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Mef, via libera dal Cdm a delega riforma, riscrive il sistema

Mef, via libera dal Cdm a delega riforma, riscrive il sistema

Nuove regole per semplificare e ridurre la pressione fiscale, favorire investimenti

Roma, 16 mar. (askanews) – La delega fiscale approvata dal Consiglio dei Ministri riscrive completamente l’attuale sistema tributario varato negli anni 70. Le nuove regole, operative entro 24 mesi dall’entrata in vigore della legge delega, vanno nella direzione di semplificare e ridurre la pressione fiscale, favorire investimenti e assunzioni e instaurare un rapporto tra contribuenti e amministrazione finanziaria nella logica di un dialogo mirato tra le parti secondo le esigenze di cittadini e imprese. Lo riferisce il Ministero dell’economia e delle finanze in una nota.
Con la riforma dell’Irpef si garantisce l’equità orizzontale, attraverso la riduzione della pressione fiscale, passando da 4 a 3 aliquote e con l’obiettivo della flat tax per tutti. Inoltre viene garantita la razionalizzazione e semplificazione dell’intero sistema Irpef (Redditi agrari, fabbricati, finanziari, da lavoro dipendente, autonomo, d’impresa e diversi). La delega prevede anche la revisione delle tax expenditures, (oggi più di 600 voci) e l’equiparazione della no tax area per lavoratori dipendenti (8174 euro e pensionati 8500 euro).
Per quanto riguarda le imprese è prevista una riduzione dell’attuale aliquota Ires per chi investe eo assume. Ci sarà anche una graduale eliminazione dell’Irap. Con l’istituzione del concordato preventivo biennale e il rafforzamento dell’adempimento collaborativo si riscrivono le regole della lotta all’evasione fiscale che diventa preventiva e non più repressiva.
Lsa

Italia isolata contro direttiva Ue su emissioni industria allevamenti

Italia isolata contro direttiva Ue su emissioni industria allevamentiBruxelles, 16 mar. (askanews) – Il Consiglio Ue dell’Ambiente ha adottato oggi a Bruxelles la sua posizione negoziale (“orientamento generale”) sulla proposta della Commissione europea per una revisione della direttiva sulle emissioni industriali nell’aria, nell’acqua e negli scarichi dei rifiuti, che comprende anche dei limiti alle emissioni nocive per l’ambiente e per la salute da parte degli allevamenti intensivi.
L’Italia, rappresentata al Consiglio dal ministro dell’Ambiente Gilbetrto Pichetto, è l’unico Stato membro che si è opposto al testo di compromesso proposto la presidenza di turno svedese del Consiglio, mentre un solo altro paese la Bulgaria, si è astenuto.
Intervenendo per riferire la posizione italiana, Pichetto ha detto di “apprezzare e ringraziare” la presidenza di turno svedese “per lo sforzo che è stato fatto, ma non possiamo accogliere – ha sottolineato – il testo così com’è presentato e modificato, in particolare per il settore zootecnico per quanto riguarda la parte degli allevamenti bovini, in quanto le soglie (che limitano le emissioni inquinanti, ndr) per noi non sono accettabili. Confidiamo nei passaggi successivi del ‘trilogo’ (il successivo negoziato a tre con la Commissione e il Parlamento europeo, ndr) ma manteniamo la nostra opposizione”, ha concluso.
Cinque paesi (Olanda, Iralanda, Finlandia, Lussemburgo e Danimarca), pur criticando il compromesso per aver abbassato a un livello “troppo basso” l’ambizione ambientale del testo rispetto alla proposta originaria della Commissione. Anche la Francia e la Polonia hanno espresso delle critiche, ma hanno appoggiato il compromesso.
La direttiva sulle emissioni industriali è il principale strumento dell’Ue che regola l’inquinamento da impianti industriali e allevamenti intensivi, come ossido di azoto, ammoniaca, mercurio, metano e anidride carbonica. Gli impianti e le aziende agricole su scala industriale sono tenuti a operare in conformità con un’autorizzazione concessa dalle autorità nazionali, utilizzando le migliori tecniche disponibili (Bat) come standard.
Nel loro approccio generale, gli Stati membri hanno modificato la proposta della Commissione per estendere il campo di applicazione della direttiva agli allevamenti intensivi di bestiame. Secondo la proposta della Commissione, la direttiva dovrebbe applicarsi a tutti gli allevamenti industriali con più di 150 unità di bestiame vivo (Uls), che equivalgono a 150 unità per i bovini, con soglie proporzionalmente più alte per gli animali più piccoli.
Il compromesso del Consiglio ha ridotto fortemente queste ambizioni della proposta originaria, fissando la soglia per applicare la direttiva agli allevamenti a 350 Uls, ovvero a un numero di animali vivi superiore a 350 unità per bovini e suini, 350 unità per il pollame e 350 unità per gli allevamenti misti. Sarebbero esclusi gli allevamenti estensivi. Le nuove regole verrebbero applicate progressivamente a partire dalle aziende agricole più grandi.

McDonald’s: 85% nostri fornitori sono italiani, valgono 370 mln

McDonald’s: 85% nostri fornitori sono italiani, valgono 370 mlnMilano, 16 mar. (askanews) – McDonald’s ha lanciato la nuova piattaforma di comunicazione, I’m lovin’ it Italy, attraverso cui racconta i 37 anni di attività in Italia. Oggi la catena di fast food ha come fornitori l’85% aziende italiane, acquista ogni anno 140 mila tonnellate di prodotti provenienti da tutta la Penisola, per un totale di oltre 370 milioni di euro. Tra questi ci sono anche 18 ingredienti Dop e Igp, entrati in assortimento per la prima volta nel 2008 e di cui in 15 anni sono state acquistate 4.600 tonnellate.
La relazione con l’Italia passa anche dal percorso di sostenibilità che McDonald’s ha intrapreso ormai da anni all’interno del proprio sistema, coinvolgendo quindi la propria rete di ristoranti e i propri fornitori: un esempio è l’eliminazione della plastica monouso dal packaging – ogni anno il risparmio è di 1.000 tonnellate – in favore di materiali più sostenibili, come la carta. Le analisi condotte da Comieco hanno dimostrato la piena riciclabilità dei rifiuti di McDonald’s in carta: circa il 90% del packaging realizzato in carta è 100% certificata e riciclabile.
“Crediamo e vogliamo che il nostro impatto positivo sia sempre più rilevante – ha commentato Dario Baroni, amministratore delegato McDonald’s Italia – Ecco perché confermiamo il nostro impegno nell’investire sull’agroalimentare made in Italy, certi che qualità e italianità siano da un lato la chiave giusta per rispondere alle richieste dei nostri clienti, e dall’altro una via solida attraverso cui contribuire alla crescita del Paese”.
“L’attenzione del governo per il cibo, il nostro cibo, non è una mera battaglia ideologica. Proprio in questo senso, la sovranità alimentare passa anche dall’impegno a introdurre prodotti Dop e Igp, come il pomodoro pachino, nei menù di grandi catene commerciali – ha sottolineato il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida in occasione della presentazione a Roma – un risultato molto positivo. Investire sulla produzione nazionale e valorizzare le filiere più deboli è fondamentale. Oggi il valore aggiunto è dato dalla qualità”. “La collaborazione con McDonald’s rappresenta una grande opportunità per valorizzare le eccellenze agroalimentari nazionali garantendo ai consumatori l’italianità delle produzioni e dando un giusto reddito economico al lavoro dei nostri imprenditori agricoli”, ha sottolineato Ettore Prandini, presidente Coldiretti. “La collaborazione tra McDonald’s e la filiera agroalimentare italiana ha rappresentato, anche attraverso l’adesione a Filiera Italia, un modello unico e lungimirante. Di chi, come azienda leader nella ristorazione a livello globale, comprende come oggi la vera forza sia consolidare le proprie filiere agricole e produttive, investire insieme per renderle sempre più distintive e competitive. Di come il ruolo di chi unisce migliaia di agricoltori e fornitori a milioni di consumatori sia un ruolo di responsabilità di chi contrasta l’omologazione lavorando, da un lato, per una equa ripartizione del valore aggiunto generato a tutta la filiera e, dall’altro, per rendere accessibile a tutti i consumatori la qualità, sicurezza e distintività dei nostri prodotti e la nostra cultura distintiva”, ha aggiunto Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia.

La Bce vara un nuovo aumento ai tassi ma non si sbilancia sul dopo

La Bce vara un nuovo aumento ai tassi ma non si sbilancia sul dopo

“Troppa incertezza” da tempeste Borse. Se necessario interverrà

Roma, 16 mar. (askanews) – La Banca centrale europea ha tirato dritto con il nuovo rialzo dei tassi di interesse da 50 punti base, che aveva preannunciato già dalla riunione del Consiglio direttivo di inizio febbraio. Mentre in riposta alla tempesta finanziaria che ha investito Borse e banche, ha assicurato che se dovesse rendersi necessario sarà pronta a intervenire per garantire la stabilità dei mercati. Ha rimarcato la solidità degli istituti di credito dell’eurozona e, infine, si è astenuta, questo sì, dall’indicare ulteriori mosse sui tassi di interesse.
Ma questo non significa che non intenda alzarli ancora. Vista l’accresciuta incertezza che al momento circonda le prospettive di inflazione “non è possibile a questo punto determinare quale sarà il percorso dei tassi”, ha spiegato la presidente Christine Lagarde, nella conferenza stampa esplicativa. “Ma se lo scenario previsionale di base si dovesse confermare, abbiamo ancora tanta strada da fare” (in termini di rialzi).
Perché di fondo, secondo la Bce, l’inflazione rischia di “rimanere troppo elevata per un periodo di tempo troppo prolungato”. E quindi era giustificato, oggi, operare la nuova stretta, anche in un contesto che sembrava raccomandare maggiore cautela.
La decisione è stata presa “con una ampia maggioranza dal Consiglio direttivo, con 3 o 4 componenti che che non la supportavano, non perché fossero contrari in linea di principio – ha riferito la presidente – ma perché avrebbero preferito avere più tempo per valutare”.
La Bce non dice mai chi abbia votato cosa nel direttorio. Non lo riportano nemmeno i verbali – e su questo Consiglio bisognerà attenderli fino al 20 aprile – ma è un fatto che da settimane, se non mesi, sia il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, sia il componente italiano del Comitato esecutivo della Bce, Fabio Panetta, lanciavano richiami ad una maggiore prudenza sulla stretta monetaria.
Ad ogni modo, gli sviluppi sui mercati “accrescono l’importanza di un approccio fondato sui dati per le decisioni”, riconosce tutto il Consiglio. E, appunto, dalle comunicazioni è quantomeno sparito qualunque riferimento a “intenzioni” sulle mosse future.
Sempre oggi la Bce ha pubblicato le sue previsioni aggiornate su economia e inflazione, ma con un problema rilevante: non tengono conto degli effetti proprio dell’ultima fase di alta tensione dei mercati (sono state completate in precedenza). Quindi, di fatto, già superate, specialmente se la tensione dovesse trascinarsi. Se invece la volatilità dovesse svanire, dopo le misure decise dalla Federal Reserve in risposta al fallimento della Silicon Valley Bank, e della Banca nazionale svizzera, dopo il tracollo del Credit Suisse, allora le cifre fornite oggi potrebbero forse riguadagnare consistenza.
I tecnici della Bce hanno rivisto al rialzo al più 1% l’attesa di crescita dell’area euro di quest’anno, mentre hanno limato al più 1,6% la previsione sia sul 2024, sia sul 2025. Contestualmente hanno rivisto al ribasso le previsioni di inflazione al 5,3% quest’anno, al 2,9% sul 2024 e al 2,1% nel 2025. Ma hanno alzato al 4,6% l’attesa sull’inflazione di fondo di quest’anno, cioè sulla crescita dei prezzi senza energia e alimentari. “In seguito dovrebbe ridursi al 2,5% nel 2024 e al 2,2% nel 2025”. Quindi non lontana dal valore obiettivo.
L’istituzione ha anche affermato di esser pronta a “intervenire ove necessario per preservare la stabilità dei prezzi e la stabilità finanziaria nell’area dell’euro”. E ha aggiunto che il settore bancario dell’area dell’euro “è dotato di buona capacità di tenuta, con solide posizioni di capitale e liquidità”.
“Anche se si guarda alla composizione dei margini sulle liquidità sono di alta qualità e molto liquidi”, ha rimarcato il vicepresidente della Bce, Luis de Guindos. “E c’è un’altra cosa rilevante: le esposizioni ai rischi sono piuttosto limitate e non ci sono concentrazioni di rischi”. Insomma, nell’eurozona non vi è nulla che assomigli a Svb e nulla che faccia presagire un caso simile a Credit Suisse. O almeno così la pensa la Bce.
Infine, non si è parlato, oggi, della manovra di inasprimento “quantitativo” che in parallelo, a ritmi piuttosto blandi, si sta portando avanti riducendo gli stock di titoli, prevalentemente pubblici, in misura di 15 miliardi di euro al mese mediante parziale non rinnovo dei bond che giungono a scadenza. “Abbiamo avuto un sacco di altre cose da discutere”, ha concluso Lagarde.
Per una volta la scelta non ha scatenato ulteriori scossoni sui mercati. Le Borse hanno anzi reagito in positivo e chiuso tutte con rialzi (Milano +1,38%), che recuperano parte dei capitomboli di ieri. Domani si vedrà se la tendenza si confermerà. L’euro ha consolidato i rialzi a 1,0607 dollari in serata. (di Roberto Vozzi).

Credit Suisse, maxi rimbalzo del titolo (+19,15%) con sostegno Authority

Credit Suisse, maxi rimbalzo del titolo (+19,15%) con sostegno AuthorityMilano, 16 mar. (askanews) – Maxi rimbalzo del Credit Suisse alla Borsa di Zurigo – con un incremento del 19,15% a 2,02 Chf e un massimo intra day segnato a 2,25 Chf – dopo il crollo da brivido (-24%) accusato alla vigilia. A sostegno dell’istituto elvetico sono intervenute ieri sera Bns e Finma, rispettivamente la Banca nazionale svizzera e l’Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari Finma, assicurando di essere pronte e fornire liquidità alla banca se necessario.
Nella notte, la banca ha poi annunciato che prenderà in prestito fino a 50 miliardi di franchi svizzeri dalla Banca nazionale svizzera. Bns e Finma hanno dichiarato che il Credit Suisse “soddisfa i requisiti patrimoniali e di liquidità imposti alle banche di rilevanza sistemica”.
Allontanato in questo modo il rischio di un contagio sistemico, Credit Suisse ha potuto realizzare il recupero in Borsa. Rispetto a un anno fa, la variazione del titolo mostra comunque un ribasso di oltre il 76%.
Bos

Trasformazione digitale, la rivoluzione è partita anche in Italia

Trasformazione digitale, la rivoluzione è partita anche in Italia

Business da 251 miliardi. Il 23 marzo a Milano primo evento internazionale su Digital Adoption

Roma, 16 mar. (askanews) – “Anche in Italia è in atto la nuova rivoluzione industriale: la trasformazione digitale. Nord e sud viaggiano a velocità diverse. Il PNRR può colmare questo gap geografico ma serve superare alcuni limiti strutturali come la frammentazione amministrativa ed il divario in termini competenze”. Lo afferma Andrea Rubei, Ceo di MyMeta, una start up nata tre anni fa con un team che vanta lunghissima esperienza in questo ambito. MyMeta ha organizzato a Milano, il 23 marzo prossimo, il primo evento internazionale completamente dedicato alla DIGITAL ADOPTION al quale parteciperanno oltre ottanta aziende italiane e non solo che faranno il punto sulla digitalizzazione.
I numeri della trasformazione digitale parlano chiaro: uno studio condotto da IDC evidenzia come la digital transformation potrebbe generare un valore aggiunto di 251 miliardi di euro per l’economia italiana entro il 2024, grazie alla crescita delle attività digitali delle imprese e alla creazione di nuovi prodotti e servizi digitali.
“Un processo inesorabile che sta avendo un impatto profondo sulla società, l’economia e la tecnologia per migliorare la competitività e la sostenibilità dell’organizzazione nel lungo termine, in un mondo sempre più digitale e interconnesso – aggiunge Rubei, la cui azienda occupa un osservatorio privilegiato in termini di Digital Adoption – La Digital Adoption è una componente essenziale della digital transformation, in quanto consente alle organizzazioni di mettere in pratica le nuove strategie e i nuovi processi abilitati dalle tecnologie digitali. In particolare, il cloud computing è uno dei fattori chiave in quanto consente alle aziende di gestire e archiviare grandi quantità di dati in modo efficiente, di migliorare l’accesso ai dati e di ridurre i costi. Inoltre, l’adozione del cloud computing da parte delle imprese italiane potrebbe generare un valore aggiunto di 7,4 miliardi di euro entro il 2024. Il cloud computing tende però a spingere verso una standardizzazione dei processi aziendali, perdendo la possibilitá di personalizzare sulle esigenze specifiche dell’azienda o dell’utente. La Digital Transformation non può realizzarsi pienamente se l’utente non viene messo al centro. Ció vuol dire rendere la trasformazione rilevante per l’utente e metterlo in grado di governare le nuove tecnologie apprendendo gli skills necessari”.
“MyMeta ha sviluppato una piattaforma di adozione digitale che consente alle Organizzazioni di creare un’esperienza migliore e personalizzata per ogni utente, permettendo una formazione contestuale ed un uso immediato e massivo delle nuove tecnologie per garantire il ROI di ogni investimento tecnologico, aiutando i dirigenti a far crescere le loro aziende e ad ogni Process Owner di semplificare i propri processi”, aggiunge Rubei.
“L’Italia ha maggiori difficoltà nella digital transformation a causa di una infrastruttura digitale ancora in fase di sviluppo rispetto ai suoi omologhi europei – spiega il Ceo di MyMeta – Ad esempio, molte aziende italiane hanno ancora una gestione manuale dei processi, piuttosto che automatizzati tramite l’uso di tecnologie digitali. Rispetto a Paesi come gli Usa e la Cina, che da anni investono in innovazione, in tecnologia e in infrastrutture l’Italia ha ancora molte aree in cui la digital transformation è limitata. Purtroppo ci sono ancora regioni ed aree che viaggiano a ritmi diversi con il nord ed il centro che guidano in termini di investimenti in tecnologie ICT e digitali. Resta forte il gap nord sud sia in termini di competenze digitali, utilizzo e disponibilità dei servizi internet. Detto questo, l’Italia ha notevoli eccellenze in tutte le regioni, ma manca ancora di ‘consistenza’ che renda queste eccellenze parte di un sistema e non delle eccezioni”.

Audi: 43 mld di investimenti in 5 anni, 20 bev entro 2027

Audi: 43 mld di investimenti in 5 anni, 20 bev entro 2027Milano, 16 mar. (askanews) – “Siamo alla vigilia della più grande offensiva di prodotto nella storia di Audi”. Così durante la presentazione dei conti 2022, il Ceo del brand Markus Duesmann che ha quantificato in 43 miliardi di euro gli investimenti nei prossimi 5 anni, di cui 28 miliardi (66%) dedicati all’elettrico e alla digitalizzazione. Esclusa invece al momento la quotazione di Lamborghini: “non è sul tavolo”, ha detto il Cfo, Jurgen Rittersberger.
Entro il 2025 Audi, che controlla anche Lamborghini, Bentley e Ducati, intende lanciare 20 nuovi modelli, di cui 10 elettrici che diventeranno 20 entro il 2027 per avere una versione elettrica in ogni segmento di gamma. Dal 2026 Audi lancerà solo più modelli elettrici, fra cui un nuovo suv “entry level” che si posizionerà sotto la Q4 e-tron, mentre già quest’anno è previsto l’avvio del “phase out” dei motori termici, che usciranno definitivamente di scena entro il 2033. Il prossimo modello bev a debuttare a inizio 2024 è l’atteso Q6 e-tron, il primo a essere costruito sulla piattaforma Ppe (Premium Platform Electric) nello storico stabilimento di Ingolstadt dove si produrranno anche le batterie.
“La crescita delle vendite di Bev del 44% nel 2022 (118mila unità, il 7,2% del totale) conferma che siamo sulla strada giusta. Il trend prosegue anche nei primi 2 mesi dell’anno con un +40%, nonostante la fine degli incentivi in alcuni mercati, come in Germania dove abbiamo comunque raccolto 20mila ordini per il Q8 e-tron”, afferma Duesmann.
Anche le vendite degli altri modelli sono cresciute in gennaio e febbraio: +16% in Europa, +41% negli Usa e +4% in Cina, dove aumenteranno con l’arrivo del Q8 e del Q6 e-tron. Forte di questi numeri, Dusmann si è detto “molto ottimista”, di centrare i target per l’intero anno, anche se ci saranno ancora problemi legati a chip e logistica. Gli obiettivi 2023 prevedono consegne fra 1,8-1,9 milioni di veicoli, ricavi di 69-72 miliardi di euro e un margine sulle vendite del 9-11%.
A livello di mercati, Audi punterà molto sugli Stati Uniti dove potrebbe aprire un impianto produttivo per auto elettriche sfruttando l’Ira, l’Inflation Reduction Act da 430 miliardi di dollari. “L’Ira non si può ignorare, l’Ue deve dare una risposta che non sia protezionistica: entro l’anno prenderemo una decisione. L’Europa rimane centrale, ma i costi per lo sviluppo dei veicoli elettrici sono enormi e sono aumentati con il caro energia: servono politiche per la riduzione dei prezzi dell’energia e per l’approvvigionamento di materie prime per le batterie”, ha detto Dusmann.
Sullo stop al termico nel 2035, Dusmann ha ribadito che “c’è il rischio che i target al 2030 e al 2035 siano messi in discussione, ma la priorità è fare chiarezza per le case auto, ma anche per i clienti che devono sapere cosa comprare”. Negativo invece il commento sull’Euro 7: “servono modifiche, drenerà risorse dagli investimenti per l’elettrico”, mentre sugli e-fuel “sono meno efficienti dell’elettrico, forse sono più utili in settori come il trasporto aereo e marittimo e nel motorsport”. Audi debutterà in F1 nel 2026 quando saranno adottati gli e-fuel e crescerà il ruolo della power unit elettrica: “è un match perfetto: entrambi abbiamo target di sostenibilità molto ambiziosi”.
In Europa oltre al sito di Ingolstadt, Audi punta a rafforzare la produzione anche a Forest in Belgio, dove viene prodotta la Q8 e-tron e in futuro forse anche la Q4 e-tron. Anche in Cina, Audi ha in programma di aumentare la produzione nel sito in partnership con Faw a Changchun, dove saranno realizzati modelli sulla nuova piattaforma Ppe. “La situazione è complessa per questo vogliamo diversificare la produzione nelle aree strategiche: Europa, Cina e Usa”, ha spiegato Dusmann.
Quanto al 2022 Audi ha registrato un calo delle consegne del 3% a 1,64 milioni di unità. A pesare soprattutto la flessione in Cina (-7,8% a 647mila unità), principale mercato di Audi, causa chip e lockdown. I ricavi però sono aumentati del 16,4% a 61,8 miliardi di euro grazie all’aumento dei prezzi di vendita, al consolidamento di Bentley e alle performance “record” di Lamborghini e Ducati. Il risultato operativo è aumentato del 37% a 7,6 miliardi pari a un margine del 12,3%, mentre il cash flow è diminuito del 38% a 4,8 miliardi (secondo miglior risultato di sempre) a causa dell’aumento delle scorte per garantire disponibilità di prodotto e per gli investimenti in Cina.
Fra i brand il Cfo di Lamborghini Paolo Poma ha detto di aspettarsi “un altro anno record in occasione del 60esimo anniversario del brand, anche grazie al lancio della prima plug-in, l’erede dell’Aventador”. Numeri record anche per Bentley che ha registrato un risultato operativo in crescita dell’82% a 708 milioni. “Brexit continua a pesare, in particolare sulla logistica, ma abbiamo un portafoglio prodotti molto forte”, ha detto il Cfo Jan-Henrik Lafrentz.
Ducati invece, nell’anno della vittoria in Moto Gp con Francesco Bagnaia, ha superato per la prima volta 1 miliardo di euro di ricavi (+24%), con un margine record del 10%. Per Ducati prosegue la strategia di aprire punti vendita presso i dealer Audi con l’obiettivo di arrivare a 100 entro il 2024. Sul fronte dell’elettrificazione, Ducati debutterà come fornitore del campionato di moto elettrico MotoE “ci servirà come laboratorio per lo sviluppo della prima elettrica che arriverà entro la fine del decennio. Ad oggi il punto debole sono le batterie”, ha detto il Cfo, Henning Jens.

Piazza Affari realizza parziale rimbalzo con europee, Ftse Mib +1,38%

Piazza Affari realizza parziale rimbalzo con europee, Ftse Mib +1,38%

Spread Btp-Bund in area 191 pb. Balzo di Webuild (+12%) dopo conti e piano

Milano, 16 mar. (askanews) – Dopo il crollo di ieri, Piazza Affari conclude con un parziale rimbalzo una seduta in altalena, dominata dalla volatilità. L’indice Ftse Mib ha chiuso con un guadagno dell’1,38% a 25.918,76 punti, mentre l’All Share è salito dell’1,49% a 28.091,10 punti. Recuperi, in alcuni casi più corposi, anche per le altre Borse del vecchio Continente: +1,63% Francoforte, +0,90% Londra, +2,03% Parigi, +1,45% Madrid, +1,96% Zurigo. Lieto finale favorito anche dall’intonazione decisamente positiva di Wall Street.
A livello europeo – dopo le rassicurazioni giunte dalle svariate Autorità interessate – sembrano al momento superate le paure di un possibile contagio sistemico a livello bancario, sia in rapporto al caso del fallimento dell’istituto Usa SVB, sia in relazione alle difficoltà della svizzera Credit Suisse. Quanto all’attesa riunione odierna della Bce, l’esito ha confermato le previsioni e ciò che la stessa Eurotower aveva preannunciato, ovvero la decisione di aumentare i tassi di 50 punti base. Con una certa reazione iniziale negativa dei mercati (che in fondo in fondo speravano in un ravvedimento ‘dovish’), poi riassorbita dalle nuove scommesse sulle prossime mosse di politica monetaria, dato che Lagarde ha lasciato aperte le speranze vista l’incertezza del quadro in merito alle prospettive di inflazione.
Tra i titoli a maggior capitalizzazione di piazza Affari, si sono distinti in particolare Iveco (+5,73%), Saipem (+3,95%), Moncler (+4,3%), Italgas (+4,2%). Ribassi solo per Tim (-1%), Eni (-1,2%), Mediobanca (-0,4%). Sul listino completo, Webuild ha messo a segno un balzo del 12,10% a 1,77 euro alla luce della diffusione dei risultati 2022 e dell’aggiornamento del piano industriale.
Sul fronte dei titoli di Stato, lo spread tra i rendimenti di Btp e Bund decennali si è attestato in area 191 punti base, con il rendimento del decennale italiano al 4,15% e quello del suo omologo tedesco al 2,24%.

Formaggi “+ che svizzeri”: così i grandi chef li celebrano nei loro piatti

Formaggi “+ che svizzeri”: così i grandi chef li celebrano nei loro piattiMilano, 16 mar. (askanews) – Sono la bandiera della cultura gastronomica, e non solo, della Svizzera. I formaggi elvetici rappresentano un patrimonio di valori e gusto, particolarmente apprezzato dal nostro Paese, che attraverso le mani e l’ingegno di sei chef italiani sono diventati anche i protagonisti di alcuni dei loro piatti in occasione di una cena organizzata a Milano per il lancio della nuova campagna di comunicazione, più che svizzeri, ideata da CHILD The Agency:
“Come i formaggi svizzeri sono fatti dai nostri mastri casari con un saper fare, una meticolosità, cura e amore in quello che svolgono – ha detto Giovanna Frova, country manager Switzerland cheese marketing Italia – allora abbiamo voluto associare questi sei formaggi a sei chef protagonisti del panorama italiano i quali hanno la capacità di creare un loro piatto e di associare un formaggio svizzero che darà qualcosa in più a un piatto che loro amano”.
In linea con il tema della campagna, ispirato all’iconica croce della bandiera svizzera reinterpretata come un segno più, questi formaggi divengono i portavoce di quella “swissness” che altro non è che l’insieme dei valori e delle caratteristiche tradizionalmente associati alla Svizzera
“I formaggi svizzeri vengono davvero da una grande tradizione ma parliamo anche di innovazione – ha detto – e questo si vede in molta parte della filiera basti pensare che abbiamo un ingrediente segreto, un dna sequenziato per cui i batteri utilizzati hanno il dna sequenziato ovvero, si può andare a capire se c’è una contraffazione quindi vediamo come l’arte e il gesto del casaro si unisce a una innovazione”.
Nella cena milanese i sei formaggi simbolo della tradizione casearia svizzera sono stati adottati da altrettanti chef italiani che hanno portato in tavola uno dei loro piatti con un valore aggiunto in più, il formaggio svizzero scelto. Niko Romito ad esempio ha optato per un toast preparato con Emmentaler DOP, mentre Gianluca Gorini ha portato i cappelletti ripieni di Sbrinz DOP.
“Prendere questo formaggio fonderlo in un certo modo, inserirlo all’interno di un pane che avesse delle caratteristiche ben precise di grande personalità, di grandi profumi era come unire due territori – ha spiegato Niko Romito, chef de Il Reale – l’Abruzzo di montagna e la Svizzera quindi la bellezza dei dei grani antichi dei profumi e il profumo del formaggio della Svizzera di quei territori, di quei pascoli incontaminati”. “Il piatto che presento – ha detto dal canto suo Gianluca Gorini, chef e patron di Da Gorini – è un cappelletto ripieno di una fonduta di Sbrinz fondamentalmente il valore aggiunto è la purezza e l’eleganza che riusciamo a dare al cappelletto che vengono bilanciate da una speziatura leggera col macis e una scorza di limone marinato”.
Insieme a Romito e Gorini, a valorizzare i formaggi svizzeri anche gli chef Davide Caranchini con i suoi ravioli ripieni di patate e Raclette Suisse, Stefano Vola e la pizza al Tete de Moine DOP, Antonio Guida con la triglia avvolta in foglia di bieta e tartare di calamari all’Appenzeller e Luigi Taglienti col Thermidor a Le Gruyère DOP. Un binomio con l’alta ristorazione che rafforza il posizionamento premium di questi formaggi, già cardine dell’economia elvetica:
“I formaggi svizzeri – ha concluso Frova – sono sicuramente uno dei comparti più importanti dell’economia svizzera, basti pensare che in Svizzera se ne producono circa 207mila tonnellate e di questi circa l’82% di questi vanno in Europa. Possiamo immaginare mucche, contadini e famiglie intere dedicate a quello che è un mestiere centenario che le famiglie di casari si tramandano di padre in figlio, quindi diciamo è parte dell’economia ma anche della cultura del folklore della Svizzera”.
L’Italia è al il secondo mercato dopo la Germania per importazioni di formaggio svizzero mentre è al primo posto nell’import del suo prodotto locomotiva: l’Emmentaler Dop che rappresenta il 55,4% del totale esportato. Il re dei formaggi svizzeri ha una penetrazione dell’82% con 5.700 tonnellate (+3,8% verso l’anno precedente, in un comparto denominato “formaggi con i buchi” che perde 3% e in un mercato totale in calo del -2,7%).

Fareambiente: avanti con nucleare per indipendenza energetica Italia

Fareambiente: avanti con nucleare per indipendenza energetica ItaliaRoma, 16 mar. (askanews) – “La notizia dell’apertura di Enel alla ricerca sul nucleare, come tecnica di produzione verde e pulita per l’energia, è sicuramente una buona notizia”. Lo scrive in una nota il prof. Vincenzo Pepe, presidente di FareAmbiente.
“Un’esigenza evidente – spiega Pepe – soprattutto a seguito degli sconvolgimenti relativi all’ultimo anno, che dimostrano l’importanza di scelte strategiche di lungo periodo capaci di contribuire all’indipendenza energetica di ogni Stato membro dell’Unione europea. L’energia nucleare è una delle fonti di generazione con le minori emissioni di CO2, che consente anche un’ottimale programmabilità della produzione. In particolare – prosegue il prof. Pepe, esperto di politiche energetiche e leader dell’ambientalismo ragionevole in Italia – gli small modular reactor, reattori nucleari a fissione di piccole dimensioni, possiedono caratteristiche di sicurezza molto elevate, richiedono investimenti contenuti e possono essere utilizzati per produrre energia elettrica e termica, rispondendo in modo versatile alle esigenze del sistema elettrico e dei territori”.
“Auspichiamo che il governo Meloni porti avanti la battaglia per la ricerca sul nucleare, ampliando gli orizzonti del nostro Paese, affinché non sia più succube delle strategie energetiche di altre nazioni”, conclude.