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Dl Milleproroghe, ok norme balneari. Proroga concessioni e mappatura

Dl Milleproroghe, ok norme balneari. Proroga concessioni e mappatura

Viene anche istituito un tavolo tecnico con i ministri competenti, le Regioni e le categorie

Roma, 9 feb. (askanews) – Via libera dalle Commissioni affari costituzionali e bilancio del Senato al pacchetto di misure sui balneari messo a punto dalla maggioranza. Lo riferisce il relatore al decreto milleproroghe, Dario Damiani.
Gli emendamenti, presentati al decreto e approvati, prevedono la proroga di un anno delle attuali concessioni, quindi fino al 31 dicembre 2024, concedono cinque mesi in più di tempo per l’esercizio della delega sulla mappatura delle spiagge date in concessione, che altrimenti scadrebbe il 27 febbraio 2023, e istituiscono un tavolo tecnico presso la Presidenza del Consiglio, con funzioni consultive, a cui partecipano i ministri competenti, le regioni e le associazioni di categoria.
In ogni caso, se si dovessero verificare impedimenti oggettivi all’espletamento delle gare, le attuali concessioni possono restare valide fino al 31 dicembre 2025.

Corte Conti, Pg: ‘paura’ di firma? Piuttosto ‘fuga’ dalla firma

Corte Conti, Pg: ‘paura’ di firma? Piuttosto ‘fuga’ dalla firmaRoma, 9 feb. (askanews) – Attacco della Corte dei Conti a dirigenti e funzionari pubblici che dietro la cosiddetta ‘paura’ della firma, nasconderebbero in realtà la ‘fuga’ dalla firma per “incapacità di assumersi le responsabilità”. Non usa mezzi termini il Procuratore generale della Corte dei Conti, Angelo Canale nella sua relazione in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario tornando sulla questione che viene riproposta “dai media e in sede politica”.
Sottolineando il ruolo della Corte di “irrinunciabile presidio di legalità” il Pg sostiene che “stride non poco sentire nuovamente parlare di ‘paura della firma’ e della necessità di tenere amministratori e funzionari pubblici, nelle condizioni che se firmano un atto non vengono poi perseguiti. Sono convinto che la cosiddetta paura della firma, sia piuttosto ‘fuga’ dalla firma, cioe timore o più spesso incapacità di assumersi responsabilità”. Un tema questo che si connette, dice Canale con “gli attuali criteri di scelta della dirigenza e alla insufficiente considerazione del merito; ma anche alla qualità e all’orientamento della formazione, probabilmente non del tutto adeguate; ad una legislazione complessa, spesso farraginosa, stratificata, di dubbia interpretazione, fonte di incertezze”.
Per completare il suo ragionamnto il Pg ricorda che “la giurisdizione della Corte dei conti, che oggi – secondo alcuni – incuterebbe ‘paura’ e frenerebbe l’azione amministrativa, c’era anche quando l’Italia ripartiva dopo le tragiche vicende dell’ultimo conflitto mondiale; c’era durante il ‘boom economico’ degli anni ’60; anzi, all’epoca i pubblici agenti rispondevano di norma anche per colpa lieve e di certo, se guardiamo ai traguardi allora raggiunti, non si puo dire che fossero frenati dalla ‘paura della firma’”.
Lsa

Corte Conti, Carlino: su Pnrr nessuna spazio a malaffare

Corte Conti, Carlino: su Pnrr nessuna spazio a malaffareRoma, 9 feb. (askanews) – Il Piano nazionale di Ripresa e Resilienza ” deve essere una grande occasione di rilancio e di rinnovamento del Paese e nessuno spazio di azione deve essere lasciato al malaffare, e a maggior ragione in ambito finanziario”. E’ l’appello del presidente della Corte dei Conti, Guido Carlino, nella sua relazione all’inaugurazione dell’anno giudiziario. Carlino ha quindi sottolineato la necessità che l’azione dei magistrati contabili non sia limitata alle situazioni di dolo ma anche quando sussista la grave negligenza.
“E’ necessario – ha spiegato – che, nelle ipotesi patologiche, non solo la mala gestio connotata da dolo, ma anche la grave negligenza trovino puntuale sanzione nell’ambito della giurisdizione della Corte dei conti. Occorre evitare che l’indebolimento della responsabilità erariale possa creare situazioni propizie alla dispersione delle risorse pubbliche, specialmente di quelle legate al PNRR, così determinando un clima favorevole per l’infiltrazione della criminalità organizzata”.

Nissan: utile III trim 50,6 mld yen (+54,7%), confermate stime esercizio

Nissan: utile III trim 50,6 mld yen (+54,7%), confermate stime esercizio

Consegne attese a 3,4 mln (-8%). 174 mln contributo a utile Renault

Milano, 9 feb. (askanews) – Nissan registra un ulteriore miglioramento dell’utile operativo nel terzo trimestre dell’anno fiscale 2022-2023. Nel periodo ottobre-dicembre, i ricavi sono pari a 2,84 trilioni di yen, l’utile operativo è di 133,1 miliardi di yen, con un margine operativo del 4,7%. L’utile netto è pari a 50,6 miliardi di yen. Il contributo positivo per Renault, con cui sono stati da poco ridefiniti i termini dell’Alleanza, è stimato in 174 milioni di euro sul risultato netto del quarto trimestre 2022.
Nei primi nove mesi dell’anno fiscale, i ricavi sono pari a 7,5 trilioni di yen, l’utile operativo a 289,7 miliardi di yen e il margine operativo del 3,9%. L’utile netto è pari a 115 miliardi di yen.
Le fluttuazioni valutarie e l’aumento dei prezzi delle materie prime, si legge in una nota, hanno avuto un impatto significativo anche nel terzo trimestre. Inoltre il contesto è divenuto ancora più sfidante per la prolungata carenza di semiconduttori e la recrudescenza delle infezioni da Covid-19, che hanno influito sulla produzione, determinato volumi di vendita inferiori a quelli dell’anno precedente e avranno un impatto anche sul quarto trimestre.
Per l’intero anno fiscale 2022, che si concluderà il 31 marzo 2023, Nissan prevede un volume di vendite pari a 3,4 milioni di unità, in calo dell’8,1% rispetto alla precedente previsione.
Tuttavia, Nissan prevede di compensare l’impatto generato dal calo di volumi con un continuo miglioramento delle prestazioni e una rigorosa disciplina finanziaria. Di conseguenza, le previsioni per l’intero anno fiscale 2022 rimangono invariate. Inoltre, si prevede che il free cash flow e l’utile operativo del settore automobilistico saranno positivi per l’intero anno fiscale 2022.
“Anche nel terzo trimestre il contesto commerciale è stato molto sfidante. Nonostante questo, i nuovi modelli introdotti nei vari mercati sono stati accolti molto bene dai clienti e stimiamo un’ottima risposta in tal senso anche per il futuro. Anche se è difficile prevedere il contesto commerciale futuro, nel quarto trimestre continueremo a impegnarci per confermare le nostre stime per l’anno fiscale”, ha dichiarato Makoto Uchida, Ceo di Nissan.

Presentato Osservatorio Censis-Ital Communications su agenzie di comunicazione in Italia

Presentato Osservatorio Censis-Ital Communications su agenzie di comunicazione in ItaliaRoma, 9 feb. (askanews) – Dopo la pandemia e la guerra, e in attesa del prossimo evento improvviso e imprevisto che monopolizzerà il palinsesto informativo, le elezioni politiche prima e le regionali poi, hanno riportato la politica al centro dell’interesse degli italiani. Lo rileva l’Osservatorio Censis – Ital Communications sulle agenzie di comunicazione in Italia, che si propone di promuovere informazione di qualità su tutte le piattaforme, on e offline.
Il 69,1% degli italiani segue regolarmente i fatti di politica e il 32,4% dichiara che quella nazionale è il genere di notizia che lo interessa di più, valore che sale al 37,6% tra gli uomini e al 38,4% tra i diplomati e i laureati. Il 14,4% della popolazione predilige la politica estera, dato in crescita dall’inizio della guerra russo-ucraina, e la quota raggiunge il 18,3% tra gli uomini e il 17,5% per chi ha titoli di studio più elevati.
Il rischio che la politica diventi un fatto generazionale Attenzione, però: la politica rischia di trasformarsi in una tematica generazionale, che coinvolge esclusivamente – o quasi – la popolazione adulta e gli anziani: la percentuale di chi la segue regolarmente è dell’82,7% tra chi ha più di 65 anni e scende al 64,2% tra chi ne ha meno di 35.
Non solo i giovani la seguono meno, ma lo fanno anche con minor interesse: il 47,5% degli over 65 segnala la politica nazionale come il genere che interessa di più, contro il 17% dei giovani in età compresa tra i 14 e i 29 anni. I nativi digitali sono più attratti dalle notizie sportive, segnalate al primo posto dal 31,4%, subito dopo quelle su stili di vita, viaggi, cucina indicate dal 30,7%, mentre il 26,2% mette al primo posto fatti inerenti cultura e spettacoli.
Solo il 9,8% segue la politica estera
Lo scarso interesse dei giovani per la politica non è un fenomeno solo italiano: a fronte di una media del 50% dei residenti negli Stati dell’Unione Europea, che dichiara di aver seguito notizie sulla politica interna negli ultimi sette giorni, la percentuale scende al 34% tra i giovani che hanno tra i 15 e i 24 anni, mentre è del 60% tra chi ha più di 55 anni. Dati che fotografano come la politica abbia perso peso e significato tra le giovani generazioni le quali, anziché percepirla come uno strumento di democrazia e di inclusione, la vedono come un elemento estraneo, distante dalle loro istanze e dai loro interessi, al punto che il 74,7% di chi ha un’età compresa tra i 18 e i 34 anni non si sente rappresentato da essa.
Lo spettro dell’astensionismo
Alle recenti elezioni politiche il “primo partito” è stato quello di chi non ha espresso una posizione politica che, tra astenuti, schede bianche e nulle, ha riguardato quasi 18 milioni di persone, pari al 39% degli aventi diritto. Tra le elezioni politiche del 2018 e quelle del 2022 coloro i quali non hanno espresso un’opzione politica sono aumentati del 31,2%, 4,3 milioni in valore assoluto. C’è il rischio che alle prossime elezioni regionali del 12 e 13 febbraio l’astensionismo cresca ancora. Alle elezioni regionali del 2018 nel Lazio aveva espresso un voto valido il 65% degli aventi diritto, in Lombardia il 71%. Vedremo cosa accadrà questa volta.
La dieta mediatica è sempre più varia
L’avvento del digitale di massa è coinciso con la moltiplicazione dei device e delle fonti informative, on e offline, e con un nuovo protagonismo degli utenti, che vogliono costruirsi da soli il proprio palinsesto. Tutti gli italiani cercano informazioni: su internet, sui social network, sui media tradizionali e la maggior parte (55,9%) utilizza più di una fonte. Addirittura, il 20,7% utilizza quattro o più fonti di informazione. I più visti, dal 51,2% della popolazione, sono i telegiornali, segue Facebook, da cui attinge notizie il 35,2%; il 23,4% si rivolge a motori di ricerca, il 21% segue le Tv all news, il 19,3% cerca informazioni sui siti web e il 16,9% va su YouTube. Il 14,6% degli italiani si affida ai giornali radio, il 14,3% ai quotidiani online, il 7,8% ai quotidiani cartacei, il 5,6% al Televideo. Il 3,6% forma le proprie opinioni attraverso blog e forum online. Tra i giovani si riducono quelli che si rivolgono ai media tradizionali e digitali: il 34,3% dei 14-29enni segue i telegiornali, l’11,3% le Tv all news, il 9,3% i giornali radio, l’11,2% i quotidiani online e solo il 2% cerca notizie sui quotidiani cartacei. Più alta della media la percentuale di giovani che cercano notizie su internet attraverso i motori di ricerca (32,4%) e i siti web di informazione (20,8%). Ma il mezzo che in assoluto sta avendo un vero e proprio boom è YouTube, utilizzato per informarsi dal 27,4% dei 14-29enni. Il 15,7% utilizza app scaricate sullo smartphone e il 6% si fida di blog e forum online.
Cresce l’esposizione alle fake news, soprattutto per i giovani
Un maggiore utilizzo di social media e fonti online espone maggiormente i giovani al rischio di fake news e di disinformazione, che non sempre si è in grado di riconoscere: il 29% degli italiani ritiene di esservi esposto spesso e il 35% non è sicuro di saperle riconoscere. Il pericolo di imbattersi in notizie false è più alto sul web: il 57,5% degli italiani giudica poco (46,1%) o per niente (11,4%) affidabili i siti web di informazione e il 69,6% non si fida delle notizie dei social media. Maggiore la fiducia accordata ai media tradizionali: al primo posto la radio, le cui notizie sono attendibili per il 70,3% degli italiani, seguono la televisione, giudicata credibile dal 68% della popolazione, e i quotidiani, che il 62,8% ritiene siano affidabili. Gli italiani credono maggiormente nei media tradizionali perché sanno che dietro le notizie c’è una redazione fatta di professionisti che utilizzano canali di produzione e distribuzione delle notizie verificati e di alto profilo, capaci di gestire anche i nuovi processi di comunicazione digitale.

Toyota: utile netto III trim -8%, confermate stime intero anno

Toyota: utile netto III trim -8%, confermate stime intero annoMilano, 9 feb. (askanews) – Toyota chiude il terzo trimestre dell’esercizio 2022-2023 con un utile netto in calo dell’8,1% annuo, a 727,9 miliardi di yen (5,2 miliardi di euro). A pesare, spiega la casa giapponese, la mancanza di chip e l’aumento dei costi delle materie prime, parzialmente compensati dalla svalutazione dello yen. Poco mosso il titolo in Borsa: Toyota ha chiuso in rialzo a Tokyo dello 0,2%.
Il fatturato nei tre mesi è aumentato del 25% a 9,75 trilioni di yen (68,7 miliardi di euro), mentre l’utile operativo è cresciuto a 956 miliardi di yen, ma è in calo di 434 miliardi di yen a 2,1 trilioni nei nove mesi. 
Toyota ha mantenuto gli obiettivi per l’anno finanziario 2022/23 che si concluderà a fine marzo: l’utile netto è atteso a 2,36 trilioni di yen, il risultato operativo a 2,4 trilioni di yen e il fatturato a 36 trilioni di yen. Confermata anche la stima di consegne per l’intero anno a 10,4 milioni di veicoli.

Dl milleproroghe,medici famiglia possono andare in pensione 72 anni

Dl milleproroghe,medici famiglia possono andare in pensione 72 anniRoma, 8 feb. (askanews) – I medici di famiglia e i pediatri di libera scelta convenzionati con il Servizio sanitario nazionale possono andare in pensione a 72 anni. Lo prevede un emendamento di maggioranza al decreto legge milleproroghe approvato dalle Commissioni al Senato. Questa facoltà non è concessa agli altri medici.
Con un altro emendamento approvato dalle Commissioni viene prorogata la possibilità di riconoscere nel monte ore formativo dei tirocinanti la sostituzione dei medici di base.

Cia-Nomisma: agricoltura vale 72,4 mld ma cresce solo a valore (+21%)

Cia-Nomisma: agricoltura vale 72,4 mld ma cresce solo a valore (+21%)Milano, 8 feb. (askanews) – Agricoltori afflitti dall’aumento dei costi di produzione a causa della guerra e consumatori in crisi per l’inflazione. E’ questo il primo impatto dello studio Nomisma per Cia “Le nuove sfide per l’agricoltura italiana”, con un’Italia più preoccupata della media Ue, dove il 51% dei cittadini è in difficoltà economiche contro il 45% del resto d’Europa. Dopo la spinta nel post Covid, anche l’agricoltura è in fase di stallo e, pur confermandosi fra le principali dell’Ue (72,4 miliardi di valore della produzione), registra una variazione positiva solo grazie all’escalation dei prezzi agricoli (+21%).
Le commodity, già cresciute nel 2021, sono schizzate nel 2022: riso (+69%), soia (+12%), frumento (+42%), mais (+39%). L’inflazione pesa su tutto il settore food (+13,1% annuo) con picchi per pasta (+20%), prodotti lattiero-caseari (+17,4%) e olio (+16,2%). Allo stesso tempo, tutti i settori agricoli sono stretti dall’aumento generale dei costi di produzione (+22%), guidati dal +55% della voce energia. Le maggiori tensioni si registrano nell’approvvigionamento degli input tecnici dall’estero, soprattutto fertilizzanti, che per il 62% sono extra-Ue.
Il 98% degli italiani è preoccupato per la crescita dei prezzi alimentari. L’84% dei consumatori ha, infatti, modificato la spesa alimentare, con lo stop al superfluo per il 46% e la rinuncia ai beni voluttuari e di maggior costo: carni rosse tagliate (-14%), pesce (-9%), salumi (-8%) e vino (-6%). Lo testimoniano anche i canali retail che vedono un +12% dei discount. Anche la crescita dell’export agroalimentare (+16% sul ’21) è in parte legata all’inflazione. Parallelamente, l’aumento dell’import porta al netto peggioramento del saldo attivo della bilancia commerciale (da 4,9 miliardi del 2021 a soli 300 milioni per il 2022). La filiera ha, dunque, retto, di fronte alle difficoltà, ma potrebbe pericolosamente vacillare se la situazione si protrae per tutto il 2023.
Pesa ancora il gap cronico di servizi e infrastrutture tra città e aree interne, dove sale al 28% il rischio di esclusione sociale per i giovani. L’Italia si distingue per un ampio digital divide, posizionandosi solo al 18esimo posto in Ue per le difficoltà che registra su questo fronte soprattutto in termini di capitale umano e servizi pubblici digitali. Anche sulla connettività, le aree rurali garantiscono l’accesso a internet con smartphone solo al 74% della popolazione, contro l’81% delle grandi città. Per quanto concerne le infrastrutture di trasporto, ancora grande disomogeneità che rende alcune parti del Paese vicine agli standard Ue e altre profondamente penalizzate.
C’è, invece, un’Italia agricola che è leader in Europa per le attività connesse, come gli agriturismi, la prima trasformazione, le fattorie sociali e le agroenergie. Valgono 5,3 miliardi e incidono sulla produzione agricola per il 10% (in Ue solo il 4%) e si confermano elemento importante per preservare il capitale umano nelle aree rurali. Si registrano tuttavia due velocità, con il Centro-Nord del Paese che è molto più avanti in fase di integrazione della multifunzionalità (Nord-Ovest 12%, Nord-Est 10%, Centro 9%), rispetto al Sud (solo il 2%), che potrebbe potenziare specialmente gli agriturismi, nelle regioni a forte vocazione turistica.
L’Italia agricola è in corsa per il Green Deal con la riduzione del 55% delle emissioni di gas effetto serra entro il 2030 per arrestare il riscaldamento globale. A fronte di una crescita del 67% delle emissioni globali del pianeta nel 2021 in Europa, si è conseguita una riduzione del 27%. L’Italia è in linea, con una contrazione del 26%. Si ricorda, peraltro, che il 9% delle emissioni di gas serra arriva dall’agricoltura (il 6% dalla zootecnia) che però riassorbe il 10% di tali emissioni grazie a foreste, pascoli e colture permanenti. Gli obiettivi di minori emissioni sono funzionali a interrompere il riscaldamento globale, che sta portando a innalzamenti delle temperature generalizzati. In particolare l’area mediterranea, Italia compresa, rappresenta un “hot spot” per il cambiamento climatico. Gli ultimi anni sono stati, infatti, caratterizzati da numerosi eventi climatici avversi, in particolare la siccità, che ha investito il 10% delle aree agricole con colture erbacee e il 25% di quelle sommerse. Mais e riso hanno registrato un calo produttivo, rispettivamente pari al 23% e al 22%, il grano del 9% e la suinicoltura del 4,2%. La siccità si aggiunge al consumo di suolo, che nel biennio 2021-22 è tornato a crescere con una media di 19 ettari al giorno.
Il 2023 si è aperto con l’avvio della nuova Pac, che ha per obiettivo la redistribuzione a favore delle aziende medio-piccole (solo il 4,5% ha superficie maggiore di 50 ettari) e interventi a favore dei giovani agricoltori (il 9,3% degli agricoltori è under 40), mentre il 25% delle risorse complessive (875 milioni) è destinato a incentivare le pratiche sostenibili necessarie alla transizione ecologica. Parallelamente, prosegue l’attuazione del Pnrr che dedica 8,5 miliardi all’agroalimentare. Tutti questi fondi Ue sono orientati dalla strategia Farm to Fork; resta tuttavia l’interrogativo sugli effetti che potrebbe generare sulla produzione la proposta di nuovo regolamento sull’uso sostenibile (Sur) – decisione slittata di alcuni mesi – con cui l’Ue chiede all’Italia di ridurre del 62% l’uso dei fitosanitari e del 45% quelli più pericolosi. In assenza di difesa, però, si calcola un calo del 70% per le rese di grano duro, del 62% per l’olio e addirittura dell’81% per il pomodoro da salsa, dell’84% per il riso e dell’87% per il mais, indispensabile alla zootecnia da cui dipende il nostro Made in Italy. L’agricoltura tricolore, intanto, ha già avviato il percorso di riduzione dei fitofarmaci (-38%), impiega per il 45% prodotti ammessi nel bio e può centrare il target del 25% di superfici biologiche al 2030, con 2,2 milioni di ettari già convertiti e uno scarto di altri 900mila ettari per giungere all’obiettivo finale di 3,1 milioni di ettari.

L’ortofrutta italiana piace in Ue, leader nell’export conserve di pomodoro

L’ortofrutta italiana piace in Ue, leader nell’export conserve di pomodoroMilano, 8 feb. (askanews) – L’Italia è il primo Paese dell’Unione Europea per volume di esportazioni di conserva di pomodoro, uva, kiwi e nocciole sgusciate. È quanto emerge dal report del Centro studi Divulga che ha analizzato i dati sui flussi commerciali del settore ortofrutticolo europeo.
Il nostro Paese è leader europeo nelle esportazioni di conserve di pomodoro, intese come concentrato, succo e pomodori pelati: ne finiscono all’estero 2,1 milioni di tonnellate di prodotto per un valore di 2,1 miliardi di euro. Segue l’uva con 463mila tonnellate di prodotto per 794 milioni di euro di valore, rincorsi da da Paesi Bassi (382mila ton) e Spagna. Nella classifica delle esportazioni di ortofrutta tricolore, poi, troviamo i kiwi (268mila tonnellate per 508 milioni di euro di valore) e nocciole sgusciate (38mila tonnellate per 318milioni di valore). L’Italia poi si piazza al secondo posto per l’export di mele con 920mila tonnellate e un valore complessivo di 954 milioni di euro, con uno scarto minimo dalla Polonia con le sue 922mila tonnellate.
Con 284mila tonnellate per 110 milioni di valore, siamo poi il secondo esportatore di cocomeri dell’Ue, preceduti solo dalla Spagna (904mila ton), mentre siamo al terzo posto dietro Spagna e Paesi Bassi per insalate (220 milioni di valore per 112mila tonnellate esportate) e al quinto posto per le arance (122 milioni di valore per circa 119mila tonnellate di prodotto). Per questo agrume ci precede di gran lunga la Spagna con 1,5 milioni di tonnellate prodotte, e ancora Paesi Bassi (369mila ton), Grecia (329mila ton) e Portogallo (122mila ton). Buoni i dati sull’export di pere per le quali siamo sesti in Ue (115 milioni in valore per 71mila tonnellate di prodotto), anche se in calo negli ultimi 5 anni, e quelli per cavolfiori e broccoli (114 milioni di valore) con l’Italia al terzo posto con 88mila tonnellate di prodotto esportato preceduta da Spagna (420mila ton) e Francia (100mila ton).

Microsoft, anche l’Antitrust Uk si schiera contro takeover Activision

Microsoft, anche l’Antitrust Uk si schiera contro takeover ActivisionRoma, 8 feb. (askanews) – Anche dall’Antitrust della Gran Bretagna è arrivato un parere negativo sul piano di mega acquisizione di Microsoft del gruppo di videogiochi Activision Blizzard. Una operazione da 75 miliardi di dollari, che secondo la Competition and Markets Authority metterebbe a repentaglio la competizione in questo cruciale segmento dell’intrattenimento. Valutazioni analoghe erano state effettuate in precedenza dalla US Federal and Trade Commission.
Nel suo parere preliminare, l’autorità rileva che l’acquisizione “potrebbe alterare il futuro dei videogiochi, danneggiando potenzialmente i gamer Uk, in particolare quelli che non possono permettersi o non vogliono acquistare una consolle o un Pc da videogiochi costoso”.
Ne farebbe le spese soprattutto la cruciale concorrenza tra la Xbox di Microsoft e la PlayStation di Sony. Secondo l’Amc Microsoft avrebbe forti incentivi a rendere i titoli più popolari, come Call of Duty esclusivamente disponibili sulla Xbox, danneggiando i sistemi rivali.
Ora Microsoft avrà la possibilità di offrire dei provvedimenti per rimediare ai problemi messi in rilievo, prima che l’Amc giunga a un verdetto finale il prossimo aprile, ma dovrà presentarli per il vaglio entro il 22 febbraio.
Intanto, in una intervista pubblicata sul Financial Times poco prima che arrivasse il parere, l’amministratore delegato di Activision, Bobby Kotick, evidentemente fiutando il responso negativo, ha lanciato accuse a più parti contro il mancato via libera. Secondo il manager, Londra rischia di veder svanire un’opportunità di attrarre investimenti e migliaia di posti di lavoro.
Oltre a lanciare sospetti di “sabotaggio” su Sony, Kotick se la prende con gli quelli che definisce “ideologi”, che avrebbero preso il sopravvento nelle autorità di vigilanza sulla concorrenza delle maggiori economie avanzate. Secondo il numero di uno di Activision sarebbe l’Antitrust europeo, paradossalmente, quello che ha mostrato “una maggiore sensibilità su quali siano i rischi per l’economia da una prospettiva macro”.
Se Microsoft riuscisse a portare avanti l’operazione si tratterebbe della più grande acquisizione mai effettuata per il gruppo di software e creerebbe il terzo maggior player globale sui videogiochi, alle spalle della cinese Tencent e della giapponese Sony.
E poi il manager ha attaccato il governo. Il premier Rishi Sunak “è sveglio e capisce gli affari – ha detto – ma non sembra probabile che ci sia alcuna visione concreta nella leadership per perseguire questo tipo di opportunità. Sembra un po’ un governo fragile”.
Uno degli aspetti chiave della transazione è rappresentato dall’impegno di Microsoft a mantenere la disponibilità di titoli molto gettonati (come Call of Duty) anche su PlayStation e le consolle rivali. Ma su questo il gruppo giapponese ha accusato la rivale e di impegni “fuorvianti” con le autorità, affermando che Microsoft era pronta a vincolarsi solo su base temporanea.
Secondo il capo di Activision Sony avrebbe smesso di collaborare con Microsoft ed è su questa base che parla di “sabotaggi”. Interpellata sulla questione dal quotidiano, la società giapponese ha risposto di essere in contatto con Microsoft e di non avere altri commenti al riguardo. Negli scambi di iniziali sul Nasdaq il titolo Microsoft guadagna il 3,13% a 275,7 dollari. Sul Nyse Activision cade del 2,62% a 73,62 dollari.