Cripto, Ecofin ratifica obbligo di tracciamento delle transazioniRoma, 16 mag. (askanews) – Il Consiglio Ecofin ha ratificato un quadro di regole applicabile alle cripto-attività, agli emittenti di criptoasset e ai fornitori di relativi servizi, che amplia le misure antiriciglaggio imponendo il tracciamento di tutte le transazioni di criptoasset.
Gli operatori saranno tenuti a raccogliere e rendere accessibili informazioni sulle parti degli scambi in cripo, indipendentemente dall’ammontare delle transazioni. Secondo quanto riporta un comunicato, questo consentirà di identificare meglio le transazioni sospette e di bloccarle. Tecnicamente, il Consiglio ha adottato un regolamento sui mercati delle cripto-attività (MiCA), sulla base di una proposta che era stata presentata dalla Commissione Ue nel settembre 2020, dentro un pacchetto sulla finanza digitale.
“Penso che sia molto importante che troviamo un accordo su questa direttiva, per avere una tassazione giusta sui profitti fatti attraverso i cripto assets, e credo che sia un buon passo avanti nell’aumentare l’equità e trasparenza della tassazione”, ha commentato il commissario europeo all’Economia, Poalo Gentiloni giungendo all’Ecofin. Secondo Elisabeth Svantesson, il ministro delle Finanze della Svezia, il paese che ha la presidenza di turno dell’Ue “i recenti avvenimenti hanno confermato l’urgente necessità di imporre norme che proteggeranno meglio i cittadini europei che hanno investito in tali attività e preverranno l’uso improprio della cripto-industria a fini di riciclaggio o finanziamento del terrorismo”.
Pnrr, Gentiloni: richieste nuovi prestiti da paesi Ue per 150 mldBruxelles, 16 mag. (askanews) – La Commissione europea sta ricevendo dagli Stati membri “richieste sostanziali” di nuovi prestiti nel quadro del Recovery Plan finanziato dal fondo Rrf (Strumento per la ripresa e resilienza), per un valore finora di oltre 150 miliardi di euro. Lo ha riferito oggi a Bruxelles il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, parlando alla stampa al suo arrivo alla riunione del Consiglio Ecofin.
Durante l’Ecofin, ha detto Gentiloni, “avremo il nostro regolare aggiornamento sull’attuazione del dispositivo Rrf. La novità più importante è che abbiamo ricevuto delle richieste sostanziali di nuovi prestiti” da parte degli Stati membri, “per più di 150 miliardi in totale, il che conferma l’importanza di questo strumento”. I prestiti rimanevano ancora disponibili dopo le approvazioni delle prime versioni dei Piani nazionali di ripresa (Pnrr), perché, a differenza dell’Italia, diversi paesi avevano preferito prendere solo le sovvenzioni del “NextGenerationEU”.
Ora altri prestiti possono essere richiesti presentando alla Commissione degli emendamenti ai piani nazionali. E anche gli Stati membri che hanno già richiesto tutta la quota inizialmente prevista per loro (come l’Italia), potranno chiedere nuovi prestiti aggiuntivi con i piani emendati, secondo quanto prevede il programma “REPowerEU”. Inoltre, sarà possibile cambiare i Pnrr originari per adattarli ai cambiamenti intervenuti a seguito della guerra russa in Ucraina, con la crisi energetica e l’impennata dell’inflazione, se le modifiche sono giustificate da “circostanze oggettive”. A chi chiedeva se gli Stati membri potranno usare parte del Pnrr anche per la produzione di munizioni d’artiglieria da consegnare all’Ucraina, o per rimettere al livello normale gli stock nazionali a cui si è attinto per rifornire l’Ucraina, il commissario ha risposto: “Questo è parte delle possibilità a cui stiamo pensando, siamo aperti alle proposte degli Stati membri per adattare i loro obiettivi alle situazioni diverse”.
Più in generale, le modifiche ai piani nazionali si possono fare in base a “ciò che chiamiamo ‘circostanze obiettive’”, ha ricordato Gentiloni. E, ha aggiunto, “c’è anche la possibilità di usare una parte dei fondi della Politica di coesione o, all’opposto, di muovere parte dei programmi del Pnrr verso i programmi di coesione, che hanno una diversa prospettiva perché i programmi di coesione finiscono nel 2029, e non nel 2026”. “Naturalmente – ha continuato il commissario -, questo sarà parte delle proposte di emendamenti dei piani che stiamo discutendo con alcuni paesi, specialmente ora con la Spagna, che ha presentato una grossa proposta di emendamenti, anche perché c’è un alto ammontare di prestiti che ha richiesto. Ma stiamo discutendo anche con altri paesi: penso che riceveremo proposte di emendamenti dal Portogallo piuttosto presto, e speriamo nelle prossime settimane anche dall’Italia”, ha concluso Gentiloni.
Risparmio, Giorgetti: nostro punto di forza da sfruttare per crescitaMilano, 16 mag. (askanews) – Il risparmio “può essere prezioso per sostenere lo sviluppo della nostra economia, un punto di forza del Paese da sfruttare per creare sviluppo durevole”. Lo ha sottolineato il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, nel corso del suo video messaggio inviato per l’apertura del Salone del Risparmio 2023.
“Gli attuali livelli di inflazione e le politiche monetarie restrittive impongono un ripensamento del ruolo dello Stato, che deve selezionare con attenzione gli interventi da perseguire sempre con un occhio agli effetti sulla crescita”, ha spiegato. “Mantenere un profilo di crescita sostenuto richiede di assicurare quantità di risorse pubbliche e private a sostegno degli investimenti delle imprese. L’implementazione dei progetti legati alla realizzazione del Pnrr, in particolare quelli relativi alla doppia transizione digitale ed energetica, potrà sicuramente contribuire a innalzare il potenziale di crescita dell’economia nei prossimi anni, non possiamo però fermarci qui”. “Il clima di incertezza che caratterizza il quadro economico mondiale e la crescita dei tassi di interesse – ha proseguito Giorgetti – potrebbe rallentare la dinamica degli investimenti. Per contrastare queste tendenze è necessario coinvolgere settore privato per rendere produttiva la cospicua quantità di risparmio disponibile, che è una risorsa importante, un punto di forza del Paese da sfruttare per creare sviluppo durevole”.
Ad aprile l’inflazione sale all’8,2% (frena il ‘carrello della spesa’)Roma, 16 mag. (askanews) – L’Istat lima lievemente il dato dell’inflazione di aprile all’8,2%, rispetto l’8,3% della stima iniziale, con un incremento dello 0,4% su base mensile. A marzo, l’inflazione era al 7,6%. L’accelerazione del tasso di inflazione, spiega l’Istat, si deve, in prima battuta, all’aumento su base tendenziale dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (da +18,9% a +26,6%) e, in misura minore, a quelli dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,3% a +6,9%) e dei Servizi vari (da +2,5% a +2,9%). Tali effetti sono stati solo in parte compensati dalla flessione più marcata dei prezzi degli Energetici regolamentati (da -20,3% a -26,7%) e dal rallentamento di quelli degli Alimentari lavorati (da +15,3% a +14,0%), degli Alimentari non lavorati (da +9,1% a +8,4%), dei Servizi relativi all’abitazione (da +3,5% a +3,2%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +6,3% a +6,0%).
L’”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, registra un lieve rallentamento da +6,3% a +6,2%, così come quella al netto dei soli beni energetici, che passa da +6,4% a +6,3%.Si accentua la crescita su base annua dei prezzi dei beni (da +9,7% a +10,4%), e in misura minore quella relativa ai servizi (da +4,5% a +4,8%), portando il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni a -5,6 punti percentuali, da -5,2 di marzo.
I prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona rallentano in termini tendenziali (da +12,6% a +11,6%), mentre quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto accelerano (da +7,6% a +7,9%).L’aumento congiunturale dell’indice generale si deve principalmente ai prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (+2,4%), degli Energetici non regolamentati (+2,3%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,0%), degli Alimentari lavorati, dei Beni non durevoli e dei Servizi vari (tutti e tre a +0,5%); tali effetti sono stati solo in parte compensati dal calo dei prezzi degli Energetici regolamentati (-19,6%).
L’inflazione acquisita per il 2023 è pari a +5,3% per l’indice generale e a +4,5% per la componente di fondo.L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) aumenta dello 0,9% su base mensile, aumento più accentuato rispetto a quello del Nic, a causa della fine dei saldi stagionali (di cui il Nic non tiene conto) prolungatisi in parte anche a marzo. L’Ipca aumenta dell’8,7% su base annua (in accelerazione da +8,1% di marzo); la stima preliminare era +8,8%.
L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi), al netto dei tabacchi, registra un aumento dello 0,3% su base mensile e del 7,9% su base annua.Ad aprile la fase di rientro dell’inflazione si interrompe, principalmente a causa di una nuova accelerazione della dinamica tendenziale dei prezzi dei Beni Energetici non regolamentati, il cui andamento riflette un aumento su base mensile del 2,3% (che si confronta con un -3,9% dell’aprile 2022)”. Lo afferma l’Istat a commento del dato di aprile, all’8,2% su base annua.
“Nel settore alimentare, i prezzi dei prodotti lavorati, come anche quelli dei beni non lavorati, evidenziano un’attenuazione della loro crescita in ragione d’anno – conclude -, che contribuisce al rallentamento dell’inflazione di fondo (che si attesta a +6,2%). Si accentua, infine, la decelerazione su base tendenziale dei prezzi del “carrello della spesa”, che è scesa a +11,6%”.
“I dati definitivi dell`Istat sull`inflazione confermano purtroppo tutti gli allarmi lanciati dal Codacons nelle ultime settimane circa il rialzo dei prezzi al dettaglio in numerosissimi comparti che provoca una stangata pari in media a +2.398 euro annui a famiglia”. Lo scrive il Codacons a commento dei dati sull’inflazione ad aprile.
“La frenata dell`inflazione registrata negli ultimi due mesi si è rivelata una ‘illusione ottica’ dovuta al ribasso delle bollette di luce e gas e, una volta terminato l`effetto calmierante dei beni energetici, il tasso è tornato a salire in modo preoccupante – commenta il presidente Carlo Rienzi -. L`inflazione all`8,2% equivale ad una maggiore spesa pari a+2.398 euro annui per la famiglia “tipo” che sale a +3.106 euro per un nucleo con due figli, stangata causata dalla crescita ancora a ritmi sostenuti di voci come gli alimentari e il carrello della spesa, comparti che segnano rispettivamente +12,1% e +11,6% su base annua, mentre i prodotti ad alta frequenza d`acquisto segnano un +7,9%”.
Fortissime poi le differenze territoriali sul fronte dei prezzi al dettaglio. Il Codacons, sulla base dei dati provinciali diffusi oggi dall`Istat (comuni sopra i 150mila abitanti), ha elaborato la classifica delle città dove l`inflazione cresce di più ad aprile, e le relative ricadute di spesa sulle famiglie in base ai consumi medi dei cittadini residenti. Genova ancora una volta è la città dove l`inflazione cresce di più, con un tasso del 9,7%, fanalino di coda Potenza, dove i prezzi aumentano solo del 5,8% su base annua. A Milano le ricadute più pesanti, con la famiglia “tipo” che a causa dell`inflazione al 9% spende 2.443 euro in più su base annua.
L’inflazione ad aprile riprende a salire all’8,2%Roma, 16 mag. (askanews) – L’inflazione torna a salire ad aprile, interrompendo la fase sua fase discendente. Lo certifica l’Istat che ha comunque rivisto leggermente al ribasso la sua stima iniziale, dall’8,3% all’8,2%. Nel mese precedente, l’inflazione era al 7,6%.
Su base mensile, l’indice dei prezzi ha mostrato ad aprile un incremento dello 0,4%. “Ad aprile – commenta l’Istat – la fase di rientro dell’inflazione si interrompe, principalmente a causa di una nuova accelerazione della dinamica tendenziale dei prezzi dei Beni Energetici non regolamentati, il cui andamento riflette un aumento su base mensile del 2,3% (che si confronta con un -3,9% dell’aprile 2022)”.
“Nel settore alimentare, i prezzi dei prodotti lavorati, come anche quelli dei beni non lavorati, evidenziano un’attenuazione della loro crescita in ragione d’anno – conclude -, che contribuisce al rallentamento dell’inflazione di fondo (che si attesta a +6,2%). Si accentua, infine, la decelerazione su base tendenziale dei prezzi del “carrello della spesa”, che è scesa a +11,6%”. L’accelerazione del tasso di inflazione, spiega l’Istat, si deve, in prima battuta, all’aumento su base tendenziale dei prezzi dei Beni energetici non regolamentati (da +18,9% a +26,6%) e, in misura minore, a quelli dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (da +6,3% a +6,9%) e dei Servizi vari (da +2,5% a +2,9%). Tali effetti sono stati solo in parte compensati dalla flessione più marcata dei prezzi degli Energetici regolamentati (da -20,3% a -26,7%) e dal rallentamento di quelli degli Alimentari lavorati (da +15,3% a +14,0%), degli Alimentari non lavorati (da +9,1% a +8,4%), dei Servizi relativi all’abitazione (da +3,5% a +3,2%) e dei Servizi relativi ai trasporti (da +6,3% a +6,0%).
L’”inflazione di fondo”, al netto degli energetici e degli alimentari freschi, registra un lieve rallentamento da +6,3% a +6,2%, così come quella al netto dei soli beni energetici, che passa da +6,4% a +6,3%. Si accentua la crescita su base annua dei prezzi dei beni (da +9,7% a +10,4%), e in misura minore quella relativa ai servizi (da +4,5% a +4,8%), portando il differenziale inflazionistico tra il comparto dei servizi e quello dei beni a -5,6 punti percentuali, da -5,2 di marzo.
I prezzi dei Beni alimentari, per la cura della casa e della persona rallentano in termini tendenziali (da +12,6% a +11,6%), mentre quelli dei prodotti ad alta frequenza d’acquisto accelerano (da +7,6% a +7,9%). L’aumento congiunturale dell’indice generale si deve principalmente ai prezzi dei Servizi relativi ai trasporti (+2,4%), degli Energetici non regolamentati (+2,3%), dei Servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (+1,0%), degli Alimentari lavorati, dei Beni non durevoli e dei Servizi vari (tutti e tre a +0,5%); tali effetti sono stati solo in parte compensati dal calo dei prezzi degli Energetici regolamentati (-19,6%).
L’inflazione acquisita per il 2023 è pari a +5,3% per l’indice generale e a +4,5% per la componente di fondo.
L’indice armonizzato dei prezzi al consumo (Ipca) aumenta dello 0,9% su base mensile, aumento più accentuato rispetto a quello del Nic, a causa della fine dei saldi stagionali (di cui il Nic non tiene conto) prolungatisi in parte anche a marzo. L’Ipca aumenta dell’8,7% su base annua (in accelerazione da +8,1% di marzo); la stima preliminare era +8,8%.
L’indice nazionale dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (Foi), al netto dei tabacchi, registra un aumento dello 0,3% su base mensile e del 7,9% su base annua.
Aumenta il numero degli statali, ma nei concorsi 2 su 10 poi rinunciano al postoRoma, 16 mag. (askanews) – Dopo l’ennesimo calo registrato nel 2021, a fine 2022 tornano a crescere i dipendenti pubblici in Italia, che raggiungono 3.266.180 unità, il valore il più alto dell’ultimo decennio, +0,8% in un anno. Il segnale positivo di una P.A. che dà segnali di cambiamento e torna ad assumere, ma ha ancora un numero di lavoratori basso (inferiore ai principali paesi europei in proporzione sia alla popolazione che agli occupati), un’età media alta, pochi giovani, poca formazione e una carenza di tecnici e profili specialistici per cogliere le sfide del Pnrr. Nel lavoro pubblico si segnala la crescita del lavoro a tempo determinato, su 100 contratti a tempo indeterminato ce ne sono 15 flessibili, e la difficoltà di reclutamento di fronte a una vera e propria competizione sul talento con il settore privato e tra le stesse amministrazioni. È quanto emerge dall’Indagine sul Lavoro pubblico realizzata da Fpa, società del Gruppo Digital360, presentata questa mattina a Forum Pa 2023 ‘Ripartiamo dalle Persone’, la manifestazione in programma fino al 18 maggio presso il Palazzo dei Congressi di Roma.
La nuova dinamica vede una forte ripresa dei concorsi, ma anche una diminuzione dei candidati e un aumento delle rinunce. Da inizio 2021 a giugno 2022 si sono presentati appena 40 candidati per ogni posto messo a bando, un quinto rispetto ai 200 di media nel biennio precedente, e mediamente due vincitori su dieci hanno rinunciato al posto, con punte del 50% di rinunce per quelli a tempo determinatoi. A causa dell’affollamento delle selezioni nell’ultimo biennio, si sono spesso verificate candidature multiple e vincitori in più posizioni (il 42% ha partecipato a più di un concorso e il 26% è risultato idoneo in almeno due), in una concorrenza tra enti per cui l’8,6% dei 150mila assunti per concorso nel 2021 era già un dipendente pubblico. E l’inedito potere di scelta dei candidati spinge sempre meno persone ad accettare il trasferimento al Nord, dove l’affitto impegna quasi il 50% dello stipendio di un laureato neoassunto, contro il 18- 23% in una città metropolitana del Sudii. La PA è chiamata ad assumere innanzitutto per mantenere l’operatività degli enti: entro il 2033 oltre 1 milione di dipendenti pubblici saranno obbligati ad andare in pensione, circa uno su tre. Alcune amministrazioni dovranno sostituire più di metà del personale in servizio, ma in valori assoluti le uscite più significative saranno per scuola (463.257), sanità (243.130) e enti locali (185.345). E la PA deve far decollare le assunzioni per la tenuta del sistema pensionistico: nel 2023, nel pubblico si contano 94,8 pensioni erogate ogni 100 contribuenti attivi (erano 73 nel 2022). ‘L’indagine evidenzia per il settore pubblico alcuni effetti della trasformazione del mercato del lavoro già emersa nel privato – commenta Carlo Mochi Sismondi, Presidente di FPA -. Da un lato, oggi i lavoratori danno meno importanza al ‘posto fisso’ in favore di aspetti come benessere, motivazione, formazione o lavoro agile. Dall’altro, in una scarsità di personale qualificato, si evidenzia una nuova competizione tra pubblico e privato sui profili tecnici e tra amministrazioni, a causa dell’ingorgo di concorsi. Una condizione che impone alla PA di diventare più attrattiva come datore di lavoro, acquisendo nuovi strumenti di employer branding e presentando ai candidati un’offerta completa di welfare aziendale, smart working, possibilità concrete di crescita professionale e retributiva’.
‘La Pubblica Amministrazione, anche grazie alla spinta dei fondi europei, oggi appare in evoluzione, ma per accompagnare i grandi processi di trasformazione del paese deve compiere un ulteriore cambio di passo, imparando sul campo il mestiere del datore di lavoro – dice Gianni Dominici, Direttore Generale di FPA -. Servono proposte concrete per attrarre nuovi talenti e valorizzare le persone che già lavorano nel pubblico. A FORUM PA faremo la nostra parte, con idee e strumenti pratici come i ‘tavoli di lavoro’ organizzati con i Direttori personale delle più importanti amministrazioni insieme a manager pubblici e privati per analizzare modelli di successo e nuove idee di una PA che deve ‘ripartire dalle persone”. ‘La PA italiana si trova oggi ad affrontare sfide complesse, come quelle dei progetti del PNRR, che richiedono professionalità tecniche avanzate di cui oggi spesso non dispone – afferma Andrea Rangone, Presidente DIGITAL360 -. Ma proprio le future assunzioni del settore pubblico, di fatto il più grande datore di lavoro del Paese, rappresentano l’opportunità di orientare il sistema di istruzione verso l’innovazione e le competenze del futuro. Un’occasione per formare i profili tecnico-specialistici di cui l’Italia ha bisogno per le sfide della transizione digitale e sostenibile’. Il numero dei dipendenti pubblici. Al 31 dicembre 2021 i dipendenti pubblici erano 3.239.000, dopo l’ennesimo anno di stasi in cui circa 178.000 ingressi avevano solo tamponato l’uscita di 184.000 persone. Le stima della Ragioneria dello Stato per il 2022 offre segnali più ottimistici: con 3.266.180 persone, l’incremento annuo è di circa 27.000 unità. Un aumento soprattutto nel comparto Scuola con 14.400 unità in più (+1,2%) e Sanità con 9.000 persone (+1,3%). Nel 2022 cresce la spesa totale per i redditi da lavoro dipendente nella PA, circa 187 miliardi (contro i 177 del 2021), ma è in calo la spesa pro-capite per il reddito dei dipendenti (calcolata a prezzi costanti del 2022, depurata dall’inflazione): è di 57.200 euro, rispetto ai 59.000 euro del 2021 e risulta la più bassa dal 2015.
Secondo i dati a consuntivo, nel 2021 il numero dei contratti a tempo indeterminato ha raggiunto il minimo storico di 2.932.529 persone, il livello più basso dal 2001. Mentre quelli flessibili sono oltre 437.000, 22.000 in più rispetto all’anno precedente. Nella PA, su 100 contrati stabili ce ne sono 15 flessibili. Il 68% di questiè assorbito da Istruzione e ricerca, dove i precari sono 297.000 (il 30% del comparto), il 14% nella Sanità, circa 63.000, in forte crescita per il reclutamento dellapandemia. Nel 2021 gli assunti per concorso sono stati oltre 150.000, ma I’8,6% era già un dipendente pubblico. Analizzando i comparti delle funzioni centrali e locali, la sanità e quello dell’istruzione e della ricerca (al netto della scuola), la competizione tra amministrazioni ha riguardato l’8,6% dei vincitori di concorso che sono in realtà già dipendenti pubblici. Tra tutti i comparti, spiccano le Funzioni locali, terze per numero di assunzioni da concorso, che presentano un’incidenza percentuale di personale già dipendente pari al 15,6%. Dal suo esordio alla fine del 2021 e fino a metà marzo 2023 sul portale InPA (che dal 31 maggio del 2023 diverrà l’unico canale per la pubblicazione dei bandi di concorso), si contano 2.210 bandi (767 procedure ancora aperte, 1.443 chiuse) per un totale di 34.860 posti, di cui 1.000 banditi nel 2021, 14.630 nel 2022 e 19.230 nel 2023. Dei posti messi a bando, il 4% sono per incarichi di collaborazione, il 24% per assunzioni a tempo determinato, il 72% per assunzioni a tempo indeterminato. Gli stipendi privati crescono più in fretta di quelli pubblici e li raggiungono. Confrontando la dinamica salariale, il settore pubblico è stato nettamente in vantaggio sul privato fino al blocco contrattuale del 2010: nel 2009 l’indice della retribuzione oraria (base 2015=100) era a 98 per il settore pubblico contro 88,8 nel settore privato. Poi, anche a causa del blocco contrattuale, i settori si sono avvicinati e nel 2022 sono appaiati (106,1 nel pubblico e 105,4 nel privato). Ma è più netta a vantaggio del privato la differenza nell’istruzione e della ricerca dove nel 2022 il privato spunta un indice di 108,6 contro 104,7 del pubblico. In vantaggio il privato anche nella sanità, dove l’indice del privato è 107,7, mentre nel pubblico resta a 105,5.
I nuovi contratti stipulati nel 2022, ma relativi agli anni 2019-2021, sono un’importante novità sul lavoro pubblico: valorizzano le professionalità e introducono la ‘quarta area’ delle Elevate Professionalità, che rappresenta un futuro sbocco professionale per i funzionari già presenti nell’amministrazione. All’interno dei contratti è forte la spinta alla formazione ed è inserita la distinzione – dopo anni di home working – tra lavoro agile e lavoro da remoto. Nelle PA, nonostante le assunzioni, nel 2021 l’età media del personale stabile è 50,7 anni (49,9 anni per gli uomini, 51,4 per le donne). Nel 2001 era di 44,2 anni. L’età media di entrata è passata in vent’anni da 29,3 a 34,3 anni. Gli impiegati pubblici con meno di trent’anni sono il 4,8%, si riducono al 3,6% solo tra il personale stabile. Nei Ministeri, negli enti locali e nella scuola abbiamo solo due giovani di meno di trent’anni assunti stabilmente ogni cento impiegati. Il confronto con i dipendenti stabili che hanno più di 60 anni è impietoso: nei Ministeri abbiamo lo 0,7% persone di meno di trent’anni, ma il 29,3% sopra i 60 anni. Nelle funzioni locali sono l’1,8% contro il 20,8% di ‘anziani’, nella scuola addirittura lo 0,3% contro il 22,8% di persone sopra i 60 anni.
L’Italia continua ad avere un numero totale di impiegati pubblici nettamente inferiore a quello dei principali paesi europei, sia in proporzione alla popolazione (5,5 impiegati pubblici ogni 100 abitanti, mentre sono 6,1 in Germania; 7,3 in Spagna; 8,1 in UK; 8,3 in Francia), che in proporzione agli occupati (14 impiegati pubblici ogni 100 occupati contro il 16,9 in UK, il 17,2 in Spagna, il 19,2 in Francia).
Dai dati a consuntivo del Conto Annuale della Ragioneria dello Stato si rileva che in tredici anni, dal 2008 al 2021, la spesa per la formazione dei pubblici dipendenti è quasi dimezzata, da 301 milioni di euro reali del 2008 ai 158,9 del 2021. Il numero di giorni di formazione è sceso dal massimo di 4,9 milioni del 2008 ai 2,9 milioni del 2021, meno di un giorno in media per dipendente. Il piano straordinario del ministro Brunetta non ha raggiunto, per ora, gli obiettivi annunciati: a settembre 2022 si contano poco più di 55.000 dipendenti entrati in formazione su 3,2 milioni e solo 2.500 dipendenti immatricolati nelle 65 università aderenti al piano ‘PA 110 e lode’. La PA però è composta da sempre più laureati che sono ora il 43,8% del totale, con una crescita di ben il 27,3% rispetto al 2011. Un dato destinato a crescere perché il 90% dei concorsi sul portale InPA richiede la laurea (esclusi quelli per Forze dell’ordine, di vigilanza e Forze armate).
Euro digitale, Gentiloni: a fine giugno proposta Commissione UeRoma, 15 mag. (askanews) – La commissione europea formalizzerà la sua proposta sulla creazione dell’euro digitale a fine giugno. Lo ha annunciato il commissario europeo all’economia, Paolo Gentiloni durante la conferenza stampa al termine dell’eurogruppo. “Siamo nella fase finale dei preparativi e ci attendiamo di presentare la proposta alla fine del mese prossimo”, ha detto.
Gentiloni ha riferito che nelle riunioni di oggi si è discusso delle valute digitali delle banche centrali e di come utilizzare un euro digitale nei pagamenti internazionali al dettaglio e di come questo possa aumentare il ruolo internazionale dell’euro. “Questo può arrecare benefici alle relazioni commerciali, ridurre i rischi sui cambi e in definitiva rafforzare la nostra sovranità”, ha sostenuto. L’eurocommissario ha puntualizzato che la proposta si focalizzerà anche su questi elementi chiave.
Gentiloni: sfida Italia è prudenza su bilancio e pieno uso PnrrBruxelles, 15 mag. (askanews) – Proseguire il corso positivo che ha portata l’Italia ad avere la crescita più elevata fra le maggiori economie europee richiede “uno sforzo costante, prudenza nelle politiche di bilancio e pieno utilizzo dei fondi del Pnrr”, questa è “la sfida” per il Paese.
Lo ha detto oggi a Bruxelles il commissario Ue all’Economia, Paolo Gentiloni, parlando con i giornalisti italiani al termine della sua conferenza stampa sulle Previsioni economiche di primavera dell’Esecutivo comunitario. “Le previsioni che abbiamo presentato oggi – ha indicato Gentiloni – danno all’economia europea una prospettiva migliore del previsto, sia pure se ancora circondata da grandi fattori di incertezza: però, in sostanza, quello che si temeva, cioè una recessione o addirittura una crisi provocata dalla questione energetica, non si è verificato; e avremo un livello di crescita leggermente più alto del previsto”.
“Questo – ha continuato il commissario – è vero in particolare per l’Italia che avrà una crescita quest’anno del 1,2%. Credo che sia un fatto significativo, anche perché è la crescita più elevata fra le tre maggiori economie europee”. “Certo – ha sottolineato Gentiloni -, la sfida di proseguire in questo corso positivo, che ha portato l’economia italiana negli ultimi tre anni a crescere del 12%, richiede uno sforzo costante, prudenza nelle politiche di bilancio e pieno utilizzo dei fondi del Pnrr, che anche, con grande evidenza, contribuiscono a questa prospettiva positiva”, ha concluso.
Inail: 2,3 mln lavoratori stranieri in Italia, infortuni in aumentoRoma, 15 mag. (askanews) – Sono quasi 2,3 milioni i lavoratori stranieri in Italia (gli italiani sono 20,3), di cui il 42% donne (circa 950mila), svolgono impieghi poco qualificati e con salari medi più bassi rispetto ai colleghi. Lo rileva l’Inail nel suo Focus sui lavoratori stranieri, evidenziando come “pur contribuendo in modo significativo al sistema produttivo nazionale, in molti casi si trovano in situazioni di irregolarità, incertezza e sfruttamento lavorativo. Le loro condizioni sono infatti mediamente peggiori rispetto a quelle degli italiani: svolgono lavori poco qualificati e con salari medi più bassi rispetto ai loro colleghi”.
Infatti in controtendenza rispetto al calo complessivo dell’1,4%, nel 2021 le denunce di infortunio dei lavoratori stranieri sono aumentate del 3,1% rispetto all’anno precedente, da 99.545 a 102.658. Oltre il 78% ha riguardato i lavoratori non comunitari (+8,4% rispetto al 2017) e la quota rimanente quelli dell’Unione europea (-13%). Concentrando l’attenzione sui casi mortali, quelli denunciati complessivamente nel 2021 sono stati 1.400, in aumento del 18,5% sul 2017. L’incremento ha riguardato sia i lavoratori italiani (+201 casi, da 988 a 1.189) sia gli stranieri (+18, da 193 a 211). Rispetto ai 1.695 decessi denunciati nel 2020, però, il numero è in calo sia tra gli italiani (-263) sia tra gli stranieri (-32). Prendendo in considerazione il quinquennio 2017-2021, emerge che gli infortuni denunciati dei nati all’estero, sia per il genere maschile che femminile, stanno ritornando ai livelli ante pandemia. Spesso i lavoratori stranieri sono anche impiegati in attività particolarmente pesanti, di tipo manuale e ripetitive, che li espongono a rischi maggiori. Il 42,4% degli uomini, in particolare, è occupato nell’industria e nelle costruzioni, il 38,2% delle donne nei servizi domestici e di cura. Manovali, braccianti, camerieri, facchini, trasportatori, addetti alle pulizie sono le professioni più frequenti (63,8% degli stranieri in professioni non qualificate o operaie, contro il 31,7% degli italiani).
Come evidenzia il Centro Studi e Ricerche Idos, tra loro è inoltre molto frequente il fenomeno della “sovra-qualificazione”, ovvero la condizione in cui una persona svolge un lavoro che richiede una preparazione intellettuale o tecnica inferiore a quella posseduta. Un terzo degli stranieri, infatti, ha un titolo di studio più alto rispetto al lavoro svolto, mentre tra gli italiani la stessa quota scende a meno di un quarto.
Commercio, Confesercenti: dal 2019 spariti 52mila negozi vicinatoRoma, 15 mag. (askanews) – Dal 2019 ad oggi sono spariti oltre 52mila negozi di vicinato (-7%). Un’accelerazione del processo di desertificazione su cui incide la doppia crisi vissuta dal comparto che, dopo lo stop imposto dalla pandemia, ha visto interrompersi la ripresa a causa degli effetti di inflazione e caro-energia, che hanno eroso la capacità di spesa delle famiglie. E’ quanto rileva uno studio di Confesercenti (“Il Commercio oggi e domani”) realizzato insieme con Ipsos.
Negli ultimi due anni il potere d’acquisto degli italiani è calato di 14,7 miliardi di euro, oltre 540 euro in meno per nucleo familiare. Un vero e proprio crollo che pesa sul tessuto dei negozi di vicinato più della concorrenza dell’online.