Libri, esce “Passo falso” di Marco VervelloRoma, 13 apr. (askanews) – Il Regno Unito conta i danni da Brexit e, dopo il passo falso, ripensa il proprio futuro anche senza mettere apertamente in discussione l’uscita dalla Ue. Il corrispondente della Rai da Londra racconta un Paese che il referendum del 2016 sembra aver reso più solo e più fragile, che vede riaffacciarsi i fantasmi dell’indipendentismo scozzese e irlandese, che deve fare i conti con un’economia in difficoltà. Marco Varvello scatta fotografie della vita pubblica britannica, analizzando il travaglio della politica d’oltre Manica, con un occhio sempre attento a una monarchia che, dopo la scomparsa della Regina Elisabetta II, è obbligata a mettersi in discussione.
“Passo Falso” di Marco Varvello, edito da Rai Libri, è in vendita nelle librerie e negli store digitali dal 14 aprile 2023. Marco Varvello è responsabile dell’ufficio di corrispondenza Rai per il Regno Unito. Ha cominciato l’attività giornalistica a Milano nei quotidiani “La Notte” e “Il Giornale”, all’epoca diretto da Indro Montanelli. In Rai è stato curatore del programma di Enzo Biagi, “Il Fatto”. Al TG1 ha lavorato alla redazione economica, poi agli esteri. Inviato negli Stati Uniti, e’ stato a lungo corrispondente a Londra e a Berlino. Ha pubblicato quattro libri e vinto il premio “Foreign Press Awards” della stampa estera di Londra.
Miart, l’arte come energia da restituire a Milano e al pubblicoMilano, 13 apr. (askanews) – La prima cosa che si nota è un cambiamento nell’atteggiamento complessivo: dopo un periodo difficile, nel quale ci si era aggrappati alla cultura per andare oltre la crisi pandemica, oggi miart torna a essere una fiera completa, un luogo di confronto, di proposta e di commercio di arte moderna e contemporanea a tutto tondo. Come ci ha confermato anche il direttore artistico, Nicola Ricciardi. “Per la prima volta nei tre anni di direzione di miart – ha detto ad askanews – sento un’energia e una positività diffusa dentro e fuori dalla fiera. È molto bello partecipare agli opening o alle cene dove si incontrano persone elettrizzate. Quindi grandi aspettative, anche se i conti si fanno alla fine, la sensazione però è quella che partiamo con il piede giusto”.
I numeri, per l’edizione numero 27 dell’evento di Fiera Milano, parlano di numeri in crescita per le partecipazioni delle gallerie – 169, da 27 Paesi, + 40% quelle internazionali – ma anche del raddoppio di premi e acquisizioni. Ma a essere poi nei fatti rilevante è l’intensità che si percepisce, sia nelle opere sia tra gli operatori, quando si gira tra i padiglioni. Dove ovviamente incontriamo galleristi, come Annamaria Maggi, che dirige la Galleria Fumagalli di Milano. “In generale – ci ha detto – la fiera mi piace molto, decisamente migliorata la qualità, la presenza di gallerie internazionali: stanno facendo un buon lavoro. Adesso ovviamente ci auguriamo un pubblico importante e che abbiamo voglia di regalarsi delle opere d’arte”. Tra gli elementi di normalità c’è quello del volume di affari, del ritorno forte del mercato, sul quale tutto il sistema punta. Ma ci sono anche relazioni più sottili e non meno preziose, come quella dell’incontro tra gli artisti, per esempio Marinella Senatore, in fiera con una nuova opera luminosa da Mazzoleni, e il suo pubblico. “Miart – ci ha spiegato l’artista – è perfetta per me per cominciare a dialogare con il pubblico, che per me non è mai solo quello degli addetti ai lavori, ma comprende tutte le persone che vogliono condividere”.
Non ultimo, poi, il tema della relazione tra la fiera e la città che la ospita, che Nicola Ricciardi sintetizza in una parola chiave: restituzione. “Restituzione – ha concluso il direttore artistico – vuol dire ripagare Milano dell’attenzione e della forza che Milano ci ha dato in questi due anni difficili e non saremmo qui oggi se Milano non fosse rimasta quella grande capitale con forza di attrazione che è riuscita a convogliare musei, curatori, collezionisti e gallerie in questa città”. Forse mai come quest’anno miart appare rinnovata anche dal punto di vista dell’allestimento, oltre che della qualità di molte opere esposte, siamo esse una grande scritta di Marcello Maloberti o un’immagine del padiglione Italia in Biennale di Gian Maria Tosatti o ancora una superficie riflettente di Ann Veronica Janssens. Fino ad arrivare alla pittura emergente scelta dalle Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, ancora main partner della fiera.
Atti vandalici, Schmidt: giustissimo alzare sanzioni, è violenzaFirenze, 12 apr. (askanews) – “È giustissimo e in tutto il mondo è così: chi imbratta un monumento o un bene pubblico deve pagare per la pulizia. In Italia le sanzioni erano troppo basse. L’eventuale obbiettivo virtuoso non scagiona chi danneggia qualcosa che appartiene a tutti”. Lo ha detto ad askanews il direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze, Eike Schmidt, parlando a pochi passi dal museo, ma anche da Palazzo Vecchio che era stato oggetto nelle settimane scorse di una protesta ambientalista con imbrattamento, a proposito delle nuove sanzioni introdotte dal governo in tema di atti vandalici verso le opere d’arte.
“I grandi temi culturali, architettonici, paesaggistici, ma anche quelli bibliografici e archivistici vanno protetti a prescindere – ha proseguito Schmidt -. In democrazia i grandi problemi della nostra età possono essere discussi, anche con posizioni controverse, ma non è ammissibile la violenza, contro le persone, contro gli oggetti, contro i beni identitari di una città, di una nazione e dell’umanità stessa. Queste sono forme di violenza quasi paragonabili a quella contro le persone”.
Milano, 11 apr. (askanews) – Una storia di fratelli, di collaborazione e di scultura. Se intorno ad Alberto Giacometti si è costruita una delle leggende artistiche del Novecento, la figura del fratello Diego è molto meno nota, ma oggi viene riportata sotto i riflettori da una mostra, non a caso intitolata “L’altro Giacometti”, ospitata alla Fondazione Luigi Rovati di Milano. Nato a 13 mesi di distanza da Alberto, Diego vive un rapporto di grande vicinanza con il fratello, per cui si occupa della realizzazione delle sculture, e lo affiancherà per tutta la vita.
“Arriverà a Parigi solo nel 1925 – ha spiegato ad Askanews il curatore della mostra Casimiro Di Crescenzo – ma dal 1930 comincia ad aiutare il fratello nel suo lavoro di scultore e in poco tempo si dimostra un abilissimo lavoratore e permette ad Alberto di concentrarsi sulla sua ricerca, perché si occupava di tutti i lavori quotidiani, come i contatti con le fonderie, Per esempio nel periodo surrealista tutte le sculture in marmo è Diego che le realizza”. Accanto a questo però Diego Giacometti sviluppa anche una sua personale poetica scultorea, che parte dall’amore per gli animali e la natura, per poi prendere anche la strada del design e arrivare alla realizzazione di mobili e oggetti di grande successo, che fanno in qualche modo da contraltare ai suoi bestiari immaginifici.
“Alberto è concentrato in questa ricerca sulla rappresentazione dell’uomo – ha aggiunto Di Crescenzo – Diego invece crea un proprio mondo molto fiabesco, fatto di animali che si incontrano e che non hanno solo una funzione decorativa, a trasformano una consolle in una specie di paesaggio”. Paesaggi e forme che si integrano bene con lo spazio della Fondazione Rovati, la sua vocazione eclettica, ma ancorata all’idea di oggetto e di reperto culturale, come se ogni indagine in fondo fosse una sorta di archeologia di noi stessi. L’ultima sezione della mostra, che è aperta al pubblico fino al 18 giugno, è poi dedicata a Diego usato come modello, sia per i dipinti del padre Giovanni, sia per opere del fratello.
Roma, 7 apr. (askanews) – “Il mondo è diventato un’unica comunità, sempre più stretta, interconnessa, sempre più raccolta al proprio interno”. Lo ha sottolineato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel suo intervento a Ferrara per l’inaugurazione dell’anno accademico dell’Università.
“Il mondo cambia velocemente. Il mondo di oggi non è più quello che vi era quaranta, cinquant’anni fa. Questo richiede riflessioni” basti pensare alle “tendenze demografiche, accoppiato a quello della distribuzione della ricchezza nel mondo. Vi sono elementi di profonda diversità nelle varie zone del mondo – ha proseguito -. Queste differenze, un tempo, venivano assorbite all’interno dei territori locali, in sede locale, in ampie, grandi regioni, ma dentro ciascun continente, separatamente in ogni continente”. “Al tempo di Copernico – dice ancora il Presidente della Repubblica – questa condizione di comunità sopra i confini e di ogni parte nel mondo allora conosciuto e frequentato – l’Europa – era propria soltanto dei clerici vagantes, degli studenti e dei docenti che giravano fra le prime e poche Università, dopo l’anno Mille, per riprendere a intessere fili di cultura comune. Adesso ha questa condizione globale. In cui non si possono ignorare “le lotte e le sofferenze delle donne in Afghanistan e in Iran. Perché si tratta della mancanza di libertà e di diritti di persone che appartengono alla nostra stessa comunità: la comunità mondiale, sempre più stretta, sempre più intensamente correlata al proprio interno”.
“Oggi, muoversi da una parte all’altra del mondo è facile. Conoscere le condizioni in cui si vive in ogni parte del mondo, da qualunque posto, è altrettanto facile. Conoscere le condizioni di benessere, ovunque, è abbastanza facile. Entrare in relazione immediata, in tempo reale, con gli interlocutori o con le condizioni di ogni altra parte, anche di continenti un tempo lontani, è altrettanto facile. Questo rende il mondo assolutamente una comunità unica. E di questo va preso atto. Perché allora quelle differenze di tendenze demografiche e di distribuzione di benessere e di ricchezza non si esauriscono assorbendosi dentro l’ambito locale, ma hanno contraccolpi inevitabili in ogni parte del mondo. E lo registriamo ogni giorno”. “Se pensiamo che tra venti, trent’anni l’Africa avrà una popolazione che sarà tre-quattro volte quella dell’intera Europa, ci rendiamo conto di come questi siano gli scenari che vanno affrontati. Sono scenari totalmente nuovi che richiedono un impegno di studio, di applicazione, di iniziative totalmente nuovo. È una condizione che richiede davvero un approfondimento che non sempre registriamo. Nel nostro mondo queste condizioni di mutamento sono alle volte avvertite come estranee, come lontane”.
“Ecco, questo fa comprendere perché l’ONU abbia esortato a riformulare l’educazione, l’istruzione, per rendere il mondo adeguato alle sue condizioni attuali. Per questo vi è un’esigenza di approfondimento che compete alla dimensione scientifica, a quella educativa. Non è la prima volta che accade nella storia. All’epoca di Copernico c’era già una comunanza di approfondimento e di studio, come abbiamo ricordato prima. Basti pensare che qui, in questo Ateneo, tra Copernico – polacco – e Paracelso – svizzero – vi era una commistione, una messa in comune di saperi che ha posto le basi dell’Europa, che è stato il crogiolo in cui si è formata l’Europa e la sua cultura”. Per Mattarella “questo ruolo dell’Università non è più soltanto dovuto all’Europa, al nostro continente. È un’esigenza globale. In tutto il mondo, le Università sono chiamate a elaborare riflessioni adeguate alle condizioni che abbiamo, ai mutamenti che vi sono, agli scenari nuovi. Scenari che fanno comprendere come siano fuori dal tempo e dalla storia comportamenti da potenza dei secoli scorsi, che conducono a guerre di aggressione per annettere territori, o a competizioni accanite su aspetti marginali”.
“Sono questi gli aspetti rilevanti che contrassegneranno il mondo futuro. Su questo il mondo è chiamato a riflettere. E a far da avanguardia in questa riflessione devono essere le Università. Gli Atenei hanno questa vocazione, questo ruolo, che poc’anzi il Professor Patrizio Bianchi ricordava. Questa vocazione, questa missione di riflettere per approfondire scenari e indicare percorsi con cui affrontarli. Questo è il mondo che hanno i giovani di fronte. Questo è il mondo che le Università devono aiutarli a interpretare e a governare”, ha concluso.
Lugano, 10 apr. (askanews) – Volti di donna che rimandano, come prima sensazione, all’estetica pop, ma che poi, osservati più da vicino, svelano una pluralità di riferimenti e di sensazioni, oltre che una significativa forza pittorica. Siamo nella mostra “The Presence”, che il Museo delle culture di Lugano dedica ad Attasit Pokpong. Tra i curatori c’è Paolo Maiullari, responsabile della ricerca e delle attività espositive del Musec: “Attasit Pokpong – ha detto ad askanews – è considerato uno dei maggiori artisti contemporanei thailandesi, nasce a Bangkok nel 1977 e dal 1999 inizia la sua carriera di professionista, esponendo in Thailandia e poi dal 2009 partecipando con delle personali a delle esposizioni internazionali in Asia, in Europa e negli Stati Uniti”.
In mostra l’artista ha portato 14 nuove opere realizzate espressamente per l’esposizione in Svizzera, e il centro della sua ricerca è il volto femminile, soggetto su cui lavora ormai da 15 anni. “È quello che secondo lui – ha aggiunto Maiullari – gli permette di esprimere al massimo la sua ricerca e le sue emozioni attraverso la pittura”. I dipinti di Pokpong sono ricchi, molto curati, accattivanti, ma anche inseriti in un contesto sociale legato all’Asia, come ci ha spiegato Nora Segreto, ricercatrice del Musec, e co-curatrice della mostra. “Attraverso il colore – ha detto – Pokpong manifesta una propria personale ricerca sull’arte, sulla cultura e sulla società thailandese, poiché il colore assume il valore di un codice che riflette elementi e simboli della società thailandese contemporanea, ma anche del mondo globalizzato”.
Un’altra forma della presenza evocata dal titolo della mostra è legato al fatto che, per cogliere la qualità pittorica del lavoro dell’artista, lo spettatore è invitato a vedere di persona i dipinti, ad avvicinarsi fisicamente alla sua pittura. “Nessuna riproduzione – ha aggiunto Nora Segreto – è capace di restituire la complessità dei dettagli della tecnica e del lavoro di Attasit Pokpong”. La mostra, che inaugura il progetto Global Aesthetics del Musec, dedicato alla relazione tra l’arte e il contesto ideologico e culturale nel quale si muove, resta aperta a Lugano fino all’11 giugno.
Roma, 7 apr. (askanews) – Mentre prosegue con grande partecipazione di pubblico la programmazione della XXVI edizione del Festival di Pasqua a Roma, cresce l’attesa per il tradizionale “Concerto di Pasqua” che si svolgerà a Roma nella Domenica di Pasqua, quest’anno il prossimo 9 Aprile, alle ore 20.30, nella monumentale Basilica di Sant’Andrea della Valle, con un programma di pagine di musica sacra tra le più popolari ed amate interpretate dal celebre soprano olandese di origini americane Lisa Houben, evento trasmesso dalle più importanti reti televisive internazionali e in diretta streaming con la regia di Enrico Castiglione, fondatore e gran patron della prestigiosa manifestazione.
Lisa Houben, star della lirica internazionale, è un soprano tra i più acclamati della sua generazione, sarà accompagnata dall’Orchestra Sinfonica del Festival di Pasqua diretta da Stefano Sovrani, in un programma di particolare suggestione e fascino che prevede l’esecuzione di pagine amate dal grande pubblico come “Pietà Signore” di Alessandro Stradella, la struggente “Ave Maria” di Caccini, l’”Agnus Dei” di Georges Bizet, l’”Ave Maria” sull’intermezzo della Cavalleria Rusticana, il “Panis Angelicus” dalla Messa Solenne di César Franck, “Vergin, tutto amor” di Francesco Durante, “Salve Regina” di Giacomo Puccini, di cui il prossimo anno celebreremo il centenario della morte, e tante altre pagine di autori come Antonio Vivaldi, Arcangelo Corelli e Johann Sebastian Bach. Nel corso delle sue ventisei edizioni al “Concerto di Pasqua” della Domenica di Pasqua, ideato e diretto da Enrico Castiglione come format televisivo ed evento di punta del Festival di Pasqua, si sono succeduti artisti come José Carreras, Montserrat Caballé, Mstislav Rostropovich, Renato Bruson, Katia Ricciarelli, Lorin Maazel e tantissimi altri, trasmesso dalla RAI e da numerose televisioni internazionali con la partecipazione anche di formazioni corali ed orchestrali tra le più rinomate ed apprezzate. Ma quest’anno Lisa Houben sarà accompagnata da un’orchestra d’eccezione, che Enrico Castiglione ha voluto appositamente formata da musicisti ucraini e russi come esempio e modello di pace e fratellanza contro tutte le guerre. Il Festival di Pasqua sarà così ancora la prima manifestazione al mondo a far suonare insieme musicisti ucraini e russi “per testimoniare attraverso la grande musica – come ha dichiarato lo stesso Enrico Castiglione – che si può donare armonia e bellezza e che si puà essere tutti amici e fratelli contro ogni forma di odio e di razzismo, in un canto di pace dal forte valore simobilico testimoniando il divino e il sacro”.
La XXVI edizione del Festival di Pasqua è stata inaugurata lo scorso sabato 1° Aprile con un affollatissimo concerto di musica barocca che si è svolto nella monumentale cornice del Pantheon di Roma, con la partecipazione del prestigioso Coro del Perinsigne Capitolo della Basilica di Santa Maria ad Martyres di Roma diretto da Michele Loda, e la stessa sera dall’estro di Silvano Frontalini all’organo nella Basilica dei Santissimi Dodici Apostoli, ed è in corso di svolgimento con la tradizionale serie di concerti di musica sacra nelle principali chiese e basiliche di Roma, promosso dagli enti locali, dal Ministero della Cultura, dall’ICAS (l’intergruppo parlamentare dedicato alla cultura e allo sport della Camera dei Deputati), dal portale www.musicalia.tv e da Urban Vision. Il Concerto finale sarà, come da tradizione, il Concerto di Pentecoste del prossimo 28 Maggio, che quest’anno di svolgerà alla Basilica di Sant’Andrea della Valle. Fondato nel 1998 da Enrico Castiglione, regista e scenografo tra i più acclamati della scena internazionale, con l’obiettivo di creare a Roma, capitale mondiale del Cattolicesimo, un festival dedicato allo straordinario patrimonio artistico del Cristianesimo in occasione del Grande Giubileo, il Festival di Pasqua ha offerto in ogni edizione in tutti questi 25 anni un intenso calendario di concerti ed eventi di Musica Sacra di grande prestigio internazionale, avvalendosi di complessi corali, orchestrali ed artisti di chiara fama mondiale, offrendo programmi del grande repertorio sacro dalla nascita dell’oratorio come forma di elevazione liturgica in musica alle più recenti e significative creazioni contemporanee, ma anche e soprattutto prime mondiali e riscoperte di opere, oratori e concerti dimenticati se non addirittura mai più eseguiti in Italia e nel mondo: esecuzioni divenute storiche, trasmesse dalle principali reti televisive internazionali, oggi tutte disponibili in compact disc, blu-ray e dvd distribuiti in tutto il mondo.
Durante il corso della sua storia si sono esibiti al Festival di Pasqua artisti di fama mondiale come Montserrat Caballé, José Carreras, Mstislav Rostropovich, Placido Domingo, José Cura, Renato Bruson, Katia Ricciarelli, Cecilia Gasdia, Lorin Maazel, Zubin Mehta, Carl Anderson, Uto Ughi, attori hollywoodiani come James Caviezel, Michael York, Louis Gossett jr. ed italiani come Arnoldo Foà, Walter Maestosi, etc., spaziando dalla sempre fin troppo trascurata musica gregoriana e polifonica alla valorizzazione delle pagine dei grandi compositori d’ogni tempo, da Georg Friedrich Haendel ad Antonio Vivaldi, da Wolfgang Amadeus Mozart a Jules Massenet, da Johann Sebastian Bach a Nino Rota, da Gioachino Rossini a Leonard Bernstein.
Roma, 7 apr. (askanews) – A ridosso della Settimana Santa il mistero della “Risurrezione” prende vita con una processione creata dall’artista Gio Montez. Una vera e propria chiamata alle arti, di cui si fa portavoce il direttore artistico del Museo San Rocco di Trapani Mons. Liborio Palmeri, rivolta a tutti gli artisti locali e stranieri e gli amanti dell’arte che vorranno partecipare attivamente al Nuovo Rinascimento in fieri. Gli è infatti assegnato il compito di custodire e portare in processione il nuovo Mistero della Risurrezione, innovando la tradizione e tramandandone il rito. La performance collettiva inaugura la nuova mostra personale di Gio Montez “Senza nome. Ad renovationem urbis”, visitabile dal 12 aprile al 7 luglio 2023, presso il Museo San Rocco di Trapani. L’iniziativa promossa dall’Atelier Montez e dalla Associazione degli Amici del Museo San Rocco è patrocinata dal Comune di Trapani e promossa dal Ministero dei Beni Culturali e da SIAE nell’ambito del programma Per Chi Crea.
Gli artisti partecipanti si riuniranno in Piazza Lucatelli martedì 12 aprile alle ore 21 per realizzare una performance collettiva e presentare così il nuovo Mistero della “Risurrezione” alla comunità. Inizialmente è stato allestito nel Museo San Rocco un tabloid vivant che rappresenta la Maddalena, San Giovanni e San Pietro al cospetto del Santo Sepolcro trovato vuoto. La scena è un tabloid Vivant che rappresenta la costernazione degli astanti, proprio il momento in cui essi constatano il mistero dell’assenza del corpo di Cristo, l’unico mistero in cui effettivamente il corpo di Cristo non c’è; o meglio, c’è la sua assenza. Fra gli artisti partecipanti, si annoverano l’intervento scultoreo-installativo di Kaey, i contributi fotografici di Dario De Blasi e Tomasz Waraksa, l’abitinu d’argento realizzato da Quan Michele Rubino D’Autilia, l’effige del toro di San Luca disegnata da Davide Bica sullo stendardo, la partecipazione di Andrea Salvaggio e della emergente scena artistica trapanese. Dopo la presentazione, agli stessi artisti è affidato il compito di portare in processione la nuova vara “Risurrezione” il cui gruppo scultoreo è composto dalla sindone e dalle bende insufflate. La nuova processione espande il percorso tradizionale della Processione dei Misteri, ne propone una integrazione del percorso che porta la vara della Resurrezione intorno alla Piazza Lucatelli, su cui si affaccia lo stesso Museo San Rocco e anche l’imponente edificio dismesso dell’Ospedale Sant’Antonio, attualmente in corso di ristrutturazione. L’augurio è che la Piazza Lucatelli diventi il nuovo polo della arti e della cultura contemporanee di Trapani e che gli artisti si prendano cura del gruppo scultoreo. Il gruppo scultoreo della “Risurrezione”, dopo aver effettuato un iniziatico giro dell’isolato in processione, sarà esposto nelle sale del Museo San Rocco.
La ricerca poetica che Gio Montez definisce “arte d’azione” affronta trasversalmente il tema della assenza del soggetto nella rappresentazione. Con oltre 30 opere pittoriche e disegni in esposizione l’artista esplora le possibilità della rappresentazione informale in due dimensioni, sperimentando molteplici approcci formativi diversi fra loro, lasciando costante l’intento artistico di presentare l’assenza. “L’Assenza del soggetto della rappresentazione sposta il Soggetto stesso al di fuori di essa” spiega Gio Montez. Anche l’installazione modulare anamorfica “NonÈternit”, i cui moduli di metallo e lamiere si trovano ora esplosi nello spazio museale, riprende concettualmente e attualmente lo stesso discorso sull’informale. Tutte le opere esposte creano nell’insieme una coerente linea poetica che attraversa diverse declinazioni dell’informale nei generi del disegno e della pittura e della scultura; il tema è ripreso e sviluppato anche nell’installazione e nella performance. “La pittura è un pensiero bilaterale – dichiara Gio Montez – dipingere significa per me concepire l’esserci in due dimensioni geometriche; alludere alla dimensione mancante restituendola in due dimensioni; presentarne l’assenza. Concepire la trasformazione dell’essere su di un piano”.
Milano, 6 apr. (askanews) – “A me piace il sogno, come ispirazione, perché quando noi sogniamo i nostri sogni sono dei film”. Yuri Ancarani si muove da anni tra il cinema documentario e l’arte video con opere intense, che usano i codici della cinematografia per andare altrove, per spingersi più lontano. In un territorio che del sogno mantiene alcune caratteristiche e soprattutto la volontà di superare le apparenze più scontate.
“Quando ci svegliano e ci ricordiamo cosa abbiamo sognato – ha aggiunto l’artista – abbiamo queste immagini potenti che ci hanno impressionato, poi arrivano i dialoghi, le storie. Però tutto concentrato su quell’immagine che ci ha impressionato”. E l’immagine forte, la sua analisi e il suo essere uno sguardo su “ciò che fa realmente paura, ossia la realtà”, come dice lui stesso, è al centro della mostra che gli dedica il PAC di Milano, intitolata, con un intrigante retrogusto di contraddizione, “Lascia stare i sogni”. Che è un modo per invitare il pubblico ad affrontare la mostra senza far riferimento a quei sogni spesso evocati dall’industria cinematografica. Ma pure senza rinunciare alla dimensione “di status ” del sogno, se così si può dire. “Metto insieme la narrazione filmica ancestrale dei sogni e la connetto con la descrizione del mio punto di vista sulla realtà – ha detto ancora Ancarani -. Per fare questo uso le immagini in movimento”.
Nella mostra, curata da Diego Sileo e Iolanda Ratti, si trovano i primissimi lavori di Ancarani, come quelli della serie “Ricordi per moderni”, ora riuniti in un’unica installazione, ma anche opere più note e celebrate, come quelle della trilogia de La malattia del ferro e quelle di un’altra trilogia, Le radici della violenza. E poi ancora il film “San Siro”, che racconta in un certo senso la fisiologia dello stadio e “San Vittore”, che invece si concentra sulla quotidianità della vita in carcere. Per andare poi più lontano, nel deserto del Qatar durante i preparativi di una competizione di falconeria. C’è poi un nuovo lavoro, intitolato “Il popolo delle donne”, un incontro generazionale con la psicoterapeuta e psicoanalista Marina Valcarenghi ambientato in un cortile dell’Università degli Studi di Milano. Al nuovo lavoro di Ancarani è collegata anche la Project Room del PAC dal titolo “Sexually Explicit Content”, un’installazione video di Silvia Giambrone che racconta un episodio di molestia sessuale subita dall’artista stessa via web.
Milano, 5 apr. (askanews) – Di primo acchito la sensazione, per chi conosce le dinamiche spaziali di Pirelli HangarBicocca, è quella di uno straniamento. Le grandi Navate, solide e possenti, sono ora attraversati in più punti dalla luce, che entra dalle porte spalancate e da finestre aperte sul soffitto. Il vento muove le installazioni e tutto l’ambiente sembra avere perso le proprie certezze, sferzato da un’ondata di energia. Benvenuti nella mostra dell’artista belga Ann Veronica Janssens, che ha portato a Milano molte opere, ma soprattutto un’idea di pratica che attraversa, tanto idealmente quanto fisicamente, ogni cosa.
“Io lavoro sul tempo presente – ha detto l’artista ad askanews – e sul movimento del tempo e uno dei materiali che uso è la luce, che ha proprietà fisiche e simboliche. La prima cosa che ho fatto è stata aprire alla luce per fare cambiare atmosfera all’HangarBicocca attraverso la luce naturale, che offre una lettura completamente nuova del luogo. E la mostra si evolve in base alle stagioni, al tempo atmosferico ed è molto importante accompagnare questo movimento”. Nella mostra intitolata “Grande Bal”, ci sono superfici instabili di mattoni, specchi sul pavimento che aprono voragini verso l’alto, ci sono altalene e indecifrabili spazi bianchi. E poi ci sono le stanze cariche di nebbia, in una delle quali lo spettatore è effettivamente chiamato a perdersi in un biancore che ricorda la cecità di Saramago. Il punto però è un’altro, ossia che l’efficacia delle varie opere qui non è importante per sé, ma lo è soprattutto nell’ottica della dinamica collettiva dello spazio. La mostra è fatta di riflessi, di luci, di imprevedibilità varie che rendono tutto temporaneo e sempre soggetto a cambiamenti anche drastici. L’opera è la mostra o, se preferite, la mostra, tutta intera, è una sola opera, che si è stratificata nel tempo.
“Uso materiali che a volte sono liquidi, a volte solidi, a volte gassosi – ha aggiunto Ann Veronica Janssens – la mia pratica è una sorta di grande laboratorio e ho voluto condividere questa mia esperienza, portando dei lavori che sono molto vecchi e altri che sono nuovi e che qui sono messi a confronto come in un grande ballo, da qui il nome della mostra, che immagino sempre in movimento, come la luce”. Curata da Roberta Tenconi, l’esposizione esplora la carriera della Janssens e declina in modi nuovi l’idea stessa della performance, in questo caso basata sulla relazione, complessa e potenzialmente anche contraddittoria, tra opere, architettura e pubblico. Ma performativa, per esempio, è anche la presenza della luce, che si muove spesso lungo il confine con l’oscurità, accompagnata dalla musica oppure dai silenzi. Non è importante definire, è anzi importante l’opposto: lasciarsi trascinare da questi silenzi per esplorare meglio le tante contraddizioni che Janssens coltiva è mette in mostra. Gli oggetti ci sono, ovviamente, ma a definirli non è la loro natura dei oggetti, piuttosto il loro saper risuonare in accordo con lo spazio, la storia del luogo e le altre opere esposte. È in questo riverberare tutto diventa una grande opera unica che pulsa e vive e forse anche soffre come un nuovo organismo, in questo caso artistico.