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Il vicepresidente Usa Vance vuol vedere Meloni a Roma. Ancora scintille Salvini-Tajani (e il caso Le Pen imbarazza)

Il vicepresidente Usa Vance vuol vedere Meloni a Roma. Ancora scintille Salvini-Tajani (e il caso Le Pen imbarazza)Roma, 1 apr. (askanews) – Il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, ha in programma una visita a Roma e ha chiesto un incontro con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Lo segnala Bloomberg, secondo cui l’ambasciata statunitense a Roma ha comunicato oggi al Ministero degli Affari Esteri italiano i piani del vice di Trump. “I piani sono in evoluzione e potrebbero cambiare prima di essere finalizzati”, ha detto un funzionario Usa.


Il programma provvisorio prevede che Vance sia a Roma dal 18 al 20 aprile (nel ponte di Pasqua) e i diplomatici statunitensi hanno chiesto alle loro controparti italiane di coordinare un incontro con la Meloni. Al momento da Palazzo Chigi non arrivano indicazioni, ma gli uffici – secondo quanto si apprende – sono al lavoro per organizzare l’incontro. Nei giorni scorsi aveva fatto molto discutere un passaggio dell’intervista della premier al Financial Times, in cui si era detta d’accordo con le dure parole contro l’Europa che il numero due americano aveva pronunciato a febbraio alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Vance (che a margine dei lavori aveva anche incontrato la leader di Afd Alice Weidel) aveva, tra l’altro, accusato l’Europa di “perdere i valori fondamentali condivisi con gli Stati Uniti”, irritando non poco la Germania (ma non solo) per una “ingerenza” negli affari interni del Paese e dell’Ue. Meloni, però, ha un’altra opinione: “Sono d’accordo con Vance, l’Europa si è un po’ persa”, aveva commentato la premier a FT, sorvolando (ma probabilmente non le era stato chiesto) sul fatto che poche ore prima il vicepresidente Usa avesse dato della “scroccona” all’Europa in fatto di difesa. Un giudizio poi condiviso dallo stesso Donald Trump, che aveva rincarato la dose definendo gli europei “parassiti”. Se il tema dell’incontro con Vance è quindi un dossier da maneggiare con cura e da preparare attentamente, la notizia riapre anche le tensioni nella maggioranza. Matteo Salvini rilancia subito la sua “diplomazia parallela”. Il leader leghista aveva avuto una conversazione telefonica con Vance lo scorso 21 marzo. Tra i temi trattati, aveva riferito la Lega, i migranti, l’Ucraina e “l’eccellenza americana nel campo della connessione satellitare” (ovvero Starlink). Il vice premier aveva anche anticipato “la volontà di una missione negli Usa con imprese e investitori”. Un’iniziativa considerata una ‘fuga in avanti’, ma che Salvini rilancia anche oggi, dando preventiva disponibilità a vedere il vice di Trump. “Avere buoni rapporti con l’amministrazione Trump è fondamentale, ritengo che Vance sia una persona di assoluto spessore. Io l’ho invitato a venire in Italia per le Olimpiadi, se venisse anche prima sarebbe per me un’opportunità incontrarlo”, ha detto oggi a Torino, ricordando che “sto lavorando ad una delegazione di imprese italiane per portare business e sviluppo sul tema infrastrutture e trasporti, quindi i miei dossier così nessuno polemizza, il prima possibile negli Stati uniti”.


Su Vance Forza Italia tace, ma gli azzurri tengono anche un profilo bassissimo su un altro tema che nelle ultime ore sta evidenziando una divisione nella maggioranza: la condanna di Marine Le Pen. Salvini, ieri sera, ha subito dato il suo supporto – come Orban, Elon Musk e il Cremlino – alla compagna di ‘famiglia’ europea (i Patriots), la cui condanna è “una dichiarazione di guerra da parte di Bruxelles”. Meloni, da parte sua, si è rifugiata dietro una dichiarazione diplomatica: “Non conosco il merito delle contestazioni mosse a Marine Le Pen, né le ragioni di una decisione così forte – ha detto al ‘Messaggero’ – ma penso che nessuno che abbia a cuore la democrazia possa gioire di una sentenza che colpisce il leader di un grande partito e toglie rappresentanza a milioni di cittadini”. Forza Italia, con Antonio Tajani, ribadisce il “garantismo” che è uno dei principi fondamentali del partito per cui “tutti sono innocenti fino al terzo grado di giudizio, alla condanna definitiva, e anche la signora Le Pen per me è innocente”. Il ministro degli Esteri non risparmia però una ‘frecciata’ al sempre più scomodo alleato leghista. “E’ una sentenza della giustizia francese e l’Europa non c’entra niente”, ha detto rispedendo al mittente l’accusa lanciata da Salvini. Altro tema divisivo è quello dei dazi, proprio alla vigilia del ‘liberation day’ il giorno in cui saranno ufficializzate le nuove tariffe doganali decise da Trump. Per Salvini, che qualche tempo fa aveva parlato di “opportunità”, è sbagliata l’idea di “vendicarsi” che attribuisce alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e auspica negoziati bilaterali tra Roma e Washington, senza seguire la risposta europea. “Le guerre commerciali o militari non portano nulla di buono – ha detto ancora a Torino – le questioni vanno risolte al tavolo. Come europei? Io sono italiano, mi pagano lo stipendio gli italiani, ho il dovere di difendere le imprese e gli operai italiani”. Dunque tavoli ‘uno a uno’? “Sì, dal mio punto di vista sì”. Una linea totalmente diversa da quella di Forza Italia (ma anche da quanto previsto dai Trattati). “Non possiamo andare per conto nostro a trattare sui dazi – ha ricordato ancora Tajani -. Tocca all’Unione Europea trattare le regole sui dazi. Possiamo avere una certa politica commerciale, decidendo dove esportare di più o meno, ma le regole le fa la Commissione Europea. Stiamo nell’Unione Europea e ne siamo parte”.


Insomma, se ‘tregua’ fra i tre leader del centrodestra c’era stata, sembra durata ben poco. La speranza di Meloni è che dopo il congresso del Carroccio (sabato e domenica a Firenze) la tensione si smorzi un po’. Non resta che attendere.

Vance vuol vedere Meloni a Roma. Ancora scintille Salvini-Tajani

Vance vuol vedere Meloni a Roma. Ancora scintille Salvini-TajaniRoma, 1 apr. (askanews) – Il vicepresidente degli Stati Uniti, J.D. Vance, ha in programma una visita a Roma e ha chiesto un incontro con la presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Lo segnala Bloomberg, secondo cui l’ambasciata statunitense a Roma ha comunicato oggi al Ministero degli Affari Esteri italiano i piani del vice di Trump. “I piani sono in evoluzione e potrebbero cambiare prima di essere finalizzati”, ha detto un funzionario Usa.


Il programma provvisorio prevede che Vance sia a Roma dal 18 al 20 aprile (nel ponte di Pasqua) e i diplomatici statunitensi hanno chiesto alle loro controparti italiane di coordinare un incontro con la Meloni. Al momento da Palazzo Chigi non arrivano indicazioni, ma gli uffici – secondo quanto si apprende – sono al lavoro per organizzare l’incontro. Nei giorni scorsi aveva fatto molto discutere un passaggio dell’intervista della premier al Financial Times, in cui si era detta d’accordo con le dure parole contro l’Europa che il numero due americano aveva pronunciato a febbraio alla Conferenza sulla sicurezza di Monaco. Vance (che a margine dei lavori aveva anche incontrato la leader di Afd Alice Weidel) aveva, tra l’altro, accusato l’Europa di “perdere i valori fondamentali condivisi con gli Stati Uniti”, irritando non poco la Germania (ma non solo) per una “ingerenza” negli affari interni del Paese e dell’Ue. Meloni, però, ha un’altra opinione: “Sono d’accordo con Vance, l’Europa si è un po’ persa”, aveva commentato la premier a FT, sorvolando (ma probabilmente non le era stato chiesto) sul fatto che poche ore prima il vicepresidente Usa avesse dato della “scroccona” all’Europa in fatto di difesa. Un giudizio poi condiviso dallo stesso Donald Trump, che aveva rincarato la dose definendo gli europei “parassiti”. Se il tema dell’incontro con Vance è quindi un dossier da maneggiare con cura e da preparare attentamente, la notizia riapre anche le tensioni nella maggioranza. Matteo Salvini rilancia subito la sua “diplomazia parallela”. Il leader leghista aveva avuto una conversazione telefonica con Vance lo scorso 21 marzo. Tra i temi trattati, aveva riferito la Lega, i migranti, l’Ucraina e “l’eccellenza americana nel campo della connessione satellitare” (ovvero Starlink). Il vice premier aveva anche anticipato “la volontà di una missione negli Usa con imprese e investitori”. Un’iniziativa considerata una ‘fuga in avanti’, ma che Salvini rilancia anche oggi, dando preventiva disponibilità a vedere il vice di Trump. “Avere buoni rapporti con l’amministrazione Trump è fondamentale, ritengo che Vance sia una persona di assoluto spessore. Io l’ho invitato a venire in Italia per le Olimpiadi, se venisse anche prima sarebbe per me un’opportunità incontrarlo”, ha detto oggi a Torino, ricordando che “sto lavorando ad una delegazione di imprese italiane per portare business e sviluppo sul tema infrastrutture e trasporti, quindi i miei dossier così nessuno polemizza, il prima possibile negli Stati uniti”.


Su Vance Forza Italia tace, ma gli azzurri tengono anche un profilo bassissimo su un altro tema che nelle ultime ore sta evidenziando una divisione nella maggioranza: la condanna di Marine Le Pen. Salvini, ieri sera, ha subito dato il suo supporto – come Orban, Elon Musk e il Cremlino – alla compagna di ‘famiglia’ europea (i Patriots), la cui condanna è “una dichiarazione di guerra da parte di Bruxelles”. Meloni, da parte sua, si è rifugiata dietro una dichiarazione diplomatica: “Non conosco il merito delle contestazioni mosse a Marine Le Pen, né le ragioni di una decisione così forte – ha detto al ‘Messaggero’ – ma penso che nessuno che abbia a cuore la democrazia possa gioire di una sentenza che colpisce il leader di un grande partito e toglie rappresentanza a milioni di cittadini”. Forza Italia, con Antonio Tajani, ribadisce il “garantismo” che è uno dei principi fondamentali del partito per cui “tutti sono innocenti fino al terzo grado di giudizio, alla condanna definitiva, e anche la signora Le Pen per me è innocente”. Il ministro degli Esteri non risparmia però una ‘frecciata’ al sempre più scomodo alleato leghista. “E’ una sentenza della giustizia francese e l’Europa non c’entra niente”, ha detto rispedendo al mittente l’accusa lanciata da Salvini. Altro tema divisivo è quello dei dazi, proprio alla vigilia del ‘liberation day’ il giorno in cui saranno ufficializzate le nuove tariffe doganali decise da Trump. Per Salvini, che qualche tempo fa aveva parlato di “opportunità”, è sbagliata l’idea di “vendicarsi” che attribuisce alla presidente della Commissione Ursula von der Leyen e auspica negoziati bilaterali tra Roma e Washington, senza seguire la risposta europea. “Le guerre commerciali o militari non portano nulla di buono – ha detto ancora a Torino – le questioni vanno risolte al tavolo. Come europei? Io sono italiano, mi pagano lo stipendio gli italiani, ho il dovere di difendere le imprese e gli operai italiani”. Dunque tavoli ‘uno a uno’? “Sì, dal mio punto di vista sì”. Una linea totalmente diversa da quella di Forza Italia (ma anche da quanto previsto dai Trattati). “Non possiamo andare per conto nostro a trattare sui dazi – ha ricordato ancora Tajani -. Tocca all’Unione Europea trattare le regole sui dazi. Possiamo avere una certa politica commerciale, decidendo dove esportare di più o meno, ma le regole le fa la Commissione Europea. Stiamo nell’Unione Europea e ne siamo parte”.


Insomma, se ‘tregua’ fra i tre leader del centrodestra c’era stata, sembra durata ben poco. La speranza di Meloni è che dopo il congresso del Carroccio (sabato e domenica a Firenze) la tensione si smorzi un po’. Non resta che attendere.

Scontro Schlein-Calenda, Guerini avverte: irricevibile no a riarmo

Scontro Schlein-Calenda, Guerini avverte: irricevibile no a riarmoRoma, 31 mar. (askanews) – La proposta di Carlo Calenda viene rispedita al mittente da Elly Schlein, la segretaria Pd rintuzza il leader di Azione che propone di scomporre le coalizioni attuali e creare una “coalizione di volenterosi” e lo invita a scegliere “da che parte stare”, innescando subito una risposta altrettanto ruvida. Ma il dibattito si riaccende anche nel Pd, con Lorenzo Guerini che, sul Foglio, da una lato evita drammatizzazioni ma dall’altro fissa un paletto saldo: sarebbe “irricevibile” un no al piano di riarmo di Ursula von der Leyen, quel piano che la segretaria Pd ormai contesta quasi senza appello ogni giorno.


Parlando a Tagadà, anche oggi, la Schlein non ha salvato praticamente nulla di quel piano: “L’unica cosa che si salva – ha spiegato – è la proposta dei 150 miliardi che andranno a progetti comuni. Noi vorremmo che tutto andasse a progetti comuni”. Per il resto “non c’è debito comune, è tutto debito nazionale. Ed è tutto strumento europeo che aiuta il riarmo nazionale”. La discussione non è accademica, perché nelle prossime settimane si dovrà votare parecchie volte, al Parlamento europeo, su atti legati al ‘Libro bianco’ della difesa e al piano di riarmo. Passaggi sui quali rischia di andare in scena, ogni volta, lo stesso tormento già visto a metà marzo, quando si votò la risoluzione sul ‘Libro bianco’.


La scorsa settimana, raccontano, più d’uno ha sollevato il tema durante una riunione della minoranza Pd: “Non si può – è stato il ragionamento di molti – accettare che il partito si isoli persino dai socialisti europei, bisogna che ci sia un chiarimento su questo partendo proprio dal documento del gruppo S&D”. Alla fine si è deciso di non esasperare la discussione in questo momento, ma la questione è lì pronta a riesplodere e le parole di Guerini al Foglio sembrano essere un avvertimento preciso: c’è una linea che non si può superare. Sabato, peraltro, c’è la manifestazione M5s e ancora non c’è una comunicazione ufficiale sulla delegazione Pd che andrà in piazza. La segretaria non ha sciolto formalmente la riserva, anche se al momento le probabilità che lei vada sono molto basse. In prospettiva, poi, c’è la mozione M5s sul riarmo presentata in Parlamento.


Uno scenraio nel quale ha provato a inserirsi Calenda, con la sua proposta – che somiglia molto ad una provocazione – di scegliere tra Conte e “i volenterosi”. Un affondo che ovviamente non è piaciuto alla segretaria. Spiega un parlamentare della sinistra dem: “Conte col 2% pretende di mettere il veto a M5s che vale 5 o 6 volte di più? Vada pure avanti con i ‘volenterosi’, vediamo quanti lo seguono…”. L’idea, di fondo, è che quella di Calenda sia niente più di una provocazione. Di certo la Schlein fa capire di non avere intenzione di seguirlo su questo piano: “Penso che Carlo Calenda debba decidere da che parte stare. Non si può stare con i due piedi in due scarpe”. Quindi aggiunge: “Voglio essere chiara su un punto, la linea del Pd è una, è chiara: noi torneremo al governo vincendo le elezioni con una coalizione progressista, senza larghe intese, senza accordi di palazzo. Questo è il mandato molto chiaro che ho ricevuto alle primarie che ho vinto”. Una risposta a Conte, ma forse anche un messaggio alla minoranza Pd e al ‘partito di Gentiloni’ che tra i democratici è sempre più attivo. Perché nessuno, tra i sostenitori della Schlein, crede che la minoranza possa essere attratta da Calenda, ma il sospetto di una manovra per logorare la segretaria non si è affatto dissolto.

Pnrr, Meloni: al lavoro per completare investimenti e riforme

Pnrr, Meloni: al lavoro per completare investimenti e riformeRoma, 31 mar. (askanews) – “Le ultime tre rate del Pnrr prevedono il raggiungimento di altri 284 obiettivi. Il Governo, le amministrazioni titolari, le prefetture e tutti i soggetti attuatori continueranno a lavorare, con costanza e determinazione, per portare a compimento tutti gli investimenti e le riforme. Lo faremo con lo stesso rigore, la stessa passione e lo stesso spirito di abnegazione che ci hanno permesso di diventare un modello in Europa nell’attuazione del Pnrr”. Lo scrive la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, nella premessa alla sesta relazione al Parlamento sullo stato di attuazione del Pnrr.


“Abbiamo ancora molto lavoro da fare, ma i risultati raggiunti finora ci rendono orgogliosi e ci spronano a fare sempre meglio. Nell’interesse dell’Italia e degli italiani”, aggiunge.

Meloni rilancia sui centri in Albania, ok Ue (ma si attende la Corte di giustizia)

Meloni rilancia sui centri in Albania, ok Ue (ma si attende la Corte di giustizia)Roma, 31 mar. (askanews) – Il “modello” Albania è stato “criticato all’inizio” ma poi ha “raccolto sempre più consenso, tanto che oggi l’Unione Europea propone di creare centri per i rimpatri nei Paesi terzi. Ciò vuol dire che avevamo ragione, e che il coraggio di fare da apripista è stato premiato”. Giorgia Meloni è intervenuta questa mattina con un videomessaggio al ‘Border Security Summit’, organizzato dal primo ministro britannico Keir Starmer, rivendicando di aver aperto una strada che ora l’Europa sta seguendo.


Non è proprio così perchè i “return hub” che la Commissione europea ha inserito nella proposta di regolamento presentata lo scorso 11 marzo sono diversi dai centri realizzati in accordo con Tirana a Gjader e Shengjin, anche nella nuova versione delineata dal decreto varato la scorsa settimana in Consiglio dei ministri. Con quel provvedimento, aveva spiegato in conferenza stampa il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, si amplia il “perimetro d’azione” del centro di Gjader che diventa un Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr), senza cambiare il protocollo Italia-Albania. Nei Cpr, va ricordato, sono trasferiti “gli stranieri giunti in modo irregolare in Italia che non fanno richiesta di protezione internazionale o non ne hanno i requisiti”, in attesa dell’esecuzione di un provvedimento di espulsione da parte delle Forze dell’ordine.


Questa mattina, a Bruxelles, è stato chiesto a un portavoce della Commissione se il decreto rispetti o meno le normative europee. “Siamo in contatto con le autorità italiane. Secondo le nostre informazioni, la legge nazionale italiana si applicherà a questo centro, come è stato il caso finora per l’asilo”, ha spiegato il portavoce per gli Affari interni e l’Immigrazione della Commissione europea, Markus Lammert. E trattandosi della legislazione nazionale di uno Stato membro, ha aggiunto il portavoce, “in linea di principio è in linea con il diritto dell’Ue”; ma “continueremo a monitorare l’attuazione del Protocollo (Italia-Albania, ndr) nella sua nuova iterazione e rimarremo in contatto con le autorità italiane”. Si tratta comunque, ha puntualizzato Lammert, di una cosa “diversa” dai ‘return hub’ in paesi terzi sicuri, previsti dalla proposta di regolamento sui rimpatri presentata dalla Commissione. Inoltre, il fatto che la legislazione nazionale di uno Stato membro rispetti il diritto comunitario è vero “in linea di principio”, ma resta comunque la possibilità che la legislazione Ue non sia interpretata, recepita e applicata correttamente, e su questo veglia la Corte europea di giustizia. E proprio sul caso dei centri italiani per migranti in Albania, è in sospeso una sentenza della Corte europea di giustizia, attesa per l’estate (ma le conclusioni dell’avvocato generale arriveranno in aprile). La Corte è chiamata a pronunciarsi sui ricorsi pregiudiziali presentati dal Tribunale di Roma, che finora non ha riconosciuto la legittimità dei fermi disposti nei confronti dei migranti soccorsi nel Mediterraneo e trasferiti sull’altra sponda dell’Adriatico, perché provenienti da Paesi che il governo italiano ritiene sicuri, in particolare Egitto e Bangladesh. In questo caso, comunque, la sentenza della Corte Ue non riguarderà le novità introdotte con il nuovo decreto.


Quando le agenzie hanno battuto le dichiarazioni di Lammert, dal centrodestra è partita una ‘batteria’ di dichiarazioni in cui si sottolinea che l’Italia, con l’esecutivo Meloni, “continua a tracciare la strada” (il ministro Tommaso Foti). L’opposizione invece va all’attacco. Per la segretaria Pd Elly Schlein con il decreto il governo opera “un tentativo maldestro di coprire un altro fallimento della loro propaganda” e crea “il CPR più caro della storia”; Riccardo Magi (+Europa) è certo che “i centri in Albania non hanno funzionato finora e non funzioneranno” mentre Filiberto Zaratti accusa: “Meloni si giustifica continuamente sui centri costruiti in Albania perché sa che ha causato un danno da 1 miliardo di euro per una scelta unicamente ideologica”.

Meloni rilancia su centri Albania, ok Ue (ma si attende Corte giustizia)

Meloni rilancia su centri Albania, ok Ue (ma si attende Corte giustizia)

Roma, 31 mar. (askanews) – Il “modello” Albania è stato “criticato all’inizio” ma poi ha “raccolto sempre più consenso, tanto che oggi l’Unione Europea propone di creare centri per i rimpatri nei Paesi terzi. Ciò vuol dire che avevamo ragione, e che il coraggio di fare da apripista è stato premiato”. Giorgia Meloni è intervenuta questa mattina con un videomessaggio al ‘Border Security Summit’, organizzato dal primo ministro britannico Keir Starmer, rivendicando di aver aperto una strada che ora l’Europa sta seguendo.

Non è proprio così perchè i “return hub” che la Commissione europea ha inserito nella proposta di regolamento presentata lo scorso 11 marzo sono diversi dai centri realizzati in accordo con Tirana a Gjader e Shengjin, anche nella nuova versione delineata dal decreto varato la scorsa settimana in Consiglio dei ministri.

Con quel provvedimento, aveva spiegato in conferenza stampa il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, si amplia il “perimetro d’azione” del centro di Gjader che diventa un Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr), senza cambiare il protocollo Italia-Albania. Nei Cpr, va ricordato, sono trasferiti “gli stranieri giunti in modo irregolare in Italia che non fanno richiesta di protezione internazionale o non ne hanno i requisiti”, in attesa dell’esecuzione di un provvedimento di espulsione da parte delle Forze dell’ordine.

Questa mattina, a Bruxelles, è stato chiesto a un portavoce della Commissione se il decreto rispetti o meno le normative europee. “Siamo in contatto con le autorità italiane. Secondo le nostre informazioni, la legge nazionale italiana si applicherà a questo centro, come è stato il caso finora per l’asilo”, ha spiegato il portavoce per gli Affari interni e l’Immigrazione della Commissione europea, Markus Lammert. E trattandosi della legislazione nazionale di uno Stato membro, ha aggiunto il portavoce, “in linea di principio è in linea con il diritto dell’Ue”; ma “continueremo a monitorare l’attuazione del Protocollo (Italia-Albania, ndr) nella sua nuova iterazione e rimarremo in contatto con le autorità italiane”. Si tratta comunque, ha puntualizzato Lammert, di una cosa “diversa” dai ‘return hub’ in paesi terzi sicuri, previsti dalla proposta di regolamento sui rimpatri presentata dalla Commissione.

Inoltre, il fatto che la legislazione nazionale di uno Stato membro rispetti il diritto comunitario è vero “in linea di principio”, ma resta comunque la possibilità che la legislazione Ue non sia interpretata, recepita e applicata correttamente, e su questo veglia la Corte europea di giustizia. E proprio sul caso dei centri italiani per migranti in Albania, è in sospeso una sentenza della Corte europea di giustizia, attesa per l’estate (ma le conclusioni dell’avvocato generale arriveranno in aprile). La Corte è chiamata a pronunciarsi sui ricorsi pregiudiziali presentati dal Tribunale di Roma, che finora non ha riconosciuto la legittimità dei fermi disposti nei confronti dei migranti soccorsi nel Mediterraneo e trasferiti sull’altra sponda dell’Adriatico, perché provenienti da Paesi che il governo italiano ritiene sicuri, in particolare Egitto e Bangladesh. In questo caso, comunque, la sentenza della Corte Ue non riguarderà le novità introdotte con il nuovo decreto.

Quando le agenzie hanno battuto le dichiarazioni di Lammert, dal centrodestra è partita una ‘batteria’ di dichiarazioni in cui si sottolinea che l’Italia, con l’esecutivo Meloni, “continua a tracciare la strada” (il ministro Tommaso Foti). L’opposizione invece va all’attacco. Per la segretaria Pd Elly Schlein con il decreto il governo opera “un tentativo maldestro di coprire un altro fallimento della loro propaganda” e crea “il CPR più caro della storia”; Riccardo Magi (+Europa) è certo che “i centri in Albania non hanno funzionato finora e non funzioneranno” mentre Filiberto Zaratti accusa: “Meloni si giustifica continuamente sui centri costruiti in Albania perché sa che ha causato un danno da 1 miliardo di euro per una scelta unicamente ideologica”.

Schlein a Calenda: decidi da che parte stai, no piede in due scarpe

Schlein a Calenda: decidi da che parte stai, no piede in due scarpeRoma, 31 mar. (askanews) – “Penso che Carlo Calenda debba decidere da che parte stare. Non si può stare con i due piedi in due scarpe”. Lo ha detto la segretaria Pd Elly Schlein parlando a ‘Tagadà’ su La7, quando le è stato chiesto del progetto di una coalizione di ‘volenterosi’ lanciato da Carlo Calenda e della sua preferenza per un ritorno di Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi.


“Voglio essere chiara su un punto – ha risposto la Schlein -, la linea del Pd è una, è chiara: noi torneremo al governo vincendo le elezioni con una coalizione progressista, senza larghe intese, senza accordi di palazzo. Questo è il mandato molto chiaro che ho ricevuto alle primarie che ho vinto. Decida lui da che parte stare, bisogna fare una scelta, non si può stare un po’ di qua e un po’ di là”.

Migranti, le nuove regole dell’Italia non in contrasto con il diritto Ue

Migranti, le nuove regole dell’Italia non in contrasto con il diritto UeBruxelles, 31 mar. (askanews) – “Siamo a conoscenza degli ultimi sviluppi riguardanti il decreto italiano” che trasforma in Cpr il centro per i migranti in Albania. “Siamo in contatto con le autorità italiane. Secondo le nostre informazioni, la legge nazionale italiana si applicherà a questo centro, come è stato il caso finora per l’asilo. In principio, questo è in linea con il diritto dell’Ue. Continueremo a monitorare l’attuazione del Protocollo (Italia-Albania, ndr) nella sua nuova iterazione e rimarremo in contatto con le autorità italiane”. Lo ha affermato, oggi a Bruxelles, il portavoce per gli Affari interni e l’Immigrazione della Commissione europea, Markus Lammert, durante il briefing quotidiano per la stampa dell’Esecutivo comunitario.


Lammert rispondeva a un giornalista che aveva chiesto conferma di quanto affermato dal ministro italiano dell’Interno, Matteo Piantedosi, secondo cui c’è stata una discussione tra il governo e con la Commissione europea riguardo al decreto che trasforma in Centri di permanenza temporanea le strutture per migranti previste dal Protocollo Italia-Albania, e la Commissione europea non avrebbe presentato obiezioni. Per quanto riguarda invece le cosiddette “soluzioni innovative”, in particolare la predisposizione di centri di rimpatrio (“return hub”) in paesi terzi “abbiamo detto che siamo pronti a esplorarle, sempre in linea con gli obblighi previsti dal diritto dell’Ue, dal diritto internazionale e dai diritti fondamentali”, ha aggiunto Lammert.


Riguardo al decreto che trasforma i centri albanesi in Cpr, ha aggiunto il portavoce, “secondo le informazioni in nostro possesso, stiamo parlando di un’iniziativa che si basa sulla legge nazionale. E questo è diverso dall’applicazione del concetto di ‘return hub’. Sono due cose diverse”, ha concluso Lammert.

Dazi, Schlein: governo abbassa testa con Trump, ha sindrome Stoccolma

Dazi, Schlein: governo abbassa testa con Trump, ha sindrome StoccolmaRoma, 31 mar. (askanews) – I componenti del governo Meloni soffrono di una sorta di “sindrome di Stoccolma”, “l’unica cosa su cui sono stati d’accordo in questi giorni è di abbassare la testa rispetto ai dazi annunciati da Trump”, una posizione “assurda in uno dei paesi che rischia di pagare il prezzo più alto per la sua vocazione all’export”. Così la segretaria del Pd Elly Schlein, a margine della visita allo stabilimento Arinox, gruppo Arvedi, a Sestri Levante.


“Meloni – prosegue Schlein – pur di non entrare in contraddizione con Trump non ha il coraggio di criticarlo, anzi critica l’Ue che cerca di capire come reagire insieme a questi dazi e dall’altra parte Tajani si è spinto a dire che forse dovremmo importare di più dagli Stati Uniti. Una specie di sindrome di Stoccolma per cui ti danno delle mazzate in faccia e tu sorridi e fai finta di niente”. “L’Italia ha bisogno di dare lo stimolo a una risposta europea che passi da una rinnovata autonomia strategica dell’Europa. Bisogna superare l’unanimità, andare verso un’Europa federale e mettere in campo un grande piano di investimenti europei per 800 miliardi all’anno”, ha concluso la segretaria dem.

Governo, Schlein: ogni giorno divisioni Tajani-Salvini e Meloni tace

Governo, Schlein: ogni giorno divisioni Tajani-Salvini e Meloni taceRoma, 31 mar. (askanews) – Le divisioni interne al governo Meloni “sono all’ordine del giorno. C’erano anche prima. Erano forse più bravi a nasconderle ma in questo momento la presidente del consiglio non riesce a esprimere una linea di politica estera chiara perché davanti alle divisioni costanti tra Tajani da un lato e Salvini dall’altro nel dubbio tace”. Così la segretaria del Pd Elly Schlein, a margine della visita allo stabilimento Arinox, gruppo Arvedi, a Sestri Levante.


“Abbiamo visto addirittura nel Parlamento dove non sono stati in grado di scrivere un riferimento né alla difesa comune europea né al piano di riarmo della Von Der Leyen su cui hanno tre posizioni diverse”, ha evidenziato la segretaria.