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Alcol, 8 mln consumatori a rischio e 3,7 mln binge-drinker nel 2022

Alcol, 8 mln consumatori a rischio e 3,7 mln binge-drinker nel 2022Roma, 16 apr. (askanews) – Non si registrano le attese riduzioni dei consumatori a rischio che crescono nel 2022 con frequenze elevate nei target più vulnerabili della popolazione: i minori, i giovani le donne, gli anziani. Il bere per ubriacarsi non risparmia gli anziani, tra i quali si registrano le più elevate frequenze di consumatori dannosi con disturbi da uso di alcol non intercettati. Consumi fuori pasto in costante aumento in particolare tra le donne (23,2%) con 1 milione di donne che si ubriaca.


Nel 2022 circa 8 milioni di italiani di età superiore a 11 anni (pari al 21,2% degli uomini e al 9,1% delle donne) hanno bevuto quantità di alcol tali da esporre la propria salute a rischio. Tre milioni e 700 mila persone hanno bevuto per ubriacarsi e 770.000 sono stati i consumatori dannosi, coloro cioè che hanno consumato alcol provocando un danno alla loro salute, a livello fisico o mentale. I consumatori a rischio sono aumentati, in particolare per gli uomini, e rimane distante il raggiungimento degli Obiettivi di Salute Sostenibile dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. A scattare la fotografia è, come ogni anno, l’Osservatorio Nazionale Alcol dell’Istituto Superiore di Sanità, ONA-ISS, che ha rielaborato attraverso il SISMA (Sistema di Monitoraggio Alcol), anche per il Programma Statistico Nazionale, i dati della Multiscopo ISTAT, in occasione dell’Alcohol Prevention Day (APD). Dati che verranno presentati il prossimo 18 aprile, nel corso di un workshop internazionale in programma presso la sede dell’ISS. “I consumi di alcol in Italia evidenziano una situazione consolidata e preoccupante di aumento del rischio che dilaga nelle fasce più vulnerabili della popolazione: minori, adolescenti, donne e anziani” afferma Emanuele Scafato, Direttore dell’ONA-ISS. “Al fine di delineare la roadmap di una rinnovata prevenzione nazionale e regionale, la più efficace possibile, è necessario intercettare precocemente tutti i consumatori a rischio e assicurare alle cure quelli con danno e alcoldipendenti, a sostegno delle persone, delle famiglie e degli obiettivi delle strategie europee e globali in cui siamo impegnati”, aggiunge. Il quadro dei 36 milioni di consumatori di alcol in Italia, pari al 77,4% dei maschi e al 57,5% delle femmine – è ricco di dettagli. Dieci milioni e duecentomila italiani sopra i 18 anni hanno bevuto alcol quotidianamente. Tra i consumatori a rischio, preoccupano soprattutto i giovani (circa 1.310.000 tra gli 11 e 24 anni, di cui 650.000 minorenni) e le donne (circa 2,5 milioni, con il 15,5% di consumatrici a rischio tra le minorenni 11-17enni). Spiccano i 3,7 milioni di binge drinker, soprattutto maschi di tutte le età (104.000 sono minori). Anche qui si registra una diminuzione in direzione dei livelli del 2020, ma non per le donne che sono stabili, senza alcun accenno dunque al calo dei consumi tesi all’intossicazione. Inoltre, i consumatori dannosi di bevande alcoliche sono stati 770.000. Fra le donne si continuano a registrare numeri elevati, sono infatti 290.000 le consumatrici con danno da alcol. Dei 770.000 consumatori dannosi con Disturbi da Uso di Alcol (DUA) in necessità di trattamento, solo l’8,2% è stato intercettato clinicamente, per un totale di 62.886 alcoldipendenti in carico ai servizi del Sistema Sanitario Nazionale (SSN), con costante e preoccupante diminuzione rispetto ai consumatori dannosi attesi. I dati del sistema EMUR del Ministero della salute mostrano e testimoniano le conseguenze di quanto descritto finora. Nel 2022, si sono registrati 39.590 accessi al Pronto Soccorso – di cui il 10,4% richiesto da minori – segnando in un anno un incremento del 12.1%.

Studio Luiss: dopo covid cambiato concetto del prendersi cura della salute

Studio Luiss: dopo covid cambiato concetto del prendersi cura della saluteRoma, 16 apr. (askanews) – Non c’è più la paura del Covid ma, forse, una delle eredità che ci ha lasciato la pandemia è l’idea che ci si debba prendere comunque cura della propria salute. E forse lo resterà a lungo, almeno in Italia, dove 1 persona su 2 ritiene importante occuparsene. Con un inedito picco anche tra le giovani generazioni che, forse per la prima volta nella storia, se ne preoccupano tanto quanto i loro genitori. E ancora, di certo è cambiato in modo irreversibile il concetto stesso di salute: fisica, mentale e relazionale (affettiva e sociale). Un concetto a più dimensioni il cui peso cambia in ragione delle generazioni. È quanto emerge da una ricerca realizzata dalla Luiss (Centro di Ricerca Luiss – X.ITE su Tecnologie e Comportamenti di Mercato) – in collaborazione con Merck Italia e presentata ieri a Roma presso la sede dell’Università in occasione del convegno “Emerging healthcare trends. A closer look across generations”. “È certamente vero che la salute, come la giovinezza, non ha età ma a ben vedere il concetto di salute è cambiato in ragione dell’età – ha sottolineato Michele Costabile Direttore Centro di Ricerca Luiss – X.ITE su Tecnologie e Comportamenti di Mercato – si sono moltiplicati i tipi di salute che ricevono attenzioni e generano ansie, con intensità diverse per le differenti generazioni. Siamo di fronte a un cambiamento esponenziale nelle tecnologie che la filiera dell’healthcare rende disponibili, anche e soprattutto sui mercati di consumo. Comprendere attese, resistenze, timori e speranze di consumatori sempre più differenziati per età (e generazioni) è quindi un passaggio obbligato per fare in modo che il potenziale di innovazione tecnologica si traduca in valore sociale e in maggiore salute e benessere”. La salute è intesa soprattutto come salute fisica (30%) e mentale (24%). Una parte importante riveste il benessere familiare (21%) mentre più contenuto è il ruolo di benessere sociale e professionale (13% e 12%). Una differenza tra le generazioni più anziane e quelle più giovani la ritroviamo però nell’importanza che viene attribuita alle diverse componenti di salute: se per i boomer (60-70 anni) e la generazione X (44-59 anni) salute fisica e familiare vengono messe al primo posto, quando si passa alla generazione Y (28-43 anni) e Z (18-27 anni) il benessere mentale, sociale e professionale sono sicuramente annoverati tra gli aspetti più considerati per sentirsi in buona salute. Differenze generazionali importanti si ritrovano anche nella valutazione del proprio stato di salute. Se per le generazioni più anziane lo stato di salute mentale e sociale è considerato buono, stessa cosa non può dirsi per i più giovani, che invece riportano una migliore salute fisica, eccezione fatta per le conseguenze del Covid. La pandemia ha infatti colpito maggiormente la salute dei giovani: il 35% della generazione Z ha dichiarato che il covid ha influenzato moltissimo la percezione dello stato di salute contro il 22% dei Boomers. In assoluto gli italiani nel post pandemia si dimostrano sempre più attenti alla propria salute. Per la maggior parte degli intervistati la salute è capace di indirizzare le proprie scelte, presenti e future in un’alleanza tra alimentazione equilibrata, sonno e cura di sé, in maggior misura dalle generazioni più anziane rispetto alle più giovani. Se si parla invece di terapia psicologica e pausa dalla tecnologia sono esigenze di salute più frequentemente sentite dalle generazioni più giovani. La pausa dalla tecnologia è una necessità più frequente nella Gen Y (59,5%) con proporzioni analoghe per Gen X e Gen Z, rispettivamente 56,5% e 50%. L’atteggiamento verso la tecnologia varia nelle diverse generazioni e per i diversi tipi di tecnologia. Più della metà degli intervistati esprime un giudizio favorevole sull’utilizzo di cartella clinica elettronica (61%) e dispositivi indossabili (51%), meno frequenti sono invece le opinioni favorevoli sull’uso di telemedicina (45%) e intelligenza artificiale (39%). In genere, le generazioni più anziane tendono ad essere meno pronte all’impiego di nuove tecnologie nella cura della salute. Il gradiente generazionale è più marcato per l’uso dell’intelligenza artificiale (accettato dal 45% dei Gens Z e dal 30% dei Boomers) e dei dispositivi indossabili (58% dei Gens Z e 42% dei Boomers), rispetto a telemedicina (45% dei Gens Z e 40% dei Boomers) e cartella clinica elettronica (65% dei Gens Z e 55% dei Boomers). Punto in comune per tutti è la fonte di informazione per la salute: circa il 75% degli intervistati dichiara di rivolgersi in prima battuta al proprio medico di base o specialista per informazioni riguardo la propria salute. Percentuale che sale fino all’88.3% per i rispondenti più senior (Boomer) e si riduce a circa il 70,8% per le Generazioni Y e Z. La seconda fonte più utilizzata in Italia è Internet, nonostante sia ritenuta molto o estremamente affidabile solo dal 16,7% del campione. Solo la generazione dei Boomer sembra favorire il farmacista alla ricerca di informazioni online. Rispetto alle valutazioni di affidabilità delle fonti le generazioni sono concordi nel ritenere il farmacista molto o estremamente affidabile, secondo solo al medico di base o specialista. Al contrario, Internet è ritenuto poco o per niente affidabile dal 40,3% degli intervistati. Questa percentuale aumenta per la generazione di boomer (49,1%), e si riduce progressivamente fino alla Gen Z (35.7%). Solo Gen Z, invece, dichiara di utilizzare Chat GPT (5.7%) più dei mezzi tradizionali come radio e televisione (4.6%). A fidarsi di più delle risposte da parte dell’AI Generativa la Gen Y (15.8%), la Gen Z (14%), la Gen X (11.4%) e infine i Boomer (5.4%). I social media, infine, sono la fonte di informazione ritenuta meno affidabile da tutti i rispondenti (65%). Un punto di forza della ricerca è stata l’analisi della generazione Alpha, quella dei nati a partire dal 2010, la cui percezione sul tema salute non era stata precedentemente approfondita dalle analisi condotte sul territorio nazionale. Secondo i genitori della generazione Alpha (6% Gen Z, 45,2% Gen Y, 45,7% Gen X, 3,1% Boomer), la loro salute comprende innanzi tutto la componente fisica, seguita dalla salute mentale, il benessere familiare e sociale, ed infine dal successo scolastico. Gen X e Boomers attribuiscono un peso molto più simile a salute fisica e mentale quando fanno riferimento ai propri figli che non quando rispondono per sé stessi. Il 33,6% dei genitori della Gen Alpha ritiene che la pandemia abbia influenzato molto la percezione di salute del figlio e l’integrazione di intelligenza artificiale, telemedicina, dispositivi indossabili e cartella clinica elettronica per i propri figli è vista più favorevolmente che per sé stessi. 

Salute, Fadoi: la prevenzione non sia più la cenerentola del SSN

Salute, Fadoi: la prevenzione non sia più la cenerentola del SSNRoma, 16 apr. (askanews) – La Medicina interna scende in piazza per avvicinarsi alla cittadinanza e far conoscere le attività di prevenzione in un contesto diverso, al di fuori dei luoghi istituzionali della cura. Le piazze delle più importanti città italiane faranno da cornice alla I Giornata Nazionale della Prevenzione organizzata dai medici e infermieri di FADOI e Animo.


Il 20 aprile 2024 gli specialisti di medicina interna dalle ore 9 alle 18 dedicheranno il proprio tempo per i cittadini che, gratuitamente, potranno essere visitati per valutare lo stato di salute generale ed eventuali rischi di patologie cardio-vascolari, ipertensione arteriosa, dislipidemia, diabete, obesità, bronchite cronica, infezioni. Inoltre, il personale sanitario sarà coinvolto nella distribuzione di materiale informativo dedicato ai maggiori ambiti della prevenzione, tra cui consigli alimentari, sulla attività fisica e sulle opportunità vaccinali, e tra le altre cose, sarà possibile ricevere informazioni rispetto ai programmi vaccinali per i fragili e i malati cronici. Ogni euro investito in prevenzione ne fa risparmiare 3 ma l’Italia è agli ultimi posti in Europa in fatto di investimenti con il 5% di spesa sul fondo sanitario, nonostante la nostra salute dipenda al 43% da questa, il 20% dall’ ambiente e solo l’11% dalle cure per le quali investiamo però il 95% delle risorse. Dati recenti evidenziano infatti come, in Italia, la prevenzione non venga attuata in maniera adeguata: quasi il 50% della popolazione è attualmente sovrappeso o obesa, quasi il 40% della popolazione è iperteso e la prevalenza di dislipidemia si attesta su percentuali simili. Inoltre, circa il 6% della nostra popolazione è attualmente diabetica e l’abitudine al fumo interessa il 20% della popolazione italiana ed è di nuovo in forte crescita specialmente tra i giovani.


Ad aggravare questa situazione poi c’è il fatto che fattori di rischio ad alta prevalenza come ipertensione arteriosa, dislipidemia, alterata tolleranza glucidica e perfino il diabete mellito vengano riconosciuti tardivamente quando già hanno contribuito a dare danno d’organo. Per i pazienti più fragili e per tutti quelli con copatologie importanti è necessaria una adeguata copertura vaccinale. Vaccini come l’antinfluenzale e l’anti-pneumococcico hanno dimostrato di essere tra gli interventi più cost-effective in specifiche popolazioni con un profilo di tollerabilità certamente superiore alle principali terapie farmacologiche. Negli ultimi anni poi, oltre al vaccino per il covid, sono stati introdotti nuovi vaccini per patologie ad alta prevalenza. Anche in questo caso però, in Italia, la situazione è tutt’altro che rosea con una copertura vaccinale molto distante dal tasso ottimale e anche dal tasso minimo di vaccinazione accettabile. Inoltre, complice anche la pandemia e le lunghe liste d’attesa l’adesione agli screening è in calo.


“Crediamo sia fondamentale scendere in piazza a fare prevenzione coinvolgendo chi passeggia nelle nostre città. Per noi internisti, che da sempre ci occupiamo delle malattie croniche più frequenti nella popolazione, come ipertensione arteriosa, dislipidemia, diabete, obesità, scompenso cardiaco, bronchite cronica, infezioni, è fondamentale sensibilizzare la popolazione sull’insieme delle azioni e delle misure volte a ridurre il rischio di insorgenza o di aggravamento di una malattia. La prevenzione non dev’essere più la ‘Cenerentola’ del Ssn”, afferma il Presidente Fadoi, Francesco Dentali. “Vogliamo portare la cultura della prevenzione direttamente ai cittadini e diffondere messaggi volti a far riflettere su quanto possiamo fare per prevenire alcune malattie e per evitare l’aggravamento di altre. Il personale sanitario sarà coinvolto nella distribuzione di materiale informativo dedicato ai maggiori ambiti della prevenzione, tra cui consigli alimentari, sulla attività fisica e sulle opportunità vaccinali, e tra le altre cose, sarà possibile controllare con semplici test i valori della glicemia, del colesterolo, controllo della pressione arteriosa e peso”, afferma la Vice Presidente di Animo, Letizia Tesei.


Per conoscere la piazza della propria città è possibile consultare il sito prevenzione.fadoi.org, non è necessario prenotarsi, è sufficiente infatti recarsi nelle piazze indicate per essere visitati da uno degli specialisti FADOI. Orario 9.00 – 18.00 Obiettivo: prevenzione riguardo le malattie croniche più frequenti nella popolazione – ipertensione arteriosa – diabete – obesità – scompenso cardiaco – bronchite cronica – infezioni Attività proposte alla cittadinanza svolte da personale sanitario – Anamnesi – Rilevamento Parametri vitali (es. frequenza cardiaca e respiratoria, saturazione ossigeno e pressione arteriosa – Parametri cardio metabolici (es. peso, altezza, circonferenza addominale, Controllo glicemia, colesterolo) – Counselling sulle principali patologie prevenibili con stile di vita, visite ambulatoriali e controlli periodici, dieta adeguata, vaccinazioni.

Malattia da reflusso gastroesofageo: linee guida sfatano miti su cibi tabù

Malattia da reflusso gastroesofageo: linee guida sfatano miti su cibi tabùRoma, 14 apr. (askanews) – Nel mondo, quasi il 25% della popolazione e in Italia una fetta stimata tra il 23 e il 26% riferisce sintomi imputabili alla malattia da reflusso gastroesofageo, almeno due o più volte per settimana. Si tratta di una condizione caratterizzata da bruciore retrosternale o pirosi, rigurgito e percezione di dolore retrosternale. I sintomi sono dovuti al passaggio retrogrado di contenuto gastrico nell’esofago, o come dicono gli anglosassoni, “too acid in the wrong place”, cioè troppo acido nel posto sbagliato. Al tema è dedicata una sessione da parte della Società Italiana di Gastroenterologia ed Endoscopia Digestiva (SIGE), durante il XXX Congresso Nazionale delle Malattie Digestive a cura della Federazione italiana delle società delle malattie dell’apparato digerente (Fismad). “I soggetti che ne soffrono non sono ipersecretori di acido ma hanno praticamente una perdita dei fisiologici meccanismi che impediscono il passaggio di contenuto gastrico nell’esofago”, spiega Nicola De Bortoli, professore di Gastroenterologia dell’Università di Pisa. “Tutti noi – continua – abbiamo una minima quantità di reflussi durante la giornata, che sono fisiologici e come tali non sono percepiti. Quando si sviluppano sintomi questi devono essere indagati per ottenere una diagnosi per quanto possibile precisa e corretta”. Fra i fattori di rischio della malattia da reflusso gastroesofageo si annoverano il sovrappeso, l’obesità e il fumo di tabacco. Le più recenti linee guida della Consensus di Lione, che coinvolge come italiani co-autori lo stesso De Bortoli e il professor Edoardo Savarino dell’Università degli Studi di Padova, invitano ad eseguire una diagnosi oggettiva della malattia da reflusso gastroesofageo e una terapia medica con inibitori di pompa protonica solo per i pazienti realmente affetti. Per questo, le stesse Linee guida parlano di “Actionable GERD”, ovvero eseguire una diagnosi corretta della malattia, basata su parametri oggettivi e quindi ritagliare al meglio la terapia per ogni singolo paziente.


“Dal punto di vista alimentare – osserva De Bortoli – diciamo che nel corso degli anni è stata consigliata l’eliminazione di alimenti definiti “trigger” in modo abbastanza opinabile. In passato è stato suggerito di non mangiare agrumi e pomodoro, non consumare caffè, menta, cioccolato, cipolla, aglio, etc. Oggi possiamo dire che tutto questo non è mai stato supportato da evidenza scientifica. Le recenti linee guida statunitensi dell’American College of Gastroenterology ci dicono che non ci sono degli alimenti trigger per definizione, piuttosto il soggetto deve individuare nella propria alimentazione quelli che sono i cibi che gli evocano più facilmente i sintomi e quindi eliminarli o ridurne il consumo”. Secondo gli esperti, se seguissimo davvero la dieta Mediterranea e le indicazioni alimentari dell’Oms sul consumo di frutta e verdura, teoricamente avremmo tassi di prevalenza della malattia più bassi. Poi, sulla base dei dati scientifici, possiamo affermare che un ridotto apporto di proteine animali nella nostra dieta (senza distinguere tra carne rossa e bianca) sia consigliabile, mentre un uso moderato di vino (125 ml a pasto) non presenta controindicazioni. “Quel che è certo – osserva il docente – è che un elemento importante è il peso corporeo. Se un soggetto è affetto da sovrappeso come primo approccio deve necessariamente ridurre, anche solo del 10% in sei mesi, il peso corporeo per guadagnare un migliore controllo dei sintomi e una riduzione della necessità del consumo di farmaci”.


Le Linee guida internazionali sottolineano che le persone con pirosi, rigurgito e dolore toracico possono essere inquadrate come soggetti potenzialmente affetti da malattia da reflusso, dove però è determinante che il dolore toracico non sia di origine cardiaca, escludendo patologie cardiovascolari. Già il medico di medicina generale può suggerire una terapia cosiddetta di primo livello con inibitori di pompa protonica a dose standard per 4-8 settimane, se ha pirosi, rigurgito e dolore toracico. Terapia che comunque va ridotta nel giro di un paio di mesi mediante un lento e progressivo tapering. “Nel caso il soggetto vada incontro ad una recidiva – continua -, è necessario fare una diagnosi oggettiva che prevede la prescrizione, previa visita gastroenterologica, di un’endoscopia digestiva superiore da eseguire dopo la sospensione di farmaci inibitori di pompa protonica per almeno 3-4 settimane. In caso di endoscopia negativa, dobbiamo approfondire il quadro mediante esami di fisiopatologia esofagea. Se invece il soggetto dopo l’endoscopia presenta una diagnosi di esofagite medio-severa (Classificazione di Los Angeles di grado B, grado C e D) allora si può confermare la diagnosi. In alternativa, il soggetto deve eseguire una manometria esofagea e una pH-impedenzometria delle 24 ore, al fine di evidenziare la presenza di una esposizione patologica all’acido”. La terapia chirurgica ha un ruolo importante, soprattutto grazie a due tipologie d’intervento che hanno confermato la loro efficacia a distanza di più di cinque anni. La chirurgia ad oggi è sicuramente la prima opzione nei pazienti affetti dalla malattia da reflusso di tipo refrattario, ovvero in coloro che presentano sia i sintomi sia l’esposizione patologica all’acido, nonostante una ottimale terapia medica anti-reflusso.

Longevità, una priorità urgente che richiede interventi

Longevità, una priorità urgente che richiede interventiRoma, 14 apr. (askanews) – Superare la senilità ripensandola come longevità attiva degli anziani, attraverso un approccio multidisciplinare che tenga conto dei cambiamenti sociali e culturali del mondo occidentale lungo l’arco della vita. Questo è il messaggio lanciato ieri dai relatori durante il convegno “Senilità: non chiamateci vecchi”, tenutosi nella Sala Capitolare del convento di Santa Maria sopra Minerva, grazie all’iniziativa del mensile “Ore12Sanità” con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità.


“Per migliorare la longevità degli italiani servono urgenti interventi in campo politico, sanitario e sociale, i dati sugli ‘anziani’ diffusi da Eurostat confermano che l’Italia è il Paese Ue con la maggiore quota di over 65 rispetto al totale: il 24 per cento, in pratica un residente su quattro” “A causa degli importanti cambiamenti intervenuti negli ultimi decenni a livello sociale e culturale, oggi la senilità? richiede un approccio sicuramente diverso da parte di istituzioni, operatori sanitari e comunità?” ha raccontato Bove introducendo i lavori. Nascono meno bambini, abbiamo nuclei familiari più ridotti, spesso caratterizzati da instabilità, e dunque meno capaci di far fronte alle necessità dei familiari bisognosi di assistenza (in primis gli anziani non autosufficienti. Dobbiamo sempre tenere in mente che i nostri senior sono un patrimonio prezioso per la comunità” A discutere dei problemi delicati di questa fase della vita e a proporre soluzioni, sono intervenuti ecclesiastici, docenti universitari, operatori sociali, medici e politici.


Ai lavori, aperti da Katrin Bove, editore di “Ore12Sanità”, che ha spiegato il senso dell’iniziativa e moderati dalle giornaliste Marzia Roncacci (Rai TG2) ed Emma Evangelista, sono intervenuti l’onorevole Simona Baldassarre, assessore Cultura, Pari Opportunità, Politiche giovanili e della Famiglia, Regione Lazio, che ha sottolineato l’importanza della famiglia e delle nuove iniziative di co-housing e Padre Carlo Casalone, rappresentante della Pontificia Accademia per la Vita, che ha citato le parole del Santo Padre sottolineando come gli anziani siano “le radici di cui i giovani hanno bisogno per crescere” la riflessione di Padre Casalone si è concentrata sulla necessità di un nuovo patto intergenerazionale che prenda vita dalle necessità e dallo stato degli anziani che vivono la condizione “di solitudine che può essere compensata con la necessità di favorire scambi proficui tra le diverse generazioni”. Il dibattito ha offerto diverse prospettive sul tema, mettendo al centro le necessità della “nuova età” che si confronta con una realtà dinamica e tecnologica, nonché con le nuove opportunità offerte per la cura del soggetto anziano. Nella prima sessione, di carattere tecnico e politico, sono intervenuti Andrea Costa, esperto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) del Ministero della Salute, che ha sottolineato come il PNRR rappresenti un’opportunità, anche se non può essere considerato la soluzione definitiva dei problemi, evidenziando l’importanza di un approccio basato sull’ascolto e sulla condivisione. Francesco Di Ciommo, Prorettore dell’Università Luiss “Guido Carli”, ha parlato della crisi sociale che l’Occidente sta attraversando, accentuata da una drammatica denatalità, aggiungendo come sia importante valorizzare la fascia senior della popolazione, spesso succube di un consumismo indotto da un capitalismo sfrenato. Ha sottolineato come, sia nel mondo accademico che nella professione medica, l’età compresa tra i 65 e i 70 anni venga spesso considerata come un momento di declino anziché come un periodo di grande sapienza che può ancora e più profittevolmente essere messa a disposizione della comunità. Giuseppe Quintavalle, commissario straordinario dell’ASL Roma1, ha evidenziato l’efficacia del Servizio Sanitario Nazionale italiano, sottolineando che in Italia ci sono oltre duemila ultracentenari, il che è merito della buona sanità del paese. Ha inoltre affrontato il tema della solitudine all’interno delle case degli anziani, dimostrando come un intervento tempestivo possa migliorare l’aspetto psicofisico, sociale e relazionale delle persone anziane, che spesso, anche in assenza di patologie evidenti, manifestano malessere a causa della solitudine. Sebastiano Capurso, Presidente Nazionale di ANASTE (Associazione Nazionale per i Servizi della Terza Età), ha sottolineato la necessità di un approccio diverso alla persona anziana, poiché gli anziani di oggi sono più attivi e performanti rispetto al passato. Ha evidenziato come in Italia ci siano solo trecentomila persone nelle case di riposo, numeri molto inferiori rispetto agli standard europei, a fronte di 4 milioni di nostri connazionali anziani non autosufficienti. Nella seconda sessione, di carattere scientifico, sono intervenuti i medici Francesco Gabbrielli, direttore del Centro Nazionale per le Linee Guida della Telemedicina, che ha messo in luce come la telemedicina in Italia sia ancora a uno stadio sperimentale, ma che potrebbe offrire un contributo significativo in ambiti come la cronicità, la multi-morbilità e la prevenzione. Francesco Landi, direttore del dipartimento di Scienze dell’Invecchiamento dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e membro del Board Scientifico di Italia Longeva, ha messo l’accento sull’importanza di parlare di longevità anziché di senilità, focalizzandosi sulla qualità della vita già in giovane età. Nicola Mangialardi, direttore emerito di Chirurgia Vascolare presso l’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini di Roma, ha parlato principalmente di prevenzione e dell’importanza di prevenire le patologie attraverso programmi di screening, che è il vero game changer rispetto alla longevità, aggiungere vita sana, fisica e mentale, agli anni e non solo con le cure, ma soprattutto con alcune attenzioni quotidiane: alimentazione, attività fisica, attività sociale. Renato Scienza, direttore del progetto europeo di telemedicina “Health Optimum”, ha sottolineato l’importanza della centralizzazione sanitaria, prendendo ad esempio il modello del Veneto e l’efficacia delle cure territoriali per i pazienti con cronicità che possono essere assistiti anche a distanza grazie al supporto della telemedicina.


A concludere i lavori Walter Rodinò, di Ore12 Group, che ha ricordato come ” un anno fa Ore12Sanità promosse un convegno sugli adolescenti, una risorsa di inestimabile valore per la nostra società, oggi abbiamo assistito da un utile e proficuo convegno sugli anziani, un patrimonio di inestimabile valore per la nostra società”. Infine una metafora per riassumere quanto emerso dal proficuo dibattito: “giovani e anziani sono come due ali che devono battere insieme e con forza per volare verso un futuro migliore”.

Bambino Gesù: doppio trapianto fegato e rene per due gemelli di 16 anni

Bambino Gesù: doppio trapianto fegato e rene per due gemelli di 16 anniRoma, 12 apr. (askanews) – Un doppio trapianto fegato-rene nella stessa giornata per due fratelli gemelli di 16 anni affetti da una rara malattia metabolica: un complesso intervento eseguito al Bambino Gesù grazie a un donatore compatibile e alla generosità della sua famiglia. Oggi i ragazzi, che erano costretti a un severo regime alimentare per contrastare i gravi effetti della loro malattia (acidemia metilmalonica), festeggiano un anno dal trapianto con una qualità di vita più simile a quella dei loro amici e compagni di scuola, potendosi anche concedere il gusto di una pizza da loro stessi cucinata nell’Istituto alberghiero che frequentano. Alla vigilia della Giornata nazionale per la donazione di organi e tessuti (14 aprile) la loro storia è un incoraggiamento per tutte le famiglie che attraversano difficoltà simili.


L’acidemia metilmalonica è una malattia rara che colpisce circa 2 persone ogni 100.000. Nel corpo dei pazienti si verifica un progressivo accumulo di acido metilmalonico, una sostanza altamente tossica ed estremamente nociva per vari organi e apparati quali il sistema nervoso, i reni, gli occhi e il pancreas. Fin dai primi giorni di vita i pazienti vanno incontro a crisi di intossicazione metabolica, responsabili di disturbi neurologici, deficit neurocognitivo, ritardo di crescita e insufficienza renale. «Fino a pochi anni fa – spiega Carlo Dionisi Vici, responsabile di Malattie metaboliche ed Epatologia del Bambino Gesù – le uniche cure disponibili per questa malattia erano basate su un regime alimentare molto restrittivo a basso contenuto di proteine, i “precursori” dell’acido metilmalonico, che andava mantenuto per tutta la vita». Nonostante la dieta, che ha un impatto rilevante sulla qualità della vita, i pazienti rimangono comunque a rischio per le crisi di scompenso metabolico e per lo sviluppo di gravi complicanze legate alla malattia. «Nel corso degli anni – prosegue Dionisi Vici – una risposta a questi oggettivi limiti della dietoterapia è venuta dal trapianto d’organo: oggi sempre più spesso si ricorre al trapianto di fegato o al trapianto combinato fegato-rene per migliorare la prognosi dei pazienti con acidemia metilmalonica, per ridurre il rischio di complicanze e migliorare la qualità di vita». I due fratelli gemelli arrivano al Bambino Gesù per essere sottoposti a trapianto nel gennaio 2021, indirizzati dai medici curanti dell’Ospedale Giovanni XXIII di Bari. La loro storia è caratterizzata fin dai primi mesi di vita da frequenti e prolungati ricoveri in ospedale per episodi di scompenso metabolico e, nel corso degli ultimi anni, da una progressiva insufficienza renale. Nell’Ospedale della Santa Sede hanno iniziato il percorso per essere avviati al trapianto combinato di fegato e rene. Entrambi i ragazzi sono stati seguiti dal punto di vista clinico e sostenuti sul profilo emotivo-psicologico da un’equipe multidisciplinare dedicata. Mentre erano in lista d’attesa per il trapianto, nel marzo 2023 la condizione clinica di entrambi è entrata in una fase critica e delicata, caratterizzata da un rapido peggioramento clinico, neurologico, cognitivo e con la necessità di iniziare la dialisi per curare l’insufficienza renale. Per loro fortuna, pochi giorni dopo avere registrato queste criticità, è arrivata la segnalazione di un donatore compatibile e grazie alla generosità della famiglia che ha donato gli organi, è stato effettuato, nella stessa giornata nei due fratelli, un doppio trapianto fegato-rene. «Il simultaneo trapianto di fegato e rene nei due gemelli, realizzato da un unico donatore deceduto, è stato possibile grazie all’applicazione di una complessa tecnica di divisione del fegato, diversa da quella più spesso utilizzata, e all’impiego dei sistemi di perfusione extracorporea degli organi destinati a trapianto – spiega Marco Spada, responsabile del Programma di Trapianto di Fegato del Bambino Gesù -. Il nostro ospedale possiede un’eccezionale somma di competenze specialistiche e sanitarie e utilizza tutte le tecniche di trapianto da donatore deceduto e da donatore vivente per trapiantare con successo, come nel caso dei due gemelli, tutti i pazienti in lista di attesa, anche quei casi molto complessi che non trovano possibilità di cura altrove. La difficoltà dei trapianti non è solo chirurgica e medica, ma anche organizzativa. In tal senso, la rete trapianti italiana, gestita dai coordinamenti regionali e dal Centro Nazionale Trapianti, è un esempio di efficace integrazione tra regioni e territorio nazionale».


A un anno dal trapianto i due fratelli hanno potuto per la prima volta iniziare una vita più simile a quella dei loro compagni ed amici: frequentano le lezioni scolastiche del 2° anno dell’Istituto alberghiero, partecipano attivamente ad eventi sociali e fanno progetti per il futuro. Il sogno di uno dei gemelli è diventare cuoco: adesso può cucinare per la famiglia e per gli amici e finalmente anche assaggiare cibi nuovi, cosa che prima non gli era possibile. L’altro gemello si sta orientando alla professione di barman. Il cambiamento nella loro condizione di vita e il nuovo benessere fisico e psicologico investe tutta la famiglia. «A un anno di distanza dal trapianto – afferma la mamma dei ragazzi – vediamo realizzata la promessa dei medici: i ragazzi sono più sereni e tranquilli, con una nuova autonomia e maturità. Anche noi genitori sperimentiamo per la prima volta la libertà di una vita “normale” con minori preoccupazioni per la gestione della loro malattia e per la loro salute. E’ stato un percorso molto difficile, in cui abbiamo vissuto molta paura e molta ansia, ma oggi mi sento di consigliare la scelta del trapianto ad altri genitori che vivono la stessa difficoltà perché la vita dei loro figli e di tutta la famiglia cambierà in meglio».

Tumore seno, Komen Italia celebra i 25 anni della Race for the Cure

Tumore seno, Komen Italia celebra i 25 anni della Race for the CureRoma, 11 apr. (askanews) – La 25esima edizione della Race for the Cure, la più grande manifestazione al mondo per la lotta ai tumori del seno organizzata da Komen Italia, si svolgerà dal 9 al 12 maggio al Circo Massimo, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, con il patrocinio di Palazzo Chigi e la partecipazione delle principali Istituzioni. Sarà proprio il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella a dare il via alla Race di Roma domenica 12 maggio per celebrare al meglio i 25 anni di impegno di Komen Italia nell’azione di contrasto ai tumori del seno. Domenica mattina inoltre gli atleti del Reparto Attività Sportive di Paracadutismo dell’Esercito effettueranno un lancio di precisione, facendo giungere sul luogo della partenza la Bandiera dell’Italia, quella dell’Esercito e la Bandiera celebrativa dei 25 anni della Race for the Cure. In contemporanea alla partenza della Race si svolgerà la 1^ edizione della Rowing for the Cure sulle acque del Tevere, nel tratto che va da Ponte Garibaldi a Ponte Regina Margherita, organizzata dalla Federazione Italiana Canottaggio nell’ambito del progetto Canottaggio Sociale. Grazie alla Race for the Cure, in questo lungo arco di tempo, la Komen Italia ha potuto investire oltre 26 milioni di euro in progetti di ricerca, prevenzione e sostegno alle donne che vivono l’esperienza di un tumore del seno. Tra i più importanti progetti realizzati: 180 premi di studio pluriennali a giovani medici per progetti di ricerca o perfezionamento clinico presso centri di eccellenza in Italia e all’estero; 1.285 Giornate di Promozione della Salute Femminile per offrire gratuitamente e a domicilio con le Unità Mobili ad alta tecnologia della Carovana della Prevenzione esami strumentali per la diagnosi precoce dei tumori del seno e dei tumori ginecologici a 250.000 donne in 17 regioni italiane; Oltre 4 milioni di Euro di contributi economici a 307 associazioni per progetti di promozione della salute in tutta Italia; Avvio di 2 “Centri Komen Italia di Terapie Integrate in Oncologia” (presso il Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS di Roma e l’Ospedale Bellaria di Bologna) e di 65 progetti pluriennali per offrire gratuitamente terapie complementari a oltre 50.000 donne con tumore del seno e favorire il benessere psicofisico durante e dopo le cure oncologiche, limitando gli effetti collaterali delle terapie tradizionali e riducendo il pericolo di recidiva della malattia; Oltre 1.800 sessioni gratuite di formazione in 335 citta’ italiane per 77.000 partecipanti tra medici di base, infermieri, ostetriche, chirurghi, anatomopatologi, psiconcologi, ginecologi, radiologi e tecnici di radiologia, farmacisti studenti e associazioni femminili.


Riccardo Masetti, Fondatore di Komen Italia: “Oltre a consentire la raccolta fondi necessaria per dare avvio a tanti progetti innovativi nell’azione di contrasto ai tumori del seno, la Race for the Cure ha generato un grande cambiamento culturale nell’approccio alla malattia. Grazie alla testimonianza positiva delle “Donne in Rosa”, donne che hanno vissuto personalmente l’esperienza del tumore del seno e che sono le vere protagoniste della manifestazione, la Race è riuscita a sostituire al senso di paura e isolamento che accompagnava la malattia un atteggiamento forte di condivisione, solidarietà e vicinanza, potenti medicine aggiuntive per le oltre 56.000 donne che ogni anno in Italia ricevono una diagnosi di tumore del seno”. Dal 9 al 12 maggio, dalle ore 10.00 alle ore 20.00, il Circo Massimo diventerà la casa della prevenzione e della promozione della salute. L’elemento centrale della manifestazione sarà il Villaggio della Salute che offrirà gratuitamente esami strumentali per la diagnosi precoce dei tumori del seno e consulenze specialistiche, in collaborazione con la Fondazione Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS, che da sempre affianca la Komen Italia nelle iniziative di prevenzione, e con l’Ospedale Isola Tiberina-Gemelli Isola.


Grazie all’ausilio delle Unità Mobili della Carovana della Prevenzione è inoltre previsto un percorso dedicato a donne in condizioni di fragilità socioeconomica e, per la prima volta, a transgender. L’impegno anche di altre istituzioni ospedaliere della Capitale, di Fondazione Johnson&Johnson, Fasda, Federfarma e Commissione Difesa Vista, consentirà di offrire al pubblico anche prestazioni specialistiche di prevenzione dei tumori ginecologici, della pelle, del cavo orale, del retto-ano, delle patologie del fegato e della tiroide, esami visivi, oltre a consulenze su nutrizione, menopausa, salute delle ossa e invecchiamento in salute. Per tutta la durata della manifestazione sarà attivo lo sportello informativo della Regione Lazio per facilitare l’accesso agli screening del tumore del seno, del collo dell’utero e del colon. Al Villaggio sarà possibile donare il sangue presso l’Autoemoteca del Gruppo donatori sangue Francesco Olgiati ODV. Oltre alla possibilità di accedere ad esami di diagnosi precoce (prevenzione secondaria), il Villaggio della Salute offrirà ai partecipanti tante opportunità per migliorare il proprio stile di vita (prevenzione primaria). Nei 170 stand e negli spazi dedicati, allestiti dalla Komen Italia, sarà possibile infatti partecipare gratuitamente ad attività di sport, fitness, sana alimentazione, benessere psicologico, intrattenimento, mostre e conferenze sui temi della salute e della prevenzione.

Lo sport dopo un trapianto: una rivincita che vale doppio

Lo sport dopo un trapianto: una rivincita che vale doppioTorino, 11 apr. (askanews) – Lo sport dopo un trapianto come paradigma della rinascita. È l’esperienza vissuta in prima persona da un gran numero di trapiantati e – da parte di alcuni di essi – condivisa in previsione della Giornata Nazionale Donazione e Trapianto che quest’anno ricorre il 14 aprile. Per sensibilizzare sempre più persone alla cultura del dono, a Torino – nella Sala Colonne del Municipio – la “Fondazione DOT – Donazione Organi e Trapianti” ha promosso un incontro con atleti di diversa età, attivi e premiati in differenti discipline e categorie, ma accumunati dal fatto di aver ricevuto un trapianto.


“Per ricordare la giornata nazionale della donazione e del trapianto abbiamo voluto con noi alcuni atleti a mostrarci come dopo un trapianto si possa non solo tornare a vivere ma farlo anche raggiungendo grandi livelli agonistici nello sport – ha detto nel corso dell’incontro Mauro Rinaldi, presidente di Fondazione DOT e direttore Centro Trapianti di Cuore e Polmone delle Molinette, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino – Due sono campioni dei recenti World Transplant Winter Games, che si sono tenuti a Bormio il mese scorso, uno è un giovanissimo giocatore di basket. Nella loro storia lo sport è un ingrediente di motivazione, speranza, benessere, che ha consentito loro di affrontare con forza l’esperienza del trapianto. La loro rinascita si deve alla medicina dei trapianti, sempre più sofisticata, e soprattutto ai donatori. Fondazione DOT lavora dal 2017 per sensibilizzare le persone e diffondere una conoscenza scientificamente autorevole sulla donazione di organi, cellule e tessuti, oltre che per finanziare la ricerca scientifica, affinché sempre più storie come quelle dei nostri ospiti di oggi possano essere raccontate”. A condividere con il pubblico le loro esperienze, in particolare, Paolo Manera e Marco Borgogno, veterani dello sci in gara ai World Transplant Winter Games di Bormio conclusi l’8 marzo, ed Emanuele Fiore, giovane promessa del basket torinese. Fondazione DOT ha voluto raccogliere e amplificare il loro messaggio di speranza, potente e profondamente personale: dopo aver attraversato il percorso del trapianto e tutte le sfide che questo comporta, partecipare a una competizione sportiva simboleggia una vittoria anche e soprattutto sul piano emotivo. Senza dimenticare i numerosi effetti benefici dell’attività sportiva sulla salute di chi riceve un trapianto.


“Va sottolineato l’impatto positivo che storie come quelle degli atleti presenti a questo evento possano avere nel sensibilizzare le persone sul tema del trapianto e della donazione degli organi – ha detto il sindaco di Torino Stefano Lo Russo – La Città di Torino permette, all’atto della richiesta di emissione della carta d’identità elettronica, di esprimere il proprio consenso alla donazione degli organi. Un’opportunità che come amministrazione intendiamo far conoscere sempre di più per rendere i cittadini informati e consapevoli su un argomento così importante”. Oltre a Mauro Rinaldi hanno partecipato all’incontro Lorenzo Angelone, direttore sanitario di Azienda CSS; Luigi Biancone, direttore del Centro Trapianti di Rene delle Molinette; Federico Genzano Besso, direttore del Centro Regionale Trapianti; Anna Guermani, coordinatrice Regionale delle Donazioni e dei Prelievi di Organi e Tessuti Piemonte e Valle d’Aosta; Valter Mione, presidente AIDO Piemonte; Paolo Nenci, Segretario Generale di ANED, Associazione Nazionale Emodializzati Dialisi e Trapianto; Pierluigi Poggiolini, docente del Politecnico di Torino.

Al via progetto “Integrate” per svelare i segreti dei mitocondri

Al via progetto “Integrate” per svelare i segreti dei mitocondriRoma, 11 apr. (askanews) – I mitocondri, noti come le “centrali energetiche” delle cellule, svolgono un ruolo vitale nel mantenere la salute e il benessere delle nostre cellule. Ma come vengono mantenuti in forma? E quali sono i meccanismi che preservano la loro funzionalità? Il progetto INTEGRATE di Luca Scorrano, ordinario di Biochimica al Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e Principal Investigator presso il Veneto Institute of Molecular Medicine (VIMM) è stato finanziato dallo European Research Council con circa 2.5 milioni di euro e mira a svelare i segreti dei processi di controllo della qualità mitocondriale.


I mitocondri sono responsabili di una serie di funzioni cruciali per la cellula, tra cui il metabolismo dei nutrienti, la risposta della cellula a stimoli esterni, fino alla gestione della morte cellulare. Mantenere la qualità di questi organelli è quindi fondamentale per garantire il corretto funzionamento delle nostre cellule e, di conseguenza, del nostro corpo nel suo complesso. Mentre sappiamo che diversi processi contribuiscono alla qualità dei mitocondri, resta ancora un mistero quali siano i fattori specifici che scatenano tali processi.     INTEGRATE mira a fornire la chiave per svelare questo mistero: «attraverso il progetto ci proponiamo di svelare i segreti del controllo della qualità mitocondriale – spiega Scorrano -. Quando le proteine dei mitocondri si danneggiano, si “appiccicano” le une alle altre e formano degli “aggregati proteici” che sono tossici per i mitocondri. Grazie ad un approccio multidisciplinare che usa tecniche all’avanguardia per visualizzare questi aggregati proteici all’interno dei mitocondri, INTEGRATE mira a gettar luce su come essi influenzino i mitocondri e le cellule. Scoperte preliminari fatte nel nostro laboratorio hanno rivelato che gli aggregati proteici non sono distribuiti a caso all’interno dei mitocondri, ma si accumulano in posizioni specifiche. Ad esempio, alcuni tipi di aggregati si accumulano ai poli opposti di un mitocondrio, da dove vengono selettivamente eliminati per riparare questo mitocondrio».   Comprendere questi processi può avere importanti implicazioni per la salute umana. Infatti, INTEGRATE non solo chiarirà come funzionano i mitocondri e le cellule, ma potrebbe offrire nuove vie per la terapia e la prevenzione delle malattie neurodegenerative o legate all’invecchiamento in cui il controllo della qualità mitocondriale è compromesso.  Grazie alla ricerca finanziata dallo European Research Council, il gruppo del Prof. Scorrano aspira ad aprire nuove strade per comprendere e preservare la loro funzionalità, con importanti ricadute biologiche e mediche.

Cuore: micro pompa lo salva quando si “spegne” dopo un infarto

Cuore: micro pompa lo salva quando si “spegne” dopo un infartoRoma, 10 apr. (askanews) – È la pompa cardiaca artificiale più piccola al mondo la migliore opzione di trattamento per i pazienti con infarto miocardico acuto complicato da shock cardiogeno, che si verifica quando il cuore, di colpo, smette di pompare il sangue. Così si trova senza “carburante”, con la pressione che crolla e reni e cervello che smettono di funzionare. Una situazione che mette a rischio la vita e va affrontata rapidamente sfruttando farmaci, ma anche la tecnologia. A consacrare l’efficacia della pompa a flusso microassiale (Impella CP) è lo studio danese DanGer Shock, pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato in occasione del 75esimo congresso dell’American College of Cardiology, che si è chiuso ieri ad Atlanta (Usa).


“Lo shock cardiogeno, dopo un infarto miocardico acuto, è una condizione di inadeguata perfusione del cuore dovuta a necrosi delle cellule muscolari coinvolte nella contrazione dell’organo – afferma Pasquale Perrone Filardi, Presidente della Società Italiana di Cardiologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Cardiologia dell’Università Federico II di Napoli -. Colpisce dal 5 al 10% dei pazienti con infarto miocardico acuto e più della metà di questi pazienti muore durante il ricovero”. Fino ad oggi, le precedenti ricerche non avevano messo in evidenza un beneficio, in termini di sopravvivenza, dell’impiego di un dispositivo di supporto meccanico con una particolare pompa che prende il sangue ossigenato dal ventricolo e lo spinge nell’aorta, e su cui di recente, la Food and Drug Administration degli Stati Uniti aveva emesso un warning in merito alla sua sicurezza.


Lo studio danese randomizzato ha coinvolto un totale di 355 pazienti: su 179 è stata utilizzata la pompa a flusso microassiale e su 176 la terapia standard. La morte per qualsiasi causa si è verificata in 82 pazienti su 179 (45,8%) nel gruppo con pompa a flusso microassiale e in 103 pazienti su 176 (58,5%) nel gruppo con terapia standard. “Dopo 25 anni, questo è il primo studio – afferma Ciro Indolfi, past-president della Società Italiana di Cardiologia (SIC) e Professore Ordinario di Cardiologia – che dimostra che è possibile ridurre la mortalità del 26% nei pazienti con shock cardiogeno, una condizione estremamente grave che conduce a morte nel 50% dei casi. La selezione dei pazienti è stato l’elemento chiave dei risultati di questo studio che ha documentato un reale beneficio sulla sopravvivenza in una patologia dove la terapia medica è solitamente inefficace. Tuttavia, l’utilizzo di questo catetere, che è grande, può dare delle complicanze alle arterie, che in futuro potranno essere ridotte grazie a un più attento controllo dell’accesso vascolare”. Lo studio ha dimostrato, inoltre, che le curve di sopravvivenza si separano precocemente con una mortalità nei controlli in aumento nel corso dei 180 giorni mentre la mortalità rimane stabile dopo 30 giorni nei soggetti trattati con la micropompa.


“Questi ulteriori strategie terapeutiche associate ad un trattamento tempestivo dell’infarto con lo stent coronarico, contribuiranno ad un aumento della sopravvivenza nei soggetti colpiti da questa patologia – concludono Indolfi e Perrone Filardi – che, purtroppo, rappresenta ancora la causa numero uno di morte nell’uomo e nella donna”.