto di ospedali, dottori, attese fuori dalla sala operatoria, studi di specialisti, sempre con l’ultima speranza nel cuore, e tante notti passate sulla sedia accanto al letto di Nicola per vegliarlo, appesa a un suo minimo cenno. Il racconto serrato e coinvolgente di una sfida d’amore che coinvolge una madre e tutta la sua famiglia. Sullo sfondo il tema della diversità che da ostacolo alle volte quasi insormontabile può diventare ricchezza e dono per le persone, pungolo a non arrendersi mai e a mettersi continuamente in discussione.

Una storia vera narrata con passione e concretezza, con uno sguardo amoroso capace di leggere le proprie contraddizioni, le debolezze, le paure, ma di vedere anche la forza e la speranza che è dentro di noi e ci porta a ricominciare sempre. Eleonora Geria Laureata in Scienze politiche e specializzata in tecniche di comunicazione. Mamma di tre figli, ha scritto questo libro per permettere al primogenito Nicola, nato sordo di ritrovare se stesso attraverso il racconto dettagliato degli interventi e delle decisioni che i genitori hanno preso al suo posto e cercare di dare voce, con la massima umiltà, a un messaggio di educazione e accettazione delle diversità in tutte le sue sfaccettature.

A Roma “A un passo dalle stelle”, l’universo secondo Pamela Ferri

A Roma “A un passo dalle stelle”, l’universo secondo Pamela FerriRoma, 10 mag. (askanews) – Sarà visitabile dal 18 maggio al 13 luglio, presso la galleria SpazioCima di Roma, “A un passo dalle stelle”, l’installazione site specific di Pamela Ferri. Protagonisti dell’appuntamento, organizzato da Roberta Cima e curato da Roberta Cima e Anna Baldini, saranno i temi da cui scaturisce tutta la produzione dell’artista romana: la geometria, lo spazio e l’universo, nonché la complessità degli stessi e la ricchezza di interconnessioni tra loro.

Alla base di tutto c’è una matrice, MatriceMater, leit motiv della sua produzione artistica e concepita come una costellazione che lei percepisce nell’universo e che si concretizza sulla Terra. Il processo di creazione, generato da un procedimento tecnico definito, materializza entità geometriche che costituiscono l’opera allo stesso modo di come le miriadi di stelle formano le galassie. “È un procedimento tecnico che parte da un codice base simile a una stella a cinque punte aperta in rotazione antioraria lungo una curva a spirale – ha spiegato l’artista Pamela Ferri – ma non è tutto, perché le sue dimensioni tendono all’infinito grazie alla sua capacità di poter replicare il codice iniziale in diverse scale di grandezza che ricordano quelle della geometria frattale”. Le opere di Pamela Ferri sono vive e pulsanti e generano sensazioni diverse di volta in volta che si entra in contatto con loro. Sensazioni che poi, quando accompagnate dalla riflessione, riescono a diventare parole, espressioni, realtà. “Paradossalmente è come se il percorso creativo che genera l’opera, si trasferisse nelle opere stesse e loro lo trasmettessero a chi le osserva, attraverso il dinamismo e la molteplicità di sfaccettature che contengono – ha spiegato la curatrice Anna Baldini – e così anche il percorso di scrittura solo se diventa un percorso creativo che si compone di diversi momenti di osservazione e restituzione di una successione di visioni, riesce a dare l’idea della produzione artistica di Pamela Ferri”.