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Preservazione della fertilità,nel mondo +30% procedure ogni anno dal 2016

Preservazione della fertilità,nel mondo +30% procedure ogni anno dal 2016Roma, 9 apr. (askanews) – La preservazione della fertilità attraverso il congelamento degli ovociti femminili sta prendendo sempre più piede in Europa, Italia compresa, e nel mondo, complici anche le dichiarazioni di personaggi famosi che hanno intrapreso questa strada, per motivi medici o per scelta personale. In media, le procedure in entrambi i casi sono aumentate del 25-30%-all’anno dal 2016 secondo la Società americana per le tecnologie di riproduzione assistita (SART) e la Società europea di Riproduzione Umana ed Embriologia (ESHRE), con punte al 46% e al 70% nel biennio 2020-2021 rispettivamente negli USA e in Australia-Nuova Zelanda. A fotografare la situazione è un nuovo studio del gruppo italiano specializzato in medicina della riproduzione Genera, pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility. I dati del gruppo Genera relativi a 8 cliniche su tutto il territorio nazionale segnalano inoltre per l’Italia un aumento di circa il 20% anno su anno del numero di procedure di ‘social freezing’, il congelamento per motivi prettamente sociali. Nel nuovo studio si mette in evidenza quali sono le chance di ottenere una gravidanza, in un secondo momento, utilizzando gli ovociti prelevati. “Nelle donne più giovani, quindi fino a 35 anni – spiega il primo autore del paper, Danilo Cimadomo, biologo molecolare e responsabile della Ricerca del gruppo Genera – le probabilità cumulative di nati sono comprese fra il 70% con 15 ovociti prelevati e congelati (considerato il numero ottimale) e il 95% con 25 ovociti. Ma ci sono comunque chance di gravidanza comprese tra il 30% e il 45% nel caso in cui vengano vitrificati 8-10 ovociti. Oltre la soglia dei 35 anni, il numero di ovociti necessari per raggiungere la gravidanza è chiaramente maggiore, rendendo la procedura di preservazione la fertilità più impegnativa. Per questo motivo, tutti i centri specializzati oggi consigliano alle donne di fare questa scelta, se ritenuta opportuna a seconda dei propri progetti di vita, entro i 35-37 anni, in modo da avere le migliori possibilità di riuscita se un giorno si dovranno utilizzare quegli ovociti congelati, nel caso insorgessero problemi nel tentare una gravidanza”. “La Società Americana per la Medicina della Riproduzione (ASRM) ha rimosso l’etichetta di procedura sperimentale dalla vitrificazione degli ovociti nel 2013 – interviene Laura Rienzi, embriologa e direttore scientifico del gruppo Genera, la scienziata che ha contribuito a portare e a studiare in Italia per la prima volta questa tecnica – e, anche per questo motivo, la richiesta di procedure di preservazione della fertilità è aumentata sensibilmente in tutto il mondo. La vitrificazione è una metodica di congelamento che consente di mantenere inalterati la vitalità e il potenziale riproduttivo degli ovociti mediante l’esposizione a bassissime temperature (-196°C) ed è stata confermata essere una procedura riproducibile, sicura ed economica, fino a diventare l’approccio gold standard per la preservazione della fertilità. Tuttavia, i risultati clinici possono essere ancora oggi variabili a seconda dei Paesi e delle strutture che la praticano. Infatti, ad oggi, la vitrificazione viene per lo più condotta manualmente, richiedendo quindi operatori ben formati, costantemente monitorati ed esperti. Ecco perché l’automazione sta assumendo un ruolo sempre più importante nei nostri laboratori: le nuove tecnologie ci consentono e ci consentiranno di migliorare i risultati delle tecniche. La necessità di trattamenti di procreazione medicalmente assistita è in costante crescita in tutto il mondo. In parallelo i progressi tecnologici, come la valutazione dei gameti basata sull’intelligenza artificiale e l’automazione, promettono una sempre maggiore standardizzazione dei protocolli negli anni a venire. Anche grazie agli sforzi che la scienza sta facendo in questa direzione, la crioconservazione degli ovociti quando scelta per motivi sociali è un tema che sta stimolando il dibattito sociale e politico nel nostro Paese e confidiamo presto non sarà più percepita come un tabù, ma come uno strumento per salvaguardare l’autonomia riproduttiva delle donne”, conclude Rienzi.

Consenso a Donazione organi, CNT: i più generosi i trentenni sardi

Consenso a Donazione organi, CNT: i più generosi i trentenni sardiRoma, 9 apr. (askanews) – Sono i trentenni sardi i più disponibili a dare il proprio consenso alla donazione degli organi, mentre ancora una volta è Trento la città più generosa d’Italia nella raccolta dei “sì” al momento del rinnovo della carta d’identità. Sono alcuni dei dati che emergono dalla quinta edizione dell’Indice del Dono, il rapporto del Centro nazionale trapianti che fa il punto sulle dichiarazioni di volontà alla donazione di organi e tessuti registrate nelle anagrafi di oltre 7mila Comuni italiani nel corso del 2023.


L’Indice, pubblicato in vista della Giornata nazionale per la donazione che si terrà domenica 14 aprile, mette ancora una volta in fila alcuni indicatori come la percentuale dei consensi, quella delle astensioni e il numero dei documenti emessi. In base ai risultati, per il terzo anno consecutivo è Trento a primeggiare fra le città con oltre 100mila abitanti, con un indice di 71,07/100, una percentuale di consensi del 78,1% e un tasso di astensione del 32%. Trento precede Verona (che sale dal quarto al secondo posto) e Sassari, con Livorno ai piedi del podio. Tra le altre grandi città più virtuose Cagliari è quinta, Ferrara sesta, Padova settima, Firenze ottava e Perugia nona, Bergamo decima. In calo le quattro città maggiori: Milano è 24ma (era 16ma l’anno precedente), Torino passa dal 29mo al 31mo, Roma dal 32mo al 33mo mentre Napoli resta ferma al 39 posto su 44. Tra i Comuni medio-grandi (tra i 30 e i 100mila abitanti) è di nuovo Corato (BA) a ottenere il risultato migliore, con un indice di 75,70/100, il 76,2% di consensi e solo il 15% di astenuti. La cittadina pugliese precede Nuoro e Gravina in Puglia (BA). Per quanto riguarda i Comuni medio-piccoli (5-30mila abitanti), in testa c’è l’abruzzese Guardiagrele, in provincia di Chieti (indice 88,92/100, consensi 97,2%, astenuti 22,5%), davanti a Leverano (LE) e a Primiero San Martino di Castrozza (TN). Fra i piccoli centri, quelli con meno di 5mila abitanti, primeggia ancora una volta Geraci Siculo (PA), il piccolo paese delle Madonie dove, grazie alla scelta di donazione da parte dei genitori di una bambina di 11 anni scomparsa nel 2021, la piccola Marta Minutella, l’intera comunità è coinvolta ormai da anni in numerose attività di sensibilizzazione. Geraci ha fatto di nuovo segnare in assoluto il miglior risultato tra tutti i comuni italiani, con un indice di 95,83/100 e una percentuale di consensi del 100%: su 163 carte d’identità emesse nel 2023, sono stati raccolti 146 e nessun no, con soltanto 17 astensioni. Nella classifica dei piccoli centri al secondo posto c’è Rovescala (PV) e al terzo Cinte Tesino (TN).


L’edizione di quest’anno dell’Indice del Dono mette in evidenza anche la propensione alla donazione nelle diverse fasce d’età a livello regionale: la percentuale di consensi più alta – ben l’84,7% – è quella registrata tra i cittadini sardi tra i 31 e i 40 anni. E’ proprio quella dei trenta-quarantenni la categoria che a livello nazionale dimostra maggiore generosità, con un consenso medio del 73,8%. A seguire ci sono i 41-50enni (73,1%) e i 51-60enni (71,3%): in entrambe le fasce, a livello regionale, sono i trentini a dichiarare il consenso in percentuali maggiori. Meno buoni i risultati della raccolta tra i 18-30enni, probabilmente perché meno informati: tra i più giovani il consenso medio nazionale è del 68,9% mentre i contrari sono il 31,1%. In questa categoria anagrafica la percentuale più alta è quella dei “sì” registrati tra i giovani valdostani (81,7%). Ma è dopo i 70 anni che la percentuale di chi si oppone alla donazione tende a salire esponenzialmente: i “no” sono il 41,5% tra i 71-80enni e ben il 55% tra gli ultraottantenni. Un dato condizionato, probabilmente, dall’errata convinzione che la donazione degli organi in età avanzata non sia possibile. Ad oggi complessivamente il Sistema informativo trapianti ospita poco meno di 19 milioni di dichiarazioni registrate: 13,5 milioni di sì e 5,5 milioni di no.

Suicidi tra gli anziani, Italia maglia nera in Europa

Suicidi tra gli anziani, Italia maglia nera in EuropaRoma, 8 apr. (askanews) – Solitudine e suicidi negli anziani saranno tra i temi al centro del 24° Congresso dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, che si tiene a Firenze dall’11 al 13 aprile. Il Congresso, intitolato “Integrazione e innovazione. Fondamenti del sapere psicogeriatrico” raccoglie oltre 500 specialisti e ben 145 relatori, affrontando temi di stringente attualità. L’avvento dell’Intelligenza Artificiale apporterà modificazioni nella cura degli anziani. La cura delle demenze sta offrendo scenari innovativi con il ruolo dei biomarcatori nell’approccio diagnostico. La recente approvazione della legge 33 sulla non-autosufficienza rappresenta un’altra opportunità di innovazione nell’assistenza, che si sposta dal sanitario al sociale aprendo nuove prospettive. Vi sono poi le novità farmacologiche riguardanti problematiche come il controllo di agitazione e delirium e quelle sui trapianti d’organo. Grande attenzione poi a fenomeni globali come i cambiamenti climatici, che hanno un notevole impatto proprio sulla salute dei più fragili, che possono subire maggiormente gli effetti della disidratazione, dei colpi di calore o semplicemente essere meno reattivi di fronte a calamità naturali per limiti sensoriali o per il basso livello di digitalizzazione, che in Italia nella popolazione anziana non raggiunge il 65% e talvolta implica solo la competenza di saper mandare una mail.


L’elevato tasso di suicidi tra gli anziani in Italia ha le sue ragioni nella solitudine in cui vengono ridotti gli anziani e nell’ageismo con cui vengono spesso discriminati, con diritti basilari che esistono solo sulla carta. Il tasso di solitudine è il doppio rispetto alla media dei Paesi europei, con coloro che non hanno nessuno a cui chiedere aiuto che sono il 14%, mentre coloro che non hanno nessuno a cui raccontare cose personali il 12%, a fronte di una media europea del 6,1% (dati Eurostat). La solitudine non è solo un problema sociale, ma anche clinico, essendo associata ad un aumento del rischio di depressione, disturbi del sonno, demenza e malattie cardiovascolari. “Gli anziani spesso vengono estromessi da misure di salvaguardia sanitaria, come avvenuto durante la pandemia, quando i posti in terapia intensiva erano destinati ai più giovani – spiega Diego De Leo, Presidente AIP -. Questa impostazione è stata introiettata dagli anziani stessi, convinti che non possano essere utili alla società né attivi: questo non è frutto di un impoverimento cognitivo, ma di un’impressione del loro patrimonio intellettuale come detta la società. Occorre pertanto ribaltare questo modello. Oltre all’ageismo, vi è una vera e propria epidemia di solitudine: i paesi occidentali contano il 30% degli anziani afflitti da solitudine cronica e il 10% da una solitudine molto severa, che porta alla depressione e poi in alcuni casi proprio al suicidio. L’altro Paese più vecchio al mondo insieme all’Italia, il Giappone, ha computato 45mila persone che ogni anno muoiono in completo isolamento, tanto che sono state create squadre di “death cleaners” che si occupano di bonificare i luoghi in cui sono avvenute queste morti in solitudine”.

Cuore, studio multicentrico ridimensiona ruolo farmaci beta-bloccanti

Cuore, studio multicentrico ridimensiona ruolo farmaci beta-bloccantiRoma, 8 apr. (askanews) – È tempo di ridimensionare l’efficacia dei beta-bloccanti nel trattamento dei pazienti colpiti da infarto del miocardio. La terapia considerata uno dei pilastri nella cura di eventi cardiovascolari, è stata, infatti, messa in discussione nello studio REDUCE-AMI pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato al congresso dell’American College of Cardiology in corso ad Atlanta, secondo il quale l’uso di questi farmaci non ridurrebbe il rischio di morte o di infarto miocardico nei pazienti colpiti da questa patologia. “L’utilizzo dei beta-bloccanti nel post infarto è una pratica clinica consolidata. Si tratta di una classe di farmaci che agisce inibendo i recettori beta-adrenergici e inducendo la riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. L’efficacia terapeutica di questi farmaci si basa però, ancora oggi, sull’effetto dimostrato in studi clinici datati, condotti prima della diffusione delle attuali tecniche di rivascolarizzazione con lo stent, dell’implementazione sistematica delle statine, della disponibilità di efficaci farmaci per la prevenzione primaria e secondaria e delle moderne terapie antiaggreganti – afferma Ciro Indolfi, Past-president della Società Italiana di Cardiologia (SIC) – da quando questi nuovi trattamenti sono diventati accessibili, il valore della terapia con beta-bloccanti nei pazienti con infarto miocardico, senza insufficienza cardiaca, è stato messo in dubbio, ma fino ad oggi erano disponibili solamente studi osservazionali che fornivano risultati contrastanti”.


“REDUCE-AMI rappresenta, pertanto, il primo studio moderno sui benefici dei beta-bloccanti ed evidenza la mancanza di efficacia di questa terapia nel ridurre il rischio di morte o infarto nei soggetti colpiti da infartodel miocardio, trattati con angioplastica coronarica che hanno una normale contrattilità del cuore”, aggiunge Pasquale Perrone Filardi, Presidente SIC e Direttore della scuola di specializzazione in malattie dell’apparato cardiovascolare dell’Università Federico II di Napoli. Lo studio, randomizzato, multicentrico e “in aperto”, ha valutato l’efficacia della terapia con beta-bloccanti in 5.020 pazienti con età media di 65 anni, con infarto miocardico acuto trattati con angioplastica e con una normale funzionalità contrattile del muscolo cardiaco. La ricerca condotta da settembre 2017 a maggio 2023 in 45 centri in Svezia, Estonia e Nuova Zelanda, ha confrontato il decorso clinico del gruppo dei pazienti ai quali era stata prescritta una terapia con beta-bloccanti rispetto a quelli trattati senza questi farmaci. “I risultati hanno mostrato che, a circa 3 anni e mezzo dall’inizio dello studio, l’incidenza di decessi e di un secondo infarto non sono stati significativamente differenti nei due gruppi. Non sono state registrate differenze di rilievo neanche nel numero di ospedalizzazioni per fibrillazione atriale, per insufficienza cardiaca, ictus o per interventi di impianto di un pacemaker”, spiega Indolfi.


“A seguito di questo studio non sono però stati riscontrati segnali negativi riguardo la sicurezza del trattamento – chiarisce Perrone Filardi -, e riteniamo che le evidenze siano ancora a favore dei beta-bloccanti per i pazienti con infarto miocardico di grandi dimensioni, che presentano insufficienza cardiaca. Per i pazienti con normale contrattilità del cuore, questo studio stabilisce, invece, che non ci sono indicazioni che l’uso di routine dei beta-bloccanti sia vantaggioso. Potrebbe però essere troppo presto per escludere definitivamente questo tipo di terapia dagli strumenti a disposizione nella prevenzione secondaria e sono, pertanto, necessari ulteriori studi”.

Un futuro senza tumori del sangue, via a nuova Campagna AIL

Un futuro senza tumori del sangue, via a nuova Campagna AILRoma, 5 apr. (askanews) – L’AIL – Associazione Italiana contro Leucemie, linfomi e mieloma ha affidato a Lateral Creative Hub la realizzazione di una nuova campagna di comunicazione integrata dedicata al 5×1000. A seguito della campagna dedicata ai Lasciti Testamentari AIL dello scorso anno, continua la collaborazione di successo tra l’Associazione e l’agenzia di branding e comunicazione. Lateral, agenzia guidata da Francesco Fallisi e Federica Bello, attraverso lo spot realizzato con la direzione creativa di Simona Angioni, ha voluto raccontare la visione dell’Associazione, una visione ambiziosa ma non utopica: un futuro senza tumori del sangue. L’idea creativa si è espressa attraverso un espediente narrativo che nel film diventa un elemento ricorrente, ovvero gli occhi degli operatori AIL che distolgono lo sguardo dal presente per proiettarlo in un futuro pieno di vita: una ricercatrice guarda dentro un microscopio e vede un ragazzo in montagna che beneficia dei risultati della Ricerca scientifica, un medico aiuta un paziente ad alzarsi e immagina il giorno in cui lo accompagnerà dalla sua famiglia fuori dall’ospedale; un’educatrice gioca con dei bambini a nascondino tra le corsie del reparto e li vede correre in un prato.


Nella campagna stampa questa visione si traduce in una multisoggetto originale e poetica: qui i protagonisti sono i pazienti che riprendono possesso della loro vita, raggiungendo i propri traguardi con il camice ospedaliero, come se nella foga non avessero trovato il tempo di cambiarsi. AIL impegnata da 55 anni nella lotta contro i tumori del sangue, è attualmente la settima associazione per numero di preferenze espresse dai contribuenti nella propria dichiarazione dei redditi, confermando la tendenza negli anni che vede sempre AIL tra le prime scelte dei cittadini. Nel 2021 circa 180 mila persone hanno voluto destinare il 5×1000 ad AIL e sostenere la lotta contro leucemie, linfomi e mieloma. Secondo l’ultima rendicontazione al “Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca” e al “Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali”, i fondi impiegati a sostegno di importanti progetti di Ricerca scientifica e di servizi di cura e assistenza ai pazienti ematologici e alle loro famiglie, sono stati 6.558.256 euro.


“Mantenere e migliorare i risultati conseguiti finora richiede impegno costante e fondi sempre crescenti – dichiara Giuseppe Toro, Presidente Nazionale AIL – il 5 per mille offre l’opportunità di assicurare un sostegno a lungo termine e dare quindi un aiuto significativo all’AIL e ai suoi 16.000 volontari che ogni giorno lottano contro i tumori del sangue”. ita Smoljko e Daniele Scarpaleggia, rispettivamente Responsabile Comunicazione AIL e Coordinatore del Progetto, hanno ampiamente appoggiato e contribuito alla finalizzazione del progetto, commentando “Gli occhi che vengono raccontati dal regista William hanno il nostro stesso sguardo, quello dei nostri colleghi, quello di tutti i collaboratori e sostenitori di AIL. Sappiamo che il nostro è un obiettivo comune e raggiungibile, per questo è importante farlo capire all’Italia intera, superando l’incredulità e il cinismo con l’impegno e la passione per tutto ciò che facciamo”. La campagna video è stata prodotta da Sedici:9, mentre la campagna stampa multisogetto è stata realizzata da Cirasa Studio. La campagna AIL #realizziamoilfuturo sarà on air da maggio sulle principali emittenti televisive, canali digitali, stampa, radio e affissione con diversi formati.

Geriatri: 4 anziani su 10 esclusi per l’età dalle cure migliori

Geriatri: 4 anziani su 10 esclusi per l’età dalle cure miglioriRoma, 5 apr. (askanews) – I geriatri lanciano l’allarme sui bisogni di salute, soprattutto dei grandi anziani, su cui il Servizio Sanitario Nazionale non investe abbastanza risorse. Gli anziani sono considerati “troppo vecchi e costosi” per ricevere le cure più avanzate, da cui trarrebbero i maggiori benefici, e per essere inclusi negli studi clinici per la sperimentazione di farmaci di cui sono i primi a fare uso. Un paradosso, frutto di uno stigma grave e inaccettabile sulla base dell’età, che si riflette anche sulla percezione negativa del proprio invecchiamento inducendo la stessa persona anziana a rinunciare all’aderenza alle terapie, a screening e comportamenti preventivi, con gravi effetti sulla salute. L’ageismo è una questione di rilevanza globale. Secondo uno studio condotto su oltre 80 mila persone in 57 Paesi, pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, una persona su due ha pregiudizi basati sull’età che influenzano anche uno dei settori chiave della vita degli anziani, cioè la sanità, riducendo l’accessibilità alle cure e l’appropriatezza dei trattamenti. Per questo motivo l’ultimo e storico rapporto sull’ageismo stilato da OMS e ONU nel marzo del 2021 ha evidenziato la necessità di politiche e leggi che affrontino la questione, oltre che di attività educative e intergenerazionali che riducano i pregiudizi, in modo da progredire nella collaborazione globale per il decennio dedicato all’invecchiamento attivo dalle Nazioni Unite (2021-2030). Ogni azione in questo senso è urgente considerato che, secondo l’OMS, entro il 2050 una persona su cinque nel mondo sarà over-60. In questo contesto nasce la Carta di Firenze, il primo manifesto mondiale contro l’ageismo sanitario, messo a nudo e rafforzato anche dalla pandemia, che sarà presentato in occasione del congresso “Anti-ageism Alliance. A Global Geriatric Task Force for older adults’ care”, organizzato dalla Fondazione Menarini con il patrocinio della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), che vede riuniti a Firenze il 5 e 6 aprile, presso l’Auditorium della Camera di Commercio, i presidenti delle maggiori società geriatriche del mondo, insieme a esponenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e delle Nazioni Unite, esperti di etica e rappresentanti delle associazioni di pazienti.


Il documento coordinato da Andrea Ungar, Ordinario di Geriatria all’Università di Firenze, presidente del congresso e della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, e dal professore Luigi Ferrucci, Direttore Scientifico del National Institute on Aging di Baltimora, è stato messo a punto da un panel internazionale di esperti, tra cui Alana Officer, capo del dipartimento su Cambiamento demografico dell’OMS e responsabile della campagna dell’Healthy Ageing, Marlane Sally Krasovitsky, consulente della campagna globale contro l’ageismo sostenuta dall’OMS, Laura Fratiglioni del Karolinska Institute di Stoccolma e Mary Tinetti dell’Università di Yale. Il manifesto appena pubblicato sull’European Geriatric Medicine e sul The Journal of Gerontology, punta su 12 azioni concrete per ridurre al minimo l’impatto negativo dell’ageismo nell’assistenza sanitaria e migliorare la qualità di vita degli anziani, riducendo i costi legati alle loro patologie. “In base ai pregiudizi e agli stereotipi legati all’età si ritengono gli anziani già “titolari di una quantità di vita sufficiente”, ormai gravosi per il sistema sociale ed economico. Quasi un effetto collaterale del successo medico che ha cronicizzato le malattie, determinando un incremento della coesistenza di più patologie nello stesso individuo – osserva Andrea Ungar, coordinatore della Carta di Firenze, presidente del congresso e della SIGG -. È aumentato così il numero di anziani da assistere e, con esso, la forma più diffusa di ageismo, cioè la discriminazione degli anziani nell’ambito sanitario. Infatti, nonostante rappresentino la maggioranza dei malati con patologie croniche quasi sempre concomitanti, il 40% degli anziani è tagliato fuori dalle terapie più avanzate e appropriate e dai protocolli sperimentali senza valide ragioni mediche ma solo in base all’età. Gli effetti negativi dell’ageismo influenzano anche la longevità, con una probabilità fino a 4 volte più alta di morire nelle persone anziane che hanno un’autopercezione negativa dell’invecchiamento rispetto a coloro che hanno una visione positiva della vecchiaia”.


Le azioni proposte nel manifesto per invertire la rotta puntano innanzitutto alla formazione. Il tema dell’invecchiamento deve diventare parte integrante del percorso formativo del personale sanitario e degli assistenti sociali. “È necessario – continua Ungar – anche un cambiamento di paradigma nell’approccio alla cura dell’anziano che non può essere trattato “a pezzetti”, di volta in volta dal cardiologo, dal neurologo, dal diabetologo, ma deve essere seguito con il necessario sguardo di insieme dal geriatra come medico della complessità. Serve poi dare priorità agli anziani nei pronto soccorso che rappresentano un fattore di rischio per via dei lunghi tempi di attesa e una presa in carico non adeguata, che possono contribuire al declino cognitivo e al peggioramento delle condizioni fisiche”. Il medico deve anche cercare una maggiore condivisione del percorso di cura con il paziente e con i suoi caregiver informandoli correttamente delle possibili alternative, ascoltando con attenzione le loro esperienze. “I pazienti anziani – sottolinea Ferrucci – andrebbero inclusi nei trial clinici per la sperimentazione di farmaci da cui sono tagliati fuori perché ritenuti troppo “inquinati” dalle loro fragilità, che comporterebbero studi più sofisticati e complessi e maggiori controlli. Vengono invece esclusi, quando sono i primi a far uso di farmaci e terapie. Altrettanto necessario riprogettare gli ambienti ospedalieri per renderli più age-friendly, riducendo l’isolamento e l’immobilismo a letto dei pazienti e realizzare device sanitari facilmente utilizzabili anche da chi è più avanti negli anni”.

IRCCS San Raffaele di Roma: al via il progetto Cardio-Balance

IRCCS San Raffaele di Roma: al via il progetto Cardio-BalanceRoma, 4 apr. (askanews) – Il ruolo della rieducazione motoria nei pazienti cardiopatici è al centro di un innovativo progetto di cura e prevenzione messo a punto dall’IRCCS San Raffaele di Roma e dall’Università San Raffaele Roma con il supporto tecnologico di Sensor Medica. L’obiettivo è dimostrare come l’attività fisica sia utile in caso di cardiopatie, non solo come forma riabilitativa, ma anche per prevenire ed evitare cadute e traumi e per restituire benessere psicologico. Valutare il rischio caduta e la qualità del sonno, lo stato d’ansia e il livello di stress in soggetti post patologie acute del sistema cardiovascolare pre e post protocollo di riabilitazione motoria e rieducazione funzionale propriocettiva.


Il progetto, dal titolo “Cardio-Balance”, è coordinato da Giuseppe Caminiti, Responsabile del DH Cardiologico dell’IRCCS San Raffaele e Professore associato del corso di laurea in Scienze Motorie dell’Università San Raffaele Roma, Giuseppe Messina, Professore associato del corso di laurea in Scienze e Tecniche delle Attività Motorie Preventive e Adattate dell’Università San Raffaele Roma, Elvira Padua, Coordinatore e Professore ordinario del corso di studi in Scienze motorie dell’Università San Raffaele Roma e Maurizio Volterrani, Responsabile del Dipartimento area Cardiorespiratoria del Gruppo San Raffaele e professore ordinario del corso di laurea in Scienze Motore dell’Università San Raffaele Roma. Lo studio verrà condotto presso il reparto della Riabilitazione Cardiologica dell’IRCCS San Raffaele, dove ogni anno sono ricoverati 800 pazienti e il Day Hospital usufruito da 730 persone sempre su base annua. In Italia, le malattie cardiovascolari sono la causa predominante di morte, responsabili del 44% di tutti i decessi. La cardiopatia ischemica, con l’infarto come sua manifestazione primaria, rappresenta il maggior fattore di mortalità, incidendo per circa il 28% su tutti i decessi. L’insorgenza di lesioni nelle arterie coronariche è identificata come il determinante della cardiopatia ischemica e, in particolare, dell’infarto miocardico. Secondo i dati ISTAT, negli ultimi cinque anni la prevalenza della cardiopatia ischemica in Italia è rimasta stabile, è quindi importante considerare con estrema attenzione la prevenzione e la diffusione di percorsi efficaci di riabilitazione fisica e psicologica per i pazienti colpiti. “Con il presente lavoro – spiega Caminiti – si vogliono evidenziare gli effetti che una forzata immobilità che si verifica durante un ricovero ospedaliero per un evento acuto, può comportare sull’equilibrio e sull’incidenza delle cadute in soggetti cardiopatici. Pertanto, verranno presi in considerazione soggetti cardiopatici anziani, ricoverati in riabilitazione a breve distanza da un evento acuto che ha comportato una relativa immobilità sino, talora all’allettamento. Fra gli obiettivi dell’attività fisica svolta nell’ambito della riabilitazione cardiologica, dunque, entra a pieno titolo anche quello di migliorare la forza e il tono muscolare, evitando che l’atrofia muscolare e debolezza possano causare altri ulteriori problemi come le cadute”. “Inoltre – prosegue Caminiti – si vogliono valutare gli effetti del trauma-ospedalizzazione subìto anche a livello psicologico correlando eventuali effetti sulla qualità del sonno, sullo stato di ansia e di depressione del singolo soggetto”. Tra i portatori di cardiopatie, maggiormente a rischio cadute, non a caso, ci sono gli anziani. Il progetto Cardio-Balance nasce proprio con l’intento di fornire una prima risposta scientifica e misurabile al quesito se l’attività fisica possa essere un altro efficace strumento di contrasto in caso di cardiopatie. “Il programma prevede una prima valutazione del rischio di caduta dei pazienti a pochi giorni dal loro ricovero e una seconda da effettuarsi il giorno delle dimissioni, alla fine del periodo degenziale – spiega Volterrani-. I pazienti coinvolti verranno poi divisi in due gruppi: alcuni seguiranno un programma di attività fisica in regime di Day Hospital con supervisione, altri al proprio domicilio, in autonomia. Una valutazione verrà quindi effettuata a tre mesi di distanza per elaborare un protocollo di rieducazione motoria, funzionale e propriocettiva per portare il paziente ad una condizione psicofisica il più possibile ottimale”.

Precari Aifa: buon lavoro al presidente Nisticò. Speriamo anche a noi

Precari Aifa: buon lavoro al presidente Nisticò. Speriamo anche a noiRoma, 4 apr. (askanews) – “La Conferenza Stato Regioni ha ratificato la proposta del Governo per la nomina di Roberto Giovanni Nisticò alla presidenza di AIFA. Dopo oltre un mese dalle dimissioni di Palù, l’Agenzia Italiana del Farmaco riprenderà la sua affannosa rincorsa alle altre agenzie europee, ma soprattutto dovrà affrontare le annose problematiche interne, in primis la spinosa questione dei precari”. E’ quanto si legge in una nota diffusa dai precari dell’Agenzia del Farmaco che denunciano: “Il 31 dicembre 2023 i nostri contratti precari sono scaduti ed in questi 95 giorni quello che abbiamo ricevuto dal Ministro della Salute Schillaci e dal Sottosegretario Gemmato è stato un bel nulla. Silenzio, noncuranza e – concedeteci un termine forte – maleducazione. Più e più volte – ricordano – abbiamo richiesto incontri con i vertici di Lungotevere a Ripa, senza mai ricevere una risposta, nemmeno di rifiuto; più e più volte abbiamo sollecitato l’opinione pubblica ed i media a dar risalto a questa incresciosa situazione lavorativa, ma l’esiguo numero di lavoratori (meno di trenta) non fa notizia. Intanto l’Agenzia del Farmaco procede i suoi lavori a rilento, con alcuni uffici totalmente immobilizzati per la carenza di personale”.


“Al neo Presidente Nisticò vanno i nostri più sinceri auguri di buon lavoro, ma auspichiamo che, nella redazione della sua agenda, nei primissimi punti inserisca la soluzione alla nostra problematica, trovando un punto di contatto con il Ministero dell’Economia – che ha sempre creato falsi ostracismi – e che si dia seguito all’ODG approvato dal Parlamento sulla nostra stabilizzazione. Sono passati 95 giorni e noi lavoratori, e le nostre famiglie, siamo senza stipendio, senza lavoro ma soprattutto senza futuro”, concludono.

Bicinrosa: in sella con il Campus Bio-Medico contro il tumore al seno

Bicinrosa: in sella con il Campus Bio-Medico contro il tumore al senoRoma, 4 apr. (askanews) – Torna Bicinrosa: domenica 7 aprile 2024 si terrà la VII edizione della pedalata amatoriale per le vie di Roma promossa dalla Breast Unit della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico. Anche quest’anno l’obiettivo è sensibilizzare le donne e la popolazione sull’importanza della prevenzione del tumore al seno attraverso una sana alimentazione e la mobilità sostenibile e sostenere la ricerca contro il carcinoma mammario. La principessa Maria Carolina di Borbone delle Due Sicilie, duchessa di Calabria e di Palermo sarà la madrina dell’evento che quest’anno ha un focus specifico sulla prevenzione dei tumori eredo-familiari, cioè quei casi legati a una predisposizione genetica, oggi individuabile attraverso test sul DNA volti a riconoscere specifiche mutazioni. Questa edizione dell’iniziativa si tiene in primavera nell’approssimarsi della Giornata mondiale della salute proclamata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (11 aprile).


Commenta Vittorio Altomare, direttore della Breast unit della Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico: “La prevenzione del tumore del seno passa anche attraverso lo stile di vita, oltre che dagli irrinunciabili screening: il rischio di ammalarsi è infatti aumentato da fattori di rischio come l’elevato consumo di alcool, l’obesità e la sindrome metabolica, associati a sedentarietà e diete ipercaloriche ricche di grassi e carboidrati semplici. Il consiglio è quindi praticare regolare attività fisica, aggiungendo alla classica camminata quotidiana anche un impegno ulteriore in palestra, in bicicletta, in piscina, nella corsa, nel ballo o in qualsiasi attività sportiva di proprio gradimento”. Sottolinea Maria Carolina di Borbone: “In una società sempre più consapevole della salute e del benessere, è cruciale porre l’attenzione sulla prevenzione del tumore al seno, una patologia che colpisce milioni di donne in tutto il mondo. Se consideriamo l’ultimo report nel 2023 sono stati registrati circa 55.900 casi di neoplasia, con un incremento dello 0,5% rispetto al 2020. In questa ottica, anche le giovani come me rivestono un ruolo fondamentale nel promuovere una cultura di prevenzione attiva. Quindi diventa indispensabile investire in strumenti di analisi genetica capaci di anticipare la predisposizione alla malattia, ed intervenire già in giovane età. È grazie agli sforzi incessanti dei ricercatori e degli operatori sanitari che possiamo fare progressi significativi nella lotta alla malattia. Sostenere la ricerca significa investire nel nostro futuro e nella salute delle generazioni future”.


Con partenza, prevista per le ore 11:30 dallo stadio “Nando Martellini” in via Antonina, la Bicinrosa si dirigerà verso il centro di Roma, i Fori imperiali e il Colosseo, per poi invertire la direzione e tornare allo stadio. E’ possibile iscriversi sulla pagina https://donaora.unicampus.it/bicinrosa.

Sfida Mieloma Multiplo: oltre 25mila euro annui spesi per ogni paziente

Sfida Mieloma Multiplo: oltre 25mila euro annui spesi per ogni pazienteRoma, 4 apr. (askanews) – Il Mieloma Multiplo, la seconda neoplasia ematologica per incidenza, è una patologia complessa che ha un impatto fortissimo sulla vita di paziente e caregiver. È il tema affrontato dal Webinar “Sfida Mieloma Multiplo. Risorse, Innovazione e Nuovi Modelli di presa in carico”, promosso da EEHTA-CEIS, Facoltà di Economia, Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” con il contributo non condizionato di Sanofi. “Un nostro recente studio ha quantificato l’impatto economico del Mieloma Multiplo sul Servizio Sanitario Nazionale e sul Sistema sociale, stimando un costo annuo complessivo pari a oltre 25mila per paziente”, ha dichiarato Paolo Sciattella, ricercatore EEHTA del CEIS di Tor Vergata. Ma sono molti i passi in avanti fatti dalla ricerca scientifica negli ultimi anni, come ha spiegato Claudio Cerchione, Dirigente Medico Ricercatore presso la Divisione di Ematologia dell’Istituto Romagnolo per lo Studio dei Tumori “Dino Amadori” – IRST IRCCS – Meldola: “L’obiettivo è quello di studiare i bersagli molecolari del mieloma per dare la cura sempre più personalizzata ad ogni paziente”. Ma resta fondamentale una presa in carico globale del paziente, ha sottolineato Giuseppe Toro, Presidente Nazionale Associazione Italiana contro le Leucemie – AIL, “per migliorare la qualità di vita non solo del paziente, ma anche del caregiver, che spesso è costretto a forti rinunce personali o professionali, e sottoposto a un carico psicologico ed emotivo particolarmente intenso”. Nello specifico il keynote speech di Sciattella ha preso in analisi il costo complessivo della malattia per ogni paziente affetto da Mieloma Multiplo sia per il SSN sia per l’impatto sociale. Oltre al costo annuo complessivo pari di oltre 25mila euro a paziente, “l’analisi ha evidenziato come la sola assistenza ospedaliera comporti una spesa media a carico del SSN di circa 14.800 euro per soggetto, a cui si aggiungono costi diretti a carico del paziente, relativi all’acquisto di farmaci, visite specialistiche e assistenza personale, pari a 2.280 euro. Infine, i costi indiretti, derivanti dalla perdita delle giornate di lavoro del paziente e del caregiver e alle giornate con ridotta produttività, ammontano mediamente a 8.158 euro”. I significativi miglioramenti nella sopravvivenza e nella qualità della vita dei pazienti, attribuibili anche alle innovazioni terapeutiche degli ultimi anni – è stato osservato – sottolineano l’importanza di prevedere nuovi modelli organizzativi assistenziali che, oltre a garantire l’accesso alle nuove tecnologie, prevedano una continuità assistenziale e una presa in carico precoce e multidisciplinare per ottimizzare la gestione della patologia e migliorare l’efficienza del sistema di cure e assistenza nel suo complesso. Sul versante delle cure, Cerchione ha evidenziato l’importanza della prevenzione e i molti progressi raggiunti dalla ricerca: “Il Mieloma Multiplo è un tumore del sangue dovuto alla crescita incontrollata delle plasmacellule, cellule del sistema immunitario responsabili della produzione degli anticorpi. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una rivoluzione terapeutica: non si usa quasi più la chemioterapia tradizionale e quasi tutti i trattamenti si basano sull’immunoterapia. Grazie alla ricerca, effettuata nei centri di eccellenza come l’IRST-IRCCS di Meldola, ci stiamo concentrando sui biomarcatori del mieloma, cioè sui profili molecolari della patologia. L’obiettivo – conclude l’ematologo – è quello di studiare i bersagli molecolari del mieloma per dare la cura sempre più personalizzata ad ogni paziente”. Non è mancato il punto di vista di Giuseppe Toro, Presidente dell’Associazione nazionale dei pazienti contro le leucemie: “L’esperienza del paziente con Mieloma Multiplo, come nel caso di altri tumori del sangue, è gravata da molteplici difficoltà. Solo una presa in carico globale, nella cui messa in pratica AIL auspica un coinvolgimento sempre maggiore delle istituzioni, può favorire un accesso efficace alle terapie, consentendo l’incontro con i bisogni del paziente; tali bisogni possono includere l’assistenza domiciliare o un percorso ambulatoriale privilegiato, per esempio in caso di difficoltà motorie, ma anche un sostegno psicologico, considerando che la patologia ha un decorso incerto, che alterna fasi acute e fasi di remissione. Gestire la presa in carico è fondamentale per migliorare la qualità di vita non solo del paziente, ma anche del caregiver, che spesso è costretto a forti rinunce personali o professionali, e sottoposto a un carico psicologico ed emotivo particolarmente intenso”.