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La nascita di un linguaggio: Joan Mirò tra le due guerre

La nascita di un linguaggio: Joan Mirò tra le due guerre


</p> <p></head><br /> <body id="readabilityBody"></p> <p><title>La nascita di un linguaggio: Joan Mirò tra le due guerre – askanews.it


La nascita di un linguaggio: Joan Mirò tra le due guerre – askanews.it




















Bilbao, 3 apr. (askanews) – Di un artista come Joan Mirò siamo abituati a riconoscere i capolavori e lo stile più maturo e storicizzato. Ma, come in tutte le vite, anche nelle parabole dei maestri ci sono percorsi, cambiamenti, imprevisti. Il Guggenheim di Bilbao ha voluto raccontare proprio la nascita del linguaggio più noto di Mirò, analizzando il suo periodo parigino, tra il 1920 e il 1945.

“È un periodo molto speciale e particolare della carriera di Joan Mirò – ha spiegato ad askanews Lucia Aguirre, del team curatoriale del museo basco -. Quando arriva a Parigi comincia a cercare un suo linguaggio e la sua opera si sviluppa molto velocemente. Lui cerca di trovare la sua strada attraverso una ricerca sulla pittura e sui materiali. È un periodo incredibile nella sua traiettoria, e probabilmente uno dei più interessanti”. La mostra “Joan Mirò – La realtà assoluta” si articola su cinque momenti, che portano il pittore catalano dal realismo magico dei primi anni, con opere che appartenevano alle collezioni di Picasso e Duchamp, fino alle “Costellazioni” dei primi anni Quaranta, che in un certo senso indicano la via verso quella che sarà la grande stagione successiva e il consolidamento del suo linguaggio pittorico. Nel mezzo tante opere, alcune molto conosciute, che ruotano attorno a un’idea della visione e della rappresentazione.

“Mirò non era astratto – ha aggiunto Lucia Aguirre – e lui stesso lo dice più volte : semplicemente mostra il suo mondo. Molte di queste opere si chiamano pittura, niente di più, perché è lo spettatore che si deve mettere davanti alle opere ed entrare in questo linguaggio di Mirò”. I dipinti sono ricchi di dettagli particolari, pur su grandi campi di colore i piccoli elementi trovano il modo di spiccare, e a poco a poco prendono la natura di segni significanti, che aspirano a uno status di assoluto, legato comunque alla realtà, come dice il titolo dell’esposizione. Che restituisce, seppur attraverso l’opera di un unico artista, anche il senso di fermento e inquietudine che attraversò l’Europa tra le due guerre mondiali.

Pittura come materia e intimità: Lynette Yiadom-Boakye a Bilbao

Pittura come materia e intimità: Lynette Yiadom-Boakye a Bilbao


</p> <p></head><br /> <body id="readabilityBody"></p> <p><title>Pittura come materia e intimità: Lynette Yiadom-Boakye a Bilbao – askanews.it


Pittura come materia e intimità: Lynette Yiadom-Boakye a Bilbao – askanews.it



















Bilbao, 3 apr. (askanews) – La pittura, quando è buona, continua sorprendentemente a essere un mezzo espressivo e narrativo con pochi eguali, anche nell’arte di oggi. La sua capacità di mimesi con il reale batte strade che, benché note da secoli, si rivelano ogni volta nuove. Sono pensieri che vengono osservando la mostra che il Museo Guggenheim di Bilbao dedica alla pittrice e scrittrice britannica Lynette Yiadom-Boakye, dal bellissimo titolo “Nessun crepuscolo è troppo potente”.

In oltre 70 dipinti a olio e disegni a carboncino, l’artista, nata da genitori ghanesi, fissa persone e momenti di vita quotidiana, con una naturalezza e una lieve sensazione di felicità strisciante che sembrano essere la sua caratteristica più evidente. Ma, come ci ha spiegato la curatrice Lekha Hileman, nel lavoro di Yiadom-Boakye ci sono molti livelli di lettura. “Crea immagini che sono prodotti della sua fantasia, lei non ritrae persone reali, ma si tratta di composizioni prese da fonti visive diverse che l’hanno influenzata. Realizza delle figure che sembrano così vive, ma ci sono anche dei dettagli che stanno fuori da questo contesto: per esempio un uccello su una spalla, oppure un animale che non c’entra nulla. Tutte strategie per ricordarci che quella che stiamo guardano è una finzione”.

Una finzione che, pur nell’apparente ordinarietà dei soggetti, evoca costantemente un’idea di poesia concreta, oltre che storie che vanno ben oltre la semplice rappresentazione realistica. E la sua pittura fa pensare a una vicinanza estrema ai soggetti, pur con un piccolo perdurante senso di mistero sullo sfondo. Vengono in mente come riferimento, per esempio, le immagini di Nan Goldin, che come i dipinti di Lynette rimandano all’idea di intimità. “Il senso di intimità – ha aggiunto Lekha Hileman – è una parte molto importante del suo lavoro e sappiamo quanto è difficile trasmettere l’intimità in un’immagine, nello stesso modo in cui è difficile spiegare una poesia. Ma io credo che lei riesca molto bene a trasmettere questa sensazione, lo fa con un gesto molto tenero e noi vediamo negli sguardi di queste persone che qualcosa che nasce da dentro”.

Guardando le opere si capisce che l’artista ha un grande interesse per i risultati che la pittura può ottenere a livello di materialità e potenza di colore e composizione. In un certo senso i quadri indagano la pittura stessa e questa apparente presa di distanza dal tema del dipinto o del disegno si rivela in realtà uno strumento perfetto per esaltare la ricerca sulla nostra condizione di esseri umani. E la dimensione di “verità” della sua opera. Forse il segreto del fascino del lavoro di Lynette Yiadom-Boakye sta proprio qui. (Leonardo Merlini)

E’ morto a 71 anni il compositore Ryuichi Sakamoto

E’ morto a 71 anni il compositore Ryuichi Sakamoto


</p> <p></head><br /> <body id="readabilityBody"></p> <p><title>E’ morto a 71 anni il compositore Ryuichi Sakamoto – askanews.it


E’ morto a 71 anni il compositore Ryuichi Sakamoto – askanews.it



















Roma, 2 apr. (askanews) – E’ morto a 71 anni il compositore giapponese Ryuichi Sakamoto per un cancro che lo affliggeva da tempo. La sua discografia da solista include oltre 70 titoli e tocca diversi generi musicali come pop, elettronica, ambient, bossa nova, world music e contemporanea. Tra i riconoscimenti ottenuti c’è anche un Oscar nel 1987 per la colonna sonora del film “L’ultimo imperatore” di Bernardo Bertolucci. Negli anni Settanta ha fatto parte della Yellow Magic Orchestra, un gruppo di sofisticato pop elettronico.

Dramma climatico in Myanmar, a Bergamo la mostra “Semi di speranza”

Dramma climatico in Myanmar, a Bergamo la mostra “Semi di speranza”


</p> <p></head><br /> <body id="readabilityBody"></p> <p><title>Dramma climatico in Myanmar, a Bergamo la mostra “Semi di speranza” – askanews.it


Dramma climatico in Myanmar, a Bergamo la mostra “Semi di speranza” – askanews.it




















Roma, 1 apr. (askanews) – Temperature estreme, cicloni, allagamenti, frane, incendi. E quindi morte, fame e mancanza d’acqua, povertà, epidemie e migrazioni. Il Myanmar è il secondo Paese al mondo più soggetto a eventi meteorologici estremi legati ai cambiamenti climatici, mentre gli effetti di questi ultimi si sommano alle conseguenze di instabilità politica e scontri armati, alla crisi economica, agli effetti della pandemia di Covid-19. Nel mondo negli ultimi 20 anni si sono susseguiti 11mila disastri climatici che hanno provocato la morte di oltre 475mila persone e a pagarne le conseguenze più gravi sono tuttora i Paesi poveri e più vulnerabili, ancora oggi impreparati ad affrontare e reagire a tali catastrofi. L’impatto del cambiamento climatico sull’ambiente e sulla popolazione del Myanmar è raccontato dalla mostra fotografica “Semi di speranza. Voci e volti dal Myanmar” di Gianfranco Ferraro, curata da Sandro Iovine, fino al primo maggio al Palazzo Ex Ateneo, in piazza Giuliano, a Bergamo.

L’esposizione rientra nel calendario delle iniziative Bergamo-Brescia Capitale italiana della cultura e ha ottenuto il patrocinio dell’Aics – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo. All’inaugurazione, oltre al fotografo Gianfranco Ferraro, il curatore Sandro Iovine, la presidente di Cesvi Gloria Zavatta, Massimo Pasquali per Aics, Sylvie Wabbes Candotti Resilience Advisor, Strategic Advocacy team, Emergency and Resilience Office di Fao, il sindaco Giorgio Gori per il Comune di Bergamo. La mostra non racconta un problema “lontano”, ma un allarme che riguarda tutto il pianeta. “Negli ultimi anni anche il nostro lato del mondo ha sofferto gli effetti reali dell’emergenza climatica: i fiumi si sono prosciugati, i ghiacciai si sono sciolti, gli incendi hanno distrutto boschi e campi, mentre trombe d’aria, piogge e grandinate hanno causato danni a strutture e ambienti. Di fronte alla consapevolezza che il pianeta sia ‘un’unica casa da preservare’, va ricordato che sono sempre i più poveri a subire le conseguenze più devastanti”, ha dichiarato Gloria Zavatta presidente di Fondazione Cesvi. In Italia nel solo 2022 gli eventi climatici estremi sono stati 310, il 55% in più in un anno, con un bilancio di almeno 29 morti. L’aumento più significativo ha riguardato siccità, grandinate, trombe d’aria e alluvioni. “Da quasi 40 anni ci occupiamo di emergenza climatica in tutto il mondo, in questo momento abbiamo attivi progetti di sostegno alle popolazioni colpite dagli effetti del cambiamento climatico in diversi Paesi, tra cui il Myanmar. Nell’area del Corno d’Africa, in Etiopia, Somalia e Kenya, colpite da estrema siccità e forte insicurezza alimentare, supportiamo mamme e bambini con programmi nutrizionali, agricoltori e allevatori attraverso formazione su pratiche sostenibili ed efficienti di agricoltura e allevamento. In Zimbabwe interveniamo con progetti agricoli innovativi e sostenibili per garantire un corretto ed efficiente sfruttamento del terreno e offrire alle popolazioni autosufficienza e guadagno dalle proprie colture. In Pakistan, vessato dalle alluvioni, siamo presenti con interventi di preparazione alle calamità e di emergenza legati a igiene e salute”, ha aggiunto Zavatta.

“Il cambiamento climatico, con i suoi effetti di breve e lungo termine che si stanno manifestando con una potente accelerazione nel corso degli anni, si è imposto prepotentemente alla riflessione internazionale, concretizzatasi nel programma d’azione dell’Agenda 2030. L’azione dell’Aics è tesa a sostenere i Paesi partner nella riduzione della vulnerabilità dei loro sistemi umani e naturali agli impatti del cambiamento climatico, migliorandone la capacità di adattamento e riducendo la loro esposizione ai rischi derivanti dai fattori climatici”, ha dichiarato Massimo Pasquali, referente Aics per i progetti promossi in Myanmar. “È importante che la fotografia affianchi gli interventi di realtà come Cesvi, perché grazie ad essa si offre la possibilità non solo di venire a conoscenza di cosa accade in certe aree del mondo, ma soprattutto si permette alle persone di soffermare lo sguardo per il tempo necessario a elaborare una riflessione su quanto stanno osservando, cosa che con i media più diffusi non sempre è facile o possibile”, ha dichiarato Sandro Iovine, curatore della mostra.

Il Garante della Privacy blocca ChatGPT: raccolta illecita di dati

Il Garante della Privacy blocca ChatGPT: raccolta illecita di dati


</p> <p></head><br /> <body id="readabilityBody"></p> <p><title>Il Garante della Privacy blocca ChatGPT: raccolta illecita di dati – askanews.it


Il Garante della Privacy blocca ChatGPT: raccolta illecita di dati – askanews.it




















Roma, 31 mar. (askanews) – Stop a ChatGPT finché non rispetterà la disciplina privacy. Il Garante per la protezione dei dati personali ha disposto, con effetto immediato, la limitazione provvisoria del trattamento dei dati degli utenti italiani nei confronti di OpenAI, la società statunitense che ha sviluppato e gestisce la piattaforma. L’Autorità ha contestualmente aperto un’istruttoria. ChatGPT, il più noto tra i software di intelligenza artificiale relazionale in grado di simulare ed elaborare le conversazioni umane, lo scorso 20 marzo aveva subito una perdita di dati (data breach) riguardanti le conversazioni degli utenti e le informazioni relative al pagamento degli abbonati al servizio a pagamento.

Nel provvedimento, il Garante privacy rileva la mancanza di una informativa agli utenti e a tutti gli interessati i cui dati vengono raccolti da OpenAI, ma soprattutto l’assenza di una base giuridica che giustifichi la raccolta e la conservazione massiccia di dati personali, allo scopo di “addestrare” gli algoritmi sottesi al funzionamento della piattaforma. Come peraltro testimoniato dalle verifiche effettuate, le informazioni fornite da ChatGPT non sempre corrispondono al dato reale, determinando quindi un trattamento di dati personali inesatto. Da ultimo, nonostante – secondo i termini pubblicati da OpenAI – il servizio sia rivolto ai maggiori di 13 anni, l’Autorità evidenzia come l’assenza di qualsivoglia filtro per la verifica dell’età degli utenti esponga i minori a risposte assolutamente inidonee rispetto al loro grado di sviluppo e autoconsapevolezza. OpenAI, che non ha una sede nell’Unione ma ha designato un rappresentante nello Spazio economico europeo, deve comunicare entro 20 giorni le misure intraprese in attuazione di quanto richiesto dal Garante, pena una sanzione fino a 20 milioni di euro o fino al 4% del fatturato globale annuo.

Peggy Guggenheim, mostra per riscoprire la luce di Edmondo Bacci

Peggy Guggenheim, mostra per riscoprire la luce di Edmondo Bacci


Peggy Guggenheim, mostra per riscoprire la luce di Edmondo Bacci – askanews.it



Peggy Guggenheim, mostra per riscoprire la luce di Edmondo Bacci – askanews.it



















Venezia, 31 mar. (askanews) – Esplosioni di luce e colore, una fortissima consapevolezza dello spazio e una pittura venata di “veggenza”. Edmondo Bacci oggi non è uno dei nomi di artisti del 900 più noti al grande pubblico, ma la mostra che è stata presentata alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia ci permette di reincontrare la forza dell’artista veneziano, nato nel 1913 e morto nel 1978, che proprio la collezionista americana aveva scoperto per prima.

“Quando incontra Bacci e vede le sue pitture – ha detto ad askanews la direttrice della Collezione Peggy Guggenheim, Karole P. B. Vail – Peggy se ne innamora, le paragona addirittura alle tele di Kandinskij, che amava molto. Quindi comincia a sostenerlo in maniera molto entusiasta, vende i suoi quadri in America e ci sono direttori di musei americani come Alfred Barr che compra un’opera che oggi abbiamo qua in mostra. E dunque lo aiuta moltissimo”. La mostra è intitolata “L’energia della luce” e intende approfondire la parte più lirica dell’opera di Bacci, nel momento più internazionale della sua carriera, gli anni Cinquanta, quando è già affermato negli ambienti legati allo Spazialismo di Lucio Fontana e tra gli artisti contemporanei più innovativi a livello nazionale. “Qual è la teoria principale di Fontana: in fondo – ci ha detto la curatrice della mostra, Chiara Bertola – lui dice che tutto è fare spazio, quindi occorre riuscire a liberarsi, occorre costruire spazio facendolo e non soltanto rappresentandolo. Quindi questa è una dimensione molto importante, che però gli artisti veneziani continuano a rappresentare attraverso la pittura”.

E nella pittura Bacci trova nuove strade, trova delle vere e proprie illuminazioni, come quelle legate alle sue “Fabbriche” così astratte, politiche e dense di colore o ai magnetici “Avvenimenti” degli anni successivi. Dipinti che si inseriscono nella storia dell’arte accanto per esempio a quelli di Vedova o di Tancredi, ma che prendono poi sempre una strada personale e innovativa. Tra l’altro la mostra presenta anche una serie di disegni e progetti sperimentali inediti. “Il percorso – ha aggiunto Bertola – si incentra soprattutto sugli anni Cinquanta, io ho voluto arrivare fino al 1958, quando la Biennale gli dedica una sala. Però ho voluto mettere una sorta di cesura importante, esponendo tutte le opere concettuali che lui realizza negli anni Settanta, perché rappresentano uno slancio straordinario, che reinterpreta di nuovo quel concetto di spazio, però con materiali completamente inediti e sperimentali”.

La mostra è realizzata con sostegno di Lavazza, Institutional Patron della Collezione Peggy Guggenheim, e all’inaugurazione è intervenuta Francesca Lavazza, Board Member di Lavazza Group. “È un passo avanti rispetto alla nostra collaborazione pluriennale – ci ha detto – abbiamo iniziato nel 2017 a sostenere questo progetto a Venezia perché crediamo in questa città come luogo di formazione di una nuova classe artistica progettuale”. L’esposizione, anche come omaggio alla venezianità dell’artista, dell’opera e del museo, si chiude con il confronto tra un’esplosione di Bacci e un Tiepolo. E noi sentiamo che, seppur in modi magari imprevedibili, tutto si tiene.

(Leonardo Merlini)

Icone contemporanee, come spazio di meditazione e spiritualità

Icone contemporanee, come spazio di meditazione e spiritualità


Icone contemporanee, come spazio di meditazione e spiritualità – askanews.it



Icone contemporanee, come spazio di meditazione e spiritualità – askanews.it



















Venezia, 31 mar. (askanews) – Lo specchio è maestoso, dorato. Ma non riflette la nostra immagine, perché un velo, fragile e rovinato, lo copre. È una metafora potente, e un’opera di David Hammons, che possiamo usare come punto di partenza narrativo per entrare nella mostra “Icones”, che segna il ritorno di una collettiva a Punta della Dogana a Venezia. Un progetto che parte dall’idea delle icone bizantine, così diffuse nella Serenissima, per ragionare sullo statuto dell’immagine nella contemporaneità. “Icona – ha detto ad askanews Bruno Racine, direttore di Palazzo Grassi-Punta della Dogana, co-curatore del progetto – è l’immagine che ti porta a guardare oltre, che ti porta alla meditazione, alla concentrazione, in un mondo che è molto agitato. Quindi abbiamo voluto, con Emma Lavigne che è l’altra curatrice della mostra, creare un percorso emozionante, che permette al visitatore di avere questa esperienza di riflessione e meditazione”.

In una società che ha reso tutto immagine e che ha fatto dell’immagine il suo Tutto, diventa interessante vedere come invece si possa restituire potere all’invisibile che sta al cuore del visibile. In questo senso è assolutamente paradigmatica la spettacolare prima sala della mostra che presenta una grande e inafferrabile installazione di Lygia Pape, accanto a un “Concetto spaziale” illuminato di Lucio Fontana e a una straordinaria scultura di acciaio e smalto di Donald Judd. Ma il discorso vale anche per il biancore della stanza di Robert Ryman. È evidente che stiamo parlando di misteri dell’arte e di qualcosa che vediamo senza vedere, la vediamo con strumenti diversi dagli occhi. “È una selezione di opere della collezione Pinault – ha aggiunto il direttore del museo veneziano – che hanno in comune questa dimensione spirituale, senza dare a questa parola un solo significato particolare”. Costruita per stanze molto diverse per luce e struttura, la mostra è però sostenuta da una coerenza costituiva che è la sua forza: le opere – siano esse un meraviglioso film di Theaster Gates oppure i dipinti dorati di Rudolf Stingel – creano esse stesse l’ambiente che le ospita, in un ribaltamento della prospettiva museale classica che cede il posto a una dimensione diversa. Bastino come esempi la vera e propria cappella che contiene le tele di Roman Opalka, con i suoi numeri senza fine, oppure le scritte al neon pensate da Joseph Kosuth per il perimetro esterno della sala centrale del museo. “C’è la dimensione intima – ha concluso Bruno Racine – accanto a quella più ampia che colpisce chi entra nella sala”.

L’icona nella storia era l’immagine che prendeva valore per ciò che rappresentava, diventava la manifestazione di una potenza. Oggi la potenza sta nel generare altre immagini, come nel caso del famosissimo Giovanni Paolo II colpito da un meteorite di Maurizio Cattelan, oppure nel rinunciare completamente a esse, come capita nelle opere di Agnes Martin, perfette nella loro drastica essenzialità. O ancora per generarne di altri tipi, come succede nel torrino di Punta della Dogana, dove l’artista coreana Kimsooja intreccia una polifonia di canti tibetani, islamici e gregoriani sopra un mare di specchi che riflettono la luce di Venezia. Non c’è più nessun’immagine, ma ogni altra cosa diventa più chiara, evidente, come succede anche di fronte alle geometrie dello spirito di Josef Albers. E noi a quel punto possiamo vedere. (Leonardo Merlini)

Appello per uno stop di 6 mesi allo sviluppo di intelligenze artificiali

Appello per uno stop di 6 mesi allo sviluppo di intelligenze artificiali


Appello per uno stop di 6 mesi allo sviluppo di intelligenze artificiali – askanews.it



Appello per uno stop di 6 mesi allo sviluppo di intelligenze artificiali – askanews.it




















Roma, 29 mar. (askanews) – Centinaia di scienziati ed esperti – fra cui il patron di Tesla, Elon Musk – hanno firmato un manifesto in cui si chiede una moratoria di sei mesi nello sviluppo di intelligenze artificiali più potenti della ChatGPT4, software lanciato nello scorso marzo da OpenAI, avvertendo di possibili “rischi per l’umanità”. In particolare, la moratoria dovrebbe essere dedicata allo sviluppo di sistemi di sicurezza come nuove regolamentazioni specifiche per il settore, delle tecniche che consentano di distinguere il reale dall’artificiale e delle istituzioni capaci di gestire “le perturbazioni economiche e politiche (specie per la democrazia) provocate dall’IA”. Lo stesso proprietario di OpenAI, Sam Altman, ha riconosciuto essere “un po’ sgomento” dalla prospettiva di un utilizzo della sua creazione per “della disinformazione su grande scala o dei cyberattacchi”. Tra i firmatari dell’appello vi sono anche il fondatore di Apple, Steve Wozniak, nonché scienziati ed esperti di laboratori di Ai come Google DeepMind, Stability AI e la stessa Microsoft (una delle aziende collaboratrici di OpenAI).

La molteplicità di Ugo Mulas, il fotografo del processo

La molteplicità di Ugo Mulas, il fotografo del processo


La molteplicità di Ugo Mulas, il fotografo del processo – askanews.it



La molteplicità di Ugo Mulas, il fotografo del processo – askanews.it


















Venezia, 28 mar. (askanews) – È una mostra sola, per quanto vasta, ma potrebbe essere cinque o sei mostre diverse, tanto varie sono le immagini esposte, nella tipologie e nel contenuto. Le Stanze della Fotografia di Venezia, il nuovo spazio espositivo sull’isola di San Giorgio inaugurato dalla Fondazione Giorgio Cini e da Marsilio Arte, debuttano con una grande antologica su Ugo Mulas, intitolata “L’operazione fotografica”.

“Noi vogliamo valorizzare la fotografia italiana – ha detto ad askanews Denis Curti, direttore artistico de Le Stanze e co-curatore della mostra – con l’obiettivo di farla conoscere qui e all’estero. E allora volevamo partire con il fotografo italiano per eccellenza, che si chiama Ugo Mulas, perché pur con una vita brevissima e drammatica ci ha lasciato un’eredità stupefacente, ancora da scoprire e ancora da indagare”. Un’indagine che, grazie anche a un ottimo allestimento, prende forme intense, difformi, come se ogni volta Mulas rifiutasse di soffermarsi per troppo tempo su certi stilemi. “È il fotografo di reportage, è il ritrattista, è il fotografo delle mostre, è il fotografo delle opere in mostra, è il fotografo che si confronta con le grandi opere teatrali, è il fotografo di moda, è il fotografo dell’industria, è il fotografo concettuale, perché le Verifiche sono un’opera d’arte concettuale – ha aggiunto Alberto Salvadori, direttore dell’Archivio Ugo Mulas e secondo curatore dell’esposizione -. È il fotografo che assimila e si concentra sul processo, parola fondamentale nell’arte contemporanea e tutto avviene attraverso questo sodalizio straordinario con il numero uno, che era Duchamp”.

E proprio dalla relazione con l’artista che più di ogni altro ha tracciato la linea verso ciò che oggi intendiamo essere l’arte contemporanea nasce anche l’idea in Mulas che le fotografie cambino di significato in base al contesto nel quale sono riprese e poi vengono collocate, il che ci porta agli archivi e a un’idea più larga, ma anche più sfumata – e qui sta probabilmente la grandezza – di quello che dovrebbe essere la fotografia. “Riguardare gli archivi è fondamentale, è il grande insegnamento che Ugo Mulas dà ai suoi colleghi – ha concluso Denis Curti -. Non esistono foto belle o brutte, esistono foto buone, foto interessanti, come ci ricorda Gianni Berengo Gardin nel suo dialogo con Mulas. Allora queste sono buone fotografie perché vanno esattamente in quella direzione”.

E forse si può provare a riassumere le sensazioni che si provano in mostra citando una serie di scatti su Lucio Fontana, fissato prima di compiere il suo celebre taglio nelle tele, quando ancora tutto è possibile e quella superficie bianca rappresenta il mondo intero, in potenza. La fotografia di Mulas, pur con le migliaia di stampe, è poderosa proprio perché sembra cogliere esattamente il momento in cui le cose devono ancora succedere, quando non ci sono. Il momento nel quale anche Alberto Giacometti sorride. (Leonardo Merlini)

Venezia, le Stanze della Fotografia inaugurano con Ugo Mulas

Venezia, le Stanze della Fotografia inaugurano con Ugo Mulas


Venezia, le Stanze della Fotografia inaugurano con Ugo Mulas – askanews.it



Venezia, le Stanze della Fotografia inaugurano con Ugo Mulas – askanews.it


















Venezia, 28 mar. (askanews) – Un nuovo spazio espositivo per la fotografia sull’isola di San Giorgio a Venezia, che inaugura con una mostra poderosa su Ugo Mulas e una storia veneziana affidata al lavoro di Alessandra Chemollo. Le Stanze della Fotografia nascono dalla collaborazione tra Marsilio Arte e la Fondazione Giorgio Cini, che ha messo a disposizione anche il proprio enorme archivio di immagini, oltre che offrire fisicamente l’ospitalità negli spazi affacciati sulla Laguna. Il progetto delle Stanze segue quello portato avanti negli anni passati dalla Casa dei Tre Oci e in un certo senso ne amplia e arricchisce ulteriormente la portata, si a livello degli spazi fisici, sia a livello di ricerca sulla fotografia.

All’inaugurazione hanno preso parte molti soggetti istituzionali: il presidente della Fondazione Cini Giovanni Bazoli ha spiegato che “l’apertura delle Stanze della Fotografia qui sull’Isola di San Giorgio Maggiore rappresenta quindi un nuovo tassello che va ad arricchire la già ampia e variegata offerta culturale della Fondazione”. “Quando abbiamo inaugurato – ha aggiunto Emanuela Bassetti, presidente di Marsilio Arte – la mostra di Sabine Weiss un anno fa, rassegna che concludeva la nostra esperienza alla Casa dei Tre Oci, avevamo detto che questo non avrebbe significato la fine del percorso Marsilio ‘fotografia a Venezia’, che andava ben oltre un edificio. A distanza di un anno siamo felici di inaugurare la nostra nuova “casa” all’Isola di San Giorgio, dando avvio in partenariato con Fondazione Giorgio Cini a un ambizioso progetto culturale internazionale di ricerca e di memoria”. Le Sale del Convitto che ospitano Le Stanze della Fotografia, che constano di circa 1850 metri quadrati disposti su due livelli, sono state oggetto di un importante lavoro di riallestimento e restauro finalizzato all’ampliamento e valorizzazione degli spazi, realizzato dallo Studio di Architetti Pedron / La Tegola con la speciale partecipazione del Teatro La Fenice di Venezia, che ha permesso l’installazione di pareti leggere e movibili che, come quinte teatrali, saranno rimodulabili per i diversi allestimenti espositivi, nell’ottica di una sostenibilità dell’impresa culturale. Allestimento che, nella sua flessibilità, è uno degli aspetti che più colpiscono il visitatore: anche in assenza di luce naturale l’illuminazione delle fotografie funziona molto bene, restituisce alle immagini una loro presenza reale nello spazio e una più piena fruibilità.

Se poi si tratta del lavoro di un maestro assoluto come Ugo Mulas, ecco che spazio e mostra risuonano reciprocamente, si amplificano l’un l’altra e generano una sensazione che si può definire di meraviglia. La parola è esattamente questa. Curata da Denis Curti, direttore artistico delle Stanze, insieme ad Alberto Salvadori, direttore dell’Archivio Ugo Mulas, l’esposizione “L’operazione fotografica” offre probabilmente la panoramica più completa sul fotografo, che viene raccontato in tutte le fasi della sua pur breve carriera artistica. “Volevano sottolineare l’attenzione alla fotografia italiana – ha detto Curti – e abbiamo scelto di farlo partendo dal numero uno, con un progetto molto vasto che espone circa 330 immagini, che pure sono solo il 3% del totale delle stampe positive di Mulas”. “Come per Stanley Kubrick – ha aggiunto Salvadori – di cui dicamo che ogni film rappresenta un genere cinematografico, lo stesso possiamo dirlo per Mulas, che è stato il fotografo della scena dell’arte, ma anche delle città; è stato fotografo di moda, di teatro e concettuale; paesaggista e reporter”. E nella mostra tutte queste diverse fasi sono rappresentate, e ciascuna brilla per il valore delle opere e dello sguardo, che in fondo diventa anche lo sguardo dell’arte contemporanea grazie alla relazione profonda del fotografo con Marcel Duchamp, il padre di tutto il contemporaneo. E in Mulas si trova a un certo punto la possibilità di raccontare il “processo” dell’arte, che è una parola chiave di tutte le pratiche artistiche più recenti. “Come l’artista Emilio Isgrò voleva salvare le parole – ha detto ancora Denis Curti citando una considerazione di Ferdinando Scianna – così Ugo Mulas ha salvato la fotografia”. Al piano superiore delle Stanze della Fotografia, poi, una mostra su Venezia, sulla sua anima, sulla possibilità stessa di fotografare di nuovo la città più fotografata al mondo. Si tratta del lavoro di Alessandra Chemollo, che con “Venezia alter mundus” propone 60 fotografie di dedicate allo spazio sospeso di una città unica e alle sue incredibili architetture. Il programma espositivo, poi, proseguirà con altri due grandi nomi come quelli di Paolo Pellegrin ed Helmut Newton tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024.

(Leonardo Merlini)