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Bce chiude il 2024 con una perdita di bilancio da 8 mln di euro

Bce chiude il 2024 con una perdita di bilancio da 8 mln di euroRoma, 20 feb. (askanews) – La Banca centrale europea ha riferito di aver chiuso il 2024 con una perdita di bilancio di 7,944 milioni di euro, sostanzialmente analoga alla perdita da 7,886 milioni del 2023. Ma se nel 2023 questo rosso era stato in parte compensato da accantonamenti precedentemente effettuati, nel 2024 non vi erano residui da utilizzare a questo fine. La Bce chiarisce che la perdita, peraltro di un ammontare marginale rispetto alla mole del suo bilancio, è ininfluente ai fini della conduzione della politica monetaria.


Quindi, con un comunicato, l’istituzione spiega che anche la perdita 2024, così come il rosso residuo del 2023 (1,26 milioni) resterà in bilancio nella prospettiva di essere compensata da profitti futuri. Conseguentemente, la Bce non distribuirà dividendi alle banche centrali nazionali che fanno parte dell’Eurosistema relativamente all’anno 2024.


L’istituzione di Francoforte ricorda che la perdita giunge dopo molti anni di consistenti profitti collegati alle operazioni effettuate dalla stessa Bce e dalle altre banche centrali (soprattutto gli acquisti di titoli pubblici) per perseguire l’obiettivo di stabilità dei prezzi. La Bce imputa la perdita 2024 prevalentemente alle spese per interessi correlate “agli impieghi sul sistema Target, che sono state remunerate al tasso delle principali operazioni di rifinanziamento (Mro) salito al 4,1%” sulla media 2024 rispetto al 3,8% del 2023. L’istituzione riporta anche un aumento molto consistente delle spese sul personale a 844 million, a fronte di 676 milioni nel 2023 “prevalentemente a causa dei maggiori costi sui benefit correlati al piano pensionistico”.


La Bce aggiunge che potrebbe registrare altre perdite negli anni future che se dovesse accadere queste saranno comunque inferiori a quelle di 2023 e 2024. Successivamente torna di contare in utile.

Fps: nel 2024 italiani hanno speso 138 mld su salute e assistenza

Fps: nel 2024 italiani hanno speso 138 mld su salute e assistenzaRoma, 20 feb. (askanews) – La spesa privata degli italiani per il “welfare familiare” (salute e assistenza ad anziani e disabili) nel 2024 è stata di circa 138 miliardi di euro, ovvero quasi 5.400 euro per ciascun nucleo. Un impegno consistente, che colma il vuoto lasciato in molti settori dall’intervento pubblico, nonostante il fatto che la Penisola sia al secondo posto in Europa per la spesa sociale, con circa 620 miliardi di euro, pari al 30% del prodotto interno lordo.


Lo rileva il rapporto annuale della Fondazione per la Sussidiarietà (Fps), “Sussidiarietà e… welfare territoriale”, presentato oggi a Roma al Centro Convegni Carlo Azeglio Ciampi della Banca d’Italia. All’incontro, aperto dal governatore di Bankitalia, Fabio Panetta, intervengono Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà, Lilia Cavallari, presidente Ufficio Parlamentare di Bilancio, Francesco Maria Chelli, presidente Istat, Pierciro Galeone, Direttore Ifel, Daria Perrotta, Ragioniere Generale dello Stato, e Lorenza Violini, professoressa di Diritto Costituzionale all’Università degli Studi di Milano. “Investire sullo stato sociale, sulla sua universalità e inclusività, non è solo un dovere di solidarietà verso i più fragili, ma significa anche costruire società più coese, sistemi più resilienti e una crescita economica più stabile”, sostiene Giorgio Vittadini, Presidente di FpS, “È venuto il momento di rinnovare il patto sociale che ci unisce, con la cultura della sussidiarietà, che è ricerca del bene comune attraverso la messa a sistema del contributo di tutti. Più società e più Stato insieme”.


Il Rapporto analizza il welfare italiano, in particolare quello territoriale, ovvero l’insieme dei servizi sociali di competenza dei Comuni che comprendono l’assistenza verso anziani, famiglie e soggetti minori in stato di bisogno, disabili, soggetti affetti da dipendenza, indigenti, persone emarginate dal lavoro. Povertà e disuguaglianza, che i servizi di welfare sono chiamati a limitare, stanno peggiorando: il 5% delle famiglie possiede il 46% della ricchezza, mentre quasi il 10% della popolazione è in difficoltà. Particolarmente grave la situazione delle famiglie con persone disabili: oltre un quarto (28,4%) è a rischio povertà o esclusione sociale. La ricerca segnala che negli ultimi tre anni una quota significativa (oltre il 67%) di chi ha richiesto assistenza ha incontrato difficoltà o impossibilità di accesso ai servizi del welfare territoriale.


La ricerca segnala la disomogeneità della spesa, con una crescente disparità territoriale tra Nord e Sud, tra aree urbane e periferiche, e tra zone interne e non. L’attuale sistema di welfare non è ben visto dagli italiani. Solo il 38% dei cittadini promuove le politiche per la lotta alla povertà e al disagio sociale. Nel nostro Paese, dice ancora lo studio, le prestazioni pensionistiche (vecchiaia, invalidità e reversibilità) assorbono quasi la metà delle risorse del welfare, mentre alle politiche sociali (famiglie e minori, disabilità e disoccupazione) è destinato meno del 20%. La sostenibilità nel lungo periodo appare critica.

Panetta: solo la crescita potrà garantire pensioni e welfare

Panetta: solo la crescita potrà garantire pensioni e welfareRoma, 20 feb. (askanews) – In Italia “solo crescendo potremo garantire risorse adeguate a pensioni, sanità, istruzione e assistenza sociale”. Lo ha affermato il governatore della Banca d’Italia, Fabio Panetta nel suo intervento in apertura della presentazione del Rapporto sulla sussidiarietà 2023/2024 “Sussidiarietà e welfare territoriale”, della Fondazione Sussidiarietà, ospitata dalla stessa istituzione di Via Nazionale.


“Un’economia forte e produttiva è il fondamento di un welfare equo ed efficace – ha sottolineato – capace di rispondere alle esigenze delle generazioni di oggi e di creare opportunità per quelle di domani”. Secondo Panetta “nei prossimi anni non sarà facile bilanciare una crescente domanda di protezione sociale, soggetta a rapide e imprevedibili evoluzioni, con un’offerta inevitabilmente limitata dai vincoli di finanza pubblica”.


Il tutto mentre i dati “mettono in luce la necessità di una riflessione approfondita sul modello istituzionale dell’offerta di servizi sociali. È fondamentale trovare un equilibrio tra due esigenze: da un lato il decentramento – ha proseguito – che consente di rispondere in modo più preciso ai bisogni specifici dei territori e di adottare misure mirate; dall’altro lato, un solido coordinamento centrale, necessario per garantire un uso appropriato delle risorse e un livello uniforme dei servizi essenziali su tutto il territorio nazionale”. Secondo il numero uno di Bankitalia questo l’equilibrio si può cercare “agendo su due fronti. Il primo riguarda la razionalizzazione della struttura dell’offerta, come messo in luce dal Rapporto, valorizzando la sussidiarietà sia verticale, tra i diversi livelli dello Stato, sia orizzontale – ha detto – coinvolgendo accanto allo Stato anche il mercato e il terzo settore”.


Il secondo ambito di intervento “passa attraverso riforme e investimenti pubblici – ha concluso Panetta – volti ad aumentare la crescita potenziale e la produttività dell’economia”.

Renault, ricavi 2024 +7,4%. Utile netto cala a 800 mln per Nissan

Renault, ricavi 2024 +7,4%. Utile netto cala a 800 mln per NissanRoma, 20 feb. (askanews) – Renault ha chiuso il 2024 con ricavi in crescita del 7,4% rispetto all’esercizio precedente a 56,2 miliardi di euro e con un risultato operativo record di 4,3 miliardi di euro (+15%).


L’utile netto è sceso a 800 milioni di euro a causa dell’impatto di Nissan e della cessione della quota nel costruttore giapponese. Al netto di questo effetto, il risultato netto segna un progresso del 21% a 2,8 miliardi di euro. Il cash flow si è attestato a 2,9 miliardi di euro, 400 milioni in più delle stime, mentre la posizione finanziaria netta è raddoppiata a 7,1 miliardi. Il Consiglio di amministrazione proporrà un dividendo in crescita del 19% rispetto al 2023 a 2,20 euro per azione.

Bce, Schnabel: vicini al punto in cui fare pausa o fermare tagli tassi

Bce, Schnabel: vicini al punto in cui fare pausa o fermare tagli tassiRoma, 19 feb. (askanews) – Alla Bce “ci stiamo avvicinando al punto in cui potremmo dover fare una pausa o arrestare i nostri tagli ai tassi di interesse”. Lo ha affermato Isabel Schnabel, l’esponente tedesca che siede nel Comitato esecutivo della Bce in una intervista al Financial Times.


Interpellata sulla remota ipotesi di futuri rialzi, risponde invece “No. Questo lo escluderei”. Il punto, secondo Schnabel, è che con le riduzioni già operate al costo del danaro il livello restrittivo della linea monetaria “si è ridotto in maniera rilevante, in misura tale che non possiamo affermare in maniera risoluta che la nostra linea resti restrittiva”. L’economista spiega che in questo ambito la Bce guarda attentamente alle indagini presso le banche, che nell’ultima edizione riportavano che 9 istituti su 10 affermano che il livello dei tassi non ha effetti sulla domanda di prestiti, mentre un anno fa un terzo delle banche rispondeva che i tassi frenavano la domanda.


Sul se a marzo bisognerà rimuovere, dal comunicato del Consiglio direttivo, il riferimento alla intonazione restrittiva della linea monetaria – posto che generalmente è atteso un nuovo taglio dei tassi di interesse da 25 punti base – “si tratta di una discussione che avremo” al prossimo direttorio. Ad ogni modo “non bisogna assegnare eccessiva importanza a differenze dell’ordine di 25 punti base”. Dato che non è più chiaro se la politica monetaria sia ancora restrittiva “per me la direzione di marcia non è a sua volta più chiara”, insiste. Peraltro, per quanto riguarda l’inflazione, i recenti rialzi dei prezzi dell’energia sono un fattore da “monitorare attentamente. Secondo me – dice ancora Schnabel – i rischi sulle nostre prospettive di inflazione si sono in qualche misura mossi verso il rialzo. Quindi non escluderei che l’inflazione torni al 2% più tardi di quanto abbiamo anticipato. Ma questo resta da verificare”.


Il quotidiano la subissa di domande sul concetto “tasso di interesse naturale” (R*), ovvero il livello del costo del denaro compatibile con una inflazione stabile in una economia che funziona a piena capacità. Secondo Schnabel il concetto ha rilevanza dal punto di vista analitico e accademico, ma è circondato da incertezza: alla Bce “sappiamo che ne sappiamo davvero poco”. E comunque “non può essere in alcun modo una guida affidabile per la politica monetaria” del giorno per giorno. (fonte immagine: ECB 2024).

Titoli Stato, Btp più raccoglie altri 3,7 mld. Adesioni a 9,3 mld

Titoli Stato, Btp più raccoglie altri 3,7 mld. Adesioni a 9,3 mldRoma, 18 feb. (askanews) – Il Btp più raccoglie altri 3,7 miliardi di euro con circa 113mila contratti al termine del secondo giorno di collocamento, portando il totale delle adesioni dall’apertura delle sottoscrizioni a circa 9,3 miliardi di euro.


Il titolo, dedicato al mercato retail, ha una cedola minima del 2,80% per i primi 4 anni che sale al 3,60% per i successivi 4 anni ed un’opzione di rimborso anticipato alla fine del quarto anno, dell’intero capitale investito o anche solo di una sua quota. Il collocamento del titolo proseguirà fino a venerdì alle 13, salvo chiusura anticipata.

Draghi insiste: emissioni di debito comune necessarie per l’Ue

Draghi insiste: emissioni di debito comune necessarie per l’UeBruxelles, 18 feb. (askanews) – L’Ue ha bisogno di nuove emissioni di debito comune per finanziare gli investimenti che sono necessari per la propria economia nei prossimi anni; e ha bisogno allo stesso tempo anche di liberare tutta la potenzialità di finanziamento delle imprese attraverso gli investimenti dei capitali privati, invece di continuare ad affidarsi soprattutto ai prestiti bancari. E per questo deve completare il mercato unico nelle aree in cui non è stato ancora completamente realizzato, in particolare con l’Unione nei mercati dei capitali.


Sono tra i punti più importanti su cui ha insistito Mario Draghi durante il suo intervento oggi al Parlamento europeo a Bruxelles, per la Settimana parlamentare europea 2025, e poi durante le sue repliche ai deputati nel dibattito che ne è seguito. “Le esigenze di finanziamento” dell’Ue nei prossimi anni “sono enormi: 750-800 miliardi di euro all’anno è una stima prudente”, ha indicato Draghi, riportando le conclusioni del suo Rapporto sul futuro della Competitività europea, pubblicato nel settembre scorso. “Per aumentare la capacità di finanziamento, la Commissione propone una razionalizzazione degli strumenti di finanziamento dell’Ue, che è benvenuta. Ma – ha lamentato nel suo primo intervento – non ci sono piani per nuovi fondi Ue”.


La questione dei finanziamenti necessari è stata sollevata da molti deputati durante il dibattito. “Ci sono diverse cose che si possono dire a riguardo. Lasciatemi premettere – ha detto Draghi nella sua replica – che la cifra che ho indicato, di 750-800 miliardi di euro di investimenti necessari è una stima prudente. In realtà potrebbe essere ancora maggiore, se pensiamo che non ci sono investimenti per la mitigazione del cambiamento climatico e per altri obiettivi importanti”. “Ma quella cifra viene stimata in base a come stanno le cose oggi. E in questo caso – ha sottolineato -, dobbiamo emettere debito comune. Questo è ciò che dice il Rapporto. E questo debito comune deve essere, per definizione, sovranazionale, perché alcuni paesi avranno spazio di bilancio, ma non abbastanza per perseguire questi obiettivi”, e questo vale “anche per i paesi più grandi, mentre altri paesi non hanno affatto spazio di bilancio”.


Purtroppo però, com’è noto diversi Stati membri sono contrari all’emissione di nuovo debito comune. “Si dice no al debito pubblico. Si dice no al mercato unico. Si dice no alla creazione di un’Unione dei mercati dei capitali”, ha constatato Draghi. Ma, ha continuato, “non si può dire no a tutto. Altrimenti, si deve anche ammettere, per essere coerenti, che non si è in grado di realizzare i valori fondamentali per cui questa Unione europea è stata creata. Quindi quando mi si chiede che cosa è meglio, cosa è meglio fare ora, io dico: non ne ho idea, ma fate qualcosa”. “Riguardo alla paura di creare debito pubblico – ha aggiunto l’ex presidente della Bce rivolto ai deputati della Settimana parlamentare europea -, lasciate che vi ricordi un’altra cosa. Se guardate agli ultimi 15, 20 anni, il governo degli Stati Uniti ha iniettato nell’economia più di 14 mila miliardi di dollari, e noi sette volte meno. Questo deve aver prodotto qualche differenza. E mostra anche che, se si vuole crescere di più, forse a volte c’è bisogno anche di denaro pubblico; e si devono anche creare le condizioni affinché il denaro privato sia produttivo. Questa è l’essenza del Rapporto”.


E proprio su questo punto, Draghi ha insistito sulla necessità di realizzare le riforme necessarie per unificare davvero il mercato unico nei settori in cui non è ancora stato realizzato, e in particolare con l’Unione dei mercati dei capitali. “È molto importante che la realizziamo”, ha detto. E poi ne ha precisato le ragioni: “Siamo abituati a discutere dell’Unione dei mercati dei capitali da un punto di vista bancario, perché le banche vogliono consolidarsi e pensano che sia difficile nell’attuale situazione di mercati dei capitali frammentati. Ma in realtà non è il motivo principale per cui dovremmo preoccuparci dell’Unione dei mercati dei capitali. Ci sono almeno due altri motivi”.Il primo motivo, ha spiegato, “è finanziare l’innovazione. Il motivo per cui i prestiti bancari non sono adatti a finanziare l’innovazione è che di solito i progetti innovativi hanno un lungo periodo di gestazione e rendimenti altamente incerti. Quindi è molto difficile finanziare questi progetti con il debito” bancario. “E per di più, le Pmi di nuova creazione non hanno soldi per ripagare i debiti. Pensiamo alle più grandi aziende nel settore digitale, negli Stati Uniti, che non hanno nemmeno avuto dividendi per molti, molti anni. Pensiamo ad Amazon. Quindi c’è bisogno di capitale (‘equity’, ndr) per avere l’innovazione”. “A questo proposito – ha indicato Draghi -, abbiamo alcuni paesi in Europa, come la Svezia, in cui effettivamente la maggior parte del finanziamento è fornita dai mercati dei capitali, il 70%, e solo il 30% è fornito dai prestiti bancari. Ma poi, quando si arriva ai grandi paesi centrali in Europa, come Germania, Francia, Italia, Spagna, allora si vede l’opposto: il 70% da prestiti bancari, il 30% dai mercati dei capitali. Insomma, l’Unione del mercato dei capitali è molto importante per questo motivo, perché si vuole anche cambiare la composizione dei finanziamenti” delle imprese. “E poi c’è un altro motivo, che non ha necessariamente a che fare con le banche: se si guarda alle famiglie, la loro ricchezza media è cresciuta tre volte più velocemente negli Stati Uniti” rispetto all’Europa. “In altre parole – ha rilevato l’ex premier italiano -, siamo più poveri, molto più poveri, ma risparmiamo il doppio di quanto fanno negli Stati Uniti. Quindi – ha ribadito – risparmiamo molto di più e siamo più poveri. Ecco perché si vuole creare una situazione in cui le persone possano risparmiare e ottenere un tasso di rendimento più elevato. I nostri risparmi vanno negli Stati Uniti perché lì hanno un tasso di rendimento più elevato. Quindi cosa possiamo fare se non cercare di aumentare il tasso di rendimento di questo continente?”. Draghi infine, ha ricordato che il suo rapporto “è stato pubblicato all’inizio di settembre; e l’ultima volta che mi sono rivolto al Parlamento europeo ne ho sostanzialmente delineato le linee principali. Oggi, cinque mesi dopo, che cosa è cambiato? Abbiamo discusso: cosa ricaviamo da questa discussione? Che quello che c’è nel Rapporto è ancora più urgente di quanto non fosse cinque mesi fa. E questo è tutto”. “Spero che la prossima volta, se mi inviterete – ha continuato rivolto ai deputati -, potremo discutere di ciò che è stato fatto, effettivamente attuato” riguardo alle raccomandazioni del Rapporto. “Siamo in una situazione molto difficile ora, abbiamo i nostri valori, abbiamo opinioni diverse. Ma non è il momento di sottolineare queste differenze. Ora è il momento di sottolineare il fatto che dobbiamo lavorare insieme, sottolineare ciò che ci accomuna. E ciò ci accomuna sono i valori fondanti dell’Unione europea. E dobbiamo sperare, e dobbiamo lavorare per questi valori”, ha concluso.

Draghi: le sfide ora sono aumentate, l’Ue risponda unita

Draghi: le sfide ora sono aumentate, l’Ue risponda unitaBruxelles, 18 feb. (askanews) – Negli ultimi mesi sono aumentate ulteriormente le sfide per l’Ue ed è ancora maggiore l’urgenza di trovare una risposta adeguata e unitaria a queste sfide, in particolare l’innovazione tecnologica in cui l’Europa è rimasta indietro, i prezzi del gas due o tre volte maggiori che nelle altre grandi economie, e la nuova situazione in Usa con i dazi minacciati dall’Amministrazione Trump, che si aggiunge al già difficile confronto geopolitico con la Cina.


Lo ha detto Mario Draghi durante il suo discorso oggi al Parlamento europeo a Bruxelles, per la Settimana parlamentare europea 2025. Da quando è stato pubblicato il suo rapporto sul futuro della competitività europea, ha osservato, “i cambiamenti che hanno avuto luogo sono ampiamente in linea con le tendenze che vi erano state delineate. Ma il senso di urgenza per intraprendere il cambiamento radicale che il rapporto sosteneva è diventato ancora più forte”. “Innanzitutto – ha ricordato Draghi -, il ritmo dei progressi nell’intelligenza artificiale ha accelerato rapidamente. Abbiamo visto modelli di frontiera raggiungere quasi il 90% di accuratezza nei test di riferimento per il ragionamento scientifico, superando i punteggi degli esperti umani. Abbiamo anche visto modelli diventare molto più efficienti, con costi di formazione in calo di un fattore dieci e costi di inferenza (la capacità dell’IA di “apprendere” di fronte a situazioni nuove, ndr) di un fattore di oltre venti. Per ora, la maggior parte dei progressi sta ancora avvenendo al di fuori dell’Europa. Otto degli attuali primi dieci grandi modelli linguistici sono stati sviluppati negli Stati Uniti, mentre gli altri due provengono dalla Cina. Ogni giorno che ritardiamo, la frontiera tecnologica si allontana da noi, ma il calo dei costi è anche un’opportunità per noi di recuperare più velocemente”.


“In secondo luogo – ha continuato l’ex presidente della Bce -, i prezzi del gas naturale rimangono altamente volatili, in aumento di circa il 40% da settembre, e i margini sulle importazioni di Gnl dagli Stati Uniti sono aumentati in modo significativo dall’anno scorso. Anche i prezzi dell’energia sono generalmente aumentati in tutti i paesi e sono ancora 2-3 volte più alti di quelli degli Stati Uniti. E abbiamo visto il tipo di tensioni interne che potrebbero sorgere se non agiamo con urgenza per affrontare le sfide create dalla transizione energetica”. “Terzo, quando è stato scritto il rapporto, il tema geopolitico principale era l’ascesa della Cina. Ora – ha rilevato l’ex premier italiano -, l’Ue dovrà affrontare i dazi della nuova Amministrazione statunitense nei prossimi mesi, ostacolando il nostro accesso al nostro più grande mercato di esportazione. Inoltre, i dazi statunitensi più elevati sulla Cina reindirizzeranno la sovracapacità cinese in Europa, colpendo ulteriormente le aziende europee. In effetti – ha avvertito -, le grandi aziende dell’Ue sono più preoccupate per questo effetto che per la perdita di accesso al mercato statunitense. Potremmo dover anche affrontare politiche ideate per attrarre le aziende europee a produrre di più negli Stati Uniti, basate su tasse più basse, energia più economica e deregolamentazione”.


“Per far fronte a queste sfide – ha sottolineato Draghi – , è sempre più chiaro che dobbiamo agire sempre di più come se fossimo un unico Stato. La complessità della risposta politica che coinvolge ricerca, industria, commercio e finanza richiederà un livello di coordinamento senza precedenti tra tutti gli attori: governi e parlamenti nazionali, Commissione e Parlamento europeo”. Inoltre, “questa risposta deve essere rapida, perché il tempo non è dalla nostra parte, con l’economia europea che ristagna mentre gran parte del mondo cresce. La risposta deve essere commisurata alla portata delle sfide. E deve essere focalizzata sui settori che guideranno un’ulteriore crescita. Velocità, scala e intensità saranno essenziali”. “Dobbiamo creare le condizioni affinché le aziende innovative crescano in Europa anziché rimanere piccole o trasferirsi negli Stati Uniti. Ciò significa – ha sottolineato Draghi – abbattere le barriere interne, standardizzare, armonizzare e semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato dei capitali più basato sul capitale azionario”.


L’ex presidente della Bce ha poi insistito sulla necessità di abbassare i prezzi dell’energia, ciò che “è diventato imperativo non solo per le industrie tradizionali, ma anche per le tecnologie avanzate. Si stima che il consumo di energia dei data center in Europa sarà più che triplicato entro la fine del decennio. Ma è anche sempre più chiaro – ha aggiunto – che la decarbonizzazione stessa può essere sostenibile solo se i suoi benefici vengono anticipati”. Il suo rapporto sulla competitività, ha ricordato Draghi, “identifica una serie di ragioni per gli alti prezzi dell’energia in Europa, oltre al fatto che l’Ue non è un importante produttore di gas naturale: il coordinamento limitato dell’approvvigionamento di gas naturale, il funzionamento del mercato energetico, i ritardi nell’installazione di capacità rinnovabili, reti sottosviluppate, elevata tassazione e alti margini finanziari. Questi e altri fattori – ha rilevato ancora – sono tutti di nostra creazione e pertanto possono essere cambiati se abbiamo la volontà di farlo. Il rapporto propone diverse misure a questo proposito: riforma del mercato energetico, maggiore trasparenza nel commercio di energia, uso più esteso di contratti energetici a lungo termine e acquisti a lungo termine di gas naturale e massicci investimenti in reti e interconnessioni. Richiede inoltre non solo un’installazione più rapida delle energie rinnovabili, ma anche investimenti nella generazione di base pulita e soluzioni flessibili a cui possiamo ricorrere quando le energie rinnovabili non generano energia”. Infine, il rapporto Draghi, afferma il suo autore, “affronta diverse vulnerabilità dell’Europa, una delle quali è il nostro sistema di difesa, dove la frammentazione della capacità industriale lungo linee nazionali impedisce la scala necessaria. Anche se siamo collettivamente al terzo posto al mondo per la spesa per la difesa, non saremmo in grado di aumentarla attraverso la nostra capacità produttiva. I nostri sistemi di difesa nazionali non sono né interoperabili né standardizzati in alcune parti chiave della catena di fornitura. Questo – ha concluso l’ex presidente della Bce – è uno dei tanti esempi in cui l’Ue è inferiore alla somma delle parti”.

Draghi: sull’innovazione l’Ue spesso è il peggior nemico di sé stessa

Draghi: sull’innovazione l’Ue spesso è il peggior nemico di sé stessaRoma, 18 feb. (askanews) – Sull’innovazione nell’Unione europea “spesso siamo il nostro peggiore nemico”. Lo ha affermato l’ex presidente del Consiglio e della Bce, Mario Draghi nel suo intervento oggi al Parlamento europeo.


“Dobbiamo creare condizioni affinché le imprese innovative crescano in Europa, piuttosto che restare piccole o trasferirsi negli Stati Uniti. Questo – ha detto Draghi – significa ridurre le barriere interne, standardizzare, armonizzare, semplificare le normative nazionali e spingere per un mercato che sia più basato sul capitale azionario”. Ed è su questo che secondo l’ex premier l’Europa spesso è il peggior nemico di sè stessa. “Abbiamo un mercato interno di dimensioni simili a quello degli Stati Uniti. Abbiamo il potenziale per fare leva sulle economie di scala. Ma il Fondo monetario internazionale stima che le nostre barriere interne siano equivalenti a dazi del 45% circa sul manufatturiero del 110% sui servizi”.


Inoltre nella Ue “abbiamo scelto un approccio regolamentare che ha dato priorità alla cautela a discapito dell’innovazione, specialmente nel settore digitale. Ad esempio sul Gdpr (il regolamento Ue sulla tutela dei dati personali) si stima che abbia aumentato i costi dei dati del 20% per le imprese europee”. Inoltre in Europa “abbiamo anche a disposizione risparmi che potrebbero essere utilizzati per finanziare l’innovazione. Ma con alcune eccezioni di rilievo l’innovazione fa ricorso al finanziamento bancario, che generalmente non è adatto per questi compiti. E si finisce che oltre 300 miliardi di risparmi vadano ogni anno all’estero – ha affermato – perché qui mancano opportunità”.

Ecofin, presidenza Ue polonia spinge per aumentare spese in difesa

Ecofin, presidenza Ue polonia spinge per aumentare spese in difesaRoma, 18 feb. (askanews) – La presidenza di turno dell’Unione europea, occupata dalla Polonia, spinge a tutta forza sull’aumento delle spese per la difesa. “Dobbiamo spendere di più in difesa, è chiaro a tutti. Come presidenza di turno della Ue spingiamo per aumentare le spese in difesa. Dobbiamo spendere il più possibile in difesa”. Così il ministro delle Finanze polacco, Andrzej Domanski, si è presentato alla riunione dell’Ecofin che presiede.


Ha anche fatto un brevissimo accenno sulla competitività europea, affermando che appoggia il piano per una “bussola” Ue annunciato dalla Commissione. Ma subito è tornato su tematiche legate alla guerra in Ucraina affermando che bisogna lavorare “al 16º pacchetto di sanzioni Ue contro la Russia”. E al fatto che “dobbiamo contrastare l’aggiramento delle sanzioni e agire rapidamente in questo ambito”. La necessità di aumentare le spese per la difesa “è assolutamente chiara a tutti. Sempre più leader europei appoggiano la nostra linea che bisogna aumentare le spese in difesa”, ha proseguito.


E rispetto al dialogo che si è aperto tra Stati Uniti e Russia, con l’obiettivo di mettere fine alla guerra in Ucraina “dobbiamo focalizzarci su una soluzione europea. Riteniamo che la sicurezza sia un bene comune e per questo cerchiamo di convincere i nostri partner europei a spendere di più in difesa – ha detto il ministro polacco – e anche della necessità di creare una industria europea della difesa forte”. “Il nostro lavoro come ministri delle Finanze è quello di assicurare i finanziamenti alle spese militari”, ha insistito. Il tutto preservando “la credibilità delle regole di bilancio europee: è cruciale. Dobbiamo agire in un modo che questa credibilità non ne risulti minata”.