Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Cardiologi Anmco: controllo colesterolo per prevenzione cardiovascolare

Cardiologi Anmco: controllo colesterolo per prevenzione cardiovascolareRoma, 21 mar. (askanews) – In Italia ogni anno 230.000 persone muoiono a causa di malattie cardiovascolari, e circa 47.000 decessi sono attribuibili al mancato controllo del colesterolo. Una condizione che non riguarda esclusivamente la fascia di età più elevata poiché le stime epidemiologiche mostrano che la malattia si manifesta nel 73% nel sesso maschile e nel 43% di quello femminile già in età giovanile e nella mezza età. Il colesterolo rappresenta infatti uno tra i più importanti fattori di rischio cardiovascolare, causando per il Sistema Sanitario Nazionale un impatto clinico, organizzativo ed economico enorme. Ciò nonostante secondo le più recenti Linee Guida internazionali, su oltre 1 milione di pazienti a più alto rischio l’80% non raggiunge il target indicato. Il controllo del colesterolo, causa di sviluppo e crescita delle placche, è uno dei principali obiettivi della terapia mirata alla prevenzione cardiovascolare. Lipids in Rome, evento organizzato dall’ANMCO – Associazione Nazionale Medici Cardiologi Ospedalieri, nella sua seconda edizione riunisce a Roma esperti provenienti da tutta Italia per discutere, condividere, e confrontarsi sulle principali novità in merito a quella che è una vecchia sfida per la quale sono però disponibili nuove soluzioni. L’evento Nazionale si svolgerà il 22 e 23 Marzo presso il Centro Congressi Auditorium Aurelia in collaborazione con la Società Italiana per lo Studio dell’Aterosclerosi e con il patrocinio della più importante società scientifica cardiologica statunitense, l’American College of Cardiology. Fabrizio Oliva – Presidente ANMCO e Direttore Cardiologia 1 dell’Ospedale Niguarda di Milano – dichiara: “Nel corso dell’incontro l’attenzione verrà focalizzata sulla necessità di un trattamento precoce soprattutto dopo eventi acuti come l’infarto del miocardio. La comunità scientifica internazionale è infatti unanimemente concorde sul beneficio che può apportare l’impiego di farmaci ad alta efficacia somministrati quanto prima possibile in modo da evitare che i pazienti siano esposti ai rischi dovuti a livelli di colesterolo elevato. Negli ultimi anni grazie a studi osservazionali su larga scala che hanno incluso centinaia di migliaia di persone è stato dimostrato che quanto più a lungo gli individui sono esposti a livelli elevati di colesterolo tanto maggiore è il rischio di sviluppo e crescita delle placche aterosclerotiche con conseguente rischio di manifestazioni acute quali l’infarto. Per tale motivo le più recenti raccomandazioni formulate dagli esperti di tutto il mondo indicano l’importanza di utilizzare, dopo un evento acuto, non solo farmaci ad alta efficacia ma fin da subito una combinazione farmaci, se necessario includendo farmaci più innovativi come l’acido bempedoico o gli inibitori di PCSK9, cosi’ da aumentare la probabilità di successo della terapia e anche l’aderenza al trattamento ovvero il prosieguo nel tempo della terapia prescritta. Allo stesso modo quando gli elevati livelli di colesterolo sono conseguenza di malattie genetiche, e quindi presenti fin dalla più giovane età, per evitare i danni correlati alla persistente esposizione al colesterolo per numerosi anni, ovvero evitare lo sviluppo e la crescita delle placche, è necessario mettere in pratica un approccio simile, cioè, utilizzare subito farmaci potenti ed in combinazione cosi’ da favorire il mantenimento della terapia nel lungo tempo”. Furio Colivicchi – Past President ANMCO e Direttore Cardiologia Clinica e Riabilitativa dell’Ospedale San Filippo Neri di Roma – sottolinea: “I due giorni di lavori sono l’occasione per discutere anche delle crescenti evidenze sulle novità all’orizzonte in termini di possibilità di ridurre il rischio cardiovascolare attraverso farmaci, come le piccole molecole di RNA (siRNA) o gli oligonucleotidi antisenso (OSA), in grado di modulare l’espressione di proteine che giocano un ruolo nel metabolismo dei grassi circolanti, con molecole che agiscono in maniera selettiva a livello del fegato. Questo tipo di trattamento ha il vantaggio di avere una lunga durata d’azione, quindi non richiedere una somministrazione quotidiana del farmaco e garantire in tal modo una maggiore aderenza alla terapia. Da circa un anno è a disposizione l’inclisiran, un farmaco che permette di ridurre il colesterolo cattivo in circolo attraverso iniezioni sottocutanee praticate due volte l’anno. Questo grazie al suo meccanismo d’azione del tutto innovativo ovvero riducendo l’espressione di una proteina che interferisce con la captazione del colesterolo plasmatico da parte delle cellule del fegato. La ricerca scientifica, sfruttando un meccanismo d’azione simile, ovvero di modulazione dell’espressione di proteine, sta sviluppando nuovi farmaci rivolti verso altri fattori che aumentano il rischio cardiovascolare e che possono essere responsabili di eventi acuti proprio come il classico colesterolo cattivo. Uno degli obiettivi dei farmaci in via di sviluppo è ad esempio la lipoproteina(a) che, quando è elevata, anche se si interviene efficacemente sul colesterolo cattivo in circolo, può favorire eventi acuti e potenzialmente invalidanti come l’infarto e l’ictus, ma anche la malattia di valvole cardiache come la stenosi valvolare aortica calcifica”. “Globalmente anche l’edizione 20224 di Lipids in Rome 2024 – conclude Colivicchi – sarà un’eccellente opportunità di aggiornamento in campo di gestione delle malattie cardiovascolari associate agli elevati livelli di colesterolo e altri lipidi nel circolo sanguigno, con uno sguardo alle promettenti ed innovative opzioni terapeutiche attese per il prossimo futuro”.

Diabete di tipo 1 e celiachia: al via in Italia gli screening pediatrici

Diabete di tipo 1 e celiachia: al via in Italia gli screening pediatriciRoma, 21 mar. (askanews) – Prende il via con un progetto pilota che coinvolgerà 4 Regioni il primo programma in Italia di screening per il diabete di tipo 1 e per la celiachia che mira a identificare, nella popolazione pediatrica sana, le persone a rischio di sviluppare una o entrambe queste malattie, in modo da poter offrire loro un trattamento precoce. Il progetto, reso possibile dalla legge 15 settembre 2023, n. 130, è stato presentato oggi durante un convegno nella sede dell’Iss, a cui hanno partecipato il vicepresidente della Camera Giorgio Mulè, il presidente della commissione Affari Sociali della Camera Ugo Cappellacci e il presidente dell’Iss Rocco Bellantone. L’iniziativa, è emerso durante il convegno, è la prima al mondo che prevede uno screening regolato da una legge dello Stato, come sottolineato anche da un recente articolo pubblicato dalla rivista Science e da un commento su Lancet.


“Oggi tagliamo un traguardo straordinario – ha affermato Mulè, il principale promotore della legge -. Dobbiamo fare ancora più in fretta perché, pochi giorni fa, un bambino di 6 anni è morto per chetoacidosi e il suo caso si aggiunge agli altri martiri del diabete di tipo 1. Oggi abbiamo l’ambizione di dare giustizia a chi non c’è più. La legge 130 guarda al futuro: abbiamo avuto la consapevolezza di dover intervenire e ce l’abbiamo fatta tutti insieme con il risultato di essere riusciti ad alzare una bandiera di cui dobbiamo essere fieri. L’Italia è il primo paese al mondo che introduce lo screening su tutta la popolazione pediatrica per rilevare gli anticorpi di diabete di tipo1 e celiachia. La comunità scientifica internazionale ce lo riconosce e gli articoli sulle riviste più prestigiose, come Lancet e Science, lo hanno certificato. Un ringraziamento di cuore al Parlamento che ha votato all’unanimità la legge, ai clinici, agli scienziati, all’Istituto superiore di sanità e alle associazioni dei pazienti di diabete e celiachia. È la vittoria di tutti loro”. “Nella Commissione che presiedo – ha commentato Cappellacci – è più facile trovare buona politica, è più facile trovare le ragioni che uniscono rispetto a quelle che dividono, tant’è vero che stiamo per avviate un altro percorso simile a questo sulle patologie renali. La salute si può perseguire attraverso la prevenzione e la diagnosi precoce: quando evitiamo situazioni tristi, quando miglioriamo la vita dei pazienti, quando facciamo risparmiare il Servizio Sanitario Nazionale vale sempre la pena di fare il massimo sforzo”. Il Ministero della Salute e l’Istituto Superiore di Sanità hanno siglato una convenzione per la realizzazione di un progetto propedeutico al programma di screening che ha lo scopo di evidenziare la sostenibilità da parte del Servizio Sanitario Nazionale, le potenzialità, le criticità organizzative e i costi-benefici di uno screening su scala nazionale per le due patologie.  Questa fase pilota sarà condotta in 4 regioni: Lombardia, Marche, Campania e Sardegna, in cui i Pediatri di Libera Scelta (PLS) che aderiscono allo studio recluteranno su base volontaria bambini di 2, 6 e 10 anni. Verranno misurati gli auto-anticorpi relativi al diabete tipo 1 e celiachia e valutata la presenza di due varianti genetiche che si associano a queste patologie. Per il progetto la legge prevede la spesa di 3,85 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024 e 2025 e di 2,85 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2026. I risultati verranno raccolti dall’Istituto Superiore di Sanità e valutati da un Osservatorio, istituito sempre dalla legge presso il ministero della Salute. Il vantaggio di attuare lo screening per DT1 e celiachia nella popolazione pediatrica deriva dalla possibilità di identificare i bambini a rischio o di diagnosticare precocemente i bambini che sono affetti da queste patologie. Le ricerche scientifiche condotte in tutto il mondo dimostrano, infatti, che diagnosi e interventi tempestivi riducono fortemente sia i rischi acuti che le conseguenze a lungo termine di queste malattie nelle persone che ne sono affette. Nei casi di diabete tipo 1 ancora troppo spesso la diagnosi avviene per un esordio acuto di chetoacidosi, uno squilibrio metabolico grave che richiede il rapido ricovero del paziente in Pronto Soccorso e che può lasciare danni permanenti o anche mettere in pericolo la vita del bambino. Nei casi di celiachia, l’identificazione precoce è utile, non solo per la cura dei sintomi direttamente collegati alla celiachia, ma soprattutto per la prevenzione delle complicanze a lungo termine che possono insorgere nei casi non riconosciuti.


“Di solito si usa l’espressione ‘tempesta perfetta’, ma forse è più adatto dire che oggi è l”arcobaleno perfetto’, dove si uniscono la Politica con la P maiuscola e la Tecnica con la T maiuscola – ha commentato Bellantone -. Con questo progetto si affrontano due malattie che hanno un impatto sulla vita delle persone e sul sistema sanitario più importante di quanto si pensi”.

Tubercolosi, Girardi (Spallanzani): problema globale ma eliminarla si può

Tubercolosi, Girardi (Spallanzani): problema globale ma eliminarla si puòRoma, 21 mar. (askanews) – “La tubercolosi resta tutt’oggi un problema sanitario globale di enormi proporzioni. Molti dei successi che erano stati ottenuti negli anni precedenti la pandemia di Covid si sono attenuati a causa dell’impatto che questa ha avuto sui sistemi sanitari. Ora è il momento di riprendere la strada verso l’eliminazione della tubercolosi”. Così il Direttore scientifico dell’Istituto Nazionale per le Malattie Infettive “Lazzaro Spallanzani” IRCCS, Enrico Girardi, in un video pubblicato in vista della Giornata mondiale contro la Tubercolosi in programma il 24 marzo 2024. “In Paesi come l’Italia – prosegue Girardi – eliminare la tubercolosi come problema di sanità pubblica è un obiettivo possibile e che richiede un impegno rinnovato. Il nostro Istituto sta lavorando per contribuire a questo ambizioso obiettivo su diverse linee. In primo luogo: garantire una diagnosi rapida e un trattamento adeguato per le persone con tubercolosi. In secondo luogo: garantire alle persone che hanno avuto un’esposizione o sono a rischio di tubercolosi interventi per evitare che l’infezione progredisca verso la malattia. E infine, contribuire a sviluppare con la ricerca nuovi strumenti per il controllo della tubercolosi per una migliore diagnosi, per una migliore terapia, per un miglior esito per i pazienti. I pazienti sono una componente fondamentale del nostro impegno per questa malattia e desideriamo coinvolgerli sempre di più nella nostra attività per contrastare la tubercolosi”.

Acido ialuronico, plasma e staminali nuove frontiere per l’artrosi

Acido ialuronico, plasma e staminali nuove frontiere per l’artrosiRoma, 21 mar. (askanews) – Combattere l’artrosi si può, anche senza bisturi: dopo i trattamenti infiltrativi con farmaci antinfiammatori e quelli a base di acido ialuronico, oggi la ricerca si concentra su infiltrazioni con i derivati del sangue, i cosiddetti PRP (Plasma Ricco di Piastrine), fino ad arrivare ai trattamenti con le cellule mesenchimali estratte dal midollo osseo o dal grasso sottocutaneo. Parliamo di ortobiologia, metodiche che sfruttano le capacità rigenerative delle cellule del corpo umano con l’obiettivo di stimolare la ricrescita di alcuni tessuti e di attenuare l’infiammazione, trattamenti non chirurgici e mini invasivi che accendono nuove speranze per coloro che fino a qualche anno fa avevano come unica scelta terapeutica l’intervento di sostituzione protesica. Queste tecniche di medicina riparativa e rigenerativa sono applicabili al trattamento conservativo delle articolazioni, ma anche alla fase post-intervento chirurgico, per migliorarne l’esito, favorendo la guarigione dei tessuti.


L’artrosi è una malattia articolare cronico-degenerativa a carattere progressivo che colpisce in Italia circa 4 milioni di persone: “Per il trattamento dell’artrosi, patologia degenerativa che aumenta con l’età – spiega Alberto Momoli, Presidente della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia, SIOT e Direttore UOC Ortopedia e Traumatologia, Ospedale San Bortolo, Vicenza – si sono aperte nuove strade per cure più conservative e, grazie alle tecniche di ortobiologia, siamo entrati in una nuova era in ambito ortopedico. Questo tipo di procedure riguarda però le fasi iniziali dell’artrosi, i gradi 2 e 3. Mentre se l’artrosi è di quarto grado non ci sono alternative all’intervento chirurgico. E’ fondamentale l’intervento precoce”. Evidenze scientifiche hanno dimostrato l’efficacia delle infiltrazioni con l’acido ialuronico e con il PRP, e la letteratura più recente anche quelle con le cellule mesenchimali, in particolare nell’articolazione del ginocchio. Fra i trattamenti infiltrativi in prima linea per il trattamento conservativo dell’artrosi di ginocchio c’è l’acido ialuronico che viene iniettato nell’articolazione allo scopo di lubrificarla e nutrire la cartilagine rimanente, una pratica clinica ormai diffusa che mostra benefici anche nell’artrosi dell’anca. Nel caso dell’articolazione del ginocchio, quando la risposta a questa terapia non fosse sufficiente, è possibile ricorrere alle infiltrazioni con i derivati del sangue, PRP. In questo caso, dal sangue del soggetto, opportunamente centrifugato, viene estratto il plasma ricco di piastrine che, iniettato, favorisce il rilascio di fattori di crescita piastrinica, cioè di molecole che consentono ai tessuti di ripararsi e rigenerarsi. Il PRP trova ampia applicazione anche nella rigenerazione dei tendini della spalla. Un’ulteriore possibilità, ancora in fase sperimentale, è offerta dalle cellule staminali mesenchimali estratte dal tessuto adiposo addominale e poi infiltrate nell’articolazione artrosica. “Si tratta di una procedura più complessa rispetto a quella prevista dalla cura con il PRP – precisa Momoli – ma si svolge anch’essa in regime ambulatoriale. In entrambi i casi è importante rivolgersi a centri certificati e con elevati standard qualitativi. Quando usato su persone con artrosi, il trattamento a base di cellule mesenchimali, utile anche in caso di tendiniti, è molto efficace sul ginocchio e un po’ meno sull’anca. Bisogna, comunque tener presente che tale cura è in grado solo di rallentare il processo artrosico, ma non di farlo regredire”.

Leucemia linfatica cronica, verso nuove opzioni trattamento

Leucemia linfatica cronica, verso nuove opzioni trattamentoRoma, 19 mar. (askanews) – Ci potrebbero essere nuove opzioni di trattamento per la leucemia linfatica cronica (LLC), abbinando la cosiddetta “dieta mima digiuno” a terapie mirate. Risultati promettenti in questo senso vengono da un gruppo di ricercatori dell’IFOM di Milano, guidato dal Professor Valter Longo, con la collaborazione del gruppo di ricerca del Dottor Claudio Vernieri, di IFOM e dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, presso il Dipartimento di Oncologia diretto dal Professor Filippo de Braud. I risultati dello studio sostenuto da Fondazione AIRC sono stati pubblicati sulla rivista “Cancer Research”. La leucemia linfatica cronica (LLC) è il tipo di leucemia più diffuso di leucemia nei Paesi occidentali (15-20% di tutti i casi di leucemia) e ha un’incidenza di 1-2 casi all’anno ogni 100.000 individui. “È una malattia complessa – premette Longo – con forme indolenti e aggressive che richiedono approcci terapeutici distinti”. I pazienti che manifestano una forma indolente mostrano una progressione lenta, mentre quelli che affrontano una variante aggressiva hanno un accumulo rapido di linfociti leucemici nel midollo osseo e nei tessuti linfoidi. L’accumulo sostituisce progressivamente le normali cellule ematopoietiche, portando infine a una citopenia ematica, ossia a una carenza di tutti gli altri tipi di cellule e componenti essenziali del sangue, tra cui un’estrema riduzione dei livelli di piastrine e dell’emoglobina, con effetti potenzialmente letali.


Mentre la forma aggressiva dev’essere trattata immediatamente, per la LLC indolente i medici spesso seguono una strategia di watch and wait (in italiano, letteralmente, “osservare e attendere”). Tale approccio consente di monitorare l’evoluzione clinica dei pazienti e di iniziare trattamenti farmacologici solo in caso di segni di peggioramento. Esistono diverse opzioni terapeutiche per il trattamento della LLC, che vanno dalla chemioterapia all’immunoterapia a diverse terapie mirate. Nonostante i notevoli progressi compiuti negli ultimi dieci anni, la ricerca di nuovi approcci di cura sostenibili ed efficaci rimane imperativa, soprattutto per un sottogruppo di pazienti che presenta forme particolarmente aggressive di LLC, caratterizzate da alterazioni del gene p53. In questo contesto alcuni farmaci sperimentali, come per esempio il bortezomib, stanno emergendo come promettenti.


Già in passato i ricercatori del laboratorio “Longevità & Cancro”, guidato da Valter Longo all’IFOM, avevano dimostrato che la dieta mima digiuno rende chemioterapia, immunoterapia e altri trattamenti più efficaci contro vari tipi di tumori solidi. “In questo nuovo studio” – spiega Longo – “ci siamo invece focalizzati sulla ricerca di una terapia che fosse meno tossica per il trattamento di un tumore del sangue”. Prosegue Longo: “Grazie al lavoro condotto da Franca Raucci e Claudio Vernieri – i due primi autori dell’articolo – abbiamo osservato, in esperimenti con topi affetti da leucemia, che la dieta mima digiuno può neutralizzare in parte i linfociti tumorali. Ciò sembra avvenire in parte grazie alla riduzione dei livelli di fattori di crescita, che di per sé pare rallentare la progressione tumorale”. “In questo studio – precisa Vernieri – sono anche stati esaminati gli effetti di otto cicli consecutivi di dieta mima digiuno in due pazienti affetti da LLC. Abbiamo osservato che, dopo 5-6 anni di approccio watch and wait, per nessuno dei due è stato necessario iniziare un trattamento farmacologico. Si tratta di un risultato preliminare ma promettente”.

Salute, entro il 2030 quasi 40% italiani soffrirà di rinite allergica

Salute, entro il 2030 quasi 40% italiani soffrirà di rinite allergicaRoma, 19 mar. (askanews) – Primavera, stagione apprezzata da molti, complici le giornate più lunghe, il clima temperato, e la possibilità di trascorrere più tempo all’aperto, un fattore che influisce notevolmente sull’umore. Non per tutti, però, è così. “La primavera è anche associata all’arrivo delle allergie respiratorie e al malessere che esse portano con sé, e lo sa bene il 25% della popolazione mondiale che ne soffre durante quello che è diventato ormai un periodo lunghissimo”. Lo ha affermato Giorgio Walter Canonica, General Executive Manager SIAAIC, Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica  e Senior Consultant Humanitas Milano che con Assosalute, l’Associazione nazionale farmaci di automedicazione che fa parte di Federchimica, ha affrontato questo e altri aspetti legati al tema delle allergie respiratorie. Dai cambiamenti climatici in atto fino alle buone abitudini e all’utilizzo responsabile dei farmaci di automedicazione, ecco tutti i consigli per gestire al meglio la sintomatologia e minimizzare l’impatto delle allergie sulla vita quotidiana.


Le riniti allergiche, sebbene non siano un fenomeno nuovo, hanno registrato un peggioramento negli ultimi anni, soprattutto tra i giovani e i bambini in età pediatrica, ma non solo: “In questi anni iniziano a emergere studi sull’insorgenza e sulla diffusione delle allergie anche dopo i settant’anni”, afferma il Professore. Le cause della maggiore incidenza delle allergie respiratorie sono diverse: “Dalla fine della pandemia”, prosegue, “si è assistito a una esplosione delle allergie respiratorie, complice il minor uso della mascherina, che per molto tempo ha avuto un effetto protettivo dall’inalazione dei pollini, allergeni, virus e inquinanti”. L’aumento delle allergie avrà un impatto significativo sulla salute e sulla qualità della vita di molte persone. Infatti, il Professore rivela che “secondo le proiezioni, tra il 35% e il 40% della popolazione italiana soffrirà di rinite allergica entro il 2030”. Non solo la pandemia ha avuto un impatto significativo sulla nostra salute e sul nostro benessere, ma anche il cambiamento climatico e l’inquinamento stanno emergendo come minacce crescenti, anche se necessitano ancora di molte analisi per valutarne l’impatto sulle allergie respiratorie. “Dobbiamo affrontare la prossima stagione con le dita incrociate. Se il trend continua a essere lo stesso, complici anche i livelli di inquinamento presenti nell’aria, dobbiamo attenderci sicuramente una primavera molto impattante per coloro che sono allergici”, sottolinea. Gli effetti del cambiamento climatico, in particolare l’aumento della temperatura, influiscono sulla stagione di pollinazione, che, rispetto al passato, è più lunga: “Gli allergici alla Parietaria, infatti, faranno i conti con le allergie da febbraio a novembre, non è più, dunque, una condizione stagionale ma perenne”, commenta il Professore, “il cambiamento climatico, che ne è la causa, ha comportato un aumento del numero di pollini sia nella quantità che nella durata del fenomeno”. A questo, poi, va aggiunto il danneggiamento della mucosa respiratoria da parte dell’inquinamento ambientale, “agevolando la penetrazione degli allergeni e stimolando la risposta allergica. Più aumenta l’inquinamento e più il danno della mucosa diventa importante, contribuendo così a potenziare la risposta anomala che causa i sintomi dell’allergia”, mette in guardia il Professore. Ecco, dunque i 5 consigli dell’esperto. 1. La protezione dall’esposizione agli allergeni, pollini e inquinanti ad esempio tramite l’uso della mascherina, è sempre consigliata. 2. Attenzione al meteo. I fenomeni metereologici quali temporali e precipitazioni abbondanti, con conseguenti scariche elettriche che possono rompere i pollini, possono peggiorare la condizione allergica. Meglio dunque evitare le passeggiate in presenza di questi eventi. 3. Trattamento farmacologico preventivo. Bisogna prendere consapevolezza dei segnali d’allarme. I farmaci di automedicazione, contraddistinti dal bollino rosso che sorride sulla confezione, possono essere utilizzati non appena compaiono i primi sintomi. Tra questi si consigliano i farmaci antistaminici e antiallergici disponibili come spray nasali, colliri e compresse. Su questi ultimi si consigliano quelli di ultima generazione, che sono sempre una sicurezza assoluta e consentono di proseguire con serenità le attività quotidiane. Oggi esistono anche le combinazioni di steroidi nasali con antistaminici che sicuramente hanno cambiato la strategia terapeutica della rinite allergica. 4. Diagnostica corretta. Per una prima diagnosi è opportuno un consulto con il medico di medicina generale. Se la patologia è riferibile al fenomeno di tipo allergico, per individuarne la causa è sempre meglio affidarsi all’allergologo che definirà poi la terapia farmacologica più idonea o, in caso di situazioni gravi, indirizzerà verso l’immunoterapia specifica. 5. Pulizia degli ambienti. In casa, è fondamentale prestare attenzione agli acari della polvere e alla forfora degli animali da compagnia. Per i primi, si consiglia di utilizzare per materassi e cuscini delle fodere anti-acari, rappresentando questi la fonte principale degli acari.  Per gli animali conviene lavarli una volta alla settimana al fine di rimuovere il più possibile gli allergeni dal loro pelo e tenerli lontano da divani e mobili imbottiti, che possono trattenere gli allergeni. 

Bambino Gesù: inaugurata la nuova Sala di Elettrofisiologia di Palidoro

Bambino Gesù: inaugurata la nuova Sala di Elettrofisiologia di PalidoroRoma, 19 mar. (askanews) – Una nuova sala di elettrofisiologia, con la tecnologia più avanzata, per diagnosticare e trattare le aritmie cardiache di bambini e adolescenti, è stata inaugurata presso la sede di Palidoro dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù, dove ogni anno vengono eseguite circa 1500 procedure di elettrofisiologia e cardiostimolazione.


Il progetto di ristrutturazione della sala di elettrofisiologia è stato realizzato grazie al coinvolgimento della funzione Servizi Tecnici dell’Ospedale e ha consentito di rinnovare la strumentazione dotando la sede di Palidoro delle tecnologie più avanzate attualmente disponibili per la diagnosi e il trattamento delle aritmie cardiache associate o meno a cardiomiopatie, canalopatie e cardiopatie congenite. La sala è stata dotata di un nuovo apparecchio angiografico che consente di effettuare, insieme all’uso di poligrafi tridimensionali, le procedure di ablazione transcatetere per l’eliminazione delle aritmie veloci e l’impianto di pacemaker e defibrillatori. La nuova apparecchiatura impiantata nella Sala permette di integrare tutta la strumentazione impiegata nella realizzazione delle procedure (poligrafo convenzionale per l’elettrofisiologia endocavitaria, sistemi di mappaggi cardiaci elettroanatomici tridimensionali e dispositivi di erogazione della energia ablativa, sia a radiofrequenza che a crioenergia). È possibile anche visualizzare in un unico maxi schermo i segnali video di tutte le apparecchiature di sala. La nuova sala garantisce inoltre la piena operatività anche in condizioni di blackout dell’energia elettrica.


«Grazie alla nuova sala, con la sua innovativa tecnologia e la capacità di integrazione di tutti gli strumenti, migliorerà ulteriormente l’attività di elettrofisiologia e cardiostimolazione dell’Ospedale – ha spiegato il dottor Fabrizio Drago, responsabile di Cardiologia e Aritmologia delle sedi di Palidoro, Santa Marinella e San Paolo dell’Ospedale – la nuova configurazione, come la possibilità di seguire in unico schermo i monitor di tutte le apparecchiature, migliorerà l’efficienza dei processi riducendo le possibili complicanze, consentendo una maggiore velocità e il miglioramento delle cure». L’elettrofisiologia cardiaca si occupa di studiare e trattare i disturbi connessi al funzionamento elettrico del cuore. La storia ha inizio al Bambino Gesù lontano 1988, con il primo studio elettrofisiologico transesofageo in un adolescente con sindrome di Wolff-Parkinson-White, effettuato dal dottor Fabrizio Drago. Nel corso degli anni, l’attività si è sviluppata progressivamente sia dal punto di vista diagnostico che interventistico, guadagnando riconoscimento a livello internazionale nel 2002, con la pubblicazione dei primi casi al mondo di ablazione transcatetere tridimensionale senza uso di raggi X, e nel 2005, con la prima esperienza al mondo di crioablazione endocardica per il trattamento delle tachiaritmie cardiache, un trattamento terapeutico alternativo all’ablazione termica con radiofrequenza che talora presenta complicanze in sedi cardiache molto sensibili.


Attualmente al Bambino Gesù si effettuano tutti gli interventi previsti per la diagnosi e per la cura dei disturbi aritmici nel bambino. Nell’ambito della diagnosi, l’Ospedale effettua studi elettrofisiologici transesofagei a riposo e sotto sforzo, studi elettrofisiologici endocavitari e mappaggi elettro-anatomici 3D, impianti di apparecchi sottocutanei di registrazione della attività elettrica cardiaca (ILR). Sul fronte della elettrofisiologia interventistica vengono realizzate ablazioni transcatetere 3D con uso di radiofrequenza o con uso di crioenergia. Per quanto riguarda infine la cardiostimolazione, vengono effettuati impianti endocardici ed epicardici di pace-maker (PM), di defibrillatori impiantabili (ICD) e impianti sottocutanei di ICD. Nel 2023 presso il Bambino Gesù sono state effettuate circa 1500 procedure di elettrofisiologia e cardiostimolazione. Negli ultimi 30 anni sono state 150 le pubblicazioni scientifiche su numerose riviste internazionali.

SSN, Nursind: più autonomia a infermieri per ridurre liste attesa

SSN, Nursind: più autonomia a infermieri per ridurre liste attesaRoma, 19 mar. (askanews) – “Rafforzare l’assistenza territoriale e al tempo stesso ridurre le liste d’attesa. Sono due obiettivi che sarebbero alla portata se solo si volesse intervenire sul piano normativo con alcune modifiche mirate, dimostrando quel coraggio che fino a ora è mancato alle istituzioni. Si tratterebbe di innovazioni, tra l’altro, i cui costi ricadrebbero sul finanziamento standard del contratto di lavoro e non richiederebbero risorse aggiuntive”. È questo, in sintesi, il senso del ragionamento che il segretario del Nursind, Andrea Bottega, ha portato al tavolo dell’Intergruppo parlamentare per la prevenzione e la cura delle malattie autoimmuni, nel corso della riunione di oggi dedicata proprio al tema dell’assistenza territoriale. “La modalità con cui si gestiscono i bisogni sanitari ha mostrato tutti i suoi limiti già durante la pandemia. Bisogna prenderne atto e voltare pagina se si vuole davvero disegnare la sanità del futuro – continua Bottega -. Altrimenti si rischia di rimanere schiacciati dagli attuali eccessi burocratici, con il duplice effetto negativo di oberare, da una parte, i medici con attività che sarebbero a tutti gli effetti di competenza infermieristica e di svilire, dall’altra, il lavoro dell’infermiere che, da professione sempre meno attrattiva, non ha certo bisogno di veder ulteriormente limitata la propria autonomia e inibita la valorizzazione economica”. Un esempio su tutti, prosegue il segretario Nursind, “ce lo offre l’esperienza lavorativa in ambito chirurgico ospedaliero. La gestione delle ferite, tra medicazioni e rimozione punti, occupa ogni giorno uno o più medici per metà giornata. Un lasso di tempo che potrebbe essere dedicato alle prime visite, smaltendo quindi le liste d’attesa, se solo si attribuisse la gestione delle ferite post dimissione ad un infermiere appositamente formato. Ma lo stesso vale per altre figure quali il tecnico di radiologia o di laboratorio”. Quindi Bottega si sofferma sulle soluzioni che potrebbero essere messe in campo e che, rimarca, “sono state condivise anche dalla Commissione Salute delle Regioni in epoca pre-Covid”. Tra queste: “Dare avvio alle lauree specialistiche abilitanti per esempio in infermieristica pediatrica, sanità pubblica, infermieristica di famiglia, semplificando in tal modo anche le classi di laurea; istituire un nomenclatore tariffario per le attività infermieristiche con la possibilità di istituire degli ambulatori infermieristici autonomi; dare la possibilità agli infermieri di prescrivere i presidi di comune uso assistenziale”. Ma anche, “rivedere la normativa sull’utilizzo degli apparecchi radiologici per dare la possibilità al tecnico di radiologia di eseguire in autonomia gli esami diretti”, oltre che “modificare la legge 42 del 1999 sulle Disposizioni in materia di professioni sanitarie e dare forza di legge agli accordi Stato-Regioni che vanno a regolamentare aspetti specifici dell’assistenza”. “I fondi del Pnrr sono un’occasione da non sprecare per riformare la sanità territoriale – conclude il segretario del Nursind -. È stata normata la figura specifica dell’infermiere di famiglia, basterebbe partire da qui: quale opportunità migliore, infatti, dal momento che ancora non ne sono state definite le competenze, per allargare il perimetro delle sue attività?”.

Insuccesso ostetrico ricorrente: “responsabili” anche i papà

Insuccesso ostetrico ricorrente: “responsabili” anche i papàRoma, 18 mar. (askanews) – C’è anche la complicità della qualità del liquido seminale in storie di donne che incorrono in aborti spontanei ricorrenti, cioè nella perdita di due o più gravidanze successive. L’insuccesso ostetrico, oggi attribuito in prevalenza a fattori femminili, come squilibri ormonali e metabolici, malformazioni uterine, infezioni del tratto genitale, alterazioni della coagulazione, avrebbe una potenziale spiegazione nell’uomo. Recenti studi retrospettivi multicentrici, che proseguiranno anche grazie a finanziamenti di Fondazione Humanitas per la Ricerca, coordinati dai ricercatori del Centro Multidisciplinare di Patologia della Gravidanza di Humanitas San Pio X, sotto la guida di Nicoletta Di Simone, Professore Ordinario di Ginecologia e Ostetricia in Humanitas University, dimostrano la co-responsabilità in episodi di abortività spontanea ricorrente anche di anomalie del liquido seminale (ad esempio un inadeguato numero di spermatozoi, la loro morfologia alterata e la motilità ridotta), così come di possibili frammentazioni del DNA spermatico o e, non ultimo, di infezioni.


Infezioni e DNA sono “fattori di rischio” nuovi e di grande importanza, tanto da indicare una strada per poter cambiare in un prossimo futuro l’approccio diagnostico-terapeutico all’insuccesso ostetrico, che ad oggi nel 40% dei casi resta ancora idiopatico, cioè non associato a una causa specifica. “Partiamo dalle infezioni genito-urinarie – esordisce la Professoressa Di Simone – che stanno registrando in epoche recenti una sempre maggiore incidenza, e fra queste l’infezione da Human Papilloma Virus (HPV), responsabile come è noto dell’insorgenza di patologie oncologiche a danno dell’apparato genito-urinario, quali il tumore della cervice uterina, o di malattie sessualmente trasmissibili. Ma ci sarebbe una implicazione anche nella capacità di concepimento: recenti studi condotti presso il nostro centro attestano un’associazione tra infezione maschile da HPV e storie di insuccesso ostetrico nel primo trimestre di gravidanza. Si tratta di una informazione importante che apre a nuove possibilità terapeutiche che dovranno essere attentamente studiate e valutate. Inoltre, di particolare interesse è anche l’evidenza di una relazione fra aumentato indice di frammentazione del DNA spermatico e la maggiore incidenza di abortività ricorrente, che ha escluso alcuni fattori prima ritenuti responsabili o confondenti”. Oggi definire il ruolo dell’indice di frammentazione del DNA spermatico in coppie con problemi di infertilità è possibile grazie a un test, poco invasivo ma molto efficace, che si effettua direttamente sul liquido spermatico con un semplice prelievo. “Negli ultimi anni – prosegue Di Simone – è cresciuto l’interesse per l’integrità del DNA degli spermatozoi e il suo ruolo in spermiogramma con valori di qualità nella norma: come abbiamo riassunto in una recente review sul tema, andrebbe valutata la possibilità di utilizzare questo parametro come nuovo strumento per comprendere il potenziale contributo maschile alla fertilità e alle problematiche connesse. Le prime evidenze, dopo analisi condotte su diverse tipologie di uomini, coloro con comprovata fertilità, con almeno due gravidanze portate a termine con successo, o comprovata infertilità, cioè mancato raggiungimento di una gravidanza dopo 12 mesi o più di rapporti sessuali regolari non protetti, e uomini appartenenti a coppie con storia di abortività ricorrente, mostrano un’associazione significativa tra indice di frammentazione del DNA spermatico e aborti spontanei ricorrenti”.


Queste informazioni stanno cambiando l’approccio all’insuccesso ostetrico: “è fondamentale – conclude Di Simone – affrontare le problematiche di infertilità non limitatamente al singolo individuo, ma alla coppia, ovvero mettendo sullo steso piano il contributo sia del partner maschile sia femminile. Ciò presuppone il coinvolgimento e la disponibilità di entrambi i partner ad affrontare insieme un percorso diagnostico terapeutico, motivo per il quale è necessario che la problematica venga approcciata in un’ottica di multidisciplinarietà, anche dal punto di vista della ricerca scientifica. La possibilità di effettuare una diagnosi ed una terapia adatta in un momento così delicato e di equilibrio precario come quello all’inizio della vita embrionale richiede dedizione ad una ricerca attenta ed accurata. E i risultati oggi li abbiamo: questo approccio ha permesso, nel tempo, di raggiungere un tasso di gravidanze spontanee, senza ricorrere a tecniche di fecondazione in vitro, elevato. Il 67% di coppie oggi stringono un bimbo fra le loro braccia”.

Università Cattolica, linee guida per il Long covid

Università Cattolica, linee guida per il Long covidRoma, 18 mar. (askanews) – Una «nuova emergenza di sanità pubblica» su cui a oggi in Italia siamo ancora poco attrezzati. Dagli aspetti pneumologici ai problemi cardiovascolari e alle sindromi metaboliche, fino alle malattie neuro-psichiatriche: sono solo alcuni sintomi di pazienti affetti dalla PASC, ovvero le sequele post acute dell’infezione da Sars-Cov-2, che l’OMS stima attorno al 6 percento tra coloro che hanno contratto l’infezione.


Ad avanzare una prima proposta concreta per la presa in carico di pazienti affetti dal Long-Covid è l’eBook dal titolo “Linee guida per il follow-up delle sequele da COVID-19”, curato da Claudio Lucifora e pubblicato dalla casa editrice Vita e Pensiero dell’Università Cattolica del Sacro Cuore in occasione della Giornata Nazionale in memoria delle vittime del Covid, che si celebra oggi lunedì 18 marzo. «Nel maggio del 2023, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato ufficialmente conclusa l’emergenza pandemica del Covid19», spiega Claudio Lucifora, direttore del Centro di ricerca sul Lavoro “Carlo Dell’Aringa” (Crilda) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e coordinatore del progetto PASCNET, i cui risultati della prima fase sono raccolti proprio nell’eBook. «Le statistiche raccolte dall’OMS ci ricordano che dall’inizio della pandemia ci sono stati, in tutto il mondo, oltre 765.222.932 casi di contagio, con quasi sette milioni di morti. Nella sola Lombardia, i contagi sono stati oltre 4 milioni con quasi 50 mila decessi. Sebbene, per il momento, possiamo considerare vinta la sfida pandemica del Covid19, ancora molte persone, anche a distanza di anni dal contagio, convivono con gli effetti debilitanti del Long-Covid o, come meglio definito nella letteratura medica, la “PASC”». Ora, continua Lucifora, «tra i sintomi più frequentemente riportati ci sono dolori muscolari, problemi gastrointestinali, stanchezza, vuoti di memoria o di linguaggio. La cosiddetta nebbia o “brain fog” che, nei casi più gravi, possono compromettere l’assolvimento delle normali funzioni quotidiane», continua Lucifora. Per colmare questo gap è nato il progetto PASCNET “La sindrome post-Covid: far fronte a una nuova emergenza di sanità pubblica con una gestione innovativa e il network building”, di cui l’Università Cattolica del Sacro Cuore è capofila, ed è finanziato dalla Fondazione Cariplo nell’ambito del bando “Networking, ricerca e formazione sulla sindrome post-Covid”. Un progetto scientifico che coinvolge in una nuova alleanza diversi attori del Servizio sanitario nazionale: le Agenzie di tutela della salute, le Aziende socio-sanitarie territoriali e gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico, e una rappresentanza dei medici di medicina generale. «I risultati della prima fase del progetto, ottenuti grazie alla collaborazione tra i clinici dei principali enti di cura e ricerca lombardi, sono pubblicati nel volume che, di fatto, presenta una prima proposta di linee guida, per il follow-up di pazienti affetti da sintomi legati al Long-Covid», dichiara Lucifora. «La scommessa è che le linee guida raccolte nel volume possano essere di supporto alla pratica clinica, contribuire a ottimizzare la presa in carico dei pazienti affetti dalle sequele post-acute dell’infezione da Covid, ma soprattutto offrire delle prospettive di guarigione e migliorare la loro salute».