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Pensioni, Ocse solleva critiche su “quota” e Ape sociale

Pensioni, Ocse solleva critiche su “quota” e Ape socialeRoma, 13 dic. (askanews) – L’Ocse muove una serie di rilievi critici sui vari meccanismi di anticipo pensionistico presenti in Italia, tra cui le varie versioni prorogate di “quota 100”, ma anche l’Ape sociale. E nel rapporto sui sistemi pensionistici pubblicato oggi, l’ente parigino solleva rilievi critici anche sul concetto di “lavori gravosi”, sia per l’ampiezza delle categorie che vi ricadono sia per il fatto che queste situazioni adrebbero gestite non tramite il sistema pensionistico.

L’Italia è uno dei nove paesi dell’Ocse che vincola l’età di pensionamento con le aspettative di vita. L’ente parigino rileva che in un sistema contributivo questo legame non è necessario per migliorare il finanziamento delle pensioni, ma punta ad evitare che la gente si ritiri troppo presto e/o con pensioni basse e al tempo stesso promuove l’occupazione sulle fasce di età più avanzate, e in questo modo la crescita potenziale. Per coloro che entrano oggi nel mercato del lavoro l’età di pensionamento risulterebbe di 71 anni, mentre attualmente l’età di pensionamento in Italia di 67 anni. Tuttavia, nella scheda sulla Penisola inserita nello studio, l’Ocse rileva che questa età età di pensionamento non non è obbligatoria per molti lavoratori e che l’Italia assicura accessi anticipati “spesso senza penalizzazioni”. Nel 2023 è stato prorogato il sistema delle “quote”, che sarebbe dovuto scadere lo scorso anno. Inizialmente denominato “quota 100”, nel 2019, si sarebbe dovuto concludere nel 2021, poi è stato prorogato nel 2022 nel 2023. Attenua le condizioni di pensionamento senza penalizzazioni.

Lo studio rileva che sempre in Italia c’è un’altra alternativa per il pensionamento anticipato a 64 anni con 20 di contributi, che implica assegni più bassi e che per le donne presenta la possibilità di pensionamento a 60 o anche a 59 e 58 anni se, rispettivamente, con uno o più bambini: si tratta di “opzione donna”, che è stato oggetto di qualche ritocco restrittivo nel 2023. Secondo l’Ocse “queste opzioni di pensionamento anticipato fanno sì che ci siano dei livelli di occupazione tra gli over 60 anni molto bassi. E questa sarà una sfida crescente mentre la popolazione in età lavorativa è prevista calare di più di un terzo per il 2060”.

Inoltre “garantire benefici relativamente elevati a età relativamente basse come con il sistema di ‘quota’ – si legge – contribuisce alla seconda maggiore spesa pubblica sulle pensioni tra i paesi dell’Ocse, al 16,3% del Pil nel 2021”. L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico rileva che sebbene i contributi sociali siano molto elevati in Italia i ricavi da contributi pensionistici sono solo all’11% del Pil circa e che questo richiede consistenti finanziamenti supplementari dalla tassazione generale.

Altri rilievi riguardano il concetto di lavori usuranti, categoria che è stata molto ampliata rispetto a quella iniziale di lavori ritenuti a rischio. Il rapporto ricorda che nel 2012 viene fissata a 60 anni l’età minima di pensionamento per i lavori usuranti che includeva una breve lista di situazioni su cui risultavano prove di impatti negativi sulla salute, ad esempio per minatori, lavoratori impegnati sui turni di notte e su attività subacquee. Tuttavia l’ente parigino afferma i lavori usuranti sono questioni che andrebbero gestite innanzitutto al di fuori dell’ambito pensionistico, in particolare tramite il sistema sanitario, tramite normative sulla sicurezza assieme a comunicazioni sui rischi e formazione. Invece nel 2016 c’è stata creata una categoria più ampia di lavori usuranti, detti “lavori gravosi”, ulteriormente espansa nel 2018 e in questo caso l’inclusione di specifiche categorie di lavoratori non è basata su criteri che riguardino le condizioni di lavoro “e includono ruoli come infermieri, insegnanti e conducenti di treni. In questa categoria – si legge – ci si può ritirare in pensione dopo 41 anni se si è iniziato a lavorare prima dei 19 anni”. A dal 2017 si è aggiunta anche l’Ape sociale, l’anticipo pensionistico che rende possibile il pensionamento al 63 anni con 36 anni di contributi.Peraltro l’Ape sociale copre la disoccupazione di lungo termine, le persone con parziali disabilità e coloro che hanno prestato assistenza in famiglia. “Avrebbe dovuto essere un misura temporanea ma è sempre rimasta in vigore”, osserva l’Ocse. Più in generale, l’Ocse parte dalla considerazione che in Italia il reddito medio delle persone sopra 65 anni è leggermente più elevato di quello della popolazione totale e che è aumentato molto di più negli ultimi due decenni. A titolo di paragone nell’Ocse in media è del 12% più basso. Nel 2023 la pensione minima è stata aumentata dell’1,5% per i pensionati con meno di 75 anni ma del 6,4% per quelli con 75 e più anni. Il parametro contributivo minimo che attualmente beneficia circa il 15% degli ultra 65 anni viene progressivamente eliminato, dato che non fa parte del nuovo schema contributivo. Secondo lo studio è probabile che questa eliminazione porti a aumenti delle diseguaglianze che sono già più elevate che nella maggior parte dei paesi dell’Ue e dell’Ocse.

Netflix per la prima volta fornisce dati di visualizzazione

Netflix per la prima volta fornisce dati di visualizzazioneRoma, 13 dic. (askanews) – Netflix, il servizio di streaming a lungo criticato per la mancanza di trasparenza sui suoi dati di visualizzazione , inizierà a pubblicare un due volte all’anno un report completo.

Il suo primo Netflix Engagement Report, pubblicato ieri, ha fornito i dati delle visuazzazioni su oltre 18.220 titoli, per un totale di quasi 100 miliardi di ore visualizzate. The Night Agent, un thriller politico, è stato il più visto su Netflix a livello globale nella prima metà del 2023, con 812 milioni di ore. La trasparenza sui servizi di streaming è stata una questione centrale durante gli scioperi di Hollywood di quest’anno. Scrittori e attori chiedevano royalties più adeguate in base alle performance delle loro opere sui servizi di streaming.

Nel III trimestre boom occupati over 50, oltre mezzo milione in più

Nel III trimestre boom occupati over 50, oltre mezzo milione in piùRoma, 13 dic. (askanews) – Boom degli occupati tra gli over cinquanta: oltre mezzo milione in più, 512mila, ne terzo trimestre dell’anno. Secondo gli ultimi dati dell’Istat, nel periodo luglio-settembre 2023, prosegue la crescita tendenziale del numero di occupati (481 mila, +2,1% in un anno), iniziata nel secondo trimestre 2021. Nonostante l’aumento coinvolga anche i giovani di 15-34 anni (+81 mila, +1,5%), si concentra tra gli individui ultracinquantenni: +440 mila tra chi ha fino a 64 anni e + 72 mila tra i 65-89enni (+5,3% e 10,4% rispettivamente); al contrario, il numero di occupati 35-49enni diminuisce (-111 mila, -1,3%).

Il tasso di occupazione, invece, aumenta per tutte le classi di età – sebbene con intensità diversa (+0,8 punti sia per i giovani di 15-34 anni sia per adulti 35-49 e +2,3 punti per i 50-64enni) – a indicare come la diminuzione degli occupati tra gli adulti di 35-49 anni sia dovuta alla dinamica demografica negativa: la popolazione in questa fascia d’età è fortemente diminuita (-2,3% in un anno), a fronte di una sostanziale stabilità di quella tra i 15-34enni (-0,3%) e di un aumento di quella con almeno 50 anni (+1,4% tra i 50-64enni e +1,0% tra i 65-89enni). “Il tasso di occupazione, essendo il rapporto tra il numero di occupati e la popolazione residente, può infatti aumentare anche quando il numero di occupati diminuisce, se tale diminuzione è meno marcata di quella della corrispondente popolazione”, ha spiegato l’Istat. Scendendo in un maggiore dettaglio per età, tra il terzo trimestre 2022 e il terzo trimestre 2023, nella classe di età 15-24 gli occupati aumentano leggermente, a fronte di una popolazione sostanzialmente stabile, e il tasso di occupazione rimane quasi invariato (+0,1 punti percentuali); nelle classi tra i 25 e i 39 anni, all’aumento degli occupati corrisponde una diminuzione della popolazione con un conseguente aumento del tasso di occupazione (che varia tra 1,2 e 1,9 punti), nella classe tra 40 e 44 anni la diminuzione degli occupati è inferiore a quella della popolazione (il tasso di occupazione aumenta di 0,7 punti) e nella classe 45-49 il calo degli occupati è simile a quello della popolazione (il tasso di occupazione registra un aumento di appena 0,1 punti). Infine, nelle classi di età tra 55 e 89 anni, la crescita degli occupati è molto più marcata di quella della popolazione e l’aumento del tasso di occupazione raggiunge i 4,1 punti tra i 60-64enni.

La concentrazione della crescita dell’occupazione tra le classi di età più elevate concorre a determinare l’aumento, per il terzo trimestre consecutivo, dell’occupazione tra i dipendenti a tempo indeterminato (+470 mila, +3,1%) e gli indipendenti (+81 mila, +1,6%); tra gli ultracinquantenni, caratterizzati dalla più alta quota di tali posizioni lavorative, i dipendenti a tempo indeterminato aumentano infatti di +369 mila e gli indipendenti di 109 mila. La crescita degli occupati a tempo indeterminato si osserva anche per le classi di età fino a 39 anni (150 mila): tra i più giovani (15-29enni) si associa alla riduzione sia del lavoro a termine sia di quello indipendente, tra i 30-34enni alla leggera crescita di entrambi e tra i 35-39enni alla diminuzione del lavoro a termine e all’aumento di quello indipendente. Per le classi di età più anziane l’incremento sembrerebbe soprattutto legato a una mancata uscita per pensionamento, mentre per i giovani potrebbe anche essere dovuto alla trasformazione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato. Gli ultimi quindici anni – attraversati dalle crisi del mercato del lavoro 2009-2013 e da quella derivata dall’emergenza sanitaria del 2020 – “hanno registrato un progressivo invecchiamento della forza lavoro, dovuto a diversi fattori che si sommano al progressivo invecchiamento della popolazione (tra gli ultracinquantenni si concentra la generazione dei baby-boomers): la maggiore partecipazione al mercato del lavoro (soprattutto per le donne), lo slittamento in avanti dell’ingresso (anche per percorsi di formazione via via più lunghi) e il prolungamento della permanenza in età sempre più avanzate (a seguito dell’inasprimento dei requisiti per accedere alla pensione). La quota degli occupati tra 15 e 34 anni di età è scesa dal 30,1% del terzo trimestre 2008 al 22,7% del terzo 2023, mentre quella di chi ha almeno 50 anni è aumentata dal 24,2% al 40,4%.

Il bilancio occupazionale positivo, rispetto al terzo trimestre 2008 (+458 mila), è la sintesi di un calo di circa 1 milione e 600 mila occupati tra 15 e 34 anni e di circa 1 milione 900 mila occupati tra 35 e 49 anni che è stato più che compensato dall’aumento di quasi 4 milioni di occupati di 50 anni e più. Malgrado il forte recupero negli ultimi due anni, il tasso di occupazione tra i giovani di 15-34 anni è diminuito di quasi sei punti, quello dei 35-49enni è tornato sostanzialmente simile (-0,2 punti), mentre per la classe di età tra 50 e 64 anni è aumentato di 17 punti. Mlp

Inditex (Zara): nei nove mesi ricavi a 25,6 mld, utile +32% a 4,1 mld

Inditex (Zara): nei nove mesi ricavi a 25,6 mld, utile +32% a 4,1 mldMilano, 13 dic. (askanews) – Nei primi nove mesi del 2023, il colosso spagnolo dell’abbigliamento Inditex (Zara) ha registrato un fatturato di 25,6 miliardi, in crescita dell’11,1% su base annua, un Ebitda in aumento del 13,9% a 7,4 miliardi, e un utile netto di 4,1 miliardi (+32,5%). La posizione di cassa netta è cresciuta del 15% a 11,5 miliardi rispetto allo pari periodo dell’anno precedente.

Le vendite, sia in store sia online, a tassi di cambio costanti tra il 1 dicembre e l’11 dicembre sono aumentate del 14% rispetto allo pari periodo del 2022.

Lavoro, Istat: nel III trimestre +65mila occupati, su anno +481mila

Lavoro, Istat: nel III trimestre +65mila occupati, su anno +481milaRoma, 13 dic. (askanews) – Nel terzo trimestre dell’anno il numero di occupati aumenta di 65 mila unità (+0,3% rispetto al secondo trimestre 2023) e si attesta a 23 milioni 598 mila. La crescita coinvolge i dipendenti a tempo indeterminato (+75 mila, +0,5%) e gli indipendenti (+10 mila, +0,2%), mentre si registra un calo dei dipendenti a termine (-19 mila, -0,6% in tre mesi). Il tasso di occupazione sale al 61,5% (+0,2 punti in tre mesi): l’aumento riguarda entrambe le componenti di genere, le tre ripartizioni territoriali e soltanto i 50-64enni (tra i 35-49 rimane stabile e tra i 15-34enni cala leggermente). Lo ha reso noto l’Istat.

Nel terzo trimestre prosegue la crescita tendenziale del numero di occupati (+481 mila, +2,1% rispetto al terzo trimestre 2022), la cui stima si attesta a 23 milioni 613 mila unità; in aumento anche il tasso di occupazione per le persone tra i 15 e i 64 anni che raggiunge il 61,6% (+1,3 punti). L’aumento dell’occupazione coinvolge i dipendenti a tempo indeterminato (+470 mila, +3,1%) e gli indipendenti (+81 mila, +1,6%) – i dipendenti a termine diminuiscono (-70 mila, -2,3%) – e interessa solamente gli occupati a tempo pieno (+510 mila, +2,7%), poiché i lavoratori a tempo parziale diminuiscono (-29 mila, -0,7%).

Eba: banche europee mai così solide e crediti deteriorati ai minimi

Eba: banche europee mai così solide e crediti deteriorati ai minimiRoma, 12 dic. (askanews) – Banche europee mai così solide e con livelli di crediti deteriorati mai così bassi. E’ la fotografia scattata dall’Eba, l’Autorità bancaria Europea nell’ultima tornata di esercizi volti a valutare il livello di rischio nel settore del credito dell’Unione Europea (Risk Assessment report).

Un rapporto di 124 pagine, che ha coinvolto 123 di 26 Paesi Ue, di cui 12 banche tricolori, al termine del quale l’autorità europea conclude che a dispetto di un contesto generale che presenta persistente incertezza il settore bancario europeo si è dimostrato “resiliente”, dopo le turbolenze che lo scorso marzo avevano coinvolto i mercati a seguito dei fallimenti della Silicon Valley Bank e di altre banche statunitense oltre che del Credit Suisse in Europa. Soprattutto, secondo l’ultima misurazione condotta l’indicatore più utilizzato per valutare i livelli di solidità delle banche – il Coefficiente Cet1 , o Common Equity Tier One Ratio – ha raggiunto il 16%, che secondo l’Eba è “il massimo mai registrato”.

A sostenere questi rafforzamenti ha contribuito la redditività di fondo delle banche, che finora ha beneficiato dei rialzi dei tassi di interesse e dell’allargamento dei margini di profitto sul differenziale dei tassi (tra quelli a cui le banche si finanziano e quelli ai quali erogano prestiti). “Ma questo potrebbe aver raggiunto il punto di svolta”, avverte l’Eba. Nel frattempo la qualità delle attività su cui le banche sono esposte resta robusta, tuttavia anche qui la crescita economica a rilento e gli elevati livelli dei tassi di interesse creano “sacche di rischio”, come le chiama il rapporto.

Ma proprio su questo aspetto va anche sottolineato come secondo lo studio nel periodo in esame il tasso di crediti deteriorati sul totale (Npl o Non performing loans ratio) sia calato a un nuovo minimo storico, con l’1,8% a giugno del 2023. “Tuttavia durante la prima metà di quest’anno gli afflussi di Npl sono stati maggiori dei deflussi e le banche hanno continuato a riferire di una quota relativamente elevata di prestiti allo stadio 2 (il 9,1% del totale)”. Secondo l’Eba l’impatto del deterioramento del credito è più evidente sui prestiti alle famiglie e sui mutui. E intanto le preoccupazioni che circondano il settore immobiliare si stanno manifestando anche in accresciuti accantonamenti da parte delle banche sulle relative esposizioni.

Un altro problema evidenziato dallo studio è quello dei rischi collegati alle politiche ambientali e di responsabilità sociale su cui spinge l’Unione Europea, che chiama “fattori Esg”. Secondo l’Eba banche potrebbero ritrovarsi rischi nella fase di transizione su questi parametri e al tempo stesso l’integrazione di considerazioni Esg su finanziamento e attività di prestito potrebbero diventare “una fonte di rischi reputazionali” per le banche. I livelli di liquidità delle banche restano elevati ma stanno iniziando a normalizzarsi, dopo i picchi toccati durante le fasi di crisi causata da lockdown e restrizioni imposte a motivo del Covid. Secondo l’Eba intanto i costi di finanziamento sui mercati sono aumentati in linea con i rialzi dei tassi. Invece anche l’Autorità bancaria europea rileva come i tassi sui depositi bancari siano rimasti bassi rispetto ad altre voci, anche se ci si potrebbero attendere aumenti più in avanti. Infine, secondo lo studio va anche tenuto presente il problema dei crimini cibernetici e dei Cyberattacchi. Su questo si sono moltiplicati gli episodi di attacchi di hacker alle banche ma la percentuale di quelli risultati effettivamente efficaci è ritenuta bassa. La misurazione ha coinvolto le maggiori banche dell’Ue e in Italia ha riguardato Banca Mediolanum, Banca Monte dei Paschi di Siena, Banca popolare di Sondrio, Banco Bpm, Bper, Cassa Centrale Banca, Credito Emiliano, Finecobank, Iccrea Banca, Intesa SanPaolo, Mediobanca e Unicredit, in base all’elenco nel rapporto.

Mef, Giorgetti in visita a Poste Italiane, incontra vertici

Mef, Giorgetti in visita a Poste Italiane, incontra verticiRoma, 12 dic. (askanews) – Poste Italiane ha accolto, questa mattina nella sede centrale a Roma, il ministro dell’Economia e delle Finanze Giancarlo Giorgetti in occasione della messa in vista delle festività natalizie, insieme a centinaia di dipendenti. Alla presenza della presidente Silvia Maria Rovere, dell’amministratore delegato Matteo Del Fante, del condirettore generale Giuseppe Lasco, dei membri del CdA, dei responsabili delle unità di business e degli Ad delle società del gruppo, il ministro ha assistito alla presentazione dei risultati economici di Poste. Nel corso dell’incontro sono stati illustrati al ministro i numeri in crescita dal 2017 ad oggi, le principali attività che fanno di Poste Italiane azienda di sistema Paese e le linee guida lungo le quali si muoverà il prossimo piano industriale.

Manovra, un emendamento del governo prevede 2,3 mld dai fondi di coesione per finanziare il Ponte sullo Stretto

Manovra, un emendamento del governo prevede 2,3 mld dai fondi di coesione per finanziare il Ponte sullo StrettoRoma, 12 dic. (askanews) – Per finanziare il Ponte sullo Stretto una quota di risorse pari a circa 2,3 miliardi di euro viene attinta dal Fondo sviluppo e coesione per la programmazione 2021-2027, liberando risorse dal bilancio dello Stato per un analogo ammontare.

E’ quanto prevede il quarto emendamento del governo alla manovra, bollinato per essere depositato in commissione bilancio del Senato. La norma prevede che l’autorizzazione di spesa per finanziare la realizzazione del Ponte, inizialmente pari a 11,63 miliardi fino al 2032, scenda a 9,312 miliardi.

I 2,318 miliardi mancanti vengono coperti per 718 milioni dal Fondo per lo sviluppo e la coesione “sulla quota afferente alle amministrazioni centrali”. I restanti 1,6 miliardi arrivano sempre dal Fondo per lo sviluppo e coesione ma “sulle risorse indicate per le Regioni Sicilia e Calabria”.

Fed e Bce di fronte a difficile gestione delle attese sui tassi

Fed e Bce di fronte a difficile gestione delle attese sui tassiRoma, 12 dic. (askanews) – Da domani le banche centrali torneranno in primo piano tra i fattori osservati dai mercati, iniziando con gli esiti del direttorio della Federal Reserve statunitense, il Fomc, che alle 20 italiane comunicherà le sue decisioni sui tassi di interesse. L’attesa che si è andata consolidando è che ometta di effettuare quell’ultimo rialzo prima della fine dell’anno che pure aveva preventivato alla precedente riunione. L’ulteriore limatura dell’inflazione negli Usa, al 3,1% a novembre, un decimale in meno rispetto al livello di ottobre, potrebbe spingere in questa direzione.

Contestualmente, domani la Fed pubblicherà anche le previsioni economiche aggiornate che, come di consueto, conterranno anche una tabella con le attese dei banchieri centrali Usa sul futuro andamento dei tassi (il grafico “dot plot”). Questo particolare elemento dovrebbe, primo, seppellire definitivamente l’ipotesi di ulteriori aumenti dei tassi e, secondo, fornire indicazioni sulla tempistica di un primo taglio. Perché adesso è proprio sul quando le banche centrali inizieranno a ritoccare al ribasso il costo del danaro che si concentrano gli interrogativi di mercati e analisti. Non solo sulla Fed, che può contare su una crescita economica ancora solida, ma ancora più sulla Banca centrale europea, il cui Consiglio direttivo annuncerà le sue decisioni sui tassi giovedì; e che invece deve fronteggiare, oltre a un calo dell’inflazione più rapido del previsto, anche una dinamica dell’economia particolarmente debole, che rischia di scivolare in recessione.

Per questo già dallo scorso 30 novembre, quando Eurostat ha pubblicato la stima preliminare sull’inflazione, che a novembre è consistentemente rallentata al 2,4% per la media dell’area euro, diversi osservatori hanno iniziato a chiedersi se la Bce non si sia spinta troppo in avanti sulla stretta monetaria. E ora rischia forse di ritrovarsi spiazzata, paradossalmente nella situazione diametralmente opposta a quella del 2022, quando venne accusata di essersi mossa “in ritardo” nella sua risposta all’esplosione inflazionistica.

La Bce comunicherà le sue decisioni alle 14 e 15 italiane di giovedì e, mezz’ora dopo, la presidente Christine Lagarde terrà la consueta conferenza stampa esplicativa. Circa un’ora prima, alle 13, la Bank of England annuncerà le sue decisioni sui tassi di interesse per la sterlina Gb. Sempre giovedì, ma la mattina, anche la Banca nazionale svizzera comunicherà le sue decisioni di politica monetaria. Già da tempo diversi esponenti della Bce hanno messo le mani avanti, spiegando che ci si attende una parziale risalita dell’inflazione in questi mesi, in particolare da dicembre, quando in Germania verrà meno l’effetto di alcune misure di aiuto sulle bollette dell’energia.

Resta da verificare se questo riporterà tutto l’indice dell’area euro a valori tali da non rendere complicata la posizione dell’istituzione monetaria. Perché tenere tassi alti con un’inflazione in netto calo mentre l’economia rischia la recessione, e mentre i governi si muovono su politiche di bilancio più restrittive, potrebbe risultare scomodo e sempre più difficile da spiegare. Parallelamente, il dibattito alla Bce potrebbe spostarsi anche su un’altra questione, quella di una progressiva riduzione anticipata delle consistenze di titoli di Stato accumulati con il programma lanciato durante la crisi causata da lockdown e misure anti Covid, il Pepp. La Bce sta già conducendo una manovra di questo genere su un altro programma più consistente di acquisti, l’App, e lo fa in maniera “passiva”, mediante il semplice non rinnovo dei titoli che giungono a scadenza. Finora l’istituzione ha ripetutamente affermato che manterrà inalterate le consistenze del Pepp fino alla fine del 2024. Ma alcuni nel Consiglio – a cui partecipano tutti i governatori delle banche centrali nazionali dell’area euro – hanno iniziato ipotizzare che si possa anticipare l’avvio della riduzione delle consistenze anche sul Pepp. Di recente Lagarde ha affermato che l’argomento potrebbe essere affrontato “in un futuro non lontano”. Finora la riduzione degli stock di bond si è svolta senza scossoni. Ma rincarare la dose con il Pepp potrebbe creare ulteriori pressioni sui titoli di Stato, e indirettamente sull’economia, in una fase in cui la Bce potrebbe iniziare a interrogarsi sul se non sia opportuno ammorbidire la linea. Il neo governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta, si è già espresso contro l’ipotesi di strette anticipate sul Pepp. E durante un intervento lo scorso 30 novembre (quando sono usciti i dati sull’inflazione) ha anche affermato che se la debolezza dell’economia dovesse causare una accelerazione del processo disinflazionistico, la fase di mantenimento della linea restrittiva sui tassi potrebbe essere accorciata. In generale Panetta ha chiesto di “evitare danni inutili all’economia”. Il tutto mentre gli effetti della stretta monetaria più aggressiva della storia dell’istituzione – la Bce ha alzato i tassi di 450 punti base cmplessivi in poco più di un anno – ancora sembrano non essersi del tutto dispiegati. Secondo l’ultima rilevazione della Banca d’Italia a ottobre i prestiti bancari alle famiglie hanno registrato una contrazione dell’1,1% su base annua mentre quelli alle imprese sono calati del 5,5%. I tassi di interesse sui nuovi mutui hanno ripreso a salire, toccando il 4,72% che rappresenta il livello più elevato dal gennaio 2009, quando secondo le serie storiche questa voce si collocava al 4,9077%. E il 5,46% raggiunto a ottobre dai tassi di interesse sui nuovi prestiti alle imprese è il valore più elevato dall’ottobre del 2008, quando questa voce si attestò al 5,8404%. Vi sono quindi validi argomenti a favore di un approccio più prudente, se non “morbido”. Tuttavia, sia per i tassi della Fed che per quelli della Bce, sui mercati si sono create attese di ritocchi al ribasso nel 2024 apparentemente molto più spinte di quelle che le rispettive istituzioni vorrebbero vedere. Per questo una attesa abbastanza diffusa per le conferenze stampa di domani e di giovedì è che il presidente della Fed, Jay Powell, e Lagarde cerchino di ridimensionare queste aspettative, avvertendo che serviranno tempo e pazienza prima di ipotizzare manovre di riduzione.

Bankitalia, ad ottobre tassi su mutui a famiglie salgono al 4,72%

Bankitalia, ad ottobre tassi su mutui a famiglie salgono al 4,72%Roma, 12 dic. (askanews) – Ad ottobre i tassi di interesse sui prestiti erogati nel mese alle famiglie per l’acquisto di abitazioni comprensivi delle spese accessorie (tasso annuale effettivo globale, Taeg si sono collocati al 4,72 per cento (4,65 a settembre); la quota di questi prestiti con periodo di determinazione iniziale del tasso fino a 1 anno è stata del 35 per cento (20 per cento nel mese precedente). Lo ha reso noto la Banca d’Italia.

Il Taeg sulle nuove erogazioni di credito al consumo si è collocato al 10,46 per cento (10,52 nel mese precedente). I tassi di interesse sui nuovi prestiti alle società non finanziarie, le imprese, sono stati pari al 5,46 per cento (5,35 nel mese precedente), quelli per importi fino a 1 milione di euro sono stati pari al 5,95 per cento, mentre i tassi sui nuovi prestiti di importo superiore a tale soglia si sono collocati al 5,17 per cento.