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Banche, Giorgetti: Unione bancaria crei veri campioni europei

Banche, Giorgetti: Unione bancaria crei veri campioni europeiRoma, 6 mar. (askanews) – Nel processo di completamento dell’Unione bancaria “occorre partire da un presupposto: la creazione di campioni europei in grado di competere sul mercato globale necessita di banche davvero europee, operanti all’interno di un mercato unico”. Lo ha detto il ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti intervenendo in videocolleganento alla riunione plenaria del network estero della Guardia di Finanza.
“Esse possono svolgere un ruolo cruciale, per esempio, come “market maker” – ha aggiunto – se il quadro europeo consentisse di movimentare la loro liquidità tra le varie filiali del gruppo bancario in modo efficiente”.

Cerved: in 2022 calo 10,6% nuove start-up, sotto livelli 2019

Cerved: in 2022 calo 10,6% nuove start-up, sotto livelli 2019Roma, 6 mar. (askanews) – Nel 2022 – a causa del rallentamento dell’economia, dell’aumento dei prezzi e dei tassi d’interesse, dell’incertezza sul futuro – sono nate in Italia solo 89.192 “vere” nuove imprese, cioè il 10,6% in meno (10.587) rispetto al 2021 e in calo (-5,9%) anche sul 2019, quando per la prima volta si è invertito un trend positivo che durava dal 2013. Questo non potrà che avere un impatto negativo sull’economia complessiva, perché le start-up – come rivela una specifica analisi storica sui bilanci – negli ultimi 15 anni sono state il motore della crescita occupazionale: solo nel 2021 hanno generato un contributo netto di 343.000 addetti su un totale di 535.000, e persino nel 2020 hanno garantito un saldo occupazionale positivo di 185.000 unità. Le mancate nascite del 2022 rischiano dunque di tradursi in 27.080 addetti in meno e in un calo di 2,5 miliardi di fatturato, perché le nuove società apportano ricchezza, dinamismo e competitività al sistema, essendo caratterizzate da maggiore propensione per l’innovazione e l’adozione di nuove tecnologie, un’età media del management più bassa e maggiore attenzione ai temi di sostenibilità. A dirlo è lo studio “Le imprese nate nel 2022 e il contributo economico delle start-up” condotto da Cerved, la tech company che aiuta il Sistema Paese a proteggersi dal rischio e crescere in maniera sostenibile.
I risultati integrano i dati sulle registrazioni di nuove imprese con un ampio database di informazioni e algoritmi proprietari. La flessione di nascite più marcata rispetto al 2021 riguarda le utility (-28,9%), mentre reggono meglio le costruzioni (-5,8%): a livello disaggregato, pesanti contrazioni si sono registrate nei settori della gestione dei rifiuti e della vendita di gas, mentre sono addirittura aumentate le nuove imprese nelle tecnologie per le telecomunicazioni, il facility management e la cantieristica.
L’area geografica più colpita è Sud e Isole, dove le startup rappresentano storicamente la maggiore fonte di creazione di nuova occupazione (il 32% nel 2021), al contrario l’impatto minore si è osservato nel Nord Ovest (-8,2%), anch’esso dipendente dalle imprese giovani (34% del saldo occupazionale netto). Nord Est e Centro si assestano entrambi sul -10,1%.
“Lo sviluppo di nuova impresa è un indicatore chiave per monitorare la congiuntura economica e il dinamismo di settori e territori – afferma Andrea Mignanelli, Amministratore Delegato di Cerved -. Dai nostri dati emerge che il peggioramento delle aspettative dovuto a guerra, crisi energetica e inflazione ha frenato l’iniziativa imprenditoriale. I tassi di natalità nel 2022 risultano infatti in netta flessione, con un saldo negativo di circa 10 mila nuove imprese. Il calo delle nascite è un segnale da non trascurare: le start-up sono una leva di trasformazione del nostro sistema economico, apportano idee innovative, tecnologia e competitività. La ricerca mette in luce un ulteriore elemento: le start-up rappresentano il più importante driver di crescita occupazionale della nostra economia, nel 2021 hanno contribuito alla net job creation con un saldo positivo di 343 mila addetti, un valore pari a circa i due terzi del saldo occupazionale netto complessivo. In base alle nostre stime, il calo delle nascite nel 2022 si tradurrà in 27 mila addetti e 2,5 miliardi di fatturato persi.”
Entrando più nel dettaglio sulla stima dell’impatto che il calo di start-up del 2022 potrebbe avere sui diversi settori dell’economia, le più colpite rischiano di essere le utility (-117 milioni di euro di fatturato e -60,1% di addetti, a causa di 460 nuove nascite in meno), seguite dalle aziende agricole (-74,9 milioni di euro, -39,8% di addetti, -407 start-up), dai servizi (-1.967 milioni di euro, -14.6% di addetti che però in cifra assoluta si traducono in ben 19.000 persone, – 7.945 start-up), dall’industria (-160 milioni di euro, -12,8% di addetti, -691 start-up) e infine dalle costruzioni (-193,6 milioni di euro, -10% di addetti, -1.135 start-up), che avevano visto un vero e proprio boom nel 2021 grazie ai vari bonus edilizi. In totale, 27.080 lavoratori stimati in meno e una perdita di fatturato di oltre 2,5 miliardi di euro.
In cifra assoluta, nel Mezzogiorno le nuove imprese sono passate da 33.130 nel 2021 a 28.759 nel 2022 (-13,2%), al Centro da 24.612 a 22.128 (-10,1%; stessa percentuale del Nord Est, da 15.609 a 14.033), nel Nord Ovest da 26.428 a 24.272 (-8,2%). A livello regionale, la Valle d’Aosta segna il calo minore di nascite di imprese (-2%), mentre le Marche quello peggiore (-20%), a causa della crisi che ha investito i distretti del manifatturiero a partire dalla moda e dalle calzature. In valori assoluti, invece, sono la Campania (-1.484 aziende), la Lombardia (-1.366) e il Lazio (-1.325) ad avere subìto i cali più consistenti. Al Nord, la regione più impattata è il Trentino-Alto Adige (-14%).
Analizzando le grandi città, si vede invece come Milano sia quella più dinamica, con un calo di “sole” 358 nuove imprese rispetto al 2021 (-3,9%), seguita da Genova (67, -8,1%) e Roma (906, -8,6%), mentre le successive hanno comunque un saldo negativo a due cifre: Palermo (101, -10,8%), Bologna (122, -14%) Torino (271, -14%), Napoli (424, -14,2%), Messina (37, -14,3%), Bari (113, -14,6%), Firenze (127, -14,9%), Venezia (56, -15,1%), Catania (111, -16,3%), Reggio Calabria (31, -16,9%), Cagliari (87, -18,4%).
Lo studio sui macro-comparti rivela che solo le startup delle costruzioni (pur diminuite del 5,8% a confronto con il 2021) registrano nel 2022 livelli più alti rispetto al 2019 (+22,9%), mentre il record negativo è stato segnato lo scorso anno dalle newco delle utility (-28,9% sul 2021, poco sotto al livello del 2019), seguite da quelle delle aziende agricole (-22,3% sul 2021 e -20,9% sul 2019). L’industria si è assestata a -12,6% (-23,6% rispetto al 2019), i servizi a -11,3% (-10,5% sul 2019). Quanto al contributo positivo alla crescita occupazionale, l’analisi storica sull’andamento degli ultimi 15 anni condotta da Cerved evidenzia che nel 2021, a fronte di un saldo netto complessivo di 343.000 addetti, a farla da padrone sono state le startup dei servizi, con 230.000 addetti (il 67% del totale), seguite dalle costruzioni con il 20% (nel 2019 contribuivano per il 12%); l’industria è scesa invece dal 15% del 2019 al 10% del 2021.
Venendo ai singoli settori, in cima alla top 10 dei più performanti troviamo le tecnologie per telecomunicazioni, spinte dagli investimenti del PNRR in digitalizzazione, che salgono dalle 21 startup del 2021 alle 55 del 2022 (+96,4%), il facility management, che ha goduto della ripresa di utilizzo delle strutture dopo il calo dovuto al Covid (da 128 a 197 startup, +53,9%), la cantieristica (da 272 a 325, +19,5%) e gli impianti per l’edilizia (da 2451 a 2771, +13,1%), trainati dalla domanda generata dal PNRR. Al contrario, tra i peggiori 10 ci sono la gestione dei rifiuti (da 225 a 108 startup, -52%), la vendita di gas (da 144 a 76, -47,2%), su cui ha pesato l’incertezza sul prezzo, i prodotti da forno e la pasticceria industriale (da 457 a 251, -45,1%), i trasporti marittimi (da 89 a 51, -42,7%) e la produzione di ortofrutta (da 753 a 468, -37,8%), che ha sofferto l’aumento del costo delle sementi, dei prodotti in metallo/plastica per l’agricoltura e dei fertilizzanti.

Tim: se possibile offerta Cdp-Macquaire all’esame Cda il 15 marzo

Tim: se possibile offerta Cdp-Macquaire all’esame Cda il 15 marzoMilano, 5 mar. (askanews) – Tim ha ricevuto da un consorzio formato da CdP Equity (Cdpe) and Macquarie Infrastructure and Real Assets (Europe), che agisce per conto di Mam Funds, un’offerta non vincolante per l’acquisto del 100% della costituenda società coincidente con il perimetro gestionale e infrastrutturale della rete fissa, inclusivo degli asset e attività di FiberCop, nonché della partecipazione in Sparkle.
L’offerta, che scade il 31 marzo 2023, sarà sottoposta all’esame preliminare del Comitato Parti Correlate, ai sensi della normativa applicabile a CdP Equity, quale parte correlata di Tim, e sarà, a seguire, portata all’attenzione del Cda, ove possibile nella riunione già programmata per il 15 marzo 2023 o in un’altra data da definire.

Cdp: via libera Cda a offerta con Macquarie per rete Tim

Cdp: via libera Cda a offerta con Macquarie per rete TimMilano, 5 mar. (askanews) – Il Consiglio di Amministrazione di Cassa Depositi e Prestiti, riunitosi oggi sotto la presidenza di Giovanni Gorno Tempini, ha dato il via libera alla presentazione di un’offerta non vincolante da parte di Cdp Equity, congiuntamente a Macquarie Asset Management, per l’acquisto della costituenda NetCo di Tim. L’offerta ricomprenderà la rete infrastrutturale e la partecipazione in Sparkle.
Il termine di validità dell’offerta è fissato al 31 marzo 2023.

Santanchè: lavoreremo insieme per carenza personale turismo

Santanchè: lavoreremo insieme per carenza personale turismoMilano, 5 mar. (askanews) – “Nelle prossime settimane sarò ben felice di ascoltare le associazioni di categoria per affrontare l’annosa questione del problema della mancanza di personale nel settore del turismo. Lavoreremo insieme al ministro del Lavoro Calderone per affrontare la questione e trovare soluzioni adeguate. Al tempo stesso dobbiamo rivolgerci alle nuove generazioni raccontando loro quanto sia stimolante lavorare in un comparto così variegato e trasversale. E su questo, oltre a mettere in campo attività legate alla formazione, faremo una specifica campagna di comunicazione”. Lo ha detto il ministro del Turismo Daniela Santanchè commentando l’allarme lanciato oggi da Assoturismo sulla mancanza di 50 mila addetti per le prossime feste.

Coldiretti: da siccità rischi per 300mila imprese agricole

Coldiretti: da siccità rischi per 300mila imprese agricoleMilano, 5 mar. (askanews) – Solo in Italia sono circa 300mila le imprese agricole che si trovano nelle aree più colpite dall’emergenza siccità che riguarda in gran parte dell’Europa, dalla Francia centrale e sud-occidentale alla Spagna settentrionale fino alla Germania meridionale, ma anche parti significative della Grecia settentrionale e meridionale Bulgaria e gran parte della Turchia. E’ quanto afferma la Coldiretti sulla base della mappa europea del programma Copernicus che mostra allarmi e allerte sulla bassa umidità del suolo in molte parti meridionali del Continente con effetti sull’ambiente, sull’agricoltura e sugli usi civili.
Il fiume Po è a secco e al Ponte della Becca (Pavia) si trova a -3,2 metri rispetto allo zero idrometrico, con le rive ridotte a spiagge di sabbia come in estate, secondo l’ultima rilevazione della Coldiretti mentre In Germania, le acque basse del Reno ostacolano il traffico commerciale costringendo le barche dirette verso l’Europa centrale a caricare a metà capacità, e in Spagna a Barcellona sono state adottate limitazioni per innaffiare i parchi.
Ma la situazione è preoccupante – continua la Coldiretti – soprattutto per le forniture alimentari con la siccità che ha colpito le principali economia agricole dell’Unione Europea, già in difficoltà per gli elevati costi di produzione spinti dalla guerra in Ucraina.
In Italia ad essere assediate dalla sete sono soprattutto le aree del Centro Nord con la situazione più drammatica che si registra nel bacino della Pianura Padana – spiega Coldiretti – dove nasce quasi 1/3 dell’agroalimentare Made in Italy e la metà dell’allevamento che danno origine alla food valley italiana conosciuta in tutto il mondo. Dalla disponibilità idrica dipende la produzione degli alimenti base della dieta mediterranea, dal grano duro per la pasta alla salsa di pomodoro, dalla frutta alla verdura fino al mais per alimentare gli animali per la produzione dei grandi formaggi come Parmigiano reggiano e il Grana Padano ed i salumi più prestigiosi come il prosciutto di Parma o il Culatello di Zibello. Senza parlare del riso le cui previsioni di semina prevedono un taglio di 8muila ettari e risultano al minimo da 30 anni.
Colpite anche le tipicità in altri Paesi come in Francia dove sono con le alte temperature – continua la Coldiretti – crescono le difficoltà per le produzioni di fiori da destinate ai raffinati profumi francesi alla Spagna dove per la mancanza di precipitazioni non ci sono le ghiande per alimentare i maiali destinati al prelibato Pata negra ma soffrono anche le esportazioni di ortofrutta tanto che in Gran Bretagna si segnalano scaffali vuoti con lavvio dei razionamenti nei supermercati.
“Gli agricoltori italiani sono impegnati a fare la propria parte per promuovere l’uso razionale dell’acqua, lo sviluppo di sistemi di irrigazione a basso impatto e l’innovazione con colture meno idro-esigenti, ma non deve essere dimenticato che l’acqua è essenziale per mantenere in vita sistemi agricoli senza i quali è a rischio la sopravvivenza del territorio, la produzione di cibo e la competitività dell’intero settore alimentare” ha affermato il presidente della Coldiretti Ettore Prandini nel sottolineare che “con l’Italia che perde ogni anno l’89% dell’acqua piovana abbiamo elaborato con Anbi il progetto laghetti per realizzare una rete di piccoli invasi diffusi sul territorio, senza uso di cemento e in equilibrio con i territori, per conservare l’acqua e distribuirla quando è necessario ai cittadini, all’industria e all’agricoltura”.

Urso: biofuel e idrogeno per fare ripartire filiera automobili

Urso: biofuel e idrogeno per fare ripartire filiera automobiliMilano, 5 mar. (askanews) – Il rinvio della decisione europea sullo stop alla produzione di motori termici dal 2035 “rappresenta una svolta e apre una discussione ampia che coinvolge diversi dossier, dall’introduzione dell’Euro7 agli standard sui mezzi pesanti, dai regolamenti sul packaging, alle microplastiche, all’ecodesign. Questioni che determinano la competitività delle imprese italiane ed europee. Abbiamo il merito di aver mostrato che il re è nudo. Ora bisogna andare avanti”. Lo ha detto il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, intervistato dal Corriere della Sera.
“Sono convinto – ha aggiunto il ministro – che la posizione italiana diventerà maggioritaria. Altri Paesi in queste ore ci hanno manifestato il loro consenso. E nel 2024 ci saranno le elezioni europee e cambierà sia il Parlamento sia la Commissione. Nel frattempo, noi abbiamo aperto una riflessione sul fatto che la transizione green non può fondarsi solo sull’elettrico, che invece è uno dei mezzi per raggiungere il risultato insieme a biofuel e idrogeno”.
“La situazione – ha concluso Urso – è profondamente cambiata, con la pandemia e con la guerra. Bisogna ricondurre intere filiere produttive in Europa e raggiungere l’autonomia energetica. Ho riscontrato particolare attenzione su questo dei due commissari con cui mi confronto, Vesteger e Breton. In tale contesto va vista la transizione green nel settore auto. Se altre tecnologie oltre l’elettrico, come i carburanti biologici e l’idrogeno, dove l’Italia è in posizione avanzata, garantiscono gli stessi risultati in termini di emissioni zero, perché non battere anche queste strade?”.

Eni e Adnoc siglano accordo strategico su riduzione emissioni

Eni e Adnoc siglano accordo strategico su riduzione emissioniMilano, 4 mar. (askanews) – Claudio Descalzi, Ad di Eni, e Sultan Ahmed Al Jaber, ministro dell’Industria degli Emirati Arabi Uniti e Dg e Ad di Adnoc, hanno firmato oggi un Memorandum of Understanding (MoU) che delinea un quadro di cooperazione per futuri progetti congiunti in ambito di transizione energetica, sostenibilità e decarbonizzazione. La firma è avvenuta alla presenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, Giorgia Meloni, e di Sua Altezza lo Sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, Presidente degli Emirati Arabi Uniti.
Con questo accordo, Eni e Adnoc esploreranno potenziali opportunità nei settori delle energie rinnovabili, idrogeno blu e verde, cattura e stoccaggio di CO2 (CCS), riduzione delle emissioni di gas serra e metano, efficienza energetica, riduzione del flaring di routine e l’impegno nel Global Methane Pledge, per sostenere la sicurezza energetica globale e traguardare una transizione energetica equa. Inoltre, valuteranno aree di cooperazione per lo sviluppo sostenibile e la promozione di una cultura della sostenibilità all’interno dell’industria energetica e dei suoi stakeholder.
“Questo accordo fa leva sulla relazione strategica che Eni e Adnoc hanno sviluppato negli anni, per rafforzare la cooperazione nell’impegno alla decarbonizzazione e per una giusta transizione energetica. Arriva in un momento cruciale, in una complessa situazione internazionale e in vista dell’imminente COP28 in cui gli Emirati Arabi Uniti, in quanto paese ospitante, dovranno definire la loro visione per un’agenda che porti ad una transizione energetica pulita”, afferma Descalzi.
Eni è presente ad Abu Dhabi dal 2018. Con un significativo portafoglio di progetti negli Emirati Arabi Uniti, Eni è una delle principali società internazionali del Paese.

Riso Gallo: in 2022 estero spinge lieve crescita, su 2023 incognita siccità

Riso Gallo: in 2022 estero spinge lieve crescita, su 2023 incognita siccità

Ebitda in leggero aumento, soffre gdo. Riso italiano non mancherà

Milano, 4 mar. (askanews) – Grazie soprattutto ai risultati raggiunti all’estero, il 2022 per Riso Gallo si è chiuso con un incremento, sia pur lieve, di margini e ricavi. A soffrire un po’ è stata la grande distribuzione italiana, in un anno in cui ai galoppanti rincari di materie prime ed energia si è aggiunta una stagione di straordinaria siccità che ha colpito tutto il comparto del riso italiano. E questa resta anche la principale incognita del 2023 per l’azienda risiera, nata a Genova nel 1856 e oggi operativa a Robbio Lomellina, nel Pavese.
“Il 2022 – ci ha detto Carlo Preve, consigliere delegato della storica azienda – si chiuderà con un Ebitda in leggera crescita rispetto al 2021 e questo grazie alla crescita sull’estero, ristorazione e clienti industriali e una leggera sofferenza nella nostra Gdo dove abbiamo dovuto presentare tre aumenti di listino per compensare gli aumenti della materia prima e dell’energia. Il 2023 speriamo sia più facile, ma questa resta una speranza che, se non piove, rischia di essere disattesa”. Il fatturato, da bilancio civilistico, dovrebbe chiudersi a valore a 134 milioni contro i 117 del 2021, con una lieve crescita anche a volume, grazie sempre al traino dei mercati esteri. “L’estero – puntualizza – pesa ormai più della metà dei volumi, già da qualche anno il dipartimento estero si vanta di vendere più scatole di riso dell’Italia”.
Certo i prezzi dell’energia in alcune fasi dell’anno sono cresciuti così tanto da erodere quasi completamente i margini. “A un certo punto quasi tutto l’Ebitda veniva mangiato dal costo dell’energia. Eravamo tra quelle aziende – ha raccontato – che se non riuscivano a far passare gli aumenti di listino andavamo a gambe all’aria. È stato un anno che non vedevamo da tanto tempo”. Per non parlare della siccità, che ha pesantemente penalizzato la coltivazione di riso italiano, unico mercato da cui Riso Gallo si approvvigiona tranne che per la varietà Basmati. “Ora il costo dell’energia e del gas è in discesa e questo aiuta ma il riso vive un momento particolare perché dopo la siccità storica dello scorso anno, che nemmeno i nostri ex dipendenti in pensione si ricordavano, una cosa del genere purtroppo rischia di ripetersi anche quest’anno se non piove”. Quindi dovremo aspettarci nuovi aumenti dei prezzi finali? “Questo occorrerà vederlo – ha detto – finché non si vede il raccolto non sai mai cosa ti porta la natura”.
Le sfide poste dalla congiuntura economica e dalla crisi climatica, però, non distolgono l’attenzione da uno sviluppo che parla la lingua dell’innovazione tanto sul fronte della sostenibilità quanto del prodotto. “Noi puntiamo soprattutto su sostenibilità e servizio. Nel caso del servizio interveniamo con la linea Bontà pronta, pronta in 2 minuti e nel caso della sostenibilità con un riso da agricoltura sostenibile che è l’unica sostenibilità vera perchè il nostro è un prodotto povero di cui non buttiamo nulla”. Quello adottato da Riso Gallo è un approccio alla sostenibilità che non può che essere di filiera, a partire dalle aziende agricole che forniscono la materia prima, il risone. Il perchè lo spiega Carlo Preve: “L’industria risiera in sè, nel senso delle riserie dove riceviamo il risone dagli agricoltori e lo trasformiamo in riso, è per definizione sostenibile: la lolla viene bruciata direttamente per fare energia o venduta per essere bruciata, mischiata con la terra per i fiori, diventa letto per le stalle oppure nel nostro caso, attraverso Ricehouse, ci costruiamo pannelli isolanti per l’edilizia. Anche gli scarti sono recuperati e finiscono nell’alimentazione animale per cui l’industria è di per sé circolare. La filiera agricola del riso è invece in centro classifica quanto a sostenibilità, e lì si può fare la differenza visto che il 90% delle opportunità sono lì”.
Di qui il progetto Il riso che sostiene che dal 2018 coinvolge le realtà agricole della filiera risicola, oggi arrivate a 155 tra Lombardia e Piemonte, tutte certificate secondo il protocollo Farm sustainability assessment, che punta a promuovere pratiche agricole sostenibili come la Carta del riso e l’impiego di soluzioni tecnologiche e innovative di precision farming. Un impegno che gli è valso l’inserimento nella classifica delle prime 100 aziende sostenibili, unica azienda risiera. E seguendo questo approccio anche il problema della siccità, ora che si è fatto minaccia concreta, impone un cambio di visione e interventi concreti. Partendo da un presupposto: “Il riso ha bisogno di acqua ma meno di altre colture perché quando si allaga la risaia l’acqua rimane lì e non scorre quindi possiamo sfatare il mito che il riso consumi più acqua di tutte le altre colture – precisa Riccardo Preve, anche lui consigliere delegato – L’acqua che viene utilizzata dal riso in Italia viene dalle Alpi, dai laghi e una volta usata torna nei fiumi quindi viene usata ma non consumata. Detto questo il 2022 è stato un anno con molta meno acqua, cosa che ha colto impreparato il settore perché in questa zona noi veniamo da decenni di abbondanza di acqua, siamo abituati a usare l’acqua quando vogliamo, basta scavare 3-4 metri e si trova l’acqua. Ora non è più così, occorre cambiare mentalità, fare investimenti sulle strutture per evitare le perdite e in agricoltura usarla in modo consapevole, quando c’è e non quando si vuole”.
Per ora entrambi i fratelli Preve, tuttavia, escludono di dover ricorrere ai mercati esteri per rifornirsi di materia prima. “Il calo della produzione l’anno scorso ha inciso e si è visto dell’andamento dei prezzi, noi però abbiamo relazioni secolari col territorio e questo ci ha aiutato. Non credo assolutamente” si debba importare ha detto Riccardo Preve. “L’Italia esporta il 50% del proprio riso – ha aggiunto Carlo – io credo che i primi a soffrirne saranno gli stranieri, il riso italiano per gli italiani non mancherà”. E qui con orgoglio ha rivendicato che “Alla Cop26 di Glasgow siamo stati l’unica azienda a vendere al Regno Unito ovviamente Carnaroli e Arborio per risotti ma anche basmati fregando gli indiani”.

Auto, Urso ottimista: mossa Italia ha già un primo effetto sull’Ue

Auto, Urso ottimista: mossa Italia ha già un primo effetto sull’UeRoma, 3 mar. (askanews) – Il voto negativo annunciato dall’Italia sulla mesa al bando dei motori termici dal 2035 ha “suonato la sveglia” all’Europa e ha già avuto “un primo effetto” positivo: il rinvio “sine die” del voto al Coreper, e quindi al Consiglio Ue, mentre ora “anche altri paesi si sono resi conto che non si può andare in un vicolo cieco”. Lo ha rivendicato il ministro di Imprese e Made in Italy, Adolfo Urso a margine della 41esima assemblea Legacoop a Roma.
“Io sono ottimista – ha detto Urso – perché le prime reazioni sono davvero per alcuni sorprendenti. L’Italia, prendendo atto della realtà, così come si è modifica negli ultimi mesi, tra l’altro e non per ultimo con la decisione dell’amministrazione Biden di realizzare una politica industriale molto assertiva e competitiva, mettendo in campo quasi 2.000 miliardi di dollari sul proprio sistema industriale, con misure anche protezionistiche a cui l’Europa deve rispondere, per non essere schiacciata dalla sfida tra Stati Uniti e Cina; abbiamo, il governo Meloni, con intesa piena del ministro (di ambiente e sicurezza energetica Gilberto) Picchetto e del sottoscritto, espresso questa posizione netta in merito al regolamento che aveva già compiuto il percorso del trilogo Ue ed aver superato, seppure con qualche difficoltà, anche in questo caso sorprendente, il giudizio del Parlamento europeo”.
“Abbiamo detto no al regolamento CO2 sui veicoli leggeri – ha spiegato il ministro – perché siamo fautori, da sempre, di un approccio programmatico, quello che deve derivare dei fatti concreti, per esempio riteniamo che l’elettrico sia una tecnologia tra le tante, anche se forse la più significativa nel periodo della transizione ecologica, ma non è una religione. Bisogna anche guardare ad altre tecnologie, penso ai biocombustibili che possono dare gli stessi positivi effetti per quanto riguarda le regole ambientali che ci siamo dati. Per questo abbiamo espresso il nostro no, abbiamo anticipato il nostro no alla riunione del Coreper che si sarebbe dovuta realizzare mercoledì”.
“Il nostro no ha svegliato l’Europa – ha rivendicato Urso – la presidenza svedese ha deciso prima di rinviare ad oggi, cioè a venerdì, il punto all’ordine del giorno, poi consapevole che la riflessione si era ancora amplificata e aveva coinvolto più paesi ha deciso di togliere questo punto dall’ordine del giorno, rinviando sine die, a dimostrazione che la sveglia italiana avuto un primo effetto: quello di far capire all’Europa che nulla è scontato, che il destino delle imprese e del lavoro europeo è nelle nostre mani e che anche altri paesi si sono resi conto che non si può andare in un vicolo cieco, che ci porterebbe alla sottomissione alla tecnologia della Cina, che oggi sul green ha sostanzialmente un oligopolio”.