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Per Meloni l’intesa con l’Albania funzionerà, ma non è il vero modello Ue

Per Meloni l’intesa con l’Albania funzionerà, ma non è il vero modello UeBruxelles-Roma, 31 ott. (askanews) – I centri in Albania “funzioneranno, sono la chiave di volta nella gestione dei flussi non solamente italiani” ed è per questo che l’intesa “riscuote tanta attenzione da parte dell’Ue, l’Europa guarda con interesse all’intesa”. La presidente del Consiglio Giorgia Meloni lo ha ripetuto ieri sera nel salotto televisivo di ‘Porta a porta’, rivelando anche di aver ricevuto “minacce di morte” da parte dei “trafficati”.


Che l’accordo tra Italia e Albania sia il nuovo modello per l’Europa è però un’affermazione non (completamente) vera, a maggior ragione dopo lo stop dei giudici di Roma al trattenimento dei primi dodici migranti, riportati infatti subito in Italia e il ricorso del Tribunale di Bologna alla Corte di Giustizia europea per i dubbi sul cosiddetto decreto Paesi sicuri (nel frattempo diventato emendamento al decreto Flussi). Il decreto – firmato dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella solo dopo che i tecnici del Quirinale avevano provveduto a una preventiva e profonda “limatura” delle parti più controverse – ha specificato quali sono i Paesi ritenuti “sicuri” ma (come visto) non garantisce il superamento del problema perché un Paese, per essere ritenuto sicuro, deve esserlo “in tutte le sue parti e rispetto a tutte le categorie di potenziali richiedenti asilo”, come ha precisato la Corte Ue. Comunque sia, lo stop dei giudici crea un problema anche di opportunità per l’Ue, dato che la decisione è stata presa “in applicazione dei principi vincolanti” contenuti nella sentenza della Corte di Giustizia europea del 4 ottobre 2024. “Che l’intesa con l’Albania sarebbe andata incontro a problemi di legittimità si sapeva – sottolinea un membro dell’esecutivo a patto di mantenere l’anonimato -. Infatti l’obiettivo, più che una soluzione concreta, appariva quello di sollevare un tema, anche una contrapposizione netta. Adesso vedremo come andrà a finire e se questa strategia sarà premiata dal consenso dei cittadini”.


Anche prima degli ultimi contenziosi, nella ricerca delle cosiddette “soluzioni innovative” per la gestione dei rimpatri quello italiano non era il ‘modello’ primario di ispirazione di Ursula von der Leyen, proprio per un impianto non considerato “a prova di ricorsi”. Ci sono, in effetti, altri due ‘modelli’ a cui sta guardando la Commissione europea, per rispondere alle sollecitazioni dei governi dell’Ue, ormai in gran parte di centrodestra o di destra. Il primo è quello dei “return hub”, gli hub per i rimpatri esterni all’Ue, per i quali non esiste ancora un esempio concreto, anche se l’Olanda sta discutendo con l’Uganda una possibile prima applicazione, e la Danimarca ci sta provando con il Kosovo, ma in questo caso con condizioni specifiche più limitate. Il secondo non ha ancora un nome, ma può riferirsi già a un esempio concreto, quello dell’accordo del 2016 (chiamato eufemisticamente “dichiarazione”) con la Turchia per i profughi siriani. La differenza tra i due modelli è abbastanza chiara. Il primo riguarderebbe i migranti cosiddetti “economici”, ovvero quelli arrivati illegalmente in un paese dell’Ue che si vedono respingere le loro domande d’asilo. Queste persone, senza il diritto di restare nell’Ue, sarebbero accompagnate (“deportate”, il termine inglese, sarebbe più corretto) in un “return hub” fuori dall’Unione in attesa del loro rimpatrio, se vengono da un Paese “sicuro”(che però deve avere degli accordi in questo senso con l’Ue), oppure in un altro Paese considerato “sicuro”, se questo non è possibile perché il Paese d’origine non è sicuro o non ha accordi con l’Ue per riportarli a casa. E’ quest’ultimo caso che complica le cose: per deportare i migranti in un Paese terzo sicuro diverso da quello di provenienza, bisognerà definire nuove regole Ue (con la revisione, annunciata da von de der Leyen, dell’ultima versione della “direttiva rimpatri”, che è rimasta da anni bloccata in Consiglio), e la Commissione dovrà anche proporre una nuova lista comune europea dei “Paesi terzi sicuri”, visto che oggi ogni Stato membro ha la sua specifica lista, determinata a livello nazionale.


Il secondo modello è una nuova ipotesi di cui finora non si era parlato, se non informalmente tra i governi e la Commissione: lo ha prefigurato per la prima volta “formalmente”, anche se in modo sibillino, la stessa von der Leyen, durante la conferenza stampa al termine del Consiglio europeo, giovedì 17 ottobre. “Per i migranti che hanno bisogno di protezione la discussione riguarda i Paesi terzi sicuri, perchè riconosciamo pienamente la necessità di protezione e ce ne assumiamo la responsabilità” ha detto la presidente della Commissione. Ma, ha aggiunto, “questo non significa che la protezione debba essere solo nell’Unione europea: si può avere anche in Paesi terzi sicuri”. In altre parole, von der Leyen dice che si possano mandare nei Paesi terzi sicuri non solo i migranti a cui è stata respinta la richiesta d’asilo, ma anche quelli che ne avrebbero diritto nei Paesi dell’Ue. E questa è un’ipotesi del tutto nuova, che somiglia più al “modello Ruanda” su cui aveva puntato, senza successo, il precedente governo conservatore britannico, che agli “hub per i rimpatri”. Ma soprattutto, un caso simile esiste già, già realizzato e funzionante, e con cospicui finanziamenti da parte dell’Unione: è quello dell’accordo con la Turchia, che dal 2016 si riprende tutti i profughi siriani passati dal suo territorio e diretti in Grecia e nell’Europa centro settentrionale attraverso la “rotta balcanica”. In quel caso, l’accordo con Ankara, stipulato sotto gli auspici dall’allora cancelliera Angela Merkel, era giustificato da un’emergenza evidente: quella della guerra civile in Siria e dell’ondata di sfollati che aveva causato. Generalizzare oggi quel modello, in assenza di una evidente situazione di emergenza e di una collocazione geografica specifica (che comporta comunque il transito dei migranti da quel paese), segnerebbe un notevole salto di qualità, fino a prefigurare una vera e propria negazione del diritto d’asilo nell’Unione europea.


Per quanto riguarda – ha detto ancora von der Leyen – “coloro che non hanno il diritto di rimanere nell’Unione europea”, perché hanno ricevuto una risposta negativa alla loro richiesta d’asilo, “sono stati discussi i ‘centri di rimpatrio’. Ci sono domande aperte su quanto tempo le persone possono rimanere in quei centri. Cosa si fa, ad esempio, se un rimpatrio non è possibile? Insomma, è una questione non banale, ed è un argomento ancora in discussione”. Quanto al patto Italia- Albania “è un accordo bilaterale; ne seguiamo con attenzione gli sviluppi, ma non possiamo commentarlo”, ha puntualizzato la presidente della Commissione. La prudenza dell’Ue è motivata dal fatto che il protocollo con l’Albania è realizzato con la legislazione europea vigente, che non prevede questo tipo di accordi, e può essere tollerato solo con l’artificio di considerarlo, appunto, un accordo bilaterale, in cui non è coinvolta la legislazione europea ma solo il diritto nazionale italiano. Gli altri due modelli di esternalizzazione della gestione dell’immigrazione irregolare, i centri di rimpatrio e quella che potremmo definire la generalizzazione del modello turco, oggi non sono ancora possibili, ma si prevede che lo saranno quando la legislazione europea sarà stata modificata nel senso indicato da von der Leyen, e saranno ben più radicali. Questo non significa, tuttavia, che il Protocollo con Tirana non possa essere modificato e adattato, in modo da rientrare tra le “soluzioni innovative” che saranno previste dalla futura legislazione Ue.

Piantedosi: dossieraggio per lucro e contro avversari politici

Piantedosi: dossieraggio per lucro e contro avversari politiciMilano, 31 ott. (askanews) – “Le indagini di Milano, ma anche quelle che nel recente passato hanno evidenziato attività illecite finalizzate al dossieraggio, pongono il tema della gravità di comportamenti di chi potrebbe utilizzare dati illecitamente acquisiti, non solo per scopo di lucro, ma anche per attaccare gli avversari politici alterando le regole della democrazia”. Lo ha detto il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, rispondendo nel corso del question time al Senato a un’interrogazione sulla violazione di banche dati delle forze dell’ordine. “Il quadro degli illeciti che emerge al momento è preoccupante – ha sottoineato ancora il ministro – e impone e tutti di attori del sistema di sicurezza di effettuare ogni accertamento e ogni approfondimento necessario”.


Sono “più di 8 mila” attacchi informatici classificati come rilevanti registrati “nei primi 8 mesi del 2024”, e “oltre 25 mila” quelli avvenuti “tra il 2022 e il 2023″. Lo ha sottolineato il ministro dell’Interno.”È indubitabile che il Governo, sin dal suo insediamento e quindi ben prima delle indagini cui ho fatto cenno, ha riservato una specifica attenzione al potenziamento della sicurezza cybernetica – ha sottolineato il ministro – Le capacità di prevenzione e risposta alla minaccia cibernetica attribuite alla Polizia Postale sono state ulteriormente implementate, mediante la creazione di appositi Nuclei Operativi territoriali, coordinati dal Centro nazionale anticrimine informatico e per la protezione delle infrastrutture critiche, in grado di gestire tra il 2022 e il 2023, oltre 25 mila attacchi informatici classificati come rilevanti”.

Mattarella dalla prossima settimana in Cina, obiettivo rilanciare i rapporti

Mattarella dalla prossima settimana in Cina, obiettivo rilanciare i rapportiRoma, 31 ott. (askanews) – Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella sarà in visita di Stato in Cina dal 6 al 12 novembre. Obiettivo di questo viaggio è confermare il rilancio dei rapporti bilaterali dopo l’uscita dal Memorandum della via della Seta e infatti quello del capo dello Stato è l’ultima tappa di un percorso avviato dal governo e culminato con il viaggio fatto a luglio dalla premier Giorgia Meloni. Anche per questo il focus della visita di Stato saranno i rapporti culturali a cui le istituzioni cinesi attribuiscono un grande valore e che vede i due paesi accomunati da una cultura millenaria. Il capo dello Stato vanta inoltre un ottimo rapporto personale con il Presidente Xi Jinpjng, per Mattarella si tratta infatti della terza visita nella Repubblica popolare cinese.


Il Presidente della Repubblica arriverà a Pechino il 7 novembre, avrà colloqui con il presidente Xi Jinping e il premier Li Qiang. Al centro degli incontri ci saranno le posizioni reciproche rispetto alle principali aree di crisi del mondo, a partire dalla guerra in Ucraina su cui, Pechino garantisce il suo pieno appoggio politico alla Russia di Putin e in quanto potenza potenza globale può giocare un ruolo determinante nella costruzione di una mediazione tra Mosca e Kiev. Per il capo dello Stato sarà anche interessante – spiegano fonti diplomatiche – approfondire l’idea cinese di costruire un nuovo ordine mondiale che non sia più dominato dall’oligopolio occidentale attraverso i Brics e il maggior coinvolgimento di quella galassia di Paesi che viene chiamata “global south”. Sul profilo dei rapporti bilaterali ci sarà la questione commerciale: sul fornte import-export l’Italia è penalizzata anche a causa di una politica di dazi attuata dalla Cina che rende difficile per noi le esportazioni. Anche per questo dal Quirinale definiscono questa visita di Mattarella in Cina “molto importante per consolidare un rilancio strategico” e fortemente voluta dalle autorità di Pechino.


Il capo dello Stato arriverà a Pechino il 6 novembre accompagnato dalla figlia Laura e dal ministro degli Esteri Antonio Tajani. L’8 novembre, sarà accolto nella sala del Popolo dal presidente Xi Jinping. Dopo i colloqui seguirà una cena di Stato. Sabato 9 novembre, sempre nella sala del Popolo, Mattarella vedrà il premier Li Qiang e poi il presidente dell’Assemblea nazionale del Popolo Zhao Leji. Sempre sabato 9 novembre il presidente terrà una lectio magistralis nell’università Beida di Pechino. Conclusa la parte più istituzionale della visita di il presidente visiterà la città di Hangzhou per alcuni appuntamenti di carattere strettamente culturale e poi Canton, considerata l’area economicamente più ricca e dinamica, dove incontrerà una delegazione degli imprenditori italiani che operano in Cina. Nel pomeriggio di martedì 12 è previsto il rientro in Italia.

Mattarella avverte: concetrazione ricchezza in poche mani pericolo per la democrazia

Mattarella avverte: concetrazione ricchezza in poche mani pericolo per la democraziaRoma, 31 ott. (askanews) – Occorre incoraggiare il risparmio perchè c’è il rischio si creino gravi disuguaglianze dovute all’aumento della povertà. E’ l’appello rivolto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla Giornata mondiale del Risparmio che quest’anno celebra il centenario del Congresso internazionale delle Casse di Risparmio.


L’intervento del capo dello Stato arriva dopo quelli di Giovanni Azzone, Presidente ACRI, di Antonio Patuelli, Presidente dell’ABI, di Fabio Panetta, Governatore della Banca d’Italia, e di Giancarlo Giorgetti, Ministro dell’Economia e delle Finanze, un discorso ampio sul significato profondo del valore del risparmio “per il futuro delle famiglie e delle imprese” che non a caso è stato inserito in Costituzione con lungimiranza. Un valore che va tutelato, di qui il richiamo a fare della “lotta all’inflazione e della tutela del valore reale risparmio “impegni prioritari per la nostra Repubblica”. “Le iniziative per incoraggiare il risparmio sono necessarie e benvenute”, dice il capo dello Stato secondo il quale “la prima condizione è che sia possibile risparmiare a livello individuale.Ma oggi, ce lo dicono i dati della Banca d’Italia, il 50 per cento della popolazione italiana continua a non essere in grado di risparmiare. Con gravi disuguaglianze, e l’aumento della povertà rischia di perpetuare questa condizione nel tempo”. Una preoccupazione accresciuta dalla constatazione che certi servizi offerti prima dal sistema di welfare si sono ridotti a causa di inferiori risorse finanziare e “spinte a una nuova privatizzazione”. Questo si riflette, naturalmente, “sull’ammontare complessivo delle somme che le famiglie possono risparmiare e ve ne è traccia anche nei recentissimi dati dei conti nazionali registrati dall’Istat”.


Ma non è solo alle famiglie che Mattarella guarda perchè il risparmio è “di primaria importanza per fare funzionare l’economia reale. Per finanziare il credito, il risparmio è fonte imprescindibile”. “Il ruolo delle banche”, dice ancora il Presidente “è essenziale, per proteggere il risparmio. Le Casse di Risparmio, oggi Fondazioni – ricorda -, hanno saputo accompagnarci per quasi due secoli in questo percorso. Oggi la loro funzione è, in parte mutata, ma non muta la loro missione: essere strumenti di alimentazione dell’inclusione sociale”. Il pericolo che Mattarella intravede già all’orizzonte è che “in economia, l’estrazione di risorse a beneficio di pochi, produce solo concentrazione di potere, che è l’esatto contrario della democrazia”, come ricordano “i tre premi Nobel per l’economia di quest’anno, Daron Acemoglu, Simon Johnson e James Robinson: solo i Paesi che orientano le proprie istituzioni economiche e politiche all’inclusione – anche quella finanziaria – sono in grado di prosperare nel lungo periodo”.

Mattarella: incoraggiare il risparmio, rischio gravi disuguaglianze

Mattarella: incoraggiare il risparmio, rischio gravi disuguaglianzeRoma, 31 ott. (askanews) – Occorre incoraggiare il risparmio perchè c’è il rischio si creino gravi disuguaglianze dovute all’aumento della povertà. E’ l’appello rivolto dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, alla Giornata mondiale del Risparmio.


“Le iniziative per incoraggiare il risparmio sono necessarie e benvenute, dice il capo dello Stato secondo il quale “la prima condizione è che sia possibile risparmiare a livello individuale. Ma oggi, ce lo dicono i dati della Banca d’Italia, il 50 per cento della popolazione italiana continua a non essere in grado di risparmiare. Con gravi disuguaglianze, e l’aumento della povertà rischia di perpetuare questa condizione nel tempo”. Il risparmio è inoltre “di primaria importanza per fare funzionare l’economia reale. Per finanziare il credito, il risparmio è fonte imprescindibile”, avverte Mattarella.

Mattarella: risorse concentrate a favore pochi è contrario della democrazia

Mattarella: risorse concentrate a favore pochi è contrario della democraziaRoma, 31 ott. (askanews) – “In economia, l’estrazione di risorse a beneficio di pochi, produce solo concentrazione di potere, che è l’esatto contrario della democrazia”. Lo ha sottolineato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, intervenendo alla Giornata mondiale del Risparmio.


Il capo dello Stato ha citato “i tre premi Nobel per l’economia di quest’anno, Daron Acemoglu, Simon Johnson e James Robinson: solo i Paesi che orientano le proprie istituzioni economiche e politiche all’inclusione – anche quella finanziaria – sono in grado di prosperare nel lungo periodo”.

Mattarella: nostra Costituzione moderna, ha capacità di adattamento

Mattarella: nostra Costituzione moderna, ha capacità di adattamentoRoma, 31 ott. (askanews) – “Anche sul tema del risparmio” la nostra Costituzione si è mostrata moderna e capace di adattarsi. Lo ha sottolineato il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, intervenendo alla Giornata mondiale del Risparmio.


“I Costituenti hanno optato per una visione lungimirante e moderna – ha osservato il capo dello Stato -, prevedendo un’apertura all’ordinamento internazionale. Non sono state, quindi, necessarie modifiche della Costituzione, né in occasione dell’adesione all’Unione Monetaria Europea, né del varo dell’Euro, a testimonianza della capacità di adattamento con cui è stata – sagacemente – scritta ben settantasette anni addietro”.

Bonaccini: il centrosinistra vada oltre gli accordi occasionali

Bonaccini: il centrosinistra vada oltre gli accordi occasionaliRoma, 31 ott. (askanews) – “In Emilia-Romagna e Umbria tutte le forze di opposizione alla destra si presentano unite a sostegno di Michele de Pascale e Stefania Proietti. Ma non c’è dubbio che siamo a uno snodo: se vogliamo costruire un’alternativa credibile e competitiva alla destra sul piano nazionale, a partire dalle 6 Regioni che andranno al voto l’anno prossimo, bisogna costruire un centrosinistra nuovo, che vada oltre gli accordi occasionali e sappia parlare alla maggioranza degli elettori. E a questo accordo andrà anche dato radicamento: non basta mettere insieme sigle, bisogna aprire alle persone e nei territori”: così Stefano Bonaccini, europarlamentare e presidente del Pd, legge, intervistato dal Corriere della sera, le prospettive del centrosinistra nei prossimi appuntamenti elettorali.


Dopo la sconfitta in Liguria, avverte, “è un errore che si parli ancora di Conte e Renzi come se si trattasse di figurine. Personalismi e veti sono l’esatto opposto di partecipazione e unità. E io non credo che l’alternativa possa rimanere ostaggio di queste scorie. Non paga né per la coalizione nel suo insieme né per chi ragiona in questo modo”. Al sindaco di Milano Beppe Sala, che ha richiamato l’importanza del centro politico per qualsiasi competizione elettorale, l’ex presidente dell’Emilia Romagna replica: “Io credo che il Pd debba fare fino in fondo il Pd, cioè la forza centrale di una alleanza larga e competitiva di centrosinistra. Così come è indispensabile e preziosa un’alleanza con le forze che stanno alla nostra sinistra, è altrettanto indispensabile avere un’alleanza con forze moderate e liberali, laiche o cattoliche che siano. E lo è tanto più nel momento in cui ci contrapponiamo a una destra sovranista. È un ragionamento che vale sul piano generale, e che ha una declinazione molto importante anche al Nord, dove i ceti produttivi sono una categoria significativa”, conclude Bonaccini.

Per il Pd sfida cruciale in Umbria per rilanciare il campo largo

Per il Pd sfida cruciale in Umbria per rilanciare il campo largoRoma, 30 ott. (askanews) – Lo ha detto stamattina Elly Schlein, a Repubblica, “abbiamo una priorità, vincere in Emilia romagna e in Umbria tra 20 giorni”. Le regionali di novembre diventano uno spartiacque per il centrosinistra e l’Umbria in particolare, perché è la sfida più incerta, quella dove – secondo i sondaggi – la situazione è di un testa a testa simile a quello visto in Liguria. E’ un voto “locale”, ripetono tutti i leader del centrosinistra, ma dopo la sconfitta di Andrea Orlando in Liguria il test finirà inevitabilmente per condizionare il dibattito dentro al Pd e nella coalizione, perché un conto sarebbe chiudere la tornata elettorale d’autunno con un 2 a 1, altra cosa sarebbe vincere solo in Emilia romagna.


Se la segretaria Pd non intende cambiare la sua linea “testardamente unitaria”, come ha ripetuto anche oggi, la discussione sugli assetti del centrosinistra è di fatto già partita, dal fronte riformista Pd – ma non solo – cominciano a sollevarsi molte voci che chiedono di rivedere almeno le modalità del rapporto con M5s e di affrontare il problema del vuoto al centro, e solo la campagna elettorale in corso spinge tutti a rimandare il confronto vero e proprio a dopo il voto nelle due regioni. Certo, le scorie liguri rischiano di zavorrare il tentativo di ‘reconquista’ del centrosinistra, anche se rispetto al voto di domenica scorsa ci sono differenze importanti. In questo caso la coalizione è la più ampia possibile, qui Giuseppe Conte non ha posto veti ai renziani presenti in una lista civica. La coalizione non è stata appesantita dalle liti andate in scena in Liguria. Ma non è comunque facile far dimenticare gli scontri tra Conte e Matteo Renzi proseguiti anche in queste ore e non a caso al momento non è previsto un comizio finale con tutti i leader su uno stesso palco.


I democratici provano a tenere sul piano assolutamente locale la discussione, come si capisce bene ascoltando Anna Ascani, Pd, parlamentare umbra: “In questa elezione c’è in gioco il futuro della regione. Il voto di novembre in Umbria sarà un referendum sul governo di Donatella Tesei”. E anche Angelo Bonelli, portavoce di Europa verde, invita ad evitare “discussioni di politica nazionale” in questi giorni, perché “ogni ragionamento nazionale sarà fatto dopo”. Il centrosinistra è convinto che la presidente uscente, la leghista Donatella Tesei, non sia particolarmente amata dagli umbri, in particolare per la gestione della sanità. E infatti la Ascani aggiunge: “in questi cinque anni ha devastato la sanità pubblica e il sistema infrastrutturale già debole”. Stessa linea indica Bonelli: “Bisogna concentrarsi a vincere, parlare di una regione che ha avuto grossi problemi con la gestione della sanità della Tesei”. Un tema, peraltro, particolarmente caro alla Schlein, che nei mesi scorsi aveva presentato anche una proposta di legge per chiedere l’aumento della spesa sanitaria almeno al 7,5% del Pil.


La leader democratica si farà vedere spesso in Umbria nei prossimi 15 giorni, girerà la regione per spingere la campagna elettorale, insistendo appunto sui temi locali a cominciare dalla salute pubblica. “La partita è aperta”, dice anche Walter Verini, senatore Pd, umbro. “Sono convinto che ci siano le condizioni per dare all’Umbria un futuro progressista. Stefania Proietti sta conducendo una campagna molto bella”. I numeri delle europee dello scorso giugno non sono proprio incoraggianti. Il centrodestra prese il 47,8%, pari a 187mila voti, il centrosinistra si fermò al 46,5%, con 182mila voti. Ma ai voti di Lega, Fi, Fdi stavolta si sommeranno anche quelli di Stefano Bandecchi, che con la sua lista Alternativa popolare a giugno ottenne 7.245 voti, l’1,8%. La speranza del centrosinistra, appunto, è di riuscire a tenere la discussione sul piano locale, nella convinzione che la Tesei sconti un certo malcontento tra gli elettori di centrodestra. Una vittoria che sarebbe fondamentale per rilanciare quello schema di alleanze che la Liguria sembra aver messo in discussione.

Per il Pd sfida cruciale in Umbria per rilanciare il campo largo

Per il Pd sfida cruciale in Umbria per rilanciare il campo largoRoma, 30 ott. (askanews) – Lo ha detto stamattina Elly Schlein, a Repubblica, “abbiamo una priorità, vincere in Emilia romagna e in Umbria tra 20 giorni”. Le regionali di novembre diventano uno spartiacque per il centrosinistra e l’Umbria in particolare, perché è la sfida più incerta, quella dove – secondo i sondaggi – la situazione è di un testa a testa simile a quello visto in Liguria. E’ un voto “locale”, ripetono tutti i leader del centrosinistra, ma dopo la sconfitta di Andrea Orlando in Liguria il test finirà inevitabilmente per condizionare il dibattito dentro al Pd e nella coalizione, perché un conto sarebbe chiudere la tornata elettorale d’autunno con un 2 a 1, altra cosa sarebbe vincere solo in Emilia romagna.


Se la segretaria Pd non intende cambiare la sua linea “testardamente unitaria”, come ha ripetuto anche oggi, la discussione sugli assetti del centrosinistra è di fatto già partita, dal fronte riformista Pd – ma non solo – cominciano a sollevarsi molte voci che chiedono di rivedere almeno le modalità del rapporto con M5s e di affrontare il problema del vuoto al centro, e solo la campagna elettorale in corso spinge tutti a rimandare il confronto vero e proprio a dopo il voto nelle due regioni. Certo, le scorie liguri rischiano di zavorrare il tentativo di ‘reconquista’ del centrosinistra, anche se rispetto al voto di domenica scorsa ci sono differenze importanti. In questo caso la coalizione è la più ampia possibile, qui Giuseppe Conte non ha posto veti ai renziani presenti in una lista civica. La coalizione non è stata appesantita dalle liti andate in scena in Liguria. Ma non è comunque facile far dimenticare gli scontri tra Conte e Matteo Renzi proseguiti anche in queste ore e non a caso al momento non è previsto un comizio finale con tutti i leader su uno stesso palco.


I democratici provano a tenere sul piano assolutamente locale la discussione, come si capisce bene ascoltando Anna Ascani, Pd, parlamentare umbra: “In questa elezione c’è in gioco il futuro della regione. Il voto di novembre in Umbria sarà un referendum sul governo di Donatella Tesei”. E anche Angelo Bonelli, portavoce di Europa verde, invita ad evitare “discussioni di politica nazionale” in questi giorni, perché “ogni ragionamento nazionale sarà fatto dopo”. Il centrosinistra è convinto che la presidente uscente, la leghista Donatella Tesei, non sia particolarmente amata dagli umbri, in particolare per la gestione della sanità. E infatti la Ascani aggiunge: “in questi cinque anni ha devastato la sanità pubblica e il sistema infrastrutturale già debole”. Stessa linea indica Bonelli: “Bisogna concentrarsi a vincere, parlare di una regione che ha avuto grossi problemi con la gestione della sanità della Tesei”. Un tema, peraltro, particolarmente caro alla Schlein, che nei mesi scorsi aveva presentato anche una proposta di legge per chiedere l’aumento della spesa sanitaria almeno al 7,5% del Pil.


La leader democratica si farà vedere spesso in Umbria nei prossimi 15 giorni, girerà la regione per spingere la campagna elettorale, insistendo appunto sui temi locali a cominciare dalla salute pubblica. “La partita è aperta”, dice anche Walter Verini, senatore Pd, umbro. “Sono convinto che ci siano le condizioni per dare all’Umbria un futuro progressista. Stefania Proietti sta conducendo una campagna molto bella”. I numeri delle europee dello scorso giugno non sono proprio incoraggianti. Il centrodestra prese il 47,8%, pari a 187mila voti, il centrosinistra si fermò al 46,5%, con 182mila voti. Ma ai voti di Lega, Fi, Fdi stavolta si sommeranno anche quelli di Stefano Bandecchi, che con la sua lista Alternativa popolare a giugno ottenne 7.245 voti, l’1,8%. La speranza del centrosinistra, appunto, è di riuscire a tenere la discussione sul piano locale, nella convinzione che la Tesei sconti un certo malcontento tra gli elettori di centrodestra. Una vittoria che sarebbe fondamentale per rilanciare quello schema di alleanze che la Liguria sembra aver messo in discussione.