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La Bce: le banche dell’eurozona inaspriscono ancora l’erogazione di prestiti

La Bce: le banche dell’eurozona inaspriscono ancora l’erogazione di prestitiRoma, 23 gen. (askanews) – La stretta monetaria effettuata dalla Bce sta continuando a scaricarsi sulla dinamica del credito. Sul finale del 2023 c’è stato un ulteriore seppur moderato inasprimento dei criteri di concessione di prestiti da parte delle banche nell’area euro, che peraltro prevedono di stringere ancora i rubinetti nel primo trimestre di quest’anno.

Nel frattempo, la domanda di prestiti di imprese e famiglie ha continuato a calare energicamente, seppure smorzando in qualche misura la flessione rispetto al trimestre precedente. Imn generale, poi, l’inasprimento monetario risulta più pronunciato su immobiliare e costruzioni rispetto ad altri settori. Questa la fotografia scattata dall’ultima indagine trimestrale sul credito bancario nell’area euro condotta dalla stessa Bce. L’inchiesta è stata effettuata tra l’8 dicembre e il 2 gennaio coinvolgendo 157 banche, dalle quali è giunto un tasso di risposta pieno. Riporta una quota netta del 4% di banche che hanno riferito ulteriori inasprimenti ai criteri per la concessione di prestiti alle imprese. Sul credito alle famiglie la quota netta di banche che ha riportato inasprimenti è stata del 2% sui sui mutui e dell’11% sul credito al consumo.

Nei mesi passati la Bce ha alzato i tassi di interesse di 450 punti base complessivi e contestualmente ha effettuato diverse operazioni per ridurre drasticamente le le liquidità in eccesso nel sistema. Questa settimana, mercoledì e giovedì, tornerà riunirsi il Consiglio direttivo ma non sono attese ulteriori mosse da parte dell’istituzione. Analisti e mercati piuttosto si interrogano sul quando, più avanti nell’anno, la Bce inizierà a ritoccare al ribasso i tassi.

Bce, banche eurozona inaspriscono ancora l’erogazione di prestiti

Bce, banche eurozona inaspriscono ancora l’erogazione di prestitiRoma, 23 gen. (askanews) – La stretta monetaria effettuata dalla Bce sta continuando a scaricarsi sulla dinamica del credito. Sul finale del 2023 c’è stato un ulteriore seppur moderato inasprimento dei criteri di concessione di prestiti da parte delle banche nell’area euro, che peraltro prevedono di stringere ancora i rubinetti nel primo trimestre di quest’anno.

Nel frattempo, la domanda di prestiti di imprese e famiglie ha continuato a calare energicamente, seppure smorzando in qualche misura la flessione rispetto al trimestre precedente. Imn generale, poi, l’inasprimento monetario risulta più pronunciato su immobiliare e costruzioni rispetto ad altri settori. Questa la fotografia scattata dall’ultima indagine trimestrale sul credito bancario nell’area euro condotta dalla stessa Bce. L’inchiesta è stata effettuata tra l’8 dicembre e il 2 gennaio coinvolgendo 157 banche, dalle quali è giunto un tasso di risposta pieno. Riporta una quota netta del 4% di banche che hanno riferito ulteriori inasprimenti ai criteri per la concessione di prestiti alle imprese. Sul credito alle famiglie la quota netta di banche che ha riportato inasprimenti è stata del 2% sui sui mutui e dell’11% sul credito al consumo.

Nei mesi passati la Bce ha alzato i tassi di interesse di 450 punti base complessivi e contestualmente ha effettuato diverse operazioni per ridurre drasticamente le le liquidità in eccesso nel sistema. Questa settimana, mercoledì e giovedì, tornerà riunirsi il Consiglio direttivo ma non sono attese ulteriori mosse da parte dell’istituzione. Analisti e mercati piuttosto si interrogano sul quando, più avanti nell’anno, la Bce inizierà a ritoccare al ribasso i tassi.

Bce, secondo il sindacato interno i dipendenti bocciano Lagarde

Bce, secondo il sindacato interno i dipendenti bocciano LagardeRoma, 22 gen. (askanews) – Il personale della Bce “boccia” Christine Lagarde. Secondo un sondaggio effettuato dal sindacato di categoria, l’Ipso, oltre un dipendente dell’istituzione su due – il 50,6 per cento – giudica “negativa” o “pessima” la sua performance alla presidenza.

La consultazione è stata condotta a metà mandato e segna un deciso peggioramento rispetto ai punteggi che i predecessori di Lagarde avevano ottenuto in iniziative sindacali analoghe, sebbene nel loro caso fossero state effettuate verso il termine dei rispettivi incarichi. Su Mario Draghi meno del 10% dei dipendenti della Bce giudicava la performance negativa o pessima, mentre il 75,5% degli intervistati la valutava “positiva”, “molto positiva” o “eccezionale”. Con Trichet la somma dei due giudizi negativi si limitava al 14,5%.

Dal sondaggio di Ipso emerge un diffuso malcontento del personale Bce in merito al sistematico sconfinare della presidente su questioni ritenute politiche. Una deriva che sembra aver aperto una frattura tra i dipendenti, personale altamente specialistico e oggetto di una rigorosa selezione, e una presidente percepita come “una autocrate – afferma l’Ipso nella relazione che accompagna il sondaggio – antidemocratica e paternalistica”. “Di fatto – prosegue l’Ipso – le evidenze suggeriscono che Christine Lagarde si è esposta a giudizi negativi come presidente della Bce perché le sue attività pubbliche sono percepite come maggiormente focalizzate su questioni non collegate all’attività centrale della Bce, e perché non mostra lo stesso stesso profilo tecnico dei due precedenti presidenti sulle tematiche monetarie”. In pratica non le viene riconosciuta la stessa competenza di Trichet e Draghi.

L’uso del ruolo tecnico dell’istituzione su terreni ritenuti impropri, poi, viene vissuto come un rischio sulla credibilità: quasi due dipendenti su tre, il 63,9% esprimono “forte dissenso” con l’idea che la presidenza Lagarde abbia aiutato a rafforzare la reputazione della Bce, mentre solo uno su cinque, il 20,5% ritiene che l’abbia migliorata. La maggioranza dei dipendenti, il 53,5% si dice fortemente in disaccordo con l’idea che Lagarde sia la giusta presidente per la Bce nella fase attuale e solo un 22,8% ritiene che lo sia. Il sondaggio è stato condotto tra il 12 e il 22 dicembre presso 1.159 dipendenti. La valutazione della performance complessiva di Christine Lagarde come presidente vede nel 20,1% dei casi i dipendenti della Bce esprimere un giudizio “pessimo”, un altro 30,5% un giudizio “negativo”. Secondo un 24,2% l’operato di Lagarde è stato “nella media”, secondo un altro 12,3% è stato invece “positivo”, secondo un 8% “molto positivo” e secondo un 2,6% è stato “eccezionale”. Un 2,4%, riporta ancora l’Ipso, ha detto di non saper rispondere.

Il sondaggio mostra che Lagarde non ottiene punteggi migliori neanche sulle politiche di inclusione di sesso. Anzi, proprio su questo elemento l’insoddisfazione è salita di ben 20,4 punti percentuali al 44,5%, sebbene in questo caso la maggioranza dei dipendenti esprima forte soddisfazione, con un 46,4%. Sull’inserimento di tematiche ambientali nel mandato della Bce, questione oggetto di lunghe controversie, la maggior parte dei dipendenti, il 57,3%, concorda con la linea di Lagarde, ma l’Ipso sottolinea come oltre un dipendente su tre, il 34,7%, dissenta da queste posizioni. La negatività dei giudizi sale molto più in alto su altre tematiche. A stragrande maggioranza i dipendenti coinvolti nella consultazione esprimono forte insoddisfazione sulle prospettive di carriera alla Bce (81,7%), sulla trasparenza delle procedure di assunzione (73,1%), sul livello di precarietà dei contratti dei (64%), sull’inadeguata tutela del potere d’acquisto tramite i salari (77,7%) sul generale atteggiamento dei responsabili delle risorse umane verso i dipendenti (76,6%), e sui livelli di dei carichi di lavoro e di stress (57,5%). In tutti questi casi livelli di insoddisfazione sono nettamente aumentati rispetto alla precedente consultazione, avvenuta nell’era Draghi. Ma il malcontento va oltre Lagarde. Se si esamina il livello di fiducia verso tutto il Comitato esecutivo della Bce, l’organismo decisionale chiave in cui oltre alla presidente siedono il vicepresidente e altri quattro componenti, la quota di coloro che esprimono poca fiducia (38%) o nessuna fiducia (21,3%) balza al 59,3%, a fronte del 40,6% che secondo l’Ipso si registrava su questa due voce un anno fa (solo su questo aspetto il precedente sondaggio risale al novembre 2022). Il sindacato lamenta che come in altre occasioni i vertici della Bce hanno contestato con comunicazioni interne ai dipendenti la validità e la qualità del sondaggio. Ma stavolta spingendosi oltre: l’Ipso riporta un episodio specifico su Frank Elderson, componente olandese del Comitato esecutivo e vicepresidente della Vigilanza bancaria. “Dopo l’avvio del sondaggio Elderson ha convocato i dirigenti dell’Ipso per un incontro. Ha contestato la legittimità di una indagine che puntasse a valutare il parere del personale sulla performance della presidente. Ha sostenuto che non fa parte del mandato di un sindacato e – conclude il sindacato dei dipendenti – che i partecipanti non avrebbero avuto necessariamente le competenze specifiche per rispondere alle domande”. (di Roberto Vozzi).

Jobs Act, la Consulta: legittime le norme sui licenziamenti collettivi

Jobs Act, la Consulta: legittime le norme sui licenziamenti collettiviRoma, 22 gen. (askanews) – La Corte costituzionale, con la sentenza n. 7/2024, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 3, primo comma, e 10 del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23, il quale, in attuazione della legge di delega n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act), ha introdotto il contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio. Lo rende noto la Consulta in un comunicato.

La Corte d’appello di Napoli – spiega la Consulta – aveva censurato, in particolare, la disciplina dei licenziamenti collettivi quanto alle conseguenze della violazione dei criteri di scelta dei lavoratori in esubero. Si è prevista una tutela indennitaria, compensativa del danno subito dal lavoratore, ma non più la tutela reintegratoria nel posto di lavoro, in simmetria con l’ipotesi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. La legge di delega aveva, infatti, escluso, per i ‘licenziamenti economici’ di lavoratori assunti con contratti a tutele crescenti (quindi a partire dal 7 marzo 2015), la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, e aveva previsto un indennizzo economico, limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato.

La Corte, considerando anche i lavori parlamentari e la finalità complessiva perseguita dal Jobs Act, ha ritenuto che il riferimento contenuto nella legge di delega ai “licenziamenti economici” riguardasse sia quelli individuali per giustificato motivo oggettivo, sia quelli collettivi. Ha quindi escluso che, sotto questo profilo, ci sia stata – come assumeva la Corte d’appello – la violazione dei criteri direttivi della legge di delega. Inoltre la Corte – spiega ancora la Consulta nel comunicato – ha ritenuto non fondata anche la censura di violazione del principio di eguaglianza, comparando i lavoratori “anziani” (quelli assunti fino al 7 marzo 2015), che conservano la più favorevole disciplina precedente e quindi la reintegrazione nel posto di lavoro, e i lavoratori “giovani” (quelli assunti dopo tale data), ai quali si applica la nuova disciplina del Jobs Act. Il riferimento temporale alla data di assunzione consente di differenziare le situazioni: la nuova disciplina dei licenziamenti è orientata ad incentivare l’occupazione e a superare il precariato ed è pertanto prevista solo per i “giovani” lavoratori. Il legislatore non era tenuto, sul piano costituzionale, a rendere applicabile questa nuova disciplina anche a chi era già in servizio. Infine la Corte ha ritenuto non inadeguata la tutela indennitaria. Attualmente al lavoratore illegittimamente licenziato all’esito di una procedura di riduzione del personale spetta un’indennità, non assoggettata a contribuzione previdenziale, di importo pari al numero di mensilità, dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto, determinato dal giudice in base ai criteri indicati da questa Corte nella sentenza n. 194 del 2018, in misura comunque non inferiore a sei e non superiore a trentasei mensilità.

La Corte ha anche ulteriormente segnalato al legislatore che “la materia, frutto di interventi normativi stratificati, non può che essere rivista in termini complessivi, che investano sia i criteri distintivi tra i regimi applicabili ai diversi datori di lavoro, sia la funzione dissuasiva dei rimedi previsti per le disparate fattispecie”.

Carne coltivata, Italia, Francia, Austria chiedono dibattito Ue

Carne coltivata, Italia, Francia, Austria chiedono dibattito UeBruxelles, 22 gen. (askanews) – L’Italia, l’Austria e la Francia, con il sostegno di di Repubblica Ceca, Cipro, Grecia, Lussemburgo, Lituania, Malta, Romania, Slovacchia e Ungheria, hanno presentato il 18 gennaio un documento comune contro l’autorizzazione in Europa della carne coltivata in laboratorio, affinché sia discusso durante il Consiglio Agricoltura di domani, a Bruxelles.

Negli ultimi anni, si legge nel documento, “alcune nuove pratiche di produzione alimentare basate su cellule artificiali coltivate in laboratorio sono emerse in tutto il mondo. Tuttavia, queste pratiche rappresentano una minaccia agli approcci primari basati sull’agricoltura e ai metodi di produzione alimentare genuina che sono al centro del modello agricolo europeo”. “Lo sviluppo di questa nuova produzione alimentare coltivata in laboratorio – rileva il documento – solleva molte domande che devono essere discusse approfonditamente tra gli Stati membri, la Commissione, le parti interessate e il pubblico in generale”.

“Queste domande sono essenziali per la società futura che vogliamo costruire in Europa e dovrebbero pertanto far parte di un rinnovato e ampio dibattito nell’Ue, specifico sulla carne coltivata in laboratorio”. Dopo aver indicato più nel dettaglio quali sono le questioni aperte (etiche, enconomiche, sociali, relative alla sostenibilità, alla trasparenza, alla salute pubblica e agli aspetti giuridici) a cui va data una risposta, i firmatari del documento chiedono “un approccio più ampio alla produzione di carne basata su cellule, al fine di tenere conto di queste domande e dei risultati delle discussioni che si terranno con gli Stati membri e la società civile europea, prima di prendere qualsiasi decisione sull’autorizzazione l’immissione in commercio”.

“Ricordiamo che finora l’Ue non ha mai rilasciato alcuna autorizzazione su prodotti di origine animale basati su tecniche di coltivazione cellulare. Pertanto, è necessario un approccio trasparente, scientifico e globale per valutare lo sviluppo della produzione di carne basata su cellule artificiali, che a nostro avviso non costituisce un’alternativa sostenibile alla produzione primaria basata sugli allevamenti”, conclude il documento. ​

Energia, Terna: in calo del 2,8% i consumi elettrici nel 2023

Energia, Terna: in calo del 2,8% i consumi elettrici nel 2023Roma, 22 gen. (askanews) – Secondo le rilevazioni di Terna, la società che gestisce la rete elettrica di trasmissione nazionale, nel corso del 2023, i consumi elettrici italiani sono diminuiti del 2,8% rispetto al 2022, attestandosi a 306,1 miliardi di kWh. Positivo il dato relativo alle fonti rinnovabili, che lo scorso anno hanno coperto complessivamente il 36,8% della domanda, rispetto al 31% del 2022. Il valore è in aumento grazie al contributo tendenziale positivo di tutte le fonti e, in particolare, della produzione idroelettrica, tornata in linea con i valori storici.

Anche i consumi industriali risultano in flessione tendenziale. L’indice IMCEI elaborato da Terna, che prende in esame i consumi industriali di circa 1.000 imprese “energivore”, registra una variazione negativa del 3,9% rispetto al 2022. La contrazione tendenziale della domanda elettrica annuale (-2,8%) è il risultato di forti variazioni negative nella prima metà dell’anno che hanno progressivamente lasciato spazio a moderate variazioni positive a partire dal mese di settembre. Tale andamento è però conseguenza del confronto con l’anno passato, che era stato caratterizzato da una riduzione significativa della domanda nel secondo semestre come conseguenza della crisi energetica. Analizzando l’andamento temporale della domanda è quindi evidente che la riduzione osservata a partire dalla seconda metà del 2022 si è mantenuta sostanzialmente invariata sino a oggi, attestandosi su livelli costantemente inferiori rispetto al trend storico precedente. Relativamente all’offerta, nel 2023 non solo si è registrata una crescita rilevante della produzione rinnovabile (+15,4%), ma anche un importante aumento del saldo netto con l’estero (+19,2%) come conseguenza di una forte diminuzione dell’export (-24,4%) e di un aumento dell’import (+15,2%). Rilevante per tale aumento il ruolo delle interconnessioni, come strumento di efficienza e sicurezza per il sistema elettrico. Tutto ciò ha necessariamente comportato una conseguente contrazione della produzione termoelettrica (-17,4%) e, in particolare, di quella a carbone (-41,7%). La contrazione della produzione a carbone è anche conseguenza della interruzione, nel corso del 2023, delle iniziative di massimizzazione dell’utilizzo delle centrali a carbone messe in atto durante il periodo più critico della crisi gas. Relativamente alla contrazione della produzione termoelettrica, nel 2023 si è registrato anche un risparmio di gas rispetto allo scorso anno di circa 4 miliardi standard metri cubi. A livello territoriale la variazione della domanda elettrica è risultata ovunque in diminuzione: -4% al Nord, -2% al Centro e -0,9% al Sud e nelle Isole. La domanda di energia elettrica italiana nel 2023 è stata soddisfatta per l’83,3% con produzione nazionale e per la quota restante (16,7%) dal saldo dell’energia scambiata con l’estero. La produzione nazionale netta (257 miliardi di kWh) è risultata in diminuzione del 6,4% rispetto al 2022 con la seguente articolazione per fonti: in crescita l’idrico (+36,1), l’eolico (+15,1%) e il fotovoltaico (+10,6%); in flessione il termico (-17,4%) e geotermico (-1,9%).

Secondo le rilevazioni Terna illustrate nel report mensile, considerando tutte le fonti rinnovabili, nel 2023 ci sono state nuove attivazioni per circa 5,8 GW, valore superiore di circa 2,7 GW rispetto al 2022. Il dato sottolinea l’accelerazione nello sviluppo delle rinnovabili: infatti si è passati dalle nuove attivazioni pari a 1 GW nel 2021, ai circa 3 GW del 2022. In aggiunta, secondo i dati Terna aggiornati al 31 dicembre 2023, risultano circa 6 GW che hanno ottenuto la Soluzione Tecnica Minima Definitiva di connessione alla rete elettrica nazionale. Passando all’analisi del mese di dicembre, la domanda elettrica ha registrato una variazione positiva tendenziale (+0,8%) nonostante la presenza di due giorni lavorativi in meno (18 invece di 20) e una temperatura media mensile sostanzialmente stabile (-0,1°C) rispetto a dicembre del 2022. Positivo anche il dato destagionalizzato e corretto dall’effetto della temperatura e del calendario (+1,9%). Tale crescita non è tuttavia sufficiente a far ritornare la domanda sui valori precrisi. Positiva anche la variazione in termini congiunturali: il valore della richiesta elettrica di dicembre, destagionalizzato e corretto dall’effetto temperatura e del calendario, risulta in aumento rispetto a novembre (+0,8%).

A livello territoriale, la variazione di dicembre 2023 è risultata negativa al Nord (-0,8%), positiva al Centro (+1,2%) e al Sud e Isole (+4%). La domanda è stata soddisfatta per l’81,8% con produzione nazionale e per la quota restante (18,2%) dal saldo dell’energia scambiata con l’estero. Le fonti rinnovabili hanno coperto il 34,5% del fabbisogno mensile (27,6% a dicembre 2022). La produzione nazionale netta (20,5 miliardi di kWh) è risultata in diminuzione del 7,7% rispetto a dicembre 2022 con la seguente articolazione per fonti: eolico (+42,1%), fotovoltaico (+41,1%), idrico (+40,3%), termico (-22,1%) e geotermico (-0,4%). Per quanto riguarda il saldo import-export, il dato è in aumento del 69,9% per effetto di un aumento dell’import (+48,3%) e una diminuzione dell’export (-39%). L’indice IMCEI relativo ai consumi industriali ha fatto registrare nel mese di dicembre 2023 una variazione del +2,1% rispetto a dicembre 2022: i settori in crescita risultano essere la meccanica, cemento calce e gesso, siderurgia, cartaria e mezzi di trasporto; in flessione i metalli non ferrosi, ceramiche e vetrarie, alimentari e chimica. Il dato destagionalizzato e corretto dagli effetti di calendario segna viceversa una flessione congiunturale pari a -2,3% rispetto al mese precedente.

Rapporto sull’economia italiana dell’Ocse: intervenire sulle pensioni, tassare immobili e successioni e non il lavoro

Rapporto sull’economia italiana dell’Ocse: intervenire sulle pensioni, tassare immobili e successioni e non il lavoroRoma, 22 gen. (askanews) – In Italia la crescita economica si è dimostrata “resiliente”, ma ora “sta attraversando una fase di rallentamento. L’attività ha superato bene le crisi recenti, ma la crescita sta attualmente rallentando in un contesto di irrigidimento delle condizioni finanziarie”. E’ la fotografia scattata dall’Ocse in un rapporto sull’economia Italiana. Secondo l’ente parigino, dato l’elevato livello del debito “occorre consolidare le finanze pubbliche”.

Nello studio l’Ocse ha ripreso le stime che erano state diffuse lo scorso 29 novembre, in occasione dell’aggiornamento del suo Economic Outlook: il Pil italiano dovrebbe segnare una crescita dello 0,7% quest’anno, analoga a quella del 2023, e una lieve accelerazione al più 1,2% nel 2025. L’indebolimento della crescita è stato causato dalla crisi energetica, che “ha innescato un rallentamento dell’attività. L’ampio sostegno fiscale e l’aumento della competitività hanno contribuito a riportare il Pil reale al livello precedente la pandemia entro la metà del 2021 – prosegue l’Ocse – e la disoccupazione a livelli storicamente bassi. Tuttavia, l’aumento dell’inflazione in seguito alla crisi energetica ha eroso i redditi reali delle famiglie e l’inasprimento della politica monetaria della zona euro ha condotto a un rapido aumento dei costi di finanziamento per le famiglie, le imprese e le amministrazioni pubbliche”. Secondo l’ente parigino l’irrigidimento delle condizioni finanziarie causato dalla stretta monetaria decisa dalla Bce per tutta la zona euro “è stato considerevole. Dal secondo semestre del 2022, i tassi sui prestiti alle famiglie e alle imprese sono aumentati di circa 3 punti percentuali. La crescita del credito è diventata negativa – si legge – e il mercato immobiliare si è indebolito”. Nel frattempo, la politica di bilancio nel Belpaese “ha assunto un orientamento neutrale. Il sostegno pubblico connesso alla crisi energetica è stato in parte revocato e dovrebbe giungere a termine, ma il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e i tagli mirati alle imposte sul reddito sostengono la domanda. Qualora i prezzi dell’energia aumentassero nuovamente in maniera considerevole – avverte l’Ocse – occorrerebbe reintrodurre esclusivamente misure che siano destinate alle famiglie più indigenti”.

L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico prevede una crescita contenuta sul biennio in corso (2024-2025). “L’inflazione dovrebbe diminuire gradualmente, poiché lo shock dei beni energetici ha determinato pressioni più ampie sui prezzi, che richiederanno tempo per dissiparsi. I rischi sono orientati al ribasso e la presenza di condizioni finanziarie più rigide del previsto ridurrebbe ulteriormente la domanda interna”. All’opposto, un fattore che potrebbe sostenere la crescita potrebbe essere l’accelerazione della spesa dei fondi del Pnrr, “anche mediante il riorientamento del Piano verso progetti di investimento di grandi dimensioni gestiti a livello centrale, come pianificato dal Governo e approvato dalla Commissione europea: potrebbe stimolare gli investimenti”. Nel rapporto inoltre si raccomandano alcune azioni mirate, in particolare riguardo alle pensioni e al sistema delle tasse. In Italia le pensioni “rappresentano una quota cospicua” della spesa pubblica complessiva, su cui secondo l’Ocse bisogna intervenire per mettere la traiettoria del debito/Pil su un percorso più prudente”. E nel rapporto sull’economia italiana pubblicato oggi, l’ente parigino raccomanda che sul breve periodo la spesa pensionistica “potrebbe essere contenuta eliminando gradualmente i regimi di pensionamento anticipato”. Inoltre, sempre nel breve termine, “sarebbe opportuno mantenere la parziale deindicizzazione delle pensioni elevate, per poi sostituirla nel medio termine con un’imposta sulle pensioni elevate – afferma l’Ocse – che non siano correlate ai contributi pensionistici versati. Il contributo di solidarietà potrebbe essere mantenuto finché il reddito relativo dei pensionati sarà allineato alla media dell’Ocse”. Inoltre, in Italia “lo spostamento dell’imposizione dal lavoro alle successioni e ai beni immobili renderebbe il mix fiscale più favorevole alla crescita, consentendo al contempo di incrementare le entrate”: questa è una delle raccomandazioni ripetute dell’Ocse nel suo rapporto sull’economia Italiana, un tema che l’ente parigino sostiene da molti anni. “Sarebbe altresì necessario – aggiunge l’Ocse – aggiornare i parametri per il calcolo della base imponibile dell’imposta sugli immobili, tenendo conto dei relativi effetti distributivi”.

In generale, l’Ocse raccomanda all’Italia di intervenire per “consolidare le finanze pubbliche”, tenuto conto dell’elevato livello del debito e della la sua traiettoria, “che in assenza di cambiamenti nelle politiche prevede un incremento”. “Il debito pubblico, quale percentuale del Pil, è tra i più elevati dell’Ocse. Viste le forti pressioni sul bilancio all’orizzonte, occorrono riforme fiscali e della spesa per contribuire a portare il debito su un percorso più prudente”, afferma l’ente parigino nel rapporto sulla Penisola pubblicato oggi. “In assenza di variazioni delle politiche, il rapporto debito pubblico/Pil andrà ad aumentare. Tra il 2023 e il 2040, la spesa pubblica per i costi connessi all’invecchiamento della popolazione e al servizio del debito dovrebbe aumentare di circa il 4,5 % del Pil. È probabile che l’accelerazione della transizione climatica e l’adattamento ai cambiamenti climatici – si legge – generino ulteriori pressioni sulla spesa”. “Per riportare il rapporto debito/Pil su un percorso più prudente, sostenere i costi futuri e rispettare le regole fiscali europee, sarà necessario un duraturo aggiustamento di bilancio. È necessario risparmiare sulla spesa pubblica – afferma l’Ocse -. Le prossime revisioni della spesa, che attualmente mirano a realizzare risparmi di bilancio annuali pari a circa lo 0,2 % del Pil, dovranno divenire più ambiziose”.

Ocse: crisi energia frena crescita Italia, stretta Bce il credito

Ocse: crisi energia frena crescita Italia, stretta Bce il creditoRoma, 22 gen. (askanews) – In Italia la crescita economica si è dimostrata “resiliente”, ma ora “sta attraversando una fase di rallentamento. L’attività ha superato bene le crisi recenti, ma la crescita sta attualmente rallentando in un contesto di irrigidimento delle condizioni finanziarie”. E’ la fotografia scattata dall’Ocse in un rapporto sull’economia Italiana. Secondo l’ente parigino, dato l’elevato livello del debito “occorre consolidare le finanze pubbliche”.

Nello studio l’Ocse ha ripreso le stime che erano state diffuse lo scorso 29 novembre, in occasione dell’aggiornamento del suo Economic Outlook: il Pil italiano dovrebbe segnare una crescita dello 0,7% quest’anno, analoga a quella del 2023, e una lieve accelerazione al più 1,2% nel 2025. L’indebolimento della crescita è stato causato dalla crisi energetica, che “ha innescato un rallentamento dell’attività. L’ampio sostegno fiscale e l’aumento della competitività hanno contribuito a riportare il Pil reale al livello precedente la pandemia entro la metà del 2021 – prosegue l’Ocse – e la disoccupazione a livelli storicamente bassi. Tuttavia, l’aumento dell’inflazione in seguito alla crisi energetica ha eroso i redditi reali delle famiglie e l’inasprimento della politica monetaria della zona euro ha condotto a un rapido aumento dei costi di finanziamento per le famiglie, le imprese e le amministrazioni pubbliche”.

Secondo l’ente parigino l’irrigidimento delle condizioni finanziarie causato dalla stretta monetaria decisa dalla Bce per tutta la zona euro “è stato considerevole. Dal secondo semestre del 2022, i tassi sui prestiti alle famiglie e alle imprese sono aumentati di circa 3 punti percentuali. La crescita del credito è diventata negativa – si legge – e il mercato immobiliare si è indebolito”. Nel frattempo, la politica di bilancio nel Belpaese “ha assunto un orientamento neutrale. Il sostegno pubblico connesso alla crisi energetica è stato in parte revocato e dovrebbe giungere a termine, ma il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) e i tagli mirati alle imposte sul reddito sostengono la domanda. Qualora i prezzi dell’energia aumentassero nuovamente in maniera considerevole – avverte l’Ocse – occorrerebbe reintrodurre esclusivamente misure che siano destinate alle famiglie più indigenti”.

L’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico prevede una crescita contenuta sul biennio in corso (2024-2025). “L’inflazione dovrebbe diminuire gradualmente, poiché lo shock dei beni energetici ha determinato pressioni più ampie sui prezzi, che richiederanno tempo per dissiparsi. I rischi sono orientati al ribasso e la presenza di condizioni finanziarie più rigide del previsto ridurrebbe ulteriormente la domanda interna”. All’opposto, un fattore che potrebbe sostenere la crescita potrebbe essere l’accelerazione della spesa dei fondi del Pnrr, “anche mediante il riorientamento del Piano verso progetti di investimento di grandi dimensioni gestiti a livello centrale, come pianificato dal Governo e approvato dalla Commissione europea: potrebbe stimolare gli investimenti”.

Credit Agricole compra 7% di Worldline: azionista di lungo termine

Credit Agricole compra 7% di Worldline: azionista di lungo termineMilano, 22 gen. (askanews) – Credit Agricole compra il 7% di Worldline, la paytech company francese. L’annuncio in una nota nella quale la banca sottolinea la volontà di restare azionista di minoranza della società nel lungo termine, “pienamente al fianco di Worldline”. Il deal, viene fatto sapere, avrà un impatto di 10 punti base sul Cet1 ratio di Credit Agricole.

L’accordo si basa sulla partnership strategica siglata a luglio 2023 tra il Gruppo Crédit Agricole e Worldline. “L’obiettivo – viene spiegato – è rafforzare questa partnership per creare un attore di primo piano nel mercato francese dei servizi di pagamento. Oltre alla partnership strategica, questa transazione dimostra l’intenzione del Gruppo Credit Agricole di sostenere lo sviluppo e la crescita di Worldline”. Il lavoro per la creazione della joint venture già annunciata, spiega la nota, procede secondo il timing previsto con il lancio operativo per il 2024 dopo il via libera regolamentare.

Landini: serve una vera riforma del fisco, non la flat tax

Landini: serve una vera riforma del fisco, non la flat taxRoma, 20 gen. (askanews) – “Ognuno deve pagare in base alla propria capacità contributiva quindi no la flat tax ma un sistema progressivo serio e investire in questa direzione”. Lo ha detto il segretario della Cgil, Maurizio Landini, intervistato questa mattina su La7.

Landini ha evidenziato come “l’Irpef al 95% la pagano lavoratori dipendenti e pensionati. Siamo difronte ad un dato concreto, è tassato di più il lavoro e la pensione che non la rendita finanziaria e immobiliare. È sotto gli occhi di tutti che siamo nella situazione in cui c’è stato un impoverimento e concentrazione della ricchezza in mano a pochi che non ha precedenti: il 5% detiene la metà della ricchezza di questo paese. È chiaro che il fisco diventa un elemento di patto di cittadinanza”. “Il paese – ha aggiunto – deve decidere dove va a prendere i soldi. Penso ci sia bisogno di una vera riforma fiscale, di un nuovo patto di cittadinanza. Ognuno deve pagare in base alla propria capacità contributiva quindi no la flat tax ma un sistema progressivo serio e investire in questa direzione”.