
Dazi, Meloni da Trump: gli scenari di una missione ad alto rischio
Dazi, Meloni da Trump: gli scenari di una missione ad alto rischioRoma, 12 apr. (askanews) – “Certo la sospensione di 90 giorni dei dazi è stata un bel colpo di fortuna. L’incontro con Donald Trump a guerra commerciale in corso avrebbe rischiato di trasformarsi in una catastrofe, adesso è stato declassato ad alto rischio. Perché comunque con lui non si sa mai”. A leggere il ‘termometro’ è un esponente di governo che segue da vicino la questione dazi e che ha osservato l’ottovolante di pochi giorni fa, dalla frase volgare del tycoon (“tutti vogliono baciarmi il c..o”) alla frenata arrivata poche ore dopo. E se c’è stato sollievo per una situazione che si era fatta estremamente imbarazzante, quell’episodio ha confermato tutta l’imprevedibilità del presidente Usa. Imprevedibilità che, come all’economia, non piace neppure alla diplomazia. “E’ il fattore C di Giorgia…”, sorride un parlamentare di maggioranza, alludendo diciamo alla fortuna che – secondo molti – la premier avrebbe nei momenti critici.
Dunque ora che il pistolero ha rimesso la colt nella fondina e Ursula von der Leyen ha parimenti deposto la sua arma (che era un po’ una scacciacani, il famoso “bazooka” era stato solo minacciato) fermando le contromisure, cosa può venir fuori dall’incontro che Meloni e Trump avranno alla Casa Bianca il 17 aprile? Ipotizziamo tre scenari, come ce li tratteggia un diplomatico di lungo corso. 1) Il best case (certo non probabile): a Washington è un successo su tutta la linea di Meloni. La premier – questo è il suo piano – nello Studio Ovale rilancia a Trump la proposta “zero per zero” già avanzata dall’Ue e soprattutto lo convince a mettersi a un tavolo con i “parassiti” europei per arrivare a una soluzione “vantaggiosa per tutti”. Il tycoon accetta e lei torna in Italia e a Bruxelles vincitrice, potendo anche dire: “Ve l’avevo detto che ci parlavo io e si sistemava tutto”.
2) Il pareggio: Meloni fa la sua proposta (zero per zero e tavolo di trattativa), Trump ringrazia, le fa i soliti complimenti, grandi sorrisi e attestazioni di stima ma in concreto non si fanno passi avanti. Materialmente un incontro inutile, però da un punto di vista mediatico comunque la premier potrà giocarsi, in Italia, la narrazione della “relazione privilegiata” da portare avanti per ulteriori contatti. 3) La trappola: Trump riempie di lodi Meloni ma in diretta Tv torna ad attaccare l’Unione europea “nata per fregarci” creando un enorme imbarazzo e magari (worst case) sgancia la bomba: uno “sconto” unilaterale sui dazi solo per alcune esportazioni italiane. Una mossa non probabile, ma possibile, nell’ottica del suo tentativo – abbastanza chiaro – di disarticolare l’Ue. A questo punto Meloni dovrebbe scegliere: accettare, mettendosi di fatto contro tutta l’Europa, o rifiutare, rovinando il rapporto con Trump ma rimanendo fedele al patto comunitario. Si può ragionevolmente confidare nel fatto che sceglierebbe la seconda strada, anche se in questo caso tornerebbe a Roma con in tasca un fallimento. E’ vero che il governo, con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, aveva annunciato il 7 aprile che avrebbe provato a ritardare la prima ondata di contromisure europee riguardo ai dazi Usa su acciaio e alluminio; ma all’atto pratico l’Italia ha votato poi a favore di quelle misure, il 9 aprile, pur non avendone ottenuto il rinvio.
Le diplomazie sono al lavoro per disinnescare e prevenire tutte le possibili mine e imboscate, ma con il presidente americano non è possibile mai avere certezze. Chiedere a Volodymyr Zelensky per conferma: con lui lo spray (il breve saluto iniziale alla presenza dei giornalisti) è diventato una “esecuzione” politica in diretta mondiale. Per questo, a Palazzo Chigi, c’è chi spera che se ne faccia a meno, limitandosi a una stretta di mano. Ma la decisione, su questo, spetta a The Donald. P.S. Per onestà intellettuale bisogna dire che non è vero – al di là delle affermazioni di qualche esponente di governo francese – che a Bruxelles c’è diffidenza nei confronti dell’iniziativa di Meloni. Nei giorni scorsi, la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, e Giorgia Meloni, “si sono tenute in contatto in merito alla visita della premier italiana a Washington”, hanno riferito fonti della Commissione. “Per quanto riguarda i negoziati commerciali, spetta alla Commissione europea negoziare per conto degli Stati membri; tuttavia, qualsiasi messaggio coordinato che possa essere trasmesso all’Amministrazione statunitense è benvenuto”, spiega una fonte europea. E comunque un “doppio gioco”, anche volendo, non è proprio possibile: come ha ricordato un portavoce della Commissione europea, Stefan de Keersmaecker, “la Commissione ha competenza esclusiva per negoziare in ambito commerciale”.
E se qualcuno “sgarra”, può scattare il meccanismo anti-coercizione. Si tratta di uno strumento finora mai usato, attivabile in assenza di una maggioranza qualificata degli Stati membri contraria, che può essere utilizzato contro i paesi terzi che, “applicando o minacciando di applicare misure che incidono sugli scambi (come i dazi, ndr) o sugli investimenti”, intendano interferire nelle legittime decisioni sovrane dell’Ue o di un suo Stato membro, “cercando di impedire o di ottenere la cessazione, la modifica o l’adozione di un determinato atto”. L’uso dei dazi da parte dell’Amministrazione Trump come strumento di pressione per ottenere modifiche nella normativa Ue sull’Iva, o sui regolamenti del mercato digitale, o sugli standard fitosanitari e di sicurezza alimentare, ad esempio, rientrerebbe chiaramente nella definizione di “coercizione economica”. Così come qualunque tentativo di accordo separato da parte di Washington con uno Stato membro, con concessioni date in cambio dell’impegno di quel paese a cercare d’influenzare le decisioni dell’Ue nel senso auspicato dall’Amministrazione Usa. L’attivazione del regolamento può portare all’imposizione, nei confronti del paese responsabile del tentativo di coercizione economica e delle sue imprese, di dazi, restrizioni al commercio nei servizi e nei diritti di proprietà intellettuale, restrizioni all’accesso agli investimenti e agli appalti pubblici. Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli